Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 febbraio 2020, n. 3909 - Nesso causale non sufficientemente provato tra attività lavorativa e danno alla salute


 

Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BOGHETICH ELENA Data pubblicazione: 17/02/2020

 

Rilevato che

 


1. Con sentenza n. 401 del 22.5.2014 la Corte di appello di Catania, in riforma della pronuncia del Tribunale di Caltagirone, ha respinto la domanda di G.DB. promossa nei confronti dell'Inail per l'accertamento del nesso causale tra la patologia sofferta dal coniuge, C.A., quale conseguenza di infortunio (epatite cronica HCV correlata ad impronta autoimmune) e l'infermità (sindrome mielodispastica) che ha condotto al decesso della moglie, con conseguente rigetto della domanda di corresponsione della rendita di reversibiltà;
2. la Corte ha ritenuto, alla luce di una rinnovata consulenza tecnica d'ufficio, non sufficientemente provato il nesso causale tra tecnopatia e decesso del coniuge, non essendo stato accertato un adeguato grado di probabilità a fronte delle conclusione del perito che ha precisato come "è molto improbabile che siano sussistite concrete correlazioni tra l'infermità conseguenza dell'infortunio e l'infermità che, con successione clinico-patologica, condusse al decesso la signora C.A.";
3. per la cassazione della sentenza ricorre il G.DB. affidandosi a un motivo e l'Inail resiste con controricorso;
 

 

Considerato che

 


1. con l'unico motivo, il ricorrente, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ. (desumendosi ciò dal contenuto del motivo, non essendo stato indicato alcun parametro legale), deduce l'omessa esame di un fatto decisivo, discusso tra le parti, consistente nell'accertamento del consulente tecnico d'ufficio che "è improbabile ma non è possibile escludere una ipotesi di correlazione causale o concausale";
2. il ricorso non merita accoglimento avendo questa Corte chiarito che in tema di malattia professionale, derivante da lavorazione non tabellata o ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro grava sul lavoratore (Cass. n. 17438 del 12/10/2012, Cass. n. 8773 del 10/04/2018);
3. il nesso causale tra l'attività lavorativa e il danno alla salute dev'essere valutato secondo un criterio di rilevante o ragionevole probabilità scientifica (v. Cass. n. 8773 del 10/04/2018 e, in merito alle prestazioni di assistenza sociale, Cass. n. 753 del 17/01/2005, Cass. n. 27449 del 29/12/2016, Cass. n. 24959 del 23/10/2017);
4. le Sezioni Unite di questa Corte, muovendo dalla considerazione che i principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale - salva la differente regola probatoria che in sede penale è quella dell'oltre ogni ragionevole dubbio", mentre in sede civile vale il principio della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" - hanno poi ulteriormente precisato che la regola della "certezza probabilistica" non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativo - statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica) (cfr. Cass. Sez. Un. 581 del 11/1/2008, Cass. n. 29315 del 07/12/2017);
5. è stato, infine, evidenziato come, "in tema di accertamento della sussistenza di una malattia professionale non tabellata e del relativo nesso di causalità - posto che la prova, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un notevole grado di probabilità - il giudice può giungere al giudizio di ragionevole probabilità sulla base della consulenza tecnica d'ufficio che ritenga compatibile la malattia non tabellata con la "noxa" professionale utilizzando, a tale scopo, anche dati epidemiologici, per suffragare una qualificata probabilità desunta anche da altri elementi. In tal caso, il dato epidemiologico (che di per sè attiene ad una diversa finalità) può assumere un significato causale, tant'è che la mancata utilizzazione di tale dato da parte del giudice, nonostante la richiesta della difesa corroborata da precise deduzioni del consulente tecnico di parte, è denunciabile per cassazione" (cfr. Cass. 3227/2011 cit.);
6. la relazione del consulente tecnico recepita dalla Corte d'appello ha rilevato che tenuto conto del fatto che "è molto improbabile che siano sussistite concrete correlazioni tra l'infermità conseguenza dell'infortunio (epatite HCV correlata ad impronta autoimmune) e l'infermità (sindrome mielodispastica) che, con successione clinico-patologica, condusse al decesso la signora C.A., ciò considerata l'incertezza etiopatogenica attuale delle sindromi mielodispastiche, sulla base delle conoscenze scientifiche in atto prevalenti";
7. la sentenza di merito, pur non riportando nel testo della motivazione l'inciso precisato in perizia (secondo cui "è improbabile ma non è possibile escludere una ipotesi di correlazione causale o concausale"), ha fatto corretta applicazione delle regole che governano la valutazione del nesso di causalità ed il ragionamento logico della "ragionevole probabilità scientifica" ed è, dunque, esente dalle critiche che gli vengono mosse;
8. le spese di lite sono regolate secondo il principio della soccombenza, non risultando dalla sentenza d'appello le condizioni di cui all'art. 152 disp att. cod.proc.civ.;
9. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello - ove dovuto - per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13; 
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n, 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell'Adunanza camerale del 7 novembre 2019.