Cassazione Penale, Sez. 3, 02 marzo 2020, n. 8337 - Molestie sessuali sul luogo di lavoro: attenuanti e aggravanti




 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito - Presidente -

Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere -

Dott. SEMERARO Luca - Consigliere -

Dott. CORBETTA Stefano - rel. Consigliere -

Dott. MACRI’ Ubalda - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

E.A., nato a Napoli il 12/02/1962;

avverso la sentenza del 22/02/2019 della Corte di Appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Corasaniti Giuseppe, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità dei ricorsi; uditi i difensore delle parti civili, avv. Carmela Scarpato del foro di Napoli per E.V., e avv. Sofia Lombardi del foro di Napoli per D.S.A., che hanno concluso chiedendo l'inammissibilità o il rigetto dei ricorsi;

udito il difensore dell'imputato, avv. Ercole Ragozzini del foro di Napoli, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi.

 

Fatto


1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia emessa del Tribunale di Napoli e appellata dall'imputato, la quale aveva condannato E.A. alla pena di giustizia per il delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 609-bis c.p. e art. 61 c.p., n. 11, perchè, con più condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, mediante violenza costringeva E.V. e D.S.A., entrambe dipendenti presso la ditta "Brich.ea spa" sita in (OMISSIS), di cui l'imputato era titolare, a compiere e subire atti sessuali, come meglio descritti nei capi A) e B) di imputazione, rispettivamente commessi dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e in data (OMISSIS).

2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, per mezzo dei difensori di fiducia, propone due distinti ricorsi per cassazione.

3. Il ricorso redatto dall'avv. Mario D'Alessandro è affidato a cinque motivi.

3.2. Con il primo motivo si deduce il vizio di illogicità e mancanza di motivazione in ordine al travisamento della prova relativo a quanto accertato sul telefono dell'imputato. Assume il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, ai fini della credibilità della persona offesa, della conversazione avvenuta tramite whatsapp in data (OMISSIS), in cui la presunta vittima si esprime in toni affettuosi nei confronti dell'imputato, a cui aveva fatto anche recapitare un omaggio culinario in occasione delle festività pasquali, ciò che minerebbe l'attendibilità di E.V..

3.2. Con il secondo motivo si eccepisce l'illogicità della motivazione in relazione alle dichiarazioni della persona offesa con riferimento alla loro sequenza cronologica. Ad avviso del ricorrente, l'attendibilità di E.V. sarebbe inficiata dal fatto che costei ha aspettato quattro mesi per denunciare l'accaduto, periodo durante il quale la donna quotidianamente si recò al lavoro, dove vi era l' E., e considerando che nessuno dei familiari più stretti si accorse dell'accaduto.

3.3. Con il terzo motivo si lamenta la mancanza e l'illogicità di motivazione in ordine al delitto di cui al capo b). Secondo il ricorrente, con riferimento all'episodio in danno di D.S.A., mancherebbe l'accertamento di qualsivoglia forma di violenza, essendo, al contrario, il rapporto di natura consensuale.

3.4. Con il quarto motivo si censura la mancanza e l'illogicità di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, in relazione delitto di cui al capo b). Ad avviso del ricorrente, una valutazione globale del fatto avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale al riconoscimento dell'attenuante in esame.

3.5. Con il quinto motivo si eccepisce la violazione dell'art. 61 c.p., n. 11, che, nella specie, non sarebbe configurabile, difettando la condotta di approfittamento del rapporto di subordinazione, come affermato da Cass., 18/02/1957, Li Vigni.

4. Il ricorso sottoscritto dall'avv. Ercole Ragozzini si articola cinque motivi.

4.1. Con i primi due motivi, esposti congiuntamente, si deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), d) ed e) in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 546 c.p.p., comma 1, lett. a). Assume il ricorrente che la Corte territoriale non solo avrebbe omesso di effettuare un rigoroso controllo in ordine all'attendibilità di E.V., costituitasi parte civile e avendo denunciato il fatto dopo oltre tre mesi, ma nemmeno avrebbe considerato le dichiarazioni rese dai genitori di costei, favorevoli all'imputato, riportate per stralcio nel corpo del ricorso (p. 6-7), dalle quali emergerebbe un rapporto consensuale. Inoltre non varrebbero, quali elementi di riscontro, nè le dichiarazioni testimoniali, essendo tutte de relato, nè il certificato medico, considerando che la persona offesa si è recata al pronto soccorso dopo oltre tre mesi e che detto certificato è stato redatto sulla base di quanto riferito dalla donna, la quale ha perciò voluto precostituirsi una prova.

