Categoria: Cassazione penale
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Lavori di demolizione di un fabbricato in assenza di procedure adeguate: responsabilità del datore di lavoro;
Mancata formazione dei lavoratori a giornata;
Obbligo di vigilanza da parte del datore di lavoro in merito all'osservanza delle disposizioni impartite, da parte dei singoli lavoratori;


 

 

 

 

 

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Battisti Mariano - Presidente -
Dott. Marzano Francesco - rel. Consigliere -
Dott. Brusco Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. Licari Carlo - Consigliere -
Dott. Bricchetti Renato - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
P. T. Pasquale, n. in *Leo. l'11/09/xxxx;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta in data 04/11/2004.

Udita in Pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Francesco Marzano;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Palombarini Giovanni, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso del ricorso;

Non comparso il difensore del ricorrente.

Fatto e Diritto

1. Il 4 novembre 2004 la Corte di Appello di Caltanissetta confermava la sentenza in data 7 novembre 2002 del G.I.P. del Tribunale di Nicosia, con la quale Pasquale P. T., riconosciutegli le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, quanto al delitto, e ritenuta la continuazione tra i due reati, era stato condannato a pena ritenuta di giustizia per imputazioni di cui:
a) al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 72, comma 1 e art. 77, lett. b);
b) art. 589 c.p., comma 1 e 2.
Si contestava all'imputato, in qualità di datore di lavoro, di aver eseguito lavori di demolizione di un fabbricato "senza procedere con la necessaria cautela ed in maniera da non pregiudicare la stabilità delle strutture portanti o di collegamento, in quanto la demolizione non è avvenuta gradualmente ed ha pregiudicato gli equilibri statici e di collegamento per la mancata tempestiva demolizione del balcone del primo piano..., il quale veniva anzi utilizzato da passerella senza puntellarlo in alcun modo nonostante fosse già stata demolita la parte di muro prospiciente... Via Valenti a livello sempre del primo piano"; e di avere, quindi, cagionato la morte, a seguito delle lesioni riportate, di Nicolò R. che unitamente ad altro lavoratore dipendente, Luigi L. P., si trovava sul predetto balcone, dal quale entrambi precipitavano - per colpa, generica e specifica, quest'ultima consistente nella violazione della suindicata normativa antinfortunistica e nel "non aver disposto ed esatto che i lavoratori alle sue dipendenze rispettassero le direttive da lui impartite sulle modalità esecutive della demolizione del fabbricato...".
Nei due giorni antecedenti al sinistro, era stata demolita la copertura del primo piano dell'edificio ed una parte del muro che prospettava sulla pubblica via, ove si trovava il balcone crollato.
Il giorno dell'incidente, l'imputato, dopo aver impartito agli operai disposizioni in ordine alla attività di svolgere ed aver posizionato l'autocarro al di sotto del balcone, si era allontanato dal cantiere.
I lavoratori avevano preso a demolire la rimanente parte del muro sino al livello del solaio di copertura ed a caricare con una carriola i detriti nel cassone dell'autocarro, utilizzando il balcone come piano di scarico e di sporgenza: R. e L.P. si trovavano affacciati sul balcone ed altri due operai erano al piano terra; il balcone, posto ad un'altezza di m. 2,30 dal piano stradale, aveva ceduto, facendo precipitare i due operai.
Nel pervenire alla confermativa statuizione di responsabilità, rilevavano i giudici del gravame che "vi sono delle contraddizioni nelle dichiarazioni dei testi", alcuni avendo affermato che "il datore di lavoro aveva impartito loro l'ordine di demolire prima di tutto il balcone", altri, invece, avendo affermato "che il loro compito era stato quello di scaricare sul camion i detriti accumulatisi per l'attività di demolizione del giorno precedente".
