Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 agosto 2020, n. 16869 - Mesotelioma polmonare del fabbro causato dalla esposizione alle polveri di amianto. Come dimostrare la responsabilità del datore di lavoro?


 


Presidente Raimondi – Relatore Della Torre

 

Fatto
 


1. Con sentenza n. 4138/2015, depositata il 3 agosto 2015, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata che aveva respinto le domande proposte nei confronti di Fincantieri S.p.A. da C.M. e da A. , G. e V.R. , in qualità di eredi di V.C. , volte ad ottenere il risarcimento iure proprio e iure successionis dei danni dai medesimi subiti in conseguenza del decesso del loro congiunto per mesotelioma polmonare causato dalla esposizione alle polveri di amianto nel corso del prolungato svolgimento (dal 1963 al 1992) di mansioni di fabbro allestitore nello stabilimento della società in (omissis) .
2. La Corte ha osservato a sostegno della propria decisione come nessuna indicazione vi fosse stata, da parte degli eredi del lavoratore, circa le misure di sicurezza che l’impresa avrebbe dovuto adottare per prevenire l’insorgenza della malattia e che erano state invece tralasciate, con l’effetto di liberare il datore di lavoro dall’onere della prova di averle predisposte; ha inoltre rilevato come i ricorrenti si fossero limitati nel proprio atto introduttivo a deduzioni generiche in ordine alle voci di danno oggetto di domanda, non fornendo un’adeguata illustrazione della causa petendi e un’appropriata dimostrazione del pregiudizio che assumevano di avere risentito in conseguenza del decesso del loro dante causa, e come, in ogni caso, gli elementi allegati a prova della natura morbigena delle mansioni fossero stati smentiti dal materiale probatorio acquisito (essenzialmente la C.T. di parte), risultando, d’altra parte, tardivamente introdotta nel giudizio di primo grado la relazione CONTARP del 1996: ciò che, determinando la valutazione di infondatezza della domanda ed il consequenziale rigetto dell’appello, ha portato la Corte a ritenere assorbita la richiesta di ammissione di mezzi istruttori.
3. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi V. , con quattro motivi, cui Fincantieri S.p.A. ha resistito con controricorso, assistito da memoria.

 