Quanto poi al fatto relativo alla D.S., evidenzia il ricorrente che si sarebbe trattato di un rapporto orale consensuale e, in ogni caso, le relazioni sanitarie in atti non sarebbero prove scientifiche di riscontro, perchè redatte unicamente sulla base delle dichiarazioni delle persone offese, così come il contenuto delle telefonate intercorse tra le persone offese sarebbe stato da costoro concordato per precostituirsi un elemento di riscontro, ciò che integrerebbe il vizio di circolarità della prova.

4.2. Con il terzo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'escussione del teste L.L., il quale, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, sarebbe un teste chiave perchè vide l'imputato e la giovane subito dopo l'accaduto conversare tranquillamente, e della teste A.E., la quale assistette a un litigio tra l'imputato e E.V., durante il quale la donna minacciò pesantemente il suo datore di lavoro.

4.3. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 609-bis c.p., comma 3, avendo erroneamente la Corte territoriale escluso l'ipotesi della minore gravità, poichè, nel caso in esame, anche dando per vera la versione della vittima, il grado di coartazione fu minimo, tanto che dopo il fatto la persona offesa tornò al posto di lavoro.

4.4. Con il quinto motivo si censura la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all'art. 62-bis c.p.. Evidenzia il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe omesso un concreto giudizio sulla personalità dell'imputato - il quale è incensurato e privo di carichi pendenti e ha tenuto un corretto comportamento processuale -, e senza tener contro degli stati emotivi e passionali, ciò che avrebbe giustificato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

 

Diritto


1. I ricorsi sono inammissibili perchè ripropongono censure per larga parte fattuali e che, con motivazione esente da errori di diritto e da illogicità manifeste, sono state disattese dai giudici di merito con doppia valutazione conforme, in relazione alla quale il ricorrente omette un effettivo confronto critico.

2. I primi due motivi di entrambi i ricorsi, esaminabili congiuntamente perchè diretti ad attaccare il giudizio di attendibilità delle persone offese, sono manifestamente infondati.

3. In premessa, vale osservare che si è in presenza di una "doppia conforme" statuizione di responsabilità, il che limita i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all'impossibilità per la Cassazione di procedere a una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l'ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del "travisamento della prova", a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano. Non è questo però il caso: il ricorrente, infatti, non lamenta che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma pretende una diversa lettura dei dati probatori, laddove censura l'attendibilità delle persone offese, che, invece, come si dirà, è stata oggetto di attento vaglio in entrambi i gradi di giudizio con motivazione giuridicamente corretta e immune da vizi logici e, dunque, incensurabile in questa sede.

4. Va poi ricordato che il giudizio di cassazione non rappresenta un terzo grado del giudizio di merito, essendo il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione circoscritto alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando invece preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte, in forza del quale l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074). Il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene perciò nè alla ricostruzione dei fatti, nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).

5. Occorre ricordare, sempre in premessa, l'orientamento, ormai consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità, concernente i criteri di valutazione della testimonianza della persona offesa nella materia dei reati sessuali.

In argomento, questa Corte ha ripetutamente affermato che la deposizione della persona offesa si configura, nel vigente ordinamento processuale, come "prova piena", come tale non necessitante di alcun elemento di riscontro. Tuttavia, proprio in ragione del particolare regime che caratterizza lo statuto dichiarativo della vittima di reati sessuali, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre ribadito la necessità di riservare una spiccata attenzione, da parte del giudice, ai racconti della persona offesa, vagliandone scrupolosamente la credibilità soggettiva e l'attendibilità del narrato, in specie quando vi sia stata la costituzione di parte civile e, dunque, l'astratta possibilità di uno specifico interesse al riconoscimento della responsabilità dell'imputato (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, dep. 27/10/2015, Manzini, Rv. 265104; Sez. 5, n. 1666 del 8/07/2014, dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730; Sez. Un., n. 41461 del 19/07/2012, dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214).

