Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 10 febbraio 2020, n. 5325 - Omissione di adeguati presidi atti ad evitare cadute dall'alto


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 03/12/2019

 

Fatto

 

l. La Corte di Appello di Brescia con sentenza pronunciata in data 7 Giugno 2019, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Bergamo su impugnazione dell'imputato e del PM limitatamente alla legalità della pena applicata, rideterminava nei confronti di R.F. la pena nella misura di un mese e giorni dieci di reclusione, convertita nella pena sostitutiva di euro 10.000 di multa, in relazione a ipotesi di lesioni personali colpose con inosservanza della disciplina antinfortunistica.
2. Al R.F., in qualità di titolare della ditta individuale EDILMINOSSE e di datore di lavoro del dipendente infortunato, era contestato di non avere dotato B.V. di un adeguato dispositivo di tenuta del corpo mediante cordino e di un'adeguata imbracatura in quanto il lavoro da svolgersi in quota ad altezza superiore a due metri richiedeva l'utilizzo di entrambe le mani.
3. Avverso la suddetta pronuncia interponeva ricorso per Cassazione la difesa di R.F. deducendo difetto motivazionale in ragione della mancata pronuncia assolutoria in assenza di prova della colpevolezza del prevenuto oltre ogni ragionevole dubbio, evidenziando che contrariamente a quanto affermato in pronuncia la scelta del rito abbreviato non poteva ridondare a detrimento della posizione dell'imputato in assenza di sufficienti elementi di reità a suo carico.
 

 

Diritto

 


1.Certamente non coglie nel segno il motivo di ricorso il quale deduce vizio motivazionale in relazione alla carenza di prove di reità del prevenuto. Ha posto in rilievo la Corte di appello che le caratteristiche del lavoro e il fatto che lo stesso dovesse svolgersi in quota imponevano, sulla base delle disposizioni di cui all'imputazione, che l'utilizzo della scala a pioli fosse accompagnato da un sistema di imbracatura e di cordino di trattenuta, sistemi prevenzionistici di cui il lavoratore non era stato invece munito come emerge dalle sommarie informazioni da questi rese, in cui non si menzionava i suddetti sistemi antinfortunistici.
2. Ritiene pertanto la corte che il giudice di appello abbia adeguatamente motivato in ordine alla violazione degli obblighi derivanti dalla disciplina infortunistica a prescindere dalla premessa utilizzata dalla Corte al solo scopo di precisare, se ce ne fosse bisogno, che il giudizio allo stato degli atti non consente, salvo le ipotesi espressamente previste dalla legge, alcuna integrazione istruttoria in quanto, ritenuta con motivazione assolutamente congrua ed esente da vizi logici la causalità tra omissione del datore di lavoro e la caduta dell'operaio, il primo dovrà rispondere del suo comportamento censurabile sotto il profilo della colpa specifica.
3.Invero quanto alla deduzione del comportamento abnorme del lavoratore è stato evidenziato dal S.C. che la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o -lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento (la Suprema Corte ha precisato che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (vedi sez.IV, 28.4.2011 23292; 5.3.2015 n.16397).
4. Non pare dubbio - e il giudice di appello ne ha dato conto in motivazione - che il lavoratore sia stato intento nella esecuzione di un compito allo stesso assegnato ma che il datore di lavoro non aveva posto a disposizione del dipendente tutti i presidi idonei ad evitare il rischio di caduta. Invero tali obblighi non si arrestano alla acquisizione dei presidi volti ad assicurare la protezione dei singoli dipendenti ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato la responsabilità di due soci-amministratori di una s.n.c. che, in qualità di datori di lavoro, avevano colposamente cagionato la morte di un lavoratore, il quale aveva eseguito la verifica di funzionamento di un impianto di luminarie con strumenti pericolosi, in assenza di misure di sicurezza specificamente previste ed in difetto dell'attività di vigilanza necessaria ad accertare che il detto lavoratore facesse uso durante le lavorazioni dei guanti isolanti (sez.IV, 8.5.2019, Rossi, Rv.276241).
5. Conclusivamente il ricorso si presenta privo di reale confronto rispetto alla motivazione della sentenza impugnata e va pertanto dichiarato inammissibile.
A norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. seni. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 3 Dicembre 2019