Diritto
 


1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. per avere la Corte di appello respinto il gravame sul rilievo che nessuna indicazione vi era stata, da parte dei ricorrenti, circa le concrete misure di sicurezza che Fincantieri S.p.A. avrebbe dovuto adottare e che, nel caso di specie, erano state invece tralasciate, erroneamente non considerando che la norma non richiede tali specificazioni, posto che incombe sul datore dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno, e stabilendo a carico del danneggiato (e dei suoi eredi) un eccessivo quanto ingiusto aggravio dell’onere probatorio, di fatto ostativo ad una tutela effettiva del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost..
2. Con il secondo motivo la sentenza viene censurata per vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 e motivazione apparente, con riferimento a quella parte di essa in cui la Corte ha ritenuto che l’atto introduttivo fosse carente di un’adeguata illustrazione della causa petendi e di un’appropriata dimostrazione del pregiudizio subito dai ricorrenti e che gli elementi di fondatezza posti a sostegno dello stesso (natura morbigena delle mansioni svolte dal de cuius, nocività dell’ambiente di lavoro, sussistenza del nesso causale tra le mansioni e l’insorgenza della malattia) fossero stati smentiti dal materiale probatorio acquisito, sostanziatosi essenzialmente nella consulenza medico-legale di parte, così peraltro ponendosi in chiaro contrasto con il contenuto del ricorso di primo grado e della relazione di consulenza, con la quale, diversamente da quanto osservato in sentenza, era stata fornita una piena e puntuale dimostrazione dei fatti allegati.
3. Con il terzo, la sentenza di appello viene censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 153 e 421 c.p.c., oltre che per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e per motivazione apparente, avendo la Corte ritenuto tardiva la produzione della relazione Contarp del 1996, in quanto avvenuta nel giudizio di primo grado soltanto all’udienza del 4/10/2011, senza considerare che la produzione era stata effettuata in sede di prima difesa successiva all’acquisizione e che, stante la rilevanza del documento, poteva e doveva essere disposto l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio.
4. Con il quarto, viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., non avendo la Corte, a motivo della preliminare valutazione di infondatezza della domanda, neppure proceduto a prendere in considerazione l’ammissibilità o meno dei mezzi istruttori articolati dai ricorrenti.
5. Il primo motivo è fondato.
6. In materia di oneri di allegazione e di prova ex art. 2087 c.c. e di riparto degli stessi fra i soggetti del rapporto di lavoro rilevano i seguenti principi:
- elemento costitutivo della responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c. è la colpa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore; l’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c. impone all’imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità del rischio, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene protetto dall’art. 41 Cost., comma 2;
- il concetto di specificità del rischio, da cui consegue l’obbligo del datore di provare di avere adottato le misure idonee a prevenire ragioni di danno al lavoratore, va inteso nel senso che incombe al lavoratore, che lamenti di avere subito, a causa dell’attività svolta, un danno alla salute, l’onere di allegare e provare, oltre all’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi;
- gli indici della nocività dell’ambiente di lavoro che devono essere indicati dal lavoratore non sono altro che i concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa; tale allegazione rientra nell’ambito dei fatti che devono essere indicati da colui che agisce deducendo l’inadempimento datoriale (Cass. n. 28516/2019, ove anche plurimi riferimenti giurisprudenziali).
7. In particolare, è stato ripetutamente affermato che "La responsabilità conseguente alla violazione dell’art. 2087 c.c. ha natura contrattuale, sicché il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio, o l’Istituto assicuratore che agisca in via di regresso, deve allegare e provare la esistenza dell’obbligazione lavorativa e del danno, nonché il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, e che gli esiti dannosi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile" (Cass. n. 10529/2008, fra le molte conformi).
8. Ne consegue che è erronea la sentenza impugnata, là dove reputa che il datore fosse stato liberato dalla dimostrazione di avere predisposto le specifiche e necessarie misure di sicurezza - misure "che si sarebbero dovute adottare ma che nel caso di specie erano state tralasciate" - sul rilievo che "nessuna indicazione da parte istante" vi era stata in tal senso (cfr. sentenza, pp. 4-5), poiché in tal modo il giudice del merito ha posto a carico del lavoratore (e, per esso, dei suoi eredi) un onere di allegazione non previsto ed inoltre neppure esigibile, in un’ottica di effettività del diritto di azione in rapporto alla rilevanza costituzionale del bene di cui è richiesta la tutela, presupponendo il suo assolvimento una conoscenza dell’organizzazione del lavoro e dei processi produttivi, nonché dello stato della ricerca scientifica e delle conseguenti ricadute applicative, che, mentre è estranea alle possibilità concrete del lavoratore, è naturalmente propria dell’imprenditore, oltre che connessa, per gli aspetti di adeguamento alle acquisizioni sperimentali e tecniche, allo stesso esercizio di un’attività produttiva che deve costantemente svolgersi entro i limiti fissati dall’art. 41 Cost., comma 2.
9. Risultano altresì fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso.
10. Quanto al secondo, si deve rilevare che il giudice di appello, nelle parti della sentenza impugnata che hanno formato oggetto di censura, si è limitato a proposizioni meramente assertive e cioè, in sostanza, a formulare giudizi di ampia sintesi (sulla inadeguatezza del ricorso di primo grado e sulla inefficacia probatoria del materiale acquisito al giudizio), senza, tuttavia, indicare in alcun modo quali fossero le ragioni - desunte da un esame concreto degli atti e dei documenti - che potessero indurre a tali conclusioni e fondarne la plausibilità, in particolare a fronte di una relazione di consulenza tecnica di parte - come tale, già di per sé intesa a corroborare le ragioni della domanda - allegata al ricorso di primo grado e in esso richiamata.
11. A tale specifico riguardo giova richiamare il consolidato orientamento, per il quale "Nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente la mancata indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che ne sia impossibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto ed i riferimenti ai documenti contenuti nella domanda introduttiva" (Cass. n. 7199/2018, fra le pronunce più recenti).
12. Ne consegue il carattere apparente della motivazione adottata, la quale non consente l’emersione degli elementi testuali su cui il giudice si è formato il proprio convincimento, affidando di conseguenza all’interprete inammissibili compiti di integrazione del percorso argomentativo (Sez. U n. 22232/2016; conforme, fra altre: Cass. n. 13977/2019).
13. Quanto al terzo motivo, si deve richiamare il principio, per il quale, nel rito del lavoro, "l’omessa indicazione dei documenti prodotti nell’atto di costituzione in giudizio (ovvero, nella memoria difensiva depositata dall’attore rispetto alla domanda riconvenzionale proposta nei suoi confronti) e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determina la decadenza del diritto alla produzione, che può essere superata solo per effetto dell’esercizio, in presenza di condizioni idonee a giustificarlo, del potere istruttorio officioso previsto dall’art. 421 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2, che pongono un contemperamento al principio dispositivo, ispirato all’esigenza della ricerca della verità materiale cui è ispirato il rito del lavoro" (Cass. n. 12902/2015, fra le altre conformi).
14. Nella specie, non risulta considerata la natura e l’importanza, ai fini dell’accertamento del diritto fatto valere, della relazione di cui è stato negato l’ingresso in giudizio e cioè della relazione della Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione, organismo tecnico dell’I.N.A.I.L. che si occupa della valutazione dei rischi negli ambienti di lavoro per il riconoscimento di benefici assicurativi e previdenziali, delle cui risultanze ben potevano i ricorrenti essere venuti a conoscenza successivamente al deposito dell’atto introduttivo; nè rileva, a sostegno della sua esclusione, il fatto che il documento non contenesse uno specifico riferimento al dante causa delle parti ricorrenti, posto che ciò che effettivamente ne determina il peso probatorio è l’individuazione dei fattori di rischio presenti nell’ambiente di lavoro e delle figure professionali ad essi soggette.
15. Nelle considerazioni che precedono resta assorbito il quarto motivo.
16. Consegue da quanto sopra che l’impugnata sentenza della Corte di appello di Napoli n. 4138/2015 deve essere cassata, in accoglimento del primo, del secondo e del terzo motivo, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla stessa Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi richiamati sub 6, 7, 11 e 13, disponendo - ove occorra - l’ammissione dei mezzi istruttori articolati dai ricorrenti.

 

P.Q.M.
 


La Corte accoglie il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.