La valutazione in ordine all'attendibilità della persona offesa dal reato è, perciò, una questione di fatto, la quale ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015 - dep. 19/02/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 - dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

6. Va precisato, infine, che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 - dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 - dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615), situazione ravvisabile nel caso in esame, tanto più che il compendio probatorio è stato valutato dal Tribunale con particolare acribia e puntiglio, avendo dato conto in maniera dettagliata e minuziosa delle prove orali assunte nel corso dell'istruttoria dibattimentale (p. 4-34 della sentenza di primo grado).

7. Consegue a tali premesse la manifesta infondatezza delle censure mosse, largamente fattuali, al ragionamento probatorio svolto dalla sentenza impugnata, che è esente da manifeste contraddizioni che ne inficino la tenuta logica.

8. La Corte territoriale, in primo luogo, ha ribadito l'attendibilità delle due persone offese, le cui dichiarazioni peraltro si corroborano vicendevolmente, escludendo la tesi del complotto, trovando le deposizioni delle due vittime ampio e solido riscontro nei certificati medici, nelle registrazioni e nei messaggi acquisisti e nella deposizioni di altri testimoni (in particolare, la Dott.ssa C., i genitori della E., M.C., V.A. nonchè A.T. e Ar.Sa., queste ultime pure dipendenti dell'imputato).

9. Quanto alla deposizione di E.V., la Corte territoriale ne ha ribadito la piena attendibilità, confutando le censure mosse dall'imputato.

La Corte territoriale, difatti, ha osservato che: 1) la dinamica della violenza subita non è affatto indice di inattendibilità, in quanto la donna ha dichiarato di aver urlato ma di non essere riuscita a divincolarsi perchè l'imputato le si era messo sopra, e, quindi, poichè la giovane indossava una tuta, non fu difficile per l' E. denudarla; la Corte ha inoltre evidenziato come la violenza sia stata consumata al primo piano, e quindi le grida della vittima ben potevano non essere state udite al piano sottostante; 2) come riferito dalla psicoterapeuta Dott.ssa C., la E., come anche la D.S., presentava i tratti tipici della vittima di abuso sessuale, diagnosi confermata dalla Dott.ssa Am. e, a tal proposito, sia i genitori della E. che i testi M. e Vo. quanto alla D.S. hanno riferito che il tono dell'umore delle due giovani si era profondamente modificato nei giorni immediatamente successivi alle violenze subite; 3) diversamente da quanto opinato dal ricorrente, non corrisponde al vero che la E. non abbia manifestato sintomi fisici di malessere dopo l'accaduto, in quanto il padre, E.A., aveva notato il cambiamento di umore della figlia, che vedeva alla mattina piangere da sola nel letto senza un motivo apparente; 4) le registrazioni della conversazione tra la E. e la D.S. non erano funzionali alla precostituzione di una prova ma al superamento del muro di omertà e alla ostinata volontà della D.S. di non denunciare i fatti di cui era stata vittima, desumendo una conferma della genuinità del contenuto di dette registrazioni dai ripetuti tentativi della E. di far parlare l'amica delle violenze subite; 5) il ritardo nello sporgere querela, peraltro nemmeno particolarmente significativo, è logicamente spiegabile con la paura delle due persone offese di essere licenziate, e considerando la situazione personale e famigliare delle vittime, entrambe giovanissime e bisognose di lavorare; ciò - in uno con il senso di vergogna e di frustrazione - spiega anche perchè, quanto alla E., costei non disse nulla ai genitori, i quali erano convinti che l'imputato fosse una persona "gentilissima", tanto che la madre della E. preparò una pietanza, in occasione della Pasqua, da far recapitare all'imputato medesimo, ciò che la ragazza fece proprio per non insospettire i genitori; 6) la versione delle persone offese trova riscontro nella deposizioni delle dipendenti A.T., Am.Sa. e P.S., le quali hanno dichiarato di aver subito molestie sessuali dall' E. con modalità del tutto identiche rispetto a quelle riferite delle persone offese, ossia la richiesta di messaggi e quindi la convocazione al piano superiore dove vi erano gli uffici, luogo in cui erano stati commessi gli abusi; 7) la deposizione della teste P., "braccio destro" dell'imputato anche al momento della testimonianza, laddove costei aveva riferito che la E. avesse avuto particolari attenzioni nei confronti del datore di lavoro era generica e, in ogni caso, non tale da inficiare il robusto compendio probatorio.

