Cassazione Penale, Sez. 4, 04 febbraio 2020, n. 4637 - Caduta dal ponteggio a causa dell'assenza di alcune tavole di legno. Responsabilità del datore di lavoro


 

 

 

 

Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 15/01/2020

 

 

Fatto

 

1. La Corte d'appello di Brescia, in data 24 novembre 2015, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale della stessa città, il 10 novembre 2014, aveva condannato I.F.T. alla pena ritenuta di giustizia e alle connesse statuizioni civili in relazione al delitto p. e p. dall'art. 590, commi 1 e 3, cod.pen. (lesioni personali colpose gravi, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro), contestato come commesso in danno di P.A., l'11 luglio 2008.
Per l'esattezza l'addebito de quo é stato mosso al I.F.T. nella sua qualità di amministratore unico della E.T.CAM Servizi s.r.l. e datore di lavoro dell'P.A., dipendente dalla predetta società; quest'ultimo, secondo l'imputazione, aveva riportato le lesioni descritte in rubrica (frattura del trochite omerale sinistro: lesioni guaribili in 226 giorni e con postumi permanenti consistiti nella limitazione della funzionalità della spalla sinistra) durante l'esecuzione di lavori di rifinitura di un edificio di nuova costruzione, perché, trovandosi a operare in quota ad un'altezza di circa 11 metri, a causa dell'assenza di alcune tavole di legno sul ponteggio ove egli si trovava, era precipitato nell'apertura ivi presente e si era aggrappato alla struttura del ponteggio per arrestare la caduta, così procurandosi le anzidette lesioni. Si imputa al I.F.T. la violazione degli artt. 112 e 122 del D.Lgs. n. 81/2008, per non essersi assicurato della conservazione in efficienza del ponteggio e del fatto che i piani di lavoro dell'opera provvisionale fossero corredati di tutti gli elementi necessari per evitare la caduta dall'alto e, in specie, delle tavole sul piano di calpestio.
Tali addebiti hanno trovato conferma, secondo i giudici di primo e di secondo grado, sulla base delle deposizioni della persona offesa e di altre fonti di prova orale, nonché delle considerazioni che hanno indotto il Tribunale prima, la Corte di merito poi a disattendere le contrarie argomentazioni addotte dalla difesa del I.F.T. in ordine alle circostanze in cui si sarebbe verificato l'incidente, alle disposizioni violate, al nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento, nonché ai soggetti che dovevano essere ritenuti responsabili. Sono state inoltre disattese le lagnanze dell'Imputato avverso la determinazione della pena e le statuizioni risarcitorie.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il I.F.T., con atto articolato in sette motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo, a corredo del quale viene integralmente trascritta la parte in diritto della sentenza impugnata, si eccepisce l'intervenuta prescrizione del reato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all'affermazione di penale responsabilità dell'imputato: in primo luogo si sostiene, nel motivo di ricorso in esame, che non v'é prova che il soggetto che riportò l'infortunio sarebbe l'P.A., tanto non emergendo da nessuna documentazione sanitaria né dalle dichiarazioni del capocantiere D.; a parte ciò, non può essere ascritta al I.F.T. la violazione degli artt. 112 e 122 del D.Lgs. n. 81/2008, avendo egli predisposto in modo incensurabile il ponteggio e le relative precauzioni, mentre lo spostamento delle tavole ivi posizionate é da addebitarsi alle maestranze di altra ditta, che avevano manomesso il ponteggio a sua insaputa; inoltre, al momento dell'incidente, la persona offesa non era in servizio ma era in ferie, per cui egli non poteva sapere che si fosse recata presso il cantiere proprio quel giorno, in coincidenza con l'asportazione delle tavole. Quindi il I.F.T., rispetto all'infortunio, non rivestiva una posizione di garanzia e non pose in essere alcuna condotta eziologicamente rilevante, mentre l'addebito doveva semmai essere mosso a carico del responsabile per la sicurezza, che con la sua condotta omissiva diede causa all'evento lesivo. Conclude l'esponente affermando che il fatto era del tutto imprevedibile e imprevisto.
2.3. Con il terzo motivo il deducente lamenta vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla non configurabilità, a suo carico, del delitto di lesioni colpose aggravate, non sussistendo, a giudizio del ricorrente, né l'elemento oggettivo, né quello soggettivo del reato.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, applicata in termini rapportabili alla media edittale, mentre é stata esclusa la possibilità di applicare la sola pena pecuniaria.
2.5. Con il quinto motivo si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al risarcimento degli ulteriori danni, che la Corte d'appello ha disposto sebbene, in aggiunta al risarcimento da parte dell'INAIL, il I.F.T. avesse interamente risarcito per via assicurativa la persona offesa, che ha rilasciato ampia e definitiva quietanza, per un ammontare superiore alla provvisionale liquidata in favore del lavoratore infortunato. Ciò, afferma il ricorrente, sarebbe stato valutabile - se non ai fini dell'attenuante del ravvedimento post delictum di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen. - quanto meno ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti. 
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione proprio con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, che la Corte avrebbe potuto operare in termini di prevalenza, anziché di equivalenza, delle attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti.
2.7. Con il settimo e ultimo motivo si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla mancata conversione della pena detentiva in quella pecuniaria corrispondente, avuto riguardo ai criteri di cui all'art. 133 cod.pen. in rapporto alle specificità del caso concreto e alle finalità rieducative della pena.
 