Ritenevano, altresì, che "le conclusioni cui è giunto il consulente di parte non sono persuasive e tali da scalfire la ricostruzione operata dagli ispettori del lavoro i quali avevano evidenziato che la demolizione della rimanente parte del muro..., aveva portato all'indebolimento del balcone causandone il crollo". Rilevavano, quindi, che, "anche a voler ritenere che gli operai abbiano imprudentemente ignorato l'ordine di demolire il balcone, appare comunque censurabile il comportamento dell'imputato, il quale, dopo avere per pochi minuti, e quindi, succintamente, impartito gli ordini, non ha verificato il rispetto delle norme di cautela da parte dei lavoratori, si è imprudentemente allontanato dal cantiere facendo semplicemente leva sulla esperienza di operai privi (il R. era un manovale) di qualsiasi tipo di specializzazione", tale suo obbligo essendo "più marcato" in considerazione della circostanza che "il P. si avvaleva di operai assunti a giornata e che in quanto saltuari non potevano avere una visione completa dello stato dei lavori".
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, denunziando:
a) vizi di motivazione e "erronea applicazione D.P.R. n. 164 del 1956, art. 72 e art. 589 c.p.". Deduce che la motivazione della sentenza impugnata è "illogica, generica ed insufficiente" perchè, dopo essersi osservato che il datore di lavoro "avrebbe dovuto valutare le condizioni di stabilità dell'edificio, imponendo ai lavoratori l'obbligo di osservare tutte le norme di cautela", ritiene tuttavia "pienamente condivisibili le motivazioni del giudice di primo grado, che... ha dato per pacifica la circostanza che l'imputato '... ponesse sempre a disposizione e sollecitasse i dipendenti all'uso degli attrezzi antinfortunistici"; che illogicamente erano state disattese le conclusioni del consulente di parte; che, altrettanto illogicamente, il provvedimento impugnato, "pur ammettendo l'eventuale comportamento imprudente del lavoratore, non ha saputo apprezzare il significato di tale iniziativa che chiaramente interrompe il nesso di causalità tra l'evento finale e la condotta del ricorrente...";
b) il vizio di motivazione ed "erronea applicazione dell'art. 589 del codice penale". La sentenza impugnata - deduce il ricorrente - da atto che "gli operai hanno imprudentemente ignorato l'ordine di demolire il balcone ed inoltre che il datore di lavoro ha impartito gli ordini", e perviene alla affermazione di responsabilità per essersi il ricorrente "allontanato dal cantiere contravvenendo ad obbligo di controllo (di cui non si comprende la radice giuridica)...", ma ha omesso di considerare che "si trattava di un lavoro semplicissimo... ad altezza minima dal suolo stradale ed ha "sottaciuto, pur essendo un dato processuale evidenziato nell'atto di appello, che la mattina dei fatti il signor P. giunse in cantiere ancor prima degli operai, ai quali successivamente impartì il preciso ed elementare ordine di procedere alla demolizione del balcone...", sicché "l'incidente si è verificato sol perché i due lavoratori decisero, in forma autonoma, arbitraria e del tutto imprevedibile, di invertire l'ordine dei lavori stabilito dal P.", ponendosi tale "comportamento anomalo... come causa esclusiva dell'evento, perché anormale, imprevisto ed imprevedibile...".
3.0 Il ricorso è inammissibile, essendo manifestamente infondati i motivi addotti a suo sostegno.
Quanto, invero, al primo motivo di doglianza, l'addebito, sotto il profilo della colpa, non riguardava l'avere o meno messo a disposizione dei lavoratori dipendenti "gli attrezzi antinfortunistici", ma, specificamente, la mancata adozione delle cautele necessarie nel procedere alla demolizione delle opere ed in particolare del balcone, reso instabile dai precedenti lavori svolti, sul quale tuttavia avevano accesso gli operai. In tale contesto, hanno rilevato i giudici del merito che - come di già anticipato -, "anche a voler ritenere che gli operai abbiano imprudentemente ignorato l'ordine di demolire il balcone", l'addebito trovava fondamento nella circostanza che l'imputato, "dopo avere per pochi minuti, e quindi succintamente, impartito gli ordini, non ha verificato il rispetto delle norme di cautela da parte dei lavoratori" e "si è imprudentemente allontanato