Cassazione Penale, Sez. 4, 30 aprile 2020, n. 13483 - Mancata adozione di ganci di sollevamento con paletta di chiusura dell'imbocco. L'evento raro, in quanto non ignoto, è sempre prevedibile


 

 

 

Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 05/12/2019

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 21 maggio 2019 la Corte di Appello di Brescia ha parzialmente riformato, riducendo la pena inflitta, la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio con cui A.C.C., responsabile delegato per il servizio di prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro della Arvedi Tubi Acciaio s.p.a, è stato condannato per il reato di lesioni personali gravi per avere cagionato a S.A. -frattura biossea gravemente esposta con subamputazione della gamba destra- da cui era derivata l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni. La condotta colposa rimproverata, sotto il profilo dell'imprudenza e dell'inosservanza dell'art. 71 comma 1A del d.lgs. 81/2008, è consistita nell'avere omesso di fornire al lavoratore attrezzature idonee ed adeguate al lavoro da svolgere e, in particolare, i ganci di sollevamento dotati dei dispositivi di sicurezza di chiusura dell'imbocco della spalla agganciata al carro ponte, da adottare per evitare, nel corso delle manovre, lo sganciamento degli organi di presa.
2. Il fatto, la cui modalità di accadimento è oggetto di contestazione, è stato descritto dalla sentenza della Corte di appello nel modo che segue: a S.A., lavoratore della Arvedi Tubi Acciaio s.p.a, operaio addetto alla Linea 4, veniva assegnato il compito di provvedere alla sostituzione di rulli utilizzati per la calibratura dei tubi. L'operazione prevedeva la rimozione di una paratia denominata 'spalla', da sfilarsi con un martinetto idraulico. L'operazione doveva essere realizzata con l'utilizzazione di un carroponte con il quale movimentare la spalla, previo aggancio dei golfari posti sulla parte superiore della spalla, sui ganci, tenuti dalla catene del carroponte. Nel compiere siffatta manovra, il lavoratore, accortosi che la spalla, nel corso del sollevamento con il carroponte, aveva cominciato ad oscillare in modo anomalo, l'abbassava, riportandola sul basamento, manovra questa non prevista dalle direttive ricevute. Nondimeno, la spalla veniva appoggiata sul basamento in posizione precaria, in quanto troppo vicina al bordo, consentendo alle catene del carroponte di formare un 'lasco', che consentiva ai ganci di sganciarsi dai golfari, sicché la spalla perdeva l'equilibrio, cadendo sul lavoratore che riportava lesioni gravi, dalle quali conseguiva un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a quaranta giorni.
3. La decisione del giudice di appello ha, inoltre, precisato che l'oscillazione della spalla era stata antecedente al momento in cui i ganci si staccarono, e che l'infortunio è stato causato dalla mancata adozione dei ganci con paletta di chiusura dell'imbocco, il cui utilizzo avrebbe impedito ai golfari di sganciarsi, sicché il carico sarebbe stato trattenuto dalle catene del carroponte, impedendo il verificarsi del sinistro. Invero, sebbene l'uso di ganci con chiusura dell'imbocco non sia prescritto per qualsiasi operazione, ma solo per determinati carichi, indicati dalle linee di sicurezza ISPELS, da calcolarsi secondo i coefficienti ivi stabiliti, tuttavia, nel caso di specie, i ganci con paletta di chiusura dovevano essere adottati ai sensi dell'art. 71 d.lgs. 81/2008, come chiarito dal tecnico della ASL, pur non essendo ciò previsto dalla procedura aziendale.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione A.C.C., a mezzo del suo difensore, affidandolo a cinque motivi.