 

Diritto

 


1. Per ragioni di ordine logico si reputa opportuno esaminare in via prioritaria i motivi afferenti l'affermazione di responsabilità del I.F.T., ossia - congiuntamente - il secondo e il terzo motivo di ricorso.
Ambedue i motivi in esame sono manifestamente infondati.
In primo luogo la lettura della sentenza impugnata (vds. in specie pagg. 7 - 8) rende evidente l'assenza di qualsivoglia fondamento con riguardo all'asserzione secondo cui non vi sarebbe prova che il soggetto infortunato fosse proprio l'P.A.. Non vi sono, infatti, solo le dichiarazioni della persona offesa a riferire tale circostanza, ma anche la documentazione sanitaria cui fa espresso riferimento la Corte distrettuale e le dichiarazioni del capocantiere D. (dipendente da altra ditta) il quale ha riferito una serie di circostanze sovrapponibili a quelle riferite dall'P.A.: ossia che in quel periodo era effettivamente venuto da lui un operaio della E.T.CAM il quale affermava di essersi appena fatto male scivolando su un ponteggio e procurandosi un colpo al costato; che i ponteggi in questione erano montati regolarmente ma vi era una prassi in base alla quale le maestranze di altra ditta toglievano alcuni pezzi dai ponteggi per ragioni di comodità (riferite alla posa di un c.d. "cappotto"), tanto da indurre lo stesso D. ad intervenire affinché tale prassi cessasse.
Quanto invece alla posizione di garanzia del I.F.T. e alla violazione, da parte sua, delle prescrizioni in materia di prevenzione degli infortuni menzionate in rubrica, deve constatarsi che, secondo quanto emerge dalla lettura della sentenza impugnata, il fatto che il ponteggio in esame - che costringeva gli operai a lavorare in quota, a un'altezza di ben 11 metri - fosse utilizzato da lavoratori di altra ditta o da lavoratori autonomi non esimeva certo l'odierno ricorrente dal curare che detto ponteggio, presente nel cantiere, fosse mantenuto in uso in condizioni di sicurezza (su tale aspetto si vedano le pertinenti osservazioni della Corte bresciana alle pagine 9 e 10 della sentenza); e soprattutto rende evidente la presenza, nello stesso luogo di lavoro, di più imprese o comunque di soggetti diversi, con conseguente configurabilità di un rischio interferenziale che il I.F.T. non risulta in alcun modo avere valutato; ed é noto che - come osservato anche dalla Corte di merito alle pagine 10 e 11 della sentenza impugnata - gravano sui datori di lavoro di tutte le imprese coinvolte gli obblighi di cooperazione e di coordinamento sussistenti in tali ipotesi, con particolare riguardo alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 30557 del 07/05/2016, Carfì e altri, Rv. 267687; Sez. 4, Sentenza n. 9167 del 01/02/2018, Verity James, Rv. 273257). A ciò deve aggiungersi l'ulteriore considerazione riferita all'accertamento probatorio - di cui la Corte di merito fornisce adeguata descrizione - circa il fatto che quella di rimuovere le tavole dai ponteggi fosse una prassi di lavoro non corretta, ma ricorrente all'interno del cantiere (piuttosto che un'iniziativa singolare ed estemporanea) e che, come tale, era quanto meno conoscibile dal I.F.T. nella sua qualità.
E' poi destituita di fondamento la tesi difensiva secondo la quale l'P.A. non si procurò le lesioni nell'ambito di attività lavorativa alle dipendenze del I.F.T., essendo in ferie: per sgombrare il campo da tale asserzione la Corte di merito, in modo affatto conducente, riferisce quanto accertato (attraverso le dichiarazioni testimoniali e i tabulati della tessera autostradale) in ordine al fatto che il giorno dell'infortunio l'P.A. aveva in uso l'auto aziendale, con la quale sempre quel giorno egli aveva percorso il tragitto dalla sua abitazione di residenza al cantiere, facendo poi il percorso inverso in orario compatibile con il successivo ricovero presso l'ospedale di Ponte San Pietro: dal che la Corte distrettuale trae la conclusione, affatto logica, che quel giorno, indipendentemente dal formale collocamento in ferie, l'P.A. si recò al lavoro presso il cantiere ove avvenne l'infortunio.
Da quanto precede discende la sussistenza di elementi probatori confermativi di tutti gli elementi del delitto di lesioni colpose ascritto al I.F.T.: sia dal punto di vista oggettivo (in ordine al fatto che fu l'P.A. a riportare le lesioni in occasione della prestazione di lavoro), sia dal punto di vista soggettivo (in relazione alla colpa specifica addebitata all'imputato nella sua qualità), sia infine dal punto di vista del nesso causale (atteso che dalla lettura della sentenza si apprezza agevolmente che l'infortunio fu causato - in modo non esclusivo ma certamente concorrente - dalla condotta omissiva attribuita al I.F.T., e che sarebbe stato verosimilmente evitato ove egli avesse tenuto il comportamento alternativo doveroso). 
