Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 luglio 2020, n. 13908 - Risarcimento dei danni subiti a seguito di infortunio sul lavoro e carenza di legittimazione passiva


 

Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO
Data pubblicazione: 06/07/2020
 

Premesso
che con sentenza n. 1282/2015, pubblicata l'11 novembre 2015, la Corte di appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda proposta da A.M. nei confronti di F.S., diretta a ottenere la condanna del convenuto al pagamento di differenze retributive in relazione al periodo dal 2 novembre 2009 al 6 luglio 2010 e al risarcimento dei danni subiti a seguito di infortunio sul lavoro occorso in tale ultima data;
- che la Corte di appello ha ritenuto lo F.S. carente di legittimazione passiva, avendo cessato la propria impresa individuale in data anteriore al periodo indicato e non avendo comunque assunto, nei fatti, la veste di datore di lavoro dell'appellata;
- che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice, con due motivi, cui ha resistito lo F.S. con controricorso;
- che entrambe le parti hanno depositato memoria;


Rilevato
che, con il primo motivo, deducendo - in relazione all'art. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 cod. proc. civ. - la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché degli artt. 111 Cast. e 132 n. 4 cod. proc. civ., oltre alla mancanza e/o apparenza di motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello fondato la propria decisione, in via assorbente ed esclusiva, su di una sentenza (n. 262/2014 del Tribunale di Salerno in causa di opposizione a cartella esattoriale per crediti contributivi promossa dalla Confezioni Picentini S.r.l.), alla quale, per essere stata resa nei confronti di altre parti e nell'ambito di un diverso giudizio, non poteva riconnettersi alcuna valenza probatoria; per avere tratto dalla stessa pronuncia la dimostrazione di circostanze del tutto irrilevanti ai fini dell'accertamento della sussistenza del dedotto rapporto di lavoro; per aver trascurato inoltre taluni elementi di prova pur legittimamente acquisiti al giudizio e idonei a sostenere i fatti costitutivi della domanda;
- che, con il secondo motivo, deducendo - in relazione all'art. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 - la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., oltre alla mancanza della motivazione o alla sua natura apparente, la ricorrente si duole che la Corte abbia omesso di esaminare la domanda subordinata, proposta in primo grado e riproposta in grado di appello mediante gravame incidentale condizionato, avente ad oggetto la condanna dello F.S., a titolo risarcitorio, a tutte le prestazioni e agli oneri al cui assolvimento sarebbe stato obbligato in qualità di datore di lavoro, e ciò in conseguenza degli specifici contegni dal medesimo posti in essere;


Osservato
che il primo motivo non può trovare accoglimento;
- che al riguardo deve rilevarsi:
(a) che il principio del libero convincimento, posto alla base degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. n. 23940/2017);
(b) che a tale paradigma, avute presenti le precisazioni fornite da questa Corte a Sezioni Unite (con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 e successive numerose conformi) circa il perimetro applicativo della norma e i relativi oneri di deduzione a carico del ricorrente, non risulta essersi attenuto il motivo ora in esame, il quale, in realtà, dietro lo schermo di una plurima denuncia di vizi ex art. 360, comma 1°, cod. proc. civ., tende, nella sostanza delle censure proposte, a sollecitare una rivisitazione del merito della controversia, attraverso una rilettura e un diverso apprezzamento del materiale di prova acquisito al giudizio, e cioè il compimento di un'attività che è estranea alla sede del giudizio di legittimità; né potrebbe configurarsi nella specie una motivazione soltanto "apparente", la quale ricorre unicamente quando la motivazione, sebbene graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U n. 22232/2016; conforme Cass. n. 13977/2019);
(e) che, d'altra parte, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, la Corte di appello non ha posto a sostegno della propria decisione, in via assorbente ed esclusiva, la citata sentenza n. 262/2014 del Tribunale di Salerno, in funzione di giudice del lavoro, in quanto, pur richiamandola, ha esteso il proprio percorso motivazionale ad un'autonoma considerazione delle risultanze documentali in essa riportate, osservando come riguardo alle stesse non fossero state formulate specifiche e peraltro necessarie contestazioni ed inoltre come la lavoratrice avesse fondato le proprie difese unicamente sul tenore delle deposizioni dei testi escussi, che, tuttavia, ad avviso della Corte, non risultavano idonee a contrastare efficacemente l'assunto del convenuto e le circostanze emergenti dalla documentazione dal medesimo prodotta (cfr. sentenza impugnata, p 5); restando fermo il principio, per il quale spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l'attendibilità e l'efficacia probatoria delle prove, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova (Cass. n. 25608/2013, fra le molte conformi);
- che anche il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento;
- che, infatti, ancora diversamente da quanto dedotto, la Corte di appello ha esaminato la domanda (subordinata), che la ricorrente reputa essere stata omessa (cfr. sentenza, pp. 5-6), peraltro esattamente facendo applicazione del principio di diritto, secondo cui "per l'individuazione del datore di lavoro, al criterio dell'apparenza del diritto il giudice deve preferire il criterio dell'effettività del rapporto, in quanto la subordinazione è la soggezione del lavoratore all'altrui effettivo potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare" (Cass. n. 3418/2012), e rendendo sul punto adeguata motivazione;

ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;
- che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
- che di esse va disposta ex art. 93 cod. proc. civ. la distrazione in favore dell'avvocato Giuseppe Andreotta, difensore del controricorrente, come da sua dichiarazione e richiesta



 

P.Q.M.




La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, somma di cui dispone la distrazione in favore del procuratore del controricorrente.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nell'adunanza camerale del 30 gennaio 2020.