5. Con il primo fa valere, ex art. 606, primo comma, lett. c) ed e) la violazione della legge processuale penale in relazione agli artt. 603, 234, 220, 219 e 218 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione. Lamenta il diniego dell'l'integrazione probatoria richiesta ex art. 603 cod. proc. pen., con l'atto di appello, consistente: nella nuova audizione del C.T. di parte ing. B. e nell'acquisizione della relazione tecnica integrativa, contenente osservazioni a commento della sentenza di prima cura; nell'acquisizione del filmato avente ad oggetto le fasi ordinarie dell'operazione svolta dal lavoratore al momento dell'infortunio; nell'ammissione dell'esperimento giudiziale rivolto alla ricostruzione della dinamica del fatto ed infine, nell'ammissione di una perizia rivolta allo stesso scopo. Osserva che la reiezione della Corte di appello si fonda sulla 'non novità e non indispensabilità', ai fini del decidere, delle prove di cui è stata chiesta l'ammissione, nonché sulla considerazione della superfluità di ulteriori considerazioni tecniche da parte del consulente di parte, avendo questi potuto esprimere, in primo grado, la propria opinione, anche riferendo sulle sperimentazioni tecniche effettuate. Rileva che la motivazione del giudice del gravame si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'omessa rinnovazione dell'istruttoria è censurabile allorquando nell'apparato motivazionale emergano lacune che si sarebbero presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello. Ricorda che Le Sezioni Unite (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231676) hanno chiarito come l'acquisizione di documenti in appello sia rituale, anche senza che un'ordinanza disponga la rinnovazione parziale del dibattimento. Assume che l'acquisizione della relazione integrativa dell'ing. B. avrebbe consentito alla Corte territoriale di evitare la manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento della prova, mentre l'ordinanza di reiezione delle istanze non fa neppure cenno all'esperimento giudiziale, unico strumento idoneo a risolvere i dubbi sulle modalità di accadimento del sinistro. 
6. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione, sotto il profilo della manifesta illogicità e del travisamento della prova. Sostiene che la sentenza si fonda su un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale, non solo in relazione all'esito della consulenza tecnica di parte affidata all'ing. B., ma anche in relazione alla testimonianza resa dalla persona offesa, il cui contenuto è stato erroneamente posto a fondamento della decisione di primo grado, in questa parte richiamata dal giudice del gravame. Il lavoratore, invero, ha dichiarato che l'oscillazione del carico non aveva nulla a che fare con il sinistro ('l'oscillazione non c'entra niente'), mentre entrambe le sentenze riconducono il sinistro all'anomalo ondeggiamento della 'spalla'. Ancora la persona offesa ha dichiarato che 'la spalla quando è appoggiata sta ferma perché è una cosa pesante e (...) quando si appoggia non si muove'. Siffatto essenziale passaggio delle dichiarazioni di S.A. è stato completamente ignorato dai giudici di merito ed in particolare dalla Corte di appello, che ha ricostruito la dinamica del sinistro in modo parzialmente difforme dal Tribunale. La Corte, infatti, nonostante le conclusioni del C.T. ing. B., sull'impossibilità di formazione di laschi delle catene, con fuoriuscita dai ganci, nel corso della movimentazione, potendo formarsi detti laschi solo a carico fermo in appoggio sul piano, afferma che il sinistro è avvenuto per essersi la spalla posizionata sul bordo del basamento, in posizione precaria. E ciò benché in questo caso, come spiegato dal tecnico, non sia possibile la formazione di un lasco delle catene, in quanto, in una simile posizione, il grave cade ad una velocità superiore a quella di abbassamento dello stesso con il carroponte, ripristinando immediatamente le condizioni di tiro delle catene. Il consulente di parte, d'altro canto, ha dimostrato con le simulazioni, riprodotte nel filmato allegato alla consulenza di parte, cosa accade nelle ipotesi di spalla posta in equilibrio non stabile e di equilibrio precario sul bordo del basamento, ciononostante la Corte ha liquidato le prove effettuate dall'ing. B., semplicemente sostenendo che le medesime sono 'parzialmente dimostrative', mentre esse documentano come, in quelle condizioni, sia impossibile lo sganciamento involontario dei due ganci, per di più contemporaneo. Rileva che le fotografie allegate al verbale della A.S.L. non rappresentano lo stato dei luoghi al momento dell'infortunio, essendo il medesimo stato completamente modificato per permettere il soccorso dell'operaio infortunatosi. Sottolinea che è stata formulata, a seguito dell'analisi tecnica dell'ing. B., un'ipotesi eziologica alternativa relativa alla volontarietà dello sganciamento dei ganci sottoposta ai giudici di merito, respinta senza alcun tipo di approfondimento, in particolare da parte della Corte di appello che, all'uopo sollecitata, ha omesso la rinnovazione del dibattimento. Richiama la giurisprudenza di legittimità in relazione alla coesistenza di sviluppi eziologici alternativi, non confutabili radicalmente, che conducendo al dubbio irresolubile, impongono l'assoluzione dell'imputato.
