Cassazione Civile, Sez. 6, 07 febbraio 2020, n. 2883 - Infortunio mortale con il veicolo utilizzato per lo svolgimento dell'attività lavorativa


 

Presidente: FRASCA RAFFAELE Relatore: SCRIMA ANTONIETTA Data pubblicazione: 07/02/2020

 

 

 

Fatto

 

F.P. e P.P., genitori ed eredi di M.P., convennero in giudizio F.I., già datore di lavoro del predetto figlio, sostenendo che l'infortunio in cui quest'ultimo aveva perso la vita era stato determinato dall'inidoneità dell'impianto frenante del veicolo utilizzato per lo svolgimento dell'attività lavorativa e dal fatto che il convenuto aveva adibito M.P. alla guida di un mezzo per il quale non era abilitato.
Il convenuto impugnò la domanda e chiamò in causa, per l'eventuale manleva, la Zurigo Assicurazioni S.p.a., che si costituì in giudizio eccependo l'inoperatività della polizza assicurativa.
Il Tribunale di Spoleto rigettò la domanda con sentenza n. 156/2012, confermata dalla Corte di appello di Perugia con sentenza n. 21/2016, depositata il 14 gennaio 2016.
In particolare, la Corte territoriale, con la decisione appena ricordata, ritenne che: a) in relazione alla dinamica del sinistro, erano condivisibili le conclusioni cui era pervenuto il primo giudice sulla base dei rilievi svolti dalla Polizia Stradale e degli accertamenti compiuti nell'immediatezza del fatto dal consulente nominato dal P.M. nel procedimento penale, sicché doveva ritenersi che l'impianto frenante fosse funzionante e che il sinistro fosse dipeso dall'eccessiva velocità tenuta dal conducente; b) in relazione al possesso dei titoli abilitanti alla guida, trattandosi di autoveicolo "per uso speciale", il mezzo poteva essere guidato da M.P., benché ancora diciannovenne, senza necessità che fosse munito di certificato di abilitazione professionale (richiesto, invece, per gli autoveicoli "per trasporti specifici" aventi, come quello di cui si discute nel caso all'esame, tara superiore a 7,5 tonnellate).
Avverso la sentenza di appello F.P. e P.P. proposero ricorso per cassazione, cui resistette con controricorso la sola Zurich Insurance Public Limited Company, Rappresentanza generale per l'Italia.
Con ordinanza n. 17057/2018, depositata il 28 giugno 2018 questa Corte, accolse il ricorso nei termini precisati nella motivazione di quella decisione e rinviò, anche per le spese di lite, alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione.
Avverso tale ordinanza F.P. e P.P. hanno proposto ricorso per revocazione ex art. 395, n. 4, cod. proc. civ., basato su un unico motivo e illustrato da memoria.
Hanno resistito con distinti controricorsi F.I., quale titolare dell'omonima ditta, e Zurich Insurance Public Limited Company Rappresentanza Generale per l'Italia; quest'ultima ha pure depositato memoria.
 

 

Diritto

 


1. Con l'unico motivo, i ricorrenti deducono di aver, con il ricorso per cassazione, censurato la decisione della Corte territoriale sopra richiamata con quattro motivi. Evidenziano, in particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, di aver, con il terzo di tali motivi, rubricato «Violazione dell'art. 2087 c.c.f degli artt. 115, 116, 113 c.p.c. e 345, ultimo comma, c.p.c., dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 nn. 3), 4) e 5) c.p.c.», censurato la decisione di secondo grado perché non condivisibile nella parte in cui la Corte di merito aveva rigettato la loro richiesta di ammissione di prova testimoniale formulata con istanza in data 12 febbraio 2015, «trattandosi di rigetto immotivato e in violazione sia dell'art. 345, ult. comma, c.p.c., avendo ad oggetto la richiesta di prova [di] fatti di cui gli appellanti erano venuti a conoscenza per la prima volta nel corso del giudizio di appello, sia degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., stante la rilevanza di quella prova in punto di nesso di causalità, in particolare per stabilire se l'incidente mortale fosse dipeso dall'asserita ex adverso eccessiva velocità, di cui si voleva dimostrare l'inesistenza, o, viceversa, dall'inefficienza del mezzo per quel che concerneva l'impianto frenante e gli pneumatici».
Sostengono i ricorrenti che questa Corte, con l'ordinanza impugnata per revocazione, nel dichiarare inammissibile il terzo motivo di gravame sul rilievo che quella richiesta di prova, già respinta dalla Corte di merito con ordinanza del 22 giugno 2015, non sarebbe stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni dagli appellanti e, pertanto, doveva intendersi rinunciata, sarebbe incorsa in errore di fatto. Ed invero, dalla semplice lettura del verbale dell'udienza fissata per la precisazione delle conclusioni (17 settembre 2015) emergeva, ad avviso dei ricorrenti, che la parte appellante aveva, in quella sede, reiterato le richieste istruttorie, ivi compresa quella di ammissione della prova testimoniale mediante specifico richiamo dell'istanza del 12 febbraio 2015.
1. Il motivo è inammissibile.
1.1. Ed infatti, l'errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza (o ordinanza) di cassazione, ex art. 391 -bis cod. proc. civ., deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità che questa Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell'ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d'ufficio.
Nella specie non risulta dedotto nel ricorso per cassazione - come invece dovuto, in adempimento dell'onere di specificità e completezza dei motivi di cassazione (Cass. 4/03/2005, n. 4741; Cass., ord., 4/04/2018, n. 8204) - che le istanze istruttorie, non accolte dal giudice di appello con ordinanza del 22 giugno 2015, fossero state riproposte in sede di precisazione delle conclusioni (v. sulla necessità di reiterazione, in sede di precisazione delle conclusioni, delle istanze istruttorie rigettate v. Cass. 27/02/2019, n. 5741) ed in tal senso va intesa l'espressione «non risulta che, dopo il rigetto dell'istanza Istruttoria da parte della Corte di Appello, gli appellanti abbiano reiterato la richiesta in sede di precisazione delle conclusioni...» di cui a p. 6 dell'ordinanza impugnata in questa sede, nel senso, cioè, che quel Collegio ha ritenuto che, dal ricorso in cassazione, non emergeva la reiterazione delle istanze istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni in secondo grado.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, il preteso errore di percezione degli atti configura, in realtà, un errore di valutazione del contenuto del ricorso, sicché si verte in un ambito estraneo a quello dell'errore revocatorio (Cass. 27/0472018, n. 10184).
2. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
4. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, comma 17, della legge 24 dicembre importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma l-bis dello stesso art. 13.
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente procedimento, che liquida, in favore di F.I., in euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge e, in favore di Zurich Insurance Public Limited Company Rappresentanza Generale per l'italia, in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta