Cassazione Penale, Sez. 4, 07 febbraio 2020, n. 5113 - Carbonizzato nel doppio fondo della nave in costruzione. Responsabilità del datore di lavoro e dei committenti-appaltanti per l'assenza di adeguati sistemi di areazione


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 21/01/2020

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciuta a tutti gli imputati la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen., ritenuta, unitamente alle generiche, equivalente all'aggravante, ha rideterminato la pena nei confronti di S.P. in anni 1 e mesi 2 di reclusione e nei confronti di F.V. e A.V. in mesi 7 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione, confermandone la condanna per il reato di cui all'art. 589 cod.pen., perché, in qualità di datore di lavoro il primo (quale legale rappresentante della Emmepi Service s.n.c.), ed, in qualità di committenti-appaltanti i secondi (quali legali rappresentanti e più precisamente presidente e vice-presidente di Cantieri Navali V. s.r.l., hanno cagionato il decesso di M.M., rimasto carbonizzato nell'incendio verificatosi all'interno del doppio fondo della nave in costruzione, avvenuto per la presenza di ossigeno e di scintille causate dalla smerigliatrice usata per eliminare le vernici ed effettuare un taglio a mezza luna, con colpa consistita per S.P. nelle violazioni degli artt. 9, 20 e 21 del d.P.R. n. 303 del 1956 (ora sostituiti dall'allegato IV del d.lgs. n. 81 del 2008, punti 1.9.1.1., 2.1.4.-bis e 2.2) e degli artt. 250 e 387 del d.P.R. n. 547 del 1955 (capi di imputazione D,E,0); per F.V. e A.V. nella violazione dell'art.7 del d.lgs. n. 626 del 1994 (oggi confluito nell'art. 26 del d.lgs. n. 81 del 2008) e, cioè, nella mancata valutazione delle attività concorrenti e delle forniture messe a disposizione ai lavoratori, che avrebbero dovuto comprendere un adeguato impianto di ventilazione (Capo A) - 4 aprile 2006.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, S.P., F.V. e A.V..
3. S.P. ha dedotto: 1) la nullità del decreto che dispone il giudizio e della sentenza per violazione del principio di chiarezza e precisione dell'imputazione, previsto dall'art. 429 cod.proc.pen., e di correlazione tra accusa e difesa, previsto dagli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., non essendo intervenuta la modifica del capo di imputazione, nonostante la responsabilità dell'imputato sia stata fondata su alcune violazioni non contestate (quelle degli artt. 250 del d.P.R. n. 547 del 1955 e 9 del d.P.R. n. 303 del 1956) e su altre che nell'originaria contestazione non erano state poste in nesso di causalità con la morte del lavoratore (quelle di cui ai capi D ed E); 2) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento della prova, in quanto il giudice di secondo ha affermato, pur ammettendo l'assenza di adeguati riscontri probatori, che la fiamma è stata provocata dalla concentrazione di ossigeno all'interno del gavone piuttosto che sugli indumenti del lavoratore (ipotesi rispetto alla quale risulterebbe irrilevante la condotta colposa contestata al datore di lavoro, individuata nella carenza di dispositivi di areazione), senza valutare gli elementi indiziari evidenziati dalla difesa, anche in relazione all'adempimento di propri obblighi (in particolare quanto emerso dalle deposizioni testimoniali di V. e B. e dalle fatture prodotte, a dimostrazione che il tubo di aereazione, usato nell'occasione dal lavoratore DG., fosse di proprietà della Emmepi Service), e senza adeguatamente considerare l'abnormità della condotta della vittima.
3. F.V. e A.V. hanno dedotto: 1) l'inosservanza degli artt. 26, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2008, 7 del d.lgs. n. 626 del 1994 e della L. n. 123 del 2007 e 296 del 2006 ed il vizio di motivazione sul punto, insistendo per la prevalenza dell'assoluzione nel merito rispetto alla prescrizione quanto alla condotta di cui al capo B, attesa l'inapplicabilità ai fatti oggetto di causa del d.lgs. n. 81 del 2008, della L. n. 123 del 2007 e 296 del 2006 e la conseguente erroneità dell'affermata necessità del DUVRI, fondata anche sulla confusione tra attività concorrenti e compresenza di autonome attività, e dell'affermata necessità per il committente di verificare le attrezzature e la formazione fornita dall'appaltatore ai suoi dipendenti; 2) l'erronea applicazione dell'art. 7 del d.lgs. n. 626 del 1994, ai sensi del quale l'obbligo del committente di promuovere la cooperazione ed il coordinamento non si estende ai rischi specifici dell'attività dell'impresa appaltatrice o dei singoli lavoratori autonomi, e l'assoluta mancanza di motivazione sul punto; 3) la violazione dell'art. 41, secondo comma, cod.pen. ed il vizio di motivazione sul punto, atteso che la condotta altamente imprudente della vittima, lavoratore esperto, integra un comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale rispetto a eventuali violazioni degli imputati.
 

 

Diritto

 


1. Preliminarmente va dichiarata l'estinzione del reato contestato a F.V. in conseguenza del suo decesso.
La morte dell'imputato, intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con l'enunciazione della relativa causa nel dispositivo, risultando esaurito il sottostante rapporto processuale ed essendo preclusa ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 23906 del 12/05/2016 ud. - dep. 09/06/2016, Rv. 267384 - 01).
2. Il ricorso di A.V. non può essere accolto.
3. I primi due motivi, con cui si è denunciata l'inosservanza degli artt. 26, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2008 7 del d.lgs. n. 626 del 1994, della l. n. 123 del 2007 e di quella n. 296 del 2006 ed il vizio di motivazione sul punto, possono essere esaminati congiuntamente.
Invero, il giudice di appello ha risposto alle doglianze dell'atto di appello di F.V. ed A.V. facendo applicazione dell'art. 7 della d.lgs. n. 626 del 1994 nella formulazione successiva a quella in vigore all'epoca dei fatti. Originariamente la disposizione in esame stabiliva: "il datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi: a) verifica, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l'idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d'opera; b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività; nell'ipotesi di cui al comma 1 i datori di lavoro: a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva; il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, ma tale obbligo non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi". In tale versione, vigente ratione temporis, non era, dunque, previsto l'obbligo di redigere il DUVRI -obbligo introdotto solo a decorrere dal 25 agosto 2007, con le modifiche apportate dalla L. n. 123 del 2007, che sostituito la seconda lett. b dell'art. 7 con il seguente testo "(i datori di lavoro) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva; il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze; tale documento è allegato al contratto di appalto o d'opera; le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi".
L'erroneo riferimento del giudice di appello a tale disciplina (ed alla necessità di un unico documento di valutazione del rischio) non inficia, tuttavia, la correttezza della decisione, tenuto conto dell'integrazione della motivazione della sentenza di primo grado con quella di secondo grado, laddove conformi (v., per tutte, Sez. 1, n. 10238 del 20/01/1988 ud.- dep.19/10/1988, Rv. 179475 - 01, secondo cui le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si integrano qualora le due decisioni siano conformi: tale principio va inteso non nel senso che il giudice di appello possa limitarsi a richiamare la motivazione del primo giudice o possa esimersi da una propria autonoma motivazione, altrimenti si avrebbe una sostituzione e non una integrazione delle due motivazioni, bensì nel senso che il giudice di appello bene può non trattare diffusamente tutti gli argomenti discussi ed esaminati in primo grado, qualora nei motivi di appello non siano addotte considerazioni diverse da quelle già disattese con motivazione ritenuta esauriente; o addirittura non affrontare una questione, non rilevabile d’ufficio, qualora nei motivi di appello non vi siano deduzioni in proposito o vi siano deduzioni generiche o palesemente inconsistenti, ossia insuscettibili di accoglimento).
La responsabilità della società committente, di cui l'imputato è vice-presidente e legale rappresentate, risulta, difatti, fondata, alla luce della sentenza di primo grado, sull'obbligo specificamente assunto, in base ai contratti conclusi, dalla committente e dalla sub-committente nei confronti dell'appaltatore e del sub-appaltatore (v. p. 16), di fornitura di energia elettrica, gas ed ossigeno, sicché l'assenza di sufficienti apparecchi, strumentali all'areazione dei locali ed al rifornimento di ossigeno (causa dell'infortunio, secondo la ricostruzione effettuata dai giudici di merito) integra la concretizzazione di un rischio interferenziale, la cui gestione gravava proprio sulla committente, che aveva il compito di assicurare aspiratori e ventilatori alle imprese operanti sull'imbarcazione e conseguentemente di coordinarne l'uso.
Nella sentenza del Tribunale si è, inoltre, evidenziato che le lavorazioni eseguite dalla Emmepi s.n.c., datore di lavoro della vittima, presentavano un rischio che non era esclusivamente proprio e specifico di tale impresa, in quanto l'intera costruzione della nave comportava pericoli collegati all'esecuzione di operazioni in ambienti angusti (in particolare pericolo di sviluppo di gas tossici e polveri ed altresì di incendio). Non è, pertanto, pertinente la giurisprudenza, richiamata nel ricorso, secondo cui la cooperazione non può intendersi come obbligo del committente di intervenire in supplenza dell'appaltatore tutte le volte in cui costui ometta, per qualsiasi ragione, di adottare misure di prevenzione prescritte a tutela soltanto dei suoi lavoratori, risolvendosi in un'inammissibile ingerenza del committente nell'attività propria dell'appaltatore (Sez. 4, n. 31459 del 03/07/2002 ud.-dep. 20/09/2002, Rv. 222341 - 01).
Ad ogni modo, nel caso di specie, il giudice di primo grado ha evidenziato un'ingerenza della committente nei lavori delle imprese operanti sull'imbarcazione (v. p. 18, "l'impresa committente continuava, tramite i propri capi-cantiere, a dirigere le lavorazioni eseguite dalle altre ditte") ed ha, quindi, applicato l'orientamento consolidato, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il contratto di appalto non solleva da precise e dirette responsabilità il committente allorché lo stesso assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell’opera, in quanto, in tal caso, rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, compreso quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere (Sez. 4, n. 14407 del 07/12/2011 ud.- dep. 16/04/2012, Rv. 253295 - 01).
Le censure in esame omettono completamente di confrontasi con tale ricostruzione dei fatti, motivata in modo congruo, esaustivo e logico, e con i principi giuridici correttamente applicati e richiamati dai giudici di merito, evidenziando soltanto l'erroneo riferimento ad una disciplina non ancora vigente all'epoca dei fatti, che, tuttavia, risulta del tutto irrilevante.
4. Relativamente alla terza doglianza, con cui si è invocata l'abnormità della condotta del lavoratore, va ricordato che ricorre tale situazione soltanto laddove il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità oppure laddove rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 ud. - dep. 14/02/2018, Rv. 272222 - 01). Nel caso in esame, come sottolineato dai giudici di merito, la condotta del lavoratore è stata posta in essere nell'espletamento delle sue mansioni ed era del tutto prevedibile in considerazione delle condizioni di lavoro ("sia il consulente Z. sia il teste DG. hanno confermato che non è infrequente che gli operai usassero l'ossigeno per respirare meglio o per pulirsi i vestiti").
5. Il ricorso di S.P. è destituito di fondamento.
6. In ordine alla prima censura, avente ad oggetto la violazione degli artt. 429, 521 e 522 cod.proc.pen., come già evidenziato dal giudice di appello, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (così Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014 ud. - dep. 19/08/2014, Rv. 260161 - 01, in una fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori).
Si è, anche, affermato che nei procedimenti per reati colposi, il mutamento dell'imputazione, e la relativa condanna, per colpa generica a fronte dell'originaria formulazione per colpa specifica non comporta mutamento del fatto e non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018 ud. - dep. 29/11/2018, Rv. 274500 - 02) e che, una volta contestata la condotta colposa e ritenuta dal giudice di primo grado la sussistenza di un comportamento commissivo, la qualificazione in appello della condotta medesima anche come colposamente omissiva non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (Sez. 4, n. 27389 del 08/03/2018 ud. - dep. 14/06/2018, Rv. 273588 - 01).
A ciò si aggiunga che, in tema di incidenti sul lavoro, qualora l'evento, del quale il datore di lavoro è chiamato a rispondere a titolo di colpa, sia eziologicamente collegato all'omissione di condotte dovute in forza della posizione di garanzia da lui rivestita, non si ha violazione del principio di correlazione fra fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, quando sia rimasta inalterata la condotta omissiva, intesa come dato fattuale e storico contenuto nell'imputazione, ma sia stata, bensì, dal giudice mutata solo la fonte (normativa, regolamentare o pattizia) in base alla quale l'imprenditore era tenuto a porre in essere la condotta doverosa omessa, atteso che non può ritenersi che la fonte di imputazione dell'obbligo sia parte del fatto e che incida, perciò, nella sostanza della fattispecie concreta, intesa come accadimento storico che si inquadra nell'ipotesi astratta prevista dalla norma incriminatrice (Sez. 4, n. 47365 del 10/11/2005 ud. - dep. 30/12/2005, Rv. 233182 - 01; più recentemente Sez.4, n. 4622 del 15/12/2017 ud. - dep. 31/01/2018, Rv. 271948 - 01).