7. Con il terzo motivo, fa valere la violazione della legge penale con riferimento agli artt. 40 e 43 cod. pen., nonché all'art. 71, comma 1, d.lgs. 81/2008. Contesta la motivazione della sentenza di secondo grado nella parte in cui dà applicazione a siffatta ultima disposizione, rilevando che il Collegio del gravame, pur dando conto del fatto che i ganci senza chiusura sono utilizzabili, e che gli accessori per la movimentazione debbono essere scelti a seconda del carico da muovere, nondimeno, si limita genericamente a richiamare quanto affermato dal tecnico della A.S.L. sull'obbligo di utilizzo di ganci con paletta, senza preoccuparsi di verificare in concreto la corrispondenza del carico con i coefficienti di cui alle linee guida, peraltro indirizzate solo ai costruttori degli accessori di sollevamento, che devono tenerne conto per definire il carico utili; e non certamente agli utilizzatori del macchinario. Invero, l'utilizzatore deve solo scegliere un accessorio adeguato alla portata del carico da sollevare. D'altro canto, l'ispettore A.S.L. N. ha completamente ignorato le linee guida nella sua deposizione, richiamando unicamente ed in modo approssimativo l'art. 71, comma 1 d.lgs. 81/2008, che non contiene dettagli sulle caratteristiche delle attrezzature e tantomeno dei ganci, rimettendone la specificazione alle disposizioni di recepimento direttive comunitarie di prodotto. Sottolinea che la c.d. Direttiva Macchine, entro il cui ambito di applicazione rientrano i ganci in discussione, non prevede alcun utilizzo di chiusura dell'imbocco dell'accessorio.  Dunque, come già chiarito dall'ing. B., in assenza di prescrizione dell'utilizzo di ganci con paletta, l'infortunio occorso a S.A. non concretizza il rischio che la previsione normativa di cui all'art. 71 cit. tende a prevenire. Osserva che, anche a voler prescindere dalla conformità dei ganci al dettato normativo, vi è che siffatti dispositivi sono stati utilizzati in azienda per quasi trent'anni senza che si fosse verificato alcun incidente, con la conseguenza dell'assoluta imprevedibilità dell'infortunio occorso alla persona offesa e dell'evidente idoneità dei ganci ad assicurare la sicurezza dei lavoratori nel corso del loro utilizzo (come previsto dall'art. 71, comma 1A cit.). Assume che, in assenza della prevedibilità dell'evento (la cui probabilità stante il periodo di utilizzo nella movimentazione è pari allo 0,03%), l'adozione di ganci dotati di chiusura al'imbocco non è esigibile. Sostiene che la valutazione dei giudici di merito è stata formulata con giudizio di imputazione dell'evento ex post, anziché ex ante, così finendo per addebitare l'evento al ricorrente a titolo di responsabilità oggettiva.
8. Con il quarto motivo censura la sentenza impugnata per erronea applicazione della legge penale, avuto riguardo al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen.. Rileva che contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale che su dette considerazioni fonda il diniego, nessuna norma cautelare impone l'adozione di ganci con dispositivo di chiusura dell'imbocco e che i ganci adottati nel caso di specie erano sicuri, tanto è vero che nessun infortunio si è realizzato per più di 28 anni e che le lesioni riportate dalla persona/offesa non sono di per sé ostative all'applicazione della disposizione, né lo è l'unico precedente, relativo ad una sentenza di patteggiamento risalente al 2007, con pena detentiva convertita in pena pecuniaria.