dal cantiere facendo semplicemente leva sulla esperienza di operai privi... di qualsiasi specializzazione", "assunti a giornata e che in quanto saltuari non potevano avere una visione completa dello stato dei lavori". Tale divisamento si sottrae e rinvenibili vizi di illogicità - che, peraltro, la norma vuole dover essere manifesta, cioè percepibile immediatamente, ictu oculi - o di violazione di legge, atteso che, come altre volte ritenuto da questa Suprema Corte (cfr. Cass., Sez. 4^, n. 13251/2005, ric. Kapelj; id., Sez. 4^, n. 6486/1995, ric. Grassi; id., Sez. 4^, n. 3824/1984, ric. Vassena), i doveri incombenti sul datore di lavoro sono articolati e comprendono, oltre alla previa istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinate attività e la necessità di adottare le previste misure di sicurezza, anche l'effettivo e continuo controllo circa la concreta osservanza delle misure predisposte, ad evitare che esse rimangano trascurate ed inosservate, e sul processo stesso di lavorazione, che deve svolgersi secondo le norme di cautela richieste dalla situazione e dalle condizioni del caso concreto. E vieppiù il mancato assolvimento di tali doveri è apprezzabile nel caso di specie, proprio in considerazione della mancanza di esperienza specialistica dei lavoratori utilizzati per quelle opere, assunti e impiegati "alla giornata".
Quanto, poi, al secondo profilo di censura, per intanto non dovette trattarsi di "un lavoro semplicissimo... ad altezza minima dal suolo stradale", come assume il ricorrente, se la mancata adozione delle misure di cautela richieste determinò un evento letale, trattandosi, invece, di lavori di demolizione di un manufatto e trovandosi il balcone posto ad un'altezza di m. 2,30 dal piano stradale, come accertato in sede di merito. E correttamente, poi, i giudici del merito hanno escluso che il comportamento del lavoratore abbia avuto esclusiva rilevanza eziologia in riferimento all'evento prodottosi, giacché un comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore; tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, tale comportamento, in tal caso, non essendo affatto eccezionale ed imprevedibile.
3.1 Torna opportuno annotare che non è, allo stato, ancora perento il termine prescrizionale massimo di legge per la contravvenzione contestata, risalendo il relativo accertamento all'8 marzo 2001 e dovendosi tener conto del periodo di sospensione del termine medesimo dal 15 luglio al 4 novembre 2004, per rinvio del procedimento per impedimento del difensore. La rilevata inammissibilità del gravame precluderebbe, in ogni caso, il rilievo di eventuali intervenute cause estintive.
4. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente, come evidenziata dallo stesso vizio genetico rilevato (Corte Cost., sent. 7 - 13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si determina in mille Euro, in favore della Cassa delle Ammende., lett. b);Si contestava all'imputato, in qualità di datore di lavoro, di aver eseguito lavori di demolizione di un fabbricato "senza procedere con la necessaria cautela ed in maniera da non pregiudicare la stabilità delle strutture portanti o di collegamento, in quanto la demolizione non è avvenuta gradualmente ed ha pregiudicato gli equilibri statici e di collegamento per la mancata tempestiva demolizione del balcone del primo piano..., il quale veniva anzi utilizzato da passerella senza puntellarlo in alcun modo nonostante fosse già stata demolita la parte di muro prospiciente... Via Valenti a livello sempre del primo piano"; e di avere, quindi, cagionato la morte, a seguito delle lesioni riportate, di Nicolò R. che unitamente ad altro lavoratore dipendente, Luigi L. P., si trovava sul predetto balcone, dal quale entrambi precipitavano - per colpa, generica e specifica, quest'ultima consistente nella violazione della suindicata normativa antinfortunistica e nel "non aver disposto ed esatto che i lavoratori alle sue dipendenze rispettassero le direttive da lui impartite sulle modalità esecutive della demolizione del fabbricato...".Nei due giorni antecedenti al sinistro, era stata demolita la copertura del primo piano