Si tratta appunto di ciò che è avvenuto nel caso di specie, in cui la condotta omissiva contestata è rimasta invariata, essendosi i giudici di merito limitati ad individuare ulteriori norme violate, atteso che l'inosservanza degli artt. 250 del d.P.R. n. 547 del 1955, ai sensi del quale è altresì vietato di eseguire le operazioni di saldatura nell'interno dei locali, recipienti o fosse che non siano efficacemente ventilati, e 9 del d.P.R. n. 303 del 1956, ai sensi del quale nei luoghi di lavoro chiusi è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche ottenuta con impianti di areazione, corrispondono alla condotta contestata alla lett. D, E e J (non aver provveduto a far adottare a M.M. idonei sistemi di aereazione e ventilazione nell'esecuzione delle operazioni svolte nel doppio fondo della nave).
Per mera completezza va sottolineata l'irrilevanza della mancata indicazione delle condotte di cui alle lett. D e E nel capo A di cui all'art. 589 cod.pen., visto che le stesse sono ripetute ed assorbite nel capo J.
7. In ordine alla seconda censura, avente ad oggetto il vizio di motivazione ed al travisamento della prova relativamente all'affermata responsabilità del datore di lavoro, deve osservarsi che la responsabilità del datore di lavoro è stata fondata da entrambi i giudici di merito sulla mancata messa a disposizione, da parte del datore di lavoro, di sistemi di areazione, nonostante le condizioni ed i luoghi di lavoro, omissione causalmente rilevante rispetto all'incendio, da cui è derivata la morte della vittima. Tale condotta omissiva è stata desunta, in modo congruo e non manifestamente illogico, dalle deposizioni dei testi DG. e S. - il primo ha, difatti, dichiarato che il datore di lavoro aveva fornito ai lavoratori solo una mascherina di cartone, tappi per le orecchie, guanti ed occhiali protettivi, mentre il tubo aspiratore era di un'altra impresa; il secondo ha precisato che gli aspiratori, in quanto numericamente insufficienti, erano stati forniti solo ai saldatori veri e propri e non ai carpentieri. Gli elementi probatori evidenziati dalla difesa si presentano del tutto marginali e scarsamente significativi rispetto a quelli valorizzati nelle sentenze di merito, sicché non si configura alcuna lacuna o contraddittorietà nella motivazione. Va, del resto, ribadito che, ai fini della correttezza e della logicità della motivazione della sentenza, non occorre che il giudice di merito dia conto della valutazione di ogni deposizione assunta e di ogni prova, come di altre possibili ricostruzioni dei fatti che possano condurre a eventuali soluzioni diverse da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è indispensabile che egli indichi le fonti di prova di cui ha tenuto conto ai fini del suo convincimento, e, quindi, della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato (Sez. 6, n. 11984 del 24/10/1997 ud.- dep. 22/12/1997, Rv. 209490 - 01).
Né risulta manifestamente illogica la ricostruzione del giudice di appello, secondo cui il lavoratore ha aperto l'ossigeno per respirare meglio e non per spolverarsi i vestiti, posto che era appena rientrato nel gavone dall'esterno e, ragionevolmente, aveva risentito delle difficoltà respiratorie dovute all'ambiente angusto. Ad ogni modo, come già rilevato dal giudice di primo grado, resterebbe irrilevante la diversa finalità del lavoratore, in quanto la sua condotta imprudente troverebbe, comunque, origine nell'assenza di adeguati sistemi di areazione, che hanno aumentato la polvere, e non potrebbe, perciò, escludere il nesso causale tra la violazione della disciplina anti-infortunistica del datore di lavoro ed il tragico evento.
8.In conclusione, la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente a F.V. per essere il reato estinto per morte dell'imputato, mentre devono essere rigettati i ricorsi di A.V. e S.P., che conseguentemente vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata quanto alla posizione di F.V. per essere il reato estinto per morte dell'imputato. Rigetta i ricorsi di F.V., A.V. e S.P. e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 21 gennaio 2020.