9. Con il quinto motivo si duole della violazione dell'art. 53 della l. 689/1981 e del vizio di motivazione. Assume che la Corte formula una contraddittoria motivazione di rigetto della richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, laddove sostiene che la sola pena detentiva è idonea a fungere da deterrente per la commissione di futuri reati, avuto riguardo all'esistenza di un precedente penale, per fatti analoghi ed alla non modesta entità della colpa, benché la Supremà Corte abbia ritenuto la conversione compatibile anche in ipotesi di diniego delle circostanze attenuanti generiche. Conclude per l'annullamento delle sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso va rigettato.
2. La prima critica che viene mossa alla sentenza impugnata è relativa alla mancata rinnovazione dell'istruttoria, da cui si assume essere scaturita la manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento della prova, sia con riferimento agli esiti della consulenza tecnica della difesa, che con riferimento alla testimonianza della persona offesa. Si sostiene che il rigetto delle richieste istruttorie abbia impedito una coerente ricostruzione della dinamica del sinistro, avuto riguardo alle considerazioni tecniche ed oggettive prospettate con la consulenza di parte, integrate dalle osservazioni contenute nella relazione integrativa, allegata all'atto di appello e non ammessa dalla Corte di appello. A ciò si aggiunge che il giudice del gravame, nel rigettare la domanda di rinnovazione del di batti mentova omesso di far cenno alla richiesta di perizia, pur formulata dalla difesa, ma soprattutto non ha menzionato la richiesta di esperimento giudiziale, la cui esecuzione avrebbe fugato ogni dubbio sulle modalità di accadimento del fatto.
3. La Corte territoriale ha motivato il diniego dell'ammissione della relazione tecnica integrativa e del supporto CD-rom ad essa allegato, entrambi prodotti con l'atto di appello, osservando che il consulente dell'imputato aveva già avuto modo, nel corso del giudizio di prima cura, di esporre la propria ricostruzione delle cause dell'infortunio, nonché gli esperimenti effettuati per dimostrare l'ininfluenza della conformazione dei ganci rispetto al prodursi dell'evento. Così che la prova richiesta non riveste né il carattere di novità, né di indispensabilità richiesti dall'art. 603, comma 1, cod. proc. pen. per provvedere alla rinnovazione istruttoria.
4. Come chiarito dalla giurisprudenza del Supremo Collegio "La rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266820). Sicché la mancata rinnovazione in appello dell'Istruttoria dibattimentale è censurabile solo 'qualora si dimostri l’esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello" (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher e altri, Rv. 265323; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014 - dep. 14/01/2015, PR, Rv. 261799, in tema di giudizio abbreviato).
5. Ora, il ragionamento che conduce il giudice di appello alla reiezione delle istanze relative alla rinnovazione dell'istruttoria, a mezzo dell'acquisizione dei documenti -nuova relazione tecnica del consulente di parte, filmato avente ad oggetto le fasi della manovra posta in essere dal lavoratore- e dell'ammissione dell'esperimento giudiziale, poggia su due considerazioni. Da un lato, si sottolinea che il consulente di parte ha già potuto esprimere in primo grado la propria posizione sulle modalità dell'accaduto, dall'altro che le prove di cui si chiede l'ammissione non sono né decisive, né indispensabili.
6. Ebbene, è proprio in relazione a questa premessa che deve valutarsi la doglianza introdotta in questa sede. Infatti, solo laddove, la motivazione mostrasse carenze e contraddittorietà non recuperabili, se non facendo luogo all'integrazione probatoria negata, potrebbe ritenersi la sussistenza del vizio denunciato.
La sentenza, tuttavia, come si vedrà infra, non mostra i difetti contestati, che ne consentirebbero l'annullamento.