2. Del pari sono manifestamente infondati i motivi di lagnanza riferiti al trattamento sanzionatorio: ci si riferisce al quarto motivo di ricorso in ordine alla quantificazione della pena e alla scelta della pena detentiva (peraltro con i doppi benefici), adeguatamente argomentate dalla Corte di merito soprattutto sulla base del comportamento tenuto dal I.F.T. dopo l'infortunio, che egli inizialmente si guardò dal denunciare, cercando di farlo passare come un incidente domestico (v. pag. 11 sentenza); ci si riferisce inoltre alle lagnanze relative al bilanciamento in equivalenza, anziché in prevalenza, delle attenuanti generiche rispetto alle aggravanti (di cui il ricorrente si lamenta soprattutto nel sesto motivo di ricorso) e alla mancata conversione della pena detentiva in quella pecuniaria (oggetto del settimo motivo di lagnanza).
A fronte di quanto precede, é in primo luogo destituito di fondamento l'assunto del ricorrente secondo cui la pena si collocherebbe nella fascia intermedia, atteso che in realtà essa si colloca al disotto di essa, anche a seguito del bilanciamento in equivalenza delle circostanze: in proposito va ricordato che non é necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (per tutte vds. la recente Sez. 3, Sentenza n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).
In secondo luogo, si ricorda che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti sono censurabili in Cassazione soltanto nell'Ipotesi - certamente non ricorrente nel caso di specie - in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, Sentenza n. 46343 del 26/10/2016, Rv. 268473).
In terzo luogo, é di palmare evidenza che la scelta di applicare la pena detentiva al posto di quella della multa (alternativamente applicabile), oltre ad essere adeguatamente argomentata dalla Corte di merito, é logicamente incompatibile con la conversione della pena stessa.
3. Deve ritenersi invece non manifestamente infondato il quinto motivo di ricorso, laddove il ricorrente - sia pure in termini non del tutto perspicui - si duole in definitiva dell'erronea conferma della condanna al risarcimento dei danni con provvisionale: la Corte di merito, invero, ha omesso di considerare che, come risulta dal processo verbale dell'udienza tenutasi in Corte d'appello, la difesa dell'imputato aveva prodotto prova documentale sia dell'avvenuto versamento della somma di 10.000,00 euro liquidata in primo grado a titolo di provvisionale, sia dell'avvenuto risarcimento del danno differenziale (determinato in 8.000,00 euro) in favore dell'P.A., come si evince dalle quietanze liberatorie rese da quest'ultimo in data 13 luglio 2015 e prodotte in atti avanti la Corte distrettuale.
Ora, é noto che, pur a fronte di quietanza interamente liberatoria, spetta comunque al giudice stabilire se il risarcimento possa effettivamente dirsi o meno integrale; ma, nella specie, la Corte di merito, benché a tal fine sollecitata con l'atto d'appello, non ha svolto alcuna considerazione sul punto, limitandosi a prendere in considerazione unicamente la somma liquidata dall'IlNAIL al dipendente e non prendendo in esame la somma versata all'P.A. dalla compagnia assicuratrice del I.F.T., né a titolo di risarcimento, né a titolo di provvisionale.
A tale ultimo riguardo, é ben vero che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma a titolo di provvisionale non é impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, Patricola e altro, Rv. 261054); ma nella specie si é in presenza della conferma delle statuizioni civili della sentenza di primo grado, che i giudici dell'appello hanno deliberato senza tenere conto del fatto che l'imputato aveva versato alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento che copriva ampiamente quella determinata in primo grado a titolo di provvisionale, ed a fronte della quale la persona offesa ha rilasciato dichiarazione ampiamente liberatoria.
Perciò le censure sviluppate in proposito dall'odierno ricorrente colgono nel segno in quanto tese a denunciare il fatto che i giudici dell'appello, nel confermare le statuizioni civili della sentenza di primo grado, non abbiano preso atto sia dell'intervenuto versamento - tramite compagnia assicuratrice - dell'intera somma liquidata a titolo di provvisionale, sia della corresponsione dell'ulteriore somma di ottomila euro all'P.A., corredata da dichiarazione liberatoria resa da quest'ultimo.
4. A fronte di ciò, e considerata la fondatezza del quinto motivo di ricorso, deve accogliersi anche il primo motivo, inerente alla maturata prescrizione del reato, commesso nel luglio del 2008.
Di tal che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli effetti penali, perché il reato é estinto per prescrizione; va altresì annullata agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello. In quella sede potrà valutarsi se le somme versate dall'odierno ricorrente alla persona offesa possano o meno ritenersi integralmente satisfattive.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, perché il reato é estinto per prescrizione. Annulla la medesima sentenza agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2020.