Cassazione Civile, Sez. 3, 05 marzo 2020, n. 6182 - Folgorazione dell'autista determinata dal contatto tra il braccio estensibile di una gru ed alcuni fili elettrici aerei


 

Presidente: SPIRITO ANGELO Relatore: CIGNA MARIO Data pubblicazione: 05/03/2020

 

Fatto

 


Con citazione 21-5-2004 G.A., R.R. e M.A.A., rispettivamente padre, madre e sorella del defunto P.A., convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Marsala M.D., titolare dell'omonima ditta, e V.F., titolare di un centro di revisione autoveicoli sito in Marsala, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del decesso del loro congiunto, dipendente della predetta ditta con la qualifica di autista.
A sostegno della domanda esposero che in data 30-10-1999 P.A. si era recato, insieme ad altri dipendenti della ditta M.D., presso il centro di revisione autoveicoli del V.F. per collaborare alla riparazione di una pala meccanica della stessa ditta (utilizzata per effettuare lavori di spianamento dell'area retrostante al capannone del V.F.), ed era rimasto folgorato da una scarica elettrica determinata dal contatto tra il braccio estensibile di una gru (posizionata su un autocarro del V.F.) ed alcuni fili elettrici aerei.
Si costituì V.F. mentre M.D. rimase contumace.
Con sentenza 221/2012 del 12-3-2012 l'adito Tribunale condannò i convenuti, in solido, al pagamento della complessiva somma di euro 288.100,00; in particolare il Tribunale dichiarò entrambi i convenuti responsabili dell'infortunio, al quale ritenne avere contribuito al 50% anche la condotta dello stesso P.A. per avere di sua iniziativa azionato la gru; nello specifico, a giudizio del Tribunale, gravavano sulla M.D. gli obblighi di tutela di cui all'art. 2087 cc, mentre il V.F., in virtù del rapporto di appalto intercorso (per l'esecuzione dei detti lavori di spianamento) con la ditta M.D., era tenuto al rispetto della normativa antinfortunistica nei riguardi dell'P.A..
Con sentenza 2380/2017 la Corte d'Appello di Palermo ha rigettato il gravame proposto da V.F..
In particolare la Corte territoriale ha, in primo luogo, evidenziato che il V.F. aveva violato la normativa volta a prevenire gli infortuni sul lavoro (nello specifico l'art. 11 dpr 164/56), in quanto aveva collocato, sotto i fili elettrici che all'altezza di circa mt 8,5 attraversavano l'area del suo stabilimento, un suo vecchio autocarro, dismesso come tale ed utilizzato solo per la gru che vi era installata (il cui braccio conduceva ad altezza di mt 9,77); siffatta collocazione in violazione della regola antinfortunistica aveva determinato la folgorazione dell'P.A., causata dal contatto accidentale del braccio della gru con la linea elettrica.
La Corte ha poi ritenuto non decisiva, ai fini della responsabilità del V.F., la circostanza della stipulazione o meno, tra il V.F. e la ditta M.D., di un contratto di appalto per lo spianamento del terreno dietro il capannone; al riguardo ha infatti rilevato che le norme antinfortunistiche non sono dettate solo per la tutela dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma anche per la tutela dei terzi che si trovino, a prescindere dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa, nell'ambiente di lavoro; sempre che la presenza del soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro non sia anormale, atipica ed occasionale, tale da interrompere il nesso eziologico tra la condotta inosservante e l'evento; nella specie la presenza dell'P.A. non poteva ritenersi anormale, atipica ed occasionale, posto che lo stesso si trovava, insieme ad altri dipendenti della ditta M.D., nello stabilimento del V.F. per provvedere alla riparazione della pala cingolata della detta ditta, utilizzata il giorno precedente per spianare la zona retrostante il capannone, sicché la sua condotta (anche ammesso che avesse operato sulla gru di sua iniziativa) rientrava in una normale occasionale collaborazione di lavoro.
La Corte, infine, ha ritenuto che la condotta del V.F., il quale aveva operato (in spregio alla ricordata normativa) con attrezzatura che poteva pericolosamente venire a contatto con la linea elettrica, avesse una intensa incidenza causale nella determinazione causale dell'evento, sicché non vi era alcuna ragione di dolersi dell'affermata percentuale di colpa.
Avverso detta sentenza V.F. propone ricorso per Cassazione, affidato a. cinque motivi ed illustrato anche da successiva memoria ex art. 380 ter, comma 2, cpc.
G.A., R.R. e M.A.A. resistono con controricorso. 
 

 

Diritto

 


