Cassazione Penale, Sez. 3, 24 settembre 2020, n. 26583 - Caduta da un impalcato durante i lavori di realizzazione di un ascensore. Responsabilità del datore di lavoro e del CSE


 

Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: CORBETTA STEFANO
Data Udienza: 23/07/2020
 

Fatto

 

1. Giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte, Sez. 4, con sentenza n. 43852 del 19 luglio 2018, dep. il 3 ottobre 2018, la quale, in accoglimento del ricorso per saltum promosso dal pubblico ministero, aveva annullato la sentenza assolutoria, con la formula "perché il fatto non sussiste", pronunciata dal Tribunale di Firenze in data 8 settembre 2017, con l'impugnata decisione la Corte di appello di Firenze condannava A.B. e G.T. alla pena di otto mesi di reclusione ciascuno, previo riconoscimento ad entrambi delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, in relazione al delitto di cui all'art. 590, commi 2 e 3, cod. pen., per aver per colpa, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, causato all'operaio P.P. - caduto da un impalcato di un'altezza di metri 2,60 - un trauma cranico con falda ematica extra durale, in sede temporale anteriore destra, da cui derivavano lesioni gravissime con pericolo concreto di vita, con una malattia guarita in 240 giorni, l'indebolimento permanente del gusto e dell'olfatto e delle funzioni psichiche. In Firenze il 18 febbraio 2013.
In particolare, le imputazioni sono così articolate: A.B., legale rappresentante della Giglio Ascensori s.r .l. , titolare della ditta appaltatrice, in violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro e, in particolare, omettendo di verificare la congruità del POS, di scambiare le informazioni in merito alla sicurezza con la ditta subappaltatrice, (titolare G.B., per il quale si è proceduto con rito alternativo), faceva si che P.P., svolgesse la propria attività lavorativa, salendo su un impalcato privo del sostegno strutturale di sicurezza, dunque instabile e incompleto oltre che privo di sottoponte, così che il lavoratore cadeva dall'impalcato e si procurava le lesioni gravissime sopra descritte (capo A); G.T., coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione dell'opera, omettendo di prevedere nel PSC che al momento del montaggio del ballatoio per lo sbarco dell'ascensore vi sarebbe stata un'interferenza tra l'impalcato e la barra ad L di sostegno del ballatoio, nonché di individuare modalità operative per la esecuzione sicura dei lavori in fase di montaggio dell'opera ed inoltre omettendo un efficace e preventivo controllo tra le ditte operanti nel cantiere (non risultano incontri di coordinamento tra le ditte e solo richiami generici sul rischio di caduta dall'alto), faceva sì che il P.P. effettuasse la propria attività su un impalcato privo di sostegno strutturale, instabile perché senza la struttura di sostegno, tolta dal personale di un'altra ditta, la Com.As. s.n.c., che aveva operato nella fase precedente, e, dunque, incompleto e privo di sottoponte, così che il lavoratore cadeva dall'impalcato, procurandosi le lesioni gravissime sopra descritte (capo B).

2. Avverso l'indicata sentenza, gli imputati, tramite rispettivi difensori di fiducia, propongono ricorso per cassazione.

