Cassazione Penale, Sez. 4, 27 gennaio 2020, n. 3192 - Caduta dall'alto durante i lavori di realizzazione di un edificio. Prescrizione
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 06/11/2019
FattoDiritto
1. La Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Treviso ha ritenuto responsabile R.G. del reato di cui agli artt. 113, 590 commi 2 e 3 cod. pen. per avere - in cooperazione colposa con B.G. e M.C., nell'ambito dei lavori di realizzazione di un edificio unifamiliare affidati dai privati R.A. e Z.S. all'impresa Fratelli R. S.r.L. e da questa subappaltati, per la parte relativa alla posa in opera della copertura in legno, all'impresa B.G. S.r.L. - causato, per colpa generica e specifica, a L.B., dipendente di quest'ultima, lesioni personali e l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni. In specie, per aver permesso e comunque non impedito che il lavoratore svolgesse in altezza l'attività demandatagli, senza essere in alcun modo assicurato contro il rischio di caduta dall'alto. Inviato presso il cantiere dei Fratelli R. S.r.L., per la realizzazione di un solaio mediante inchiodatura di assi di legno orizzontali (c.d. perline) su travi longitudinali fissate in quota, il L.B., sprovvisto, nell'esecuzione del lavoro, delle necessarie misure di sicurezza, poggiava il piede su una delle travi ghiacciate, così scivolando al suolo da un'altezza di circa tre metri. Fatto accaduto il 10/12/2010.
2. Avverso la prefata sentenza propone ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, sollevando tre motivi, reiterativi di analoghe doglianze avanzate con l'atto di appello. Con il primo, deduce inosservanza dell'alt. 522 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 516 e 521 cod. proc. pen. Diversamente dal capo di imputazione, ove si sostiene che il lavoratore infortunato fosse impegnato in un'attività di controllo dell'interasse delle travi in legno, l'istruttoria dibattimentale ha dimostrato che l'infortunio si verificò mentre il lavoratore compiva la c.d. "perlinatura", vale a dire la posa in opera delle assi sulle travi preesistenti. Trattasi di operazione del tutto diversa da quella contenuta nella contestazione e con un profilo di rischio assai minore. La Corte di appello non ha tenuto conto che la lavorazione di perlinatura non è una lavorazione in quota, giacché l'operaio si muove su un piano già fisso e stabile, sicché non vi è alcun rischio di caduta dall'alto che richieda l'utilizzazione di presidi anticaduta. Con il secondo motivo, eccepisce vizio di motivazione con riguardo alla affermata posizione di garanzia dell'imputato. Gli assunti della sentenza impugnata si pongono in contrasto con la testimonianza della stessa persona offesa; l'affermazione di una posizione di garanzia avrebbe richiesto l'accertamento che l'imputato avesse in concreto, quella mattina, esercitato nei confronti del lavoratore, i poteri propri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, mentre egli si disinteressò del tutto dell'attività del L.B., anche in considerazione del carattere altamente specialistico della stessa. Con il terzo motivo, lamenta omessa motivazione sulla sussistenza delle violazioni della normativa antinfortunistica indicate nel capo di imputazione ed in ordine alla sussistenza del nesso di causalità tra dette violazioni e l'infortunio. Il funzionario della SPISAL aveva dichiarato che la Fratelli R. era dotata di un PSC adeguato alla tipologia di lavorazioni del cantiere, ivi compresi i rischi di caduta dall'alto e che non era emersa alcuna specifica violazione delle disposizioni del PSC da parte dell'impresa dell'odierno ricorrente. Sul punto, la Corte veneziana non motiva, limitandosi ad asserire l'esistenza del nesso eziologico tra siffatte violazioni e l'infortunio.
3. Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato in data 10/06/2018, il relativo termine di prescrizione massimo.
Deve rilevarsi che il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità tali da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione.
Sussistono, pertanto, i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. maturate, come nel caso di specie, successivamente all'adozione della sentenza impugnata (fatto accertato il 10/12/2010; sentenza di secondo grado del 21/12/2017; non essendovi periodi di sospensione, il termine di prescrizione è pari a sette anni e mezzo: la prescrizione è dunque maturata il 10/06/2018).
E poi appena il caso di sottolineare che risulta superfluo qualsiasi approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della intervenuta prescrizione: invero, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, è ben noto che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, pur se di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28.11.2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511) e non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione (v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244275).
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in considerazione delle congrue e non illogiche valutazioni rese dalla Corte di appello nella sentenza impugnata: non emergendo, dunque, all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazione" cioè presa d'atto, la necessità di assoluzione (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244274), discende di necessità la pronunzia in dispositivo.
4. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato contestato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 6 novembre 2019.