La Corte, infatti, ha escluso la decisività delle prove delle quali è stata richiesta l'ammissione formulando un giudizio che, sebbene venga posto come premessa, in realtà si sviluppa nel corso dell'intera motivazione, che si preoccupa, affrontando il contributo di ciascuna singola prova a formare il quadro complessivo della decisione, di spiegare l'ultroneità delle richieste istruttorie formulate.
Nella parte dedicata alla ricostruzione dell'accaduto, infatti, la Corte, lungi dal limitarsi a riprendere le dichiarazioni rese dal collega di lavoro della persona offesa, M. D., che potè constatare solo la posizione assunta dalla spalla 'rovesciata dal basamento verso terra', dopo il sinistro e quelle del tecnico A.S.L. Andrea N., che proprio partendo dalla descrizione di S.A. ha ipotizzato l'assunzione da parte della spalla di una posizione di precario equilibrio sul basamento, con la formazione del lasco che avrebbe consentito lo sfilamento, ha confrontato dette versioni con la dinamica suggerita dal tecnico di parte. In primo luogo, ha ricordato che, come sottolineato anche dal consulente della difesa, lo sganciamento non è avvenuto in una fase di oscillazione, ciò essendo incompatibile con lo stato di tensione delle catene, in quella posizione. Il che implica che l'oscillazione è intervenuta prima dello sganciamento ed è priva di incidenza causale sull'infortunio. In secondo luogo, proprio prendendo in considerazione il filmato prodotto dal consulente di parte, in primo grado, da cui emerge la verificabilità del prodursi del lasco, solo in una situazione di appoggio della spalla, rimarca che il video è dimostrativo solo di siffatta ultima situazione, con grave a terra, e non di quella emergente da una situazione di disequilibrio descritta dal testimone. Dunque, come anticipato all'inizio, il consulente di parte ha preso posizione, sin dal primo grado, sulle sperimentazioni effettuate, e benché non abbia considerato tutte le ipotesi, non ha neppure introdotto elementi di contrasto in relazione a quanto accaduto, non avendo il medesimo escluso la possibilità di sfilamento dei ganci dalla sede, nell'ipotesi di appoggio - in precario equilibrio- della spalla su un piano per un tempo sufficiente a consentire lo sganciamento blilaterale. Una simile dinamica, non incompatibile con le deduzioni tecniche già introdotte dalla difesa, rende, secondo la Corte, non indispensabile un approfondimento istruttorio, come quello richiesto. Si tratta, infatti, secondo il giudice di appello di prove prive del carattere di novità e decisività di cui all'art. 603, comma 2 cod. proc. pen., perché, come bene emerge dal corpo della motivazione, le sperimentazioni effettuate hanno dato modo al consulente di parte di prendere posizione sulla dinamica del sinistro, che, viene ritenuta ricostruibile senza la necessità di ulteriore esperimenti, essendo compatibile quanto riferito dal teste, con quanto emerso in sede di ricostruzione tecnica.
La motivazione sul punto appare più che soddisfacente e non merita alcuna censura, in quanto si colloca nel solco degli orientamenti di legittimità sull'esercizio del potere di cui all'art. 603, comma 2 cod. proc. pen., ed argomenta il rigetto dell'istanza, ritenendo il quadro probatorio raggiunto definito e certo e non abbisognevole di approfondimenti indispensabili per il raggiungimento della solidità necessaria al decidere.
7. La seconda censura è manifestamente infondata. Essa si fonda, infatti, così come in parte la prima, sull'incompatibilità della ricostruzione dinamica adottata dalla sentenza con le dichiarazioni della persona offesa, che si assumono travisate, e con le deduzioni del consulente di parte ing. B., con le quali si sarebbe dimostrata l'inverosimiglianza dello sganciamento involontario ed accidentale dei due ganci.