9. Relativamente alla testimonianza di D.S.A., oltre alle argomentazioni, sopra evidenziate, riferibili ad entrambe le persone offese, la Corte territoriale ha evidenziato come le confidenze della persona offesa alla teste M. abbiano preceduto la volontà della ragazza di denunciare i fatti, tanto che la teste ha riferito, come si è detto, di aver personalmente contestato il cambiamento del tono dell'umore della D.S. subito dopo il fatto.

10. La motivazione in ordine all'attendibilità delle persone offese, pertanto, appare adeguata, congrua e conforme al diritto e alla logica, sicchè supera il vaglio di legittimità.

11. Il terzo motivo del ricorso dell'avv. Mario D'Alessandro è manifestamente infondato.

11.1. Questa Corte di legittimità, con orientamento mai sconfessato, ha sempre affermato che, in tema di violenza sessuale, l'elemento oggettivo, oltre a consistere nella violenza fisica in senso stretto o nell'intimidazione psicologica in grado di provocare la coazione della vittima, si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all'insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso (Sez. 3, n. 46170 del 18/07/2014 - dep. 10/11/2014, 3, Rv. 26098501), così ponendola nell'impossibilità di difendersi (Sez. 3, n. 27273 del 15/06/2010 - dep. 14/07/2010, M., Rv. 24793201).

Coerentemente con questa ricostruzione, si è ravvisato il delitto di violenza sessuale nel caso di compimento di atti idonei a superare la volontà contraria della persona offesa, soprattutto se la condotta criminosa si esplica in un contesto ambientale tale da vanificare ogni possibile reazione della vittima (Sez. 3, n. 40443 del 28/11/2006 - dep. 12/12/2006, Zannelli, Rv. 235579).

11.2. I giudici di merito si sono attenuti a tali principi, evidenziando come la Di Stefano, convocata dall'imputato nel proprio ufficio, fu colta di sorpresa, essendo stata afferrata alla spalla e quindi costretta a praticare un rapporto orale, ciò che integra il delitto in questione.

12. Il quarto motivo del ricorso dell'avv. Mario D'Alessandro - a cui corrisponde il quarto motivo del ricorso dell'avv. Ercole Ragozzini - è manifestamente infondato.

12.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all'art. 609-bis c.p., u.c., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 4, n. 16122 del 12/10/2016 - dep. 30/03/2017, L., Rv. 269600; Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015 - dep. 22/02/2016, D., Rv. 266272; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/2015 - dep. 25/05/2015, K., Rv. 263821). Compete perciò al giudice di merito, con valutazione che si sottrae al sindacato di legittimità se logicamente motivata, determinare quale sia il grado di compressione del bene giuridico, comparando tra di loro gli elementi negativi e positivi presenti nel singolo caso concreto.

12.2. Nella vicenda in esame, i giudici di merito hanno escluso, con motivazione immune da vizi giuridici e logici, la sussistenza dei presupposti integranti l'invocata attenuante, valorizzando, quale elemento ostativo, l'intenso grado di coercizione esercitato dall'imputato, nella veste di datore di lavoro, sulle vittime, entrambi giovani lavoratrici, di poco maggiorenni e assunte "in nero", e quindi sfruttando sia la loro giovane età, sia lo stato di bisogno in cui esse versavano, in quanto entrambe speravano di veder presto regolarizzata la propria posizione lavorativa, per commettere abusi particolarmente invasivi della sfera sessuale delle vittime.

13. Il quarto motivo del ricorso dell'avv. Mario D'Alessandro è manifestamente infondato.

13.1. Giova ricordare che agli effetti dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11, la relazione di prestazione d'opera corrisponde ad un concetto più ampio di quello di locazione d'opera a norma della legge civile e comprende ogni specie di attività, materiale ed intellettuale, che abbia dato luogo a quell'affidamento nel corso del quale si è verificata la condotta criminosa (da ultimo, cfr. Sez. 2, n. 39396 del 30/05/2019 - dep. 26/09/2019, Scarnera, Rv. 27704802).

