Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 25 febbraio 2020, n. 5119 - Incidente del Presidente della Provincia che fa jogging per andare al lavoro. Nessun risarcimento


 

Il percorso scelto dall'infortunato con l’obiettivo di poter correre costituisce una «deviazione del tutto indipendente dal lavoro» e non ha la copertura assicurativa nelle polizze con le quali il datore assicura gli infortuni dei dipendenti avvenuti per motivi di servizio, o nel tragitto da o verso il lavoro. La Cassazione dunque respinge il ricorso di G.T., all'epoca Presidente della Provincia, investito da un motorino mentre faceva jogging alle otto del mattino. L’ente locale aveva stipulato una polizza con Assitalia - ora Generali - per chi rivestiva quella carica a copertura degli infortuni «subiti a causa e nell’esercizio delle funzioni».
G.T. afferma che, al momento dell’infortunio, stava esercitando le proprie funzioni in quanto stava tornando da due colloqui con soggetti privati, preordinati all’adozione di provvedimenti amministrativi.
Generali ha invece escluso che la vittima al momento dell’infortunio stesse esercitando le proprie funzioni amministrative dato che in quel momento stava svolgendo attività ginnica, come si desumeva dall’ora (le otto del mattino) e dal fatto che l'infortunato indossasse una tuta.
In primo grado il Tribunale di Cremona accolse la domanda di risarcimento avanzata da G.T., ma su reclamo delle Generali, successivamente, la Corte di Appello di Brescia nel 2017 fece marcia indietro. Secondo i magistrati di secondo grado, al momento dell’investimento G.T. stava praticando jogging e se anche quel mattino avesse svolto attività istituzionale, l’itinerario e l’ora di percorrenza erano stati scelti per avere l'opportunità di fare jogging e non per esigenze connesse all’attività lavorativa. Per questo, ad avviso della Corte di Appello bresciana, non sussiste rischio 'in itinere' quando il tragitto seguito dal lavoratore non sia necessitato, ma costituisca una deviazione del tutto indipendente dal lavoro.
La Cassazione convalida tale decisione e G.T. è condannato a pagare seimila euro di spese legali in favore di Generali.


 

Presidente: FRASCA RAFFAELE Relatore: ROSSETTI MARCO Data pubblicazione: 25/02/2020

 

Fatto

 

1. G.T. nel 2011 convenne dinanzi al Tribunale di Cremona la società INA Assitalia s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in “Generali Italia s.p.a.; d’ora innanzi, sempre e comunque, “la Generali”), esponendo che:
-) nel 2008 rivestiva la carica di Presidente della Provincia di Cremona; -) la Provincia di Cremona aveva stipulato un’assicurazione per conto di chi rivestisse quella carica, a copertura degli infortuni subiti a causa e nell’esercizio delle funzioni;
-) il 7.2.2008 patì un infortunio, allorché venne investito da un motociclo;
-) al momento dell’infortunio stava esercitando le proprie funzioni, in quanto stava ritornando da due colloqui con soggetti privati, preordinati all’adozione di provvedimenti amministrativi (la realizzazione di una pista ciclabile; la sovvenzione di un laboratorio genetico).
Chiese pertanto la condanna dell’assicuratore al pagamento dell’indennizzo contrattualmente dovuto.
2. La Generali si costituì negando, per quanto in questa sede ancora rileva, che la vittima al momento dell'infortunio stesse esercitando le proprie funzioni amministrative. Dedusse che in quel momento la vittima stesse svolgendo attività ginnica, come si desumeva dall’ora (le 8:00 del mattino), e dal fatto che l’infortunato indossasse una tuta ginnica.
3. Con sentenza 20.3.2014 n. 156 il Tribunale accolse la domanda.
La sentenza venne appellata dalla Generali.
La Corte d’appello di Brescia, con sentenza 18.5.2017 n. 721, accolse il gravame dell’assicuratore e rigettò la domanda attorea.
Ritenne la Corte d’appello che al momento dell’investimento l’assicurato stesse praticando jogging, e che se anche quel mattino avesse svolto attività istituzionale, l’itinerario e l’ora di percorrenza di esso erano stati scelti “per avere l’opportunità di fare jogging e non per esigente connesse all'attività lavorativa’.
4. Tale sentenza è stata impugnata per cassazione da G.T. con ricorso fondato su un motivo ed illustrato da memoria.
Ha resistito la Generali con controricorso.
 