La Corte territoriale, invero, non omette il confronto con le deduzioni dell'imputato. Ed infatti, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, esclude che l'oscillazione della spalla abbia avuto efficacia causale sull'infortunio, e quindi si discosta dal giudice di prima cura, in armonia con le osservazioni del consulente della difesa e con la narrazione della persona offesa, che aveva escluso qualsiasi effetto dell'ondeggiamento sullo sganciamento. Tuttavia, affrontando l'accertamento della dinamica, come si è visto, ricompone in modo non contraddittorio i dati emergenti dal compendio probatorio e dalle sollecitazioni tecniche introdotte dalla difesa e ne ricava un quadro coerente con la dichiarazione testimoniale del collega di lavoro, che poté osservare, in un momento immediatamente successivo all'incidente, la posizione assunta dal grave, 'rovesciata dal basamento verso terra'. Così assume, in sostanza, che lo sganciamento sia avvenuto nel momento in cui la spalla si è appoggiata in bilico sul basamento, consentendo il lasco e lo sfilamento del gancio, rovesciandosi poi per il disequilibrio. Questa modalità di accadimento, infatti, secondo la Corte territoriale non è contraddetta dalle osservazioni del consulente ing. B. il quale ha riferito che per consentire ai ganci di sfilarsi dalla sedera spalla deve esser appoggiata su un piano stabile per un tempo sufficiente a consentire lo sganciamento dei due ganci.
L'apparato argomentativo sotteso alla pronuncia, dunque, è privo di incongruenze e risponde alle doglianze proposte in sede di gravame di appello. Né le censure proposte in questa sede appaiono idonee alla destrutturazione del ragionamento fondante la decisione, posto che esse si basano, in modo pressoché esclusivo, sulla richiesta di rinnovazione istruttoria, respinta dalla Corte territoriale, sulla scorta della non novità e non decisività delle prove offerte.
8. La terza censura si concentra sull'erroneità della sentenza in ordine alla sussistenza della condotta colposa. Si lamenta, preliminarmente, l'incompletezza della ricostruzione normativa, sottolineando che la disposizione di cui all'art. 71 d.lgs. 81/2008, richiamata dal capo di imputazione, non contiene dettagli sulle caratteristiche delle attrezzature da utilizzare e tantomeno dei ganci, rimettendone la specificazione alle disposizioni di recepimento direttive comunitarie di prodotto, mentre la c.d. Direttiva Macchine, entro il cui ambito di applicazione rientrano i ganci in discussione, non prevede alcun utilizzo di chiusura dell'imbocco dell'accessorio.
La Corte territoriale, invero, riconosce la mancanza di una previsione specifica circa l'obbligo di ricorrere nell'uso del carro ponte a ganci provvisti di chiusura dell'imbocco, ricavando la norma cautelare direttamente dall'art. 71 d.lgs. 81/2008.
9. Per la verità, la disposizione il cui primo comma, a mente del quale "Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all'articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate ai lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle Direttive comunitarie",va colmata con il richiamo della normativa europea, posto che il rinvio all'Allegato VI, di cui al comma 2, non risolve il problema della specificazione normativa del l'obbligo di dotarsi di ganci di sollevamento muniti di chiusura dell'imbocco. Il paragrafo 3 dell'Allegato VI dedicato alle "Disposizioni concernenti l'uso delle attrezzature di lavoro che servono a sollevare e movimentare carichi" il punto 3.1.1 si limita, infatti, a stabilire che "I ganci utilizzati nei mezzi di sollevamento e di trasporto devono portare in rilievo o incisa la chiara indicazione della loro portata massima ammissibile'. Mentre il punto 3.1.6 prescrive che "Gli accessori di sollevamento devono essere scelti in funzione dei carichi da movimentare, dei punti di presa, del dispositivo di aggancio, delle condizioni atmosferiche nonché tenendo conto del modo e della configurazione dell'imbracatura. Le combinazioni di più accessori di sollevamento devono essere contrassegnate in modo chiaro onde consentire all'utilizzatore di conoscerne le caratteristiche qualora esse non siano scomposte dopo l'uso".
10. La previsione dell'adozione di ganci muniti di chiusura, dunque, esplicitamente contenuta nell'art. 172 del d.P.R. 547/1955, abrogato dall'art. 304 d.lgs. 81/2008, non è stata ripresa in modo esplicito dalla disposizione di cui all'allegato VI, 3.1.3, di cui supra, che l'ha sostituita.