L'abuso di relazioni di prestazioni d'opera, infatti, è configurabile in presenza di rapporti giuridici, anche soltanto fondati sulla fiducia, che a qualunque titolo comportino un vero e proprio obbligo di facere. (ex multis, cfr. Sez. 2, n. 13775 del 30/01/2019 - dep. 29/03/2019, Greco, Rv. 27606002; Sez. 2, n. 25912 del 02/03/2018 - dep. 07/06/2018, Ortolani, Rv. 27280601;; Sez. 2, n. 6350 del 14/11/2014 - dep. 13/02/2015, P.O. in proc. Martelli, Rv. 26256301), non rilevando la sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza, o di un rapporto diretto e formale intercorrente tra l'autore del fatto e la persona offesa, ma essendo sufficiente che il soggetto agente abbia tratto illecito vantaggio da un rapporto d'opera. abusando della posizione che ne derivava (Sez. 5, n. 634 del 06/12/2017 - dep. 10/01/2018, Zunino, Rv. 27192901).

13.2. Nel caso in esame, la Corte territoriale, attenendosi ai principi ora richiamati, ha correttamente ravvisato l'abuso di prestazione d'opera derivante dal rapporto di lavoro, avendo l'imputato convocato presso il suo ufficio le giovani dipendenti al solo scopo di creare le condizioni per commettere gli abusi sessuali, approfittando del timore reverenziale ingenerato nelle vittime, che ha pregiudicato, come è successo, la pronta reazione delle vittime medesime.

14. Il terzo motivo del ricorso dell'avv. Ercole Ragozzini è manifestamente infondato.

14.1. La rinnovazione del giudizio in appello è istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (per tutti, cfr. Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996 - dep. 15/03/1996, Panigoni ed altri, Rv. 203974; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266820). Si è inoltre chiarito che solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (art. 603 c.p.p., comma 2), la mancata assunzione può costituire violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), mentre, negli altri casi previsti (art. 603, commi 1 e 3), il vizio deducibile in sede di legittimità è quello attinente alla motivazione previsto dal medesimo art. 606, lett. e) (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006 - dep. 06/02/2007, Bartalini, Rv. 235654; Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008 - dep. 04/09/2008, De Carlo, Rv. 240995). Va, infine, ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si cilimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014 - dep. 14/01/2015, PR, Rv. 261799; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013 - dep. 14/01/2014, Cozzetto, Rv. 258236).

14.2. Nel caso in esame, premesso che, diversamente da quando dedotto dal ricorrente, la richiesta di rinnovazione di istruttoria dibattimentale riguardava il solo teste L., come emerge dall'atto di appello, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi ora indicati, evidenziando come la nuova escussione del teste indicato dalla difesa, secondo cui l'imputato nella mattinata del 20/07/2017 si era recato a Frosinone non potrebbe modificare l'esito del processo, è del tutto ininfluente, considerando che il fatto in danno alla D.S. è occorso alle ore 12.30.

15. Il quinto motivo dei ricorso dell'avv. Ercole Ragozzini è manifestamente infondato.

15.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (ex multis, cfr. Sez. 5, n, 43952 del 13/04/2017 - dep. 22/09/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016 - dep. 29/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014 - dep. 03/07/2014, Lule, Rv. 259899). Si è, inoltre, precisato che, la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull'accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell'imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 - dep. 09/03/2016, Piliero, Rv. 266460).

Invero, il riconoscimento delle attenuanti generiche non può risolversi in un indiscriminato potere, da parte del giudice, di mitigazione della pena, a cui corrisponde un preteso "diritto" dell'imputato di vedersi riconosciute dette attenuanti sempre e comunque, ma deve fondarsi sulla sussistenza di precisi elementi fattuali, che, sebbene non espressamente considerati dal legislatore, possano giustificare, nel singolo caso concreto, il contenimento della pena.

15.2. Ciò posto, i giudici di merito per un verso, hanno correttamente individuato, quale elemento ostativo, la negativa personalità dell'imputato, il quale si è rivelato particolarmente scaltro nell'abusare sessualmente delle sue giovani dipendenti, e, per altro un verso, non hanno ravvisato alcun elemento positivamente valutabile a tal proposito, stante l'assenza di condotte riparatorie e di elementi da cui desumere una qualche forma di resipiscenza da parte dell'imputato.

16. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

L'imputato deve essere altresì condannato alla refusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili, con pagamento in favore dello Stato, spese da liquidarsi dalla Corte di appello, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza del 26/013/2019, secondo cui nel giudizio di legittimità spetta alla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., alla condanna generica dell'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammesso al patrocinio a spese.dello Stato, mentre spetta al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese processuali sostenute nel grado dalle parti civili, di cui dispone il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2020