dell'edificio ed una parte del muro che prospettava sulla pubblica via, ove si trovava il balcone crollato.Il giorno dell'incidente, l'imputato, dopo aver impartito agli operai disposizioni in ordine alla attività di svolgere ed aver posizionato l'autocarro al di sotto del balcone, si era allontanato dal cantiere.I lavoratori avevano preso a demolire la rimanente parte del muro sino al livello del solaio di copertura ed a caricare con una carriola i detriti nel cassone dell'autocarro, utilizzando il balcone come piano di scarico e di sporgenza: R. e L.P. si trovavano affacciati sul balcone ed altri due operai erano al piano terra; il balcone, posto ad un'altezza di m. 2,30 dal piano stradale, aveva ceduto, facendo precipitare i due operai.Nel pervenire alla confermativa statuizione di responsabilità, rilevavano i giudici del gravame che "vi sono delle contraddizioni nelle dichiarazioni dei testi", alcuni avendo affermato che "il datore di lavoro aveva impartito loro l'ordine di demolire prima di tutto il balcone", altri, invece, avendo affermato "che il loro compito era stato quello di scaricare sul camion i detriti accumulatisi per l'attività di demolizione del giorno precedente".Ritenevano, altresì, che "le conclusioni cui è giunto il consulente di parte non sono persuasive e tali da scalfire la ricostruzione operata dagli ispettori del lavoro i quali avevano evidenziato che la demolizione della rimanente parte del muro..., aveva portato all'indebolimento del balcone causandone il crollo". Rilevavano, quindi, che, "anche a voler ritenere che gli operai abbiano imprudentemente ignorato l'ordine di demolire il balcone, appare comunque censurabile il comportamento dell'imputato, il quale, dopo avere per pochi minuti, e quindi, succintamente, impartito gli ordini, non ha verificato il rispetto delle norme di cautela da parte dei lavoratori, si è imprudentemente allontanato dal cantiere facendo semplicemente leva sulla esperienza di operai privi (il R. era un manovale) di qualsiasi tipo di specializzazione", tale suo obbligo essendo "più marcato" in considerazione della circostanza che "il P. si avvaleva di operai assunti a giornata e che in quanto saltuari non potevano avere una visione completa dello stato dei lavori".2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, denunziando:a) vizi di motivazione e "erronea applicazione e art. 589 c.p.". Deduce che la motivazione della sentenza impugnata è "illogica, generica ed insufficiente" perchè, dopo essersi osservato che il datore di lavoro "avrebbe dovuto valutare le condizioni di stabilità dell'edificio, imponendo ai lavoratori l'obbligo di osservare tutte le norme di cautela", ritiene tuttavia "pienamente condivisibili le motivazioni del giudice di primo grado, che... ha dato per pacifica la circostanza che l'imputato '... ponesse sempre a disposizione e sollecitasse i dipendenti all'uso degli attrezzi antinfortunistici"; che illogicamente erano state disattese le conclusioni del consulente di parte; che, altrettanto illogicamente, il provvedimento impugnato, "pur ammettendo l'eventuale comportamento imprudente del lavoratore, non ha saputo apprezzare il significato di tale iniziativa che chiaramente interrompe il nesso di causalità tra l'evento finale e la condotta del ricorrente...";b) il vizio di motivazione ed "erronea applicazione dell'art. 589 del codice penale". La sentenza impugnata - deduce il ricorrente - da atto che "gli operai hanno imprudentemente ignorato l'ordine di demolire il balcone ed inoltre che il datore di lavoro ha impartito gli ordini", e perviene alla affermazione di responsabilità per essersi il ricorrente "allontanato dal cantiere contravvenendo ad obbligo di controllo (di cui non si comprende la radice giuridica)...", ma ha omesso di considerare che "si trattava di un lavoro semplicissimo... ad altezza minima dal suolo stradale ed ha "sottaciuto, pur essendo un dato processuale evidenziato nell'atto di appello, che la mattina dei fatti il signor P. giunse in cantiere ancor prima degli operai, ai quali successivamente impartì il preciso ed elementare ordine di procedere alla demolizione del balcone...", sicché "l'incidente si è verificato sol perché i due lavoratori decisero, in forma autonoma, arbitraria e del tutto imprevedibile, di invertire l'ordine dei lavori stabilito dal P.", ponendosi tale "comportamento anomalo... come causa esclusiva dell'evento, perché anormale, imprevisto ed imprevedibile...".3.0 Il ricorso è inammissibile, essendo manifestamente infondati i motivi addotti a suo sostegno.Quanto, invero, al primo motivo di doglianza, l'addebito, sotto il profilo della colpa, non riguardava l'avere o meno messo a disposizione dei lavoratori dipendenti "gli attrezzi antinfortunistici", ma, specificamente, la mancata adozione delle cautele necessarie nel procedere alla demolizione delle opere ed in particolare del balcone, reso instabile dai precedenti lavori svolti, sul quale tuttavia avevano accesso gli operai. In tale contesto, hanno rilevato i giudici del merito che - come di già anticipato -, "anche a voler ritenere che gli operai abbiano imprudentemente ignorato l'ordine di demolire il balcone", l'addebito trovava fondamento nella circostanza che l'imputato, "dopo avere per pochi minuti, e quindi succintamente, impartito gli ordini, non ha verificato il rispetto delle norme di cautela da parte dei lavoratori" e "si è imprudentemente allontanato dal cantiere facendo semplicemente leva sulla esperienza di operai privi... di qualsiasi specializzazione", "assunti a giornata e che in quanto saltuari non potevano avere una visione completa dello stato dei lavori". Tale divisamento si sottrae e rinvenibili vizi di illogicità - che, peraltro, la norma vuole dover essere manifesta, cioè percepibile immediatamente, ictu oculi - o di violazione di legge, atteso che, come altre volte ritenuto da questa Suprema Corte (cfr. ), i doveri incombenti sul datore di lavoro sono articolati e comprendono, oltre alla previa istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinate attività e la necessità di adottare le previste misure di sicurezza, anche l'effettivo e continuo controllo circa la concreta osservanza delle misure predisposte, ad evitare che esse rimangano trascurate ed inosservate, e sul processo stesso di lavorazione, che deve svolgersi secondo le norme di cautela richieste dalla situazione e dalle condizioni del caso concreto. E vieppiù il mancato assolvimento di tali doveri è apprezzabile nel caso di specie, proprio in considerazione della mancanza di esperienza specialistica dei lavoratori utilizzati per quelle opere, assunti e impiegati "alla giornata".Quanto, poi, al secondo profilo di censura, per intanto non dovette trattarsi di "un lavoro semplicissimo... ad altezza minima dal suolo stradale", come assume il ricorrente, se la mancata adozione delle misure di cautela richieste determinò un evento letale, trattandosi, invece, di lavori di demolizione di un manufatto e trovandosi il balcone posto ad un'altezza di m. 2,30 dal piano stradale, come accertato in sede di merito. E correttamente, poi, i giudici del merito hanno escluso che il comportamento del lavoratore abbia avuto esclusiva rilevanza eziologia in riferimento all'evento prodottosi, giacché un comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore; tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, tale comportamento, in tal caso, non essendo affatto eccezionale ed imprevedibile.3.1 Torna opportuno annotare che non è, allo stato, ancora perento il termine prescrizionale massimo di legge per la contravvenzione contestata, risalendo il relativo accertamento all'8 marzo 2001 e dovendosi tener conto del periodo di sospensione del termine medesimo dal 15 luglio al 4 novembre 2004, per rinvio del procedimento per impedimento del difensore. La rilevata inammissibilità del gravame precluderebbe, in ogni caso, il rilievo di eventuali intervenute cause estintive.4. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente, come evidenziata dallo stesso vizio genetico rilevato (, consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si determina in mille Euro, in favore della Cassa delle Ammende

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2005.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2006