 

Diritto

 


1. Il motivo unico di ricorso.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso G.T. lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2 d.p.r. 30.6.1965 n. 1124, sotto il profilo del vizio di sussunzione.
Sostiene una tesi così riassumibile:
-) la Corte d’appello, per pervenire ad escludere il diritto all’indennizzo da parte dell’assicurato, ha escluso che questi avesse patito un infortunio in itinere
-) per giungere a tale conclusione, a sua volta, la Corte d’appello ha applicato i princìpi elaborati dalla giurisprudenza in tema di infortunio in itinere del lavoratore subordinato, mentre nel caso di specie l’assicurato era un pubblico amministratore; 
-) non poteva, perciò, trovare applicazione nel caso di specie il principio secondo cui le scelte arbitrarie del lavoratore circa il tragitto da seguire da casa al lavoro o viceversa escludono l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere.
Questa limitazione, deduce il ricorrente, nella polizza non c’era, e di conseguenza doveva essere indennizzato ogni infortunio avvenuto "in occasione di lavoro", poiché nella specie era pacifico che l’assicurato al momento dell’investimento stesse rientrando da colloqui svolti per ragioni di ufficio, erano irrilevanti le scelte compiute dall’assicurato circa il tragitto da compiere.
1.2. Il motivo è inammissibile, per varie ed indipendenti ragioni.
1.3. In primo luogo è inammissibile per violazione dell’onere di indicazione ed allegazione di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c..
Il ricorso, infatti, lamenta in sostanza una erronea applicazione, da parte della Corte d’appello, dei patti contrattuali contenuti nella polizza assicurativa.
E', quindi, un ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda” sul contratto della cui erronea applicazione il ricorrente si duole.
Quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.).
“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:
(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;
(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;
(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).
Di questi tre oneri, il ricorrente ha assolto solo i primi due. Il ricorso, infatti, non indica con quale atto ed in quale fase processuale (atto di citazione, memorie ex art. 183 c.p.c., ordine di esibizione, ecc.) sia stata prodotta la polizza, né dove sia allegata e con quale indicizzazione in questo giudizio di legittimità.
1.4. In secondo luogo, ad abundantiam il ricorso è comunque inammissibile perché investe un apprezzamento di fatto.
La Corte d’appello, infatti, per rigettare la domanda ha così argomentato (p. 6 della sentenza):
-) il contratto copre gli infortuni in itinere, ma non li definisce;
-) si deve dunque ritenere che con tale espressione le partì abbiano inteso fare riferimento al concetto di “infortunio in itinere" come previsto e disciplinato dal testo unico sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, e quindi all’art. 2 d.p.r. 30.6.1965 n. 1124, come modificato dall’art. 12 d. lgs. 38/2000;
-) alla stregua di tali norme non sussiste rischio in itinere quando il tragitto seguito dal lavoratore non sia necessitato, ma costituisca una “deviazione del tutto indipendente dal lavoro”.
Il fondamento della decisione dunque è che “il contratto di assicurazione rinvia alla disciplina dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro”.
1.5. Il ricorrente, di contro, oppone che la suddetta disciplina di cui al d.p.r. 1124/65 non era pertinente nel caso di specie, e sostiene che la polizza non facesse affatto rinvio al d.p.r. 1124/65.
La censura pertanto, al di là della sua intitolazione formale, nella sostanza assume che la Corte abbia male interpretato il contratto. 
Ma una censura siffatta cozza contro vari princìpi, ripetutamente affermati da questa Corte: ovvero che l’interpretazione del contratto adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto si assumano violate le regole legali di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.; che tale violazione non può dirsi sussistente sol perché il testo contrattuale consentiva in teoria altre e diverse interpretazioni, rispetto a quella fatta propria dalla sentenza impugnata; che l’interpretazione del contratto prescelta dal giudice di merito può condurre alla cassazione della sentenza impugnata quando sia grammaticalmente, sistematicamente o logicamente scorretta, ma non quando costituisca una non implausibile interpretazione, preferita tra altre non implausibili interpretazioni (ex multis, in tal senso, Sez. 3 - , Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 - 01; Sez. 1 - , Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014; Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 — 01; Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006, Rv. 589465 - 01).
Nel caso di specie, però, il ricorrente non lamenta affatto la violazione di uno o più tra i canoni legali di ermeneutica, ma contrappone la propria interpretazione del contratto a quella adottata dalla Corte d’appello, che di per sé era comunque non implausibile: di qui l'inammissibilità del motivo di ricorso.
2. Le spese.
2.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
2.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
 

 

P.Q.M.

 


(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna G.T. alla rifusione in favore di Generali Italia s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 5.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater., d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di G.T. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 25 settembre 2019.