Con il primo motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 360 n. 4 cpc- nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 345 epe e 111 Cost., si duole che la Corte territoriale, affermando la responsabilità del V.F. nei confronti dell'P.A. in quanto quest'ultimo era comunque un terzo che si trovava nell'ambiente di lavoro (a prescindere, quindi, se lo stesso fosse un lavoratore e se fosse sussistente un rapporto di lavoro), abbia mutato d'ufficio la "causa petendi" ed il "thema decidendum" della controversia, incorrendo in un'inammissibile "mutatio libelli"; gli attori, invero, in tutto il giudizio di primo grado, avevano avanzato una domanda di risarcimento per "sinistro sul lavoro", ipotizzando la responsabilità del V.F. quale datore di lavoro e soggetto appaltante nei confronti dei dipendenti della ditta appaltata.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 360 n. 4 cpc- nullità della sentenza per violazione degli artt. 101 cpc e 24 Cost., si duole che la Corte d'Appello, nel confermare la sentenza impugnata con una ragione nuova (e, cioè, come detto nel primo motivo, considerando l'P.A. non quale lavoratore ma quale terzo), abbia emesso una sentenza "a sorpresa", in violazione dei principi sul contradditorio.
Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 360 n. 4 epe- nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 cpc, sostiene che la Corte d'Appello, con motivazione apparente, abbia ritenuto violato, da parte del V.F., l'art. 11 dpr 164/56, senza spiegare le ragioni per le quali le rigorose norme antinfortunistiche potevano trovare applicazione anche su un terreno dismesso e distante dal capannone aziendale (ove era collocata l'autocarro con la gruetta).
Con il quarto motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 360 n. 4 cpc- nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 cpc, sostiene che la Corte d'Appello, con motivazione apparente, abbia affermato l'applicabilità, nella fattispecie in questione, della normativa antinfortunistica, non spiegando le ragioni per le quali aveva ritenuto che l'P.A. stesse lavorando sulla gru per aiutare il V.F. e per le quali aveva quindi escluso che la presenza e la condotta dell'P.A. avesse rivestito carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità.
Con il quinto motivo (erroneamente indicato come sesto) il ricorrente, denunziando -ex art. 360 n. 3 cpc- violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 20156 cc e 11 dpr 164/56, sostiene che, in base a quanto già esposto nei precedenti motivi, nessuna responsabilità poteva essere attribuita al V.F., sicché doveva ritenersi erronea la sentenza impugnata anche in relazione all'affermata percentuale di responsabilità.
Il primo ed il secondo motivo, da valutare insieme in quanto tra loro collegati, sono infondati.
Come già precisato da questa S.C., "le condotte poste a sostegno dell'azione risarcitoria, astrattamente compatibili con la fattispecie di cui all'art. 2087 c.c., possono essere ricondotte -anche in sede di appello- entro il paradigma dell'art. 2043 c.c., purché tale diverso inquadramento abbia ad oggetto i fatti prospettati dalle parti, non potendo l'esercizio di qualificazione giuridica comportare la modifica officiosa della domanda, soprattutto nel caso di diritti eterodeterminati (quali appunto i diritti di credito per risarcimento del danno), per la cui individuazione è indispensabile il riferimento ai fatti costitutivi allegati, che specificano la "causa petendi" (Cass. 21333/2019).
Nella specie la Corte territoriale, nell'affermare la responsabilità del V.F. per violazione della normativa antinfortunistica a prescindere dalla sussistenza o meno di specifico rapporto di lavoro, ha -in ultima analisi- giuridicamente qualificato in termini diversi la proposta domanda (riconducendola all'art. 2043 cc), senza tuttavia in alcun modo modificare i fatti sui quali la domanda medesima si basava (e cioè la morte dell'P.A. per un comportamento colposo del V.F. ed il conseguente diritto dei parenti al risarcimento del danno), e non è quindi incorsa nel vizio denunciato.
Né la decisione della Corte territoriale può ritenersi a sorpresa, essendo la stessa (come detto) basata sugli stessi fatti posti sin dall'origine a fondamento della proposta azione risarcitoria. 
Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo, da esaminare anch'essi congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati.
Va, innanzitutto ribadito che "le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori (e solo i lavoratori) possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nei cantieri o comunque in luoghi ove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Le disposizioni prevenzionali, infatti, sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa" e "sempre che la presenza del soggetto passivo, estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità, tali da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante" (Cass. penale 2343/2013); questa stessa Corte, anche in sede civile, ha avuto occasione di evidenziare l'ampia portata oggettiva degli obblighi di prevenzione e sicurezza, nel senso che "le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro devono essere osservate non solo a tutela dei dipendenti, ma anche delle persone estranee che occasionalmente si trovino sui luoghi di lavoro" (Cass. sez. lavoro 9870/2014).
Costituisce, inoltre, consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura "nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la "ratio decidendi" (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. 20112/2009; Cass. sez unite 8053/2014); nella specie la Corte di appello ha espresso le ragioni della adottata decisione, con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili; in particolare, invero, in corretta applicazione del su riportato principio di cui a Cass. 9870/2014 e 2343/2013, ha dapprima evidenziato la violazione, da parte del V.F., di specifica norma antinfortunistica regolante la distanza dell'autocarro con la gru dai fili elettrici, ed ha poi accertato che la folgorazione dell'P.A. era stata causata dal contatto del braccio della gru con i fili elettrici; allo scopo, infine, di accertare la non interruzione del nesso causale, ha ritenuto per nulla anormale la presenza dell'P.A. nello stabilimento del V.F., atteso che l'P.A. medesimo si trovava nello stabilimento per provvedere alla riparazione di una pala meccanica e coadiuvava con altri dipendenti della ditta M.D. prelevando dall'officina del V.F. gli attrezzi necessari, sicché la sua condotta, attesi anche i rapporti di cordialità intercorrenti tra il V.F. ed i dipendenti della ditta M.D., rientrava in una normale occasionale collaborazione di lavoro; assolutamente irrilevante, ai fini della responsabilità, è la distanza dal capannone del terreno sul quale era collocata l'autocarro con la gru; il rigetto dei primi quattro motivi comporta il rigetto anche del quinto.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, dpr 115/2002, poiché il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del cit. art. 13.
 

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma il 3-12-2019