Ad integrazione di questo quadro si pone la Direttiva Macchine che prescrive al punto 4.1.2.5, inerente agli 'Accessori di sollevamento e relativi componenti' che "Gli accessori di sollevamento e i relativi componenti devono essere dimensionati tenendo conto dei fenomeni di fatica e di invecchiamento per un numero di cidi di funzionamento conforme alla durata di vita previstala Ile condizioni di funzionamento specificate per l'applicazione prevista". La disposizione sancisce il rapporto fra le caratteristiche dell'accessorio per il 
sollevamento ed i suoi componenti, la sua vetustà ed il suo utilizzo, imponendole la modulazione delle condizioni del componente stesso e del carico da sollevare.
La Corte territoriale, in assenza di una specifica regolamentazione normativa sulla conformazione degli accessori di sollevamento, dà atto che possono essere utilizzati sia ganci con paletta, che ganci senza paletta, ma nega la discrezionalità del criterio di scelta, rimandando, per il tramite dell'art. 71, comma 1, d.lgs. 81/2008 a quanto previsto dalla linee ISPELS, richiamate dal tecnico A.S.L., N.., secondo cui gli accessori di sollevamento devono essere scelti, per essere adeguati, in relazione ai coefficienti di utilizzo ed in funzione delle modalità di sollevamento. La prescrizione dell'adozione del gancio con paletta viene così individuata dal giudice di seconda cura, che riprende dalle linee guida contenenti indicazioni operative per l'applicazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro il parametro al quale la procedura aziendale avrebbe dovuto conformarsi. Non può, dunque, sostenersi, come assume la doglianza, che il giudizio di non conformità dell'accessorio di carico alla lavorazione sia stato formulato ex post, facendo derivare la regola cautelare dall'osservazione dell'evento.
11. Va, a questo punto esaminato l'ulteriore profilo introdotto, inerente alla prevedibilità concreta dell'evento. Invero, con la censura ci si duole della sbrigatività con cui la sentenza ha affrontato la questione della prevedibilità esperienziale del rischio realizzatosi, mai presentatosi in precedenza, nonostante j quel tipo di dispositivi (ganci privi di paletta) fossero stati utilizzati in azienda per quasi trent'anni senza che si fosse verificato alcun incidente. Ciò, infatti, comporterebbe, da un lato, l'assoluta imprevedibilità dell'infortunio occorso alla persona offesa, essendo la probabilità di verificazione dell'evento, stante il periodo di utilizzo di quel tipo di ganci nella movimentazione pari allo 0,03%, e dall'altro, l'evidente idoneità dei ganci ad assicurare la sicurezza dei lavoratori che ne facciano uso.
12. Occorre, su questo tema, introdurre alcune puntualizzazioni, poiché la questione da affrontare non è, come sembra ritenere il ricorrente, quella relativa all'estensione degli obblighi del datore di lavoro alla previsione dell'evento 'raro', in quanto esito dell'infrequente attivazione di una concatenazione di cause non ignote, ma quella dell'individuazione degli strumenti volti ad evitare il rischio noto.
13. Diversamente impostando il problema si finisce, infatti, per affermare che solo l'evento con una qualche rilevanza statistica, impone al datore di lavoro di predisporre tutele per evitare il rischio, lasciando al di fuori degli obblighi di valutazione e prevenzione tutti i rischi che sebbene 'non ignoti' si realizzino con tale infrequenza da essere ritenuti appunto 'rari'.
14. E' necessario, invece, mutare prospettiva, pur potendosi egualmente muovere dal richiamo del fondamentale principio enunciato dalla Sezioni unite, e ribadito da questa Sezione, secondo il quale "In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori" (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110901; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016 - dep. 16/05/2016, Serafica e altro, Rv. 26725301).
15.1 cardini sui quali il datore di lavoro deve fondare l'analisi e la previsione dei rischi sono, dunque, in primo luogo, la 'propria esperienza', in secondo luogo l'evoluzione della scienza tecnica ed infine ‘la casistica' verificabile nell'ambito della lavorazione considerata.
16. E' chiaro che, su questa base, la previsione e prevenzione del rischio deve 'coprire' qualsiasi fattore di pericolo evidenziato nell'evoluzione della 'scienza tecnica' e non solo dall'esperienza che l'imprenditore sviluppi su una certa attività o su uno specifico macchinario, che egli abbia potuto direttamente osservare. Non basta, cioè, a giustificare la mancata previsione del pericolo né che la sua realizzazione non si sia mai presentata nello svolgimento dell'attività concreta all'interno dell'impresa, né che esso non rientri nell'esperienza indiretta del datore di lavoro, per considerare 'non noto' il rischio occorre che anche la scienza tecnica non abbia potuto osservare l'evento che lo realizza. Solo in questo caso viene meno l'obbligo previsionale del datore di lavoro, cui non può richiedersi di oltrepassare il limite del sapere tecnico-scientifico, con un pronostico individuale.
17. La conclusione che deve trarsi da questa premessa è che l'evento 'raro', in quanto 'non ignoto’, è sempre prevedibile e come tale deve essere previsto, in quanto rischio specifico e concretamente valutabile. L'evento raro, infatti, non è l'evento impossibile. Anzi è un evento che, per definizione, prima o poi si verifica. 
18. Questa generalissima premessa è indispensabile per chiarire che la mancata osservazione di un evento simile a quello realizzatosi, nonostante il lunghissimo tempo di utilizzo all'interno del ciclo produttivo dell'impresa di quel tipo di accessori per il sollevamento, non esime il datore di lavoro dalla previsione della sua realizzazione e dall'adozione delle misure idonee alla sua prevenzione, tanto più laddove esse siano previste e ciononostante non siano state adottate nella procedura aziendale.
19. Il quarto motivo non può trovare accoglimento. La Corte territoriale, infatti, motiva ampiamente le ragioni dell'esclusione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., facendo riferimento alla gravità della condotta- consistita non solo nella mancata adozione della precauzione prevista, ma nella mancata assicurazione, intorno al luogo di operatività del dipendente, di uno spazio libero adeguato che potesse consentirgli un rapido allontanamento, nel momento della caduta del grave- ed alla gravità del danno. Su quest'ultimo, in particolare, il giudice di appello si sofferma, ricordando che la persona offesa, ha riportato la subamputazione della gamba destra, con frattura biossea, e con la necessità di ben sette interventi chirurgici, prima della stabilizzazione dei postumi. In questo quadro motivazionale, la considerazione che l'unico precedente penale ascrivibile all'imputato sia risalente e non ostativo, nulla muta, posto il Collegio del gravame ha chiarito, con le argomentazioni complessivamente svolte, l'insussistenza della condizioni di applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, sicché la coerenza della motivazione impedisce ogni ulteriore vaglio.
20. Parimenti va rigettato l'ultimo motivo di ricorso. Anche in questo caso, infatti, la Corte territoriale motiva il diniego muovendosi sui binari interpretativi già elaborati da questo giudice di legittimità, secondo cui nell'operare la valutazione circa la concedibilità della misura sostituitiva deve farsi ricorso ai parametri di cui all'art. 133 cod. pen., formulando, pertanto, anche un giudizio prognostico sulla probabilità di ricaduta nel reato (cfr. Sez. 3, n.37814 del 06/06/2013, Zicaro Romenelli, Rv. 256979; Sez. 5, n. 3643 del 21/01/1999, Capitano, Rv. 21353601; Sez. 4, n. 3882 del 19/02/1990, Noce, Rv. 183755; Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, Gagliardi, Rv. 247274). Proprio a questo proposito, infatti, la decisione impugnata chiarisce che la sola pena detentiva, peraltro applicata in modo prossimo al minimo, è idonea ad assicurare il necessario effetto deterrente, considerata la sussistenza di un precedente per fatto analogo e la gravità della condotta.
21. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 5/12/2019