3. Il ricorso promosso da A.B. è affidato a cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in ordine alla negata qualificazione come "abnorme" della manomissione dell'impalcato di sicurezza posta in essere dagli ascensoristi M. e C.. Assume il ricorrente che la Corte territoriale, nel ritenere che la condotta tenuta dagli ascensoristi della Comp.As. s.n.c. non abbia oltrepassato le mansioni loro affidate, avrebbe omesso di considerare prove ritenute decisive, quali la deposizione di T.P., riportata per stralcio nel ricorso, secondo cui gli ascensoristi avrebbero dovuto interrompere l'attività lavorativa e segnalare la manomissione del ponteggio al datore di lavoro e al coordinatore in fase di esecuzione, e il contenuto del P.O.S. della Comp.As. s.n.c., che vietava una manovra del genere. Aggiunge il ricorrente che, come già ritenuto dal Tribunale, il ponteggio era stato costruito a regola d'arte dalla ditta di L.S. e non presentava alcuna criticità, di talché il rischio di caduta dall'alto dei lavoratori era stato governato in modo appropriato, a conferma che la manomissione del ponteggio fu una manovra priva di ogni ragionevolezza, come ammesso dal teste M., la cui deposizione viene riportata per stralcio nel ricorso. La Corte territoriale, inoltre, avrebbe confuso l'impalcato con il ballatoio, né corrisponderebbe a verità la circostanza che vi sia stata alcuna interferenza tra il ponteggio e la porta dell'ascensore.
3.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza delle violazioni degli obblighi di coordinamento addebitati al A.B.. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che la presenza di più ditte nel cantiere fosse una "complicazione", non considerando che si trattava di imprese altamente specializzate, le quali lavoravano insieme da molti anni, e che, in ogni caso, il rischio di interferenza dell'attività di più datori di lavoro era stato adeguatamente governato mediante la predisposizione di un P.S.C. e di un P.O.S. fra loro perfettamente coordinati. Aggiunge il ricorrente che l'alternanza tra la Comp.As. s.n.c. e la Giglio Ascensori s.r.l. non era affatto rischiosa, poiché quest'ultima impresa doveva semplicemente completare l'impianto, montando le parti elettriche dell'ascensore e occupandosi della sua finitura. D'altronde, il A.B., non possedendo informazioni diverse, poteva legittimamente fare affidamento sul fatto che l'impalcato fosse completo e rispondente ai requisiti di sicurezza, posto che i dipendenti dalle Comp.As. s.n.c. non erano autorizzati a intervenire su di esso, e non essendo egli obbligato ad ispezionare quotidianamente il cantiere, né a neutralizzare occulti sabotaggi. Osserva ancora il ricorrente che l'assenza del sottoponte era comunque legittima, né aveva diminuito la sicurezza del cantiere, in quanto la distanza tra l'impalcato e il pianerottolo era inferiore a quella di 2,50 metri prevista nel P.S.C. Aggiunge il ricorrente che il flusso informativo tra la Giglio Ascensori s.r.l. e la Comp.As. s.n.c. era sempre stato ottimale e, in ogni caso, quand'anche avesse conferito con i responsabilità della Comp.As. s.n.c., il A.B. non sarebbe venuto a conoscenza della rimozione del tubo innocenti perché nemmeno i dirigenti dell'altra società ne erano al corrente, come emerge dalla deposizione del teste C., pure riportata per stralcio nel ricorso. Ciò confermerebbe la ricostruzione, già operata dal Tribunale, secondo cui il sinistro è stato una conseguenza di una serie causale autonoma.
3.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in ordine alle criticità del sistema di sicurezza. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe considerato che il sistema di sicurezza predisposto dalla Giglio Ascensori s.r.l. era ottimamente organizzato e di collaudata affidabilità, e, comunque, non presentava alcuna criticità.
3.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in ordine alla possibilità per il A.B. la manomissione dell'impalcato realizzata dagli ascensoristi dalla Comp.As. s.n.c. Ad avviso del ricorrente, l'assenza del tubo innocenti era impossibile da vedersi a causa del riposizionamento delle tavole in legno dell'impalcato effettuato dagli ascensoristi della Comp.As. s.n.c. subito dopo l'installazione del ballatoio, ciò non essendo smentito dalla deposizione del teste T.P., il quale giunse in cantiere mezz'ora dopo il sinistro, quando lo stato dei luoghi era stato radicalmente modificato. Pertanto, quand'anche il A.B. il giorno del sinistro si fosse recato in cantiere, egli non avrebbe potuto accorgersi dell'avvenuta rimozione del tubo a sostegno dell'impalcato, con la conseguenza che l'infortunio non sarebbe stato comunque impedito, ciò che esclude il nesso causale tra la condotta omissiva ascritta al A.B. e il verificarsi dell'evento.
3.5. Con il quinto motivo si censura la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante ex art. 62 n. 6 cod. pen. Il ricorrente censura la sentenza impugnata, laddove ha escluso la sussistenza dei presupposti integranti la circostanza in esame, in quanto dal verbale dell'udienza celebrata davanti al Tribunale il 15 luglio 2016 emerge che il difensore del A.B. consegnò al P.P. un assegno di 25.000 euro a titolo di risarcimento del danno patito.
4. Il ricorso promosso da G.T. si articola in due motivi, esposti congiuntamente, con cui deduce il travisamento della prova e il vizio di motivazione con riferimento al principio secondo cui al coordinato per la progettazione e l'esecuzione spetta un compito di "alta vigilanza".
Assume il ricorrente che, secondo quanto accertato dal Tribunale, l'infortunio si verificò a causa di un'autonoma valutazione degli ascensoristi M. e C., in violazione di un'espressa clausola contrattuale; aggiunge il ricorrente che, sulla base delle deposizioni testimoniali riportate per stralcio nel ricorso (in particolare, quelle rese da L., C. e V.), il G.T. fosse sempre presente in cantiere e avesse individuato tutti i rischi verificabili e, quindi, avesse correttamente adempiuto agli obblighi connessi alla sua posizione di garanzia, essendo per il G.T. impossibile ipotizzare e percepire quel "trabocchetto" perché nascosto dalle tavole che apparivano regolarmente posizionate a copertura dell'impalcato. Ad avviso del ricorrente, la motivazione sarebbe poi apodittica in quanto non indica né le criticità presenti nel sistema di sicurezza, né la condotta omissiva ascrivibile al G.T.; si ribadisce l'assenza del nesso causale, in quanto le condotte degli ascensoristi furono tenute in violazione del sistema di prevenzione e, in ogni caso, non vennero comunicate a chicchessia. Il ricorrente, ancora, contesta l'affermazione della Corte territoriale secondo cui l'infortunio si verificò in "una fase critica, costituita dal succedersi degli eventi fra società diversa", in quanto i lavori erano pressoché ultimati, dovendosi solamente montare una pulsantiera; si osserva inoltre che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il P.P. cadde da un'altezza inferiore a 2,50 metri, e, quindi, non era affatto necessario montare il sottoponte. Infine, la Corte d'appello avrebbe travisato, sotto un ulteriore profilo, il compendio probatorio, laddove ha valorizzato la deposizione del teste T.P. per affermare che l'assenza del montante fosse visibile, in quanto, dopo la caduta, le tavole erano crollate. Ove avesse correttamente valutato le prova, la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere "eccentrica" la condotta degli operai della Comp.As. s.n.c. e, come tale, idonea ad escludere il nesso causale.
 



Diritto



1. Per una migliore comprensione, va ricapitolato l'iter processuale della vicenda, che può essere così ricostruito sulla base di quanto accertato dalla sentenza rescindente.

2. Con sentenza dell'8 settembre 2017 il Tribunale di Firenze, in funzione monocratica, assolveva gli imputati dai reati loro rispettivamente ascritti perché il fatto non sussiste.
Secondo la ricostruzione operata dal Tribunale, S.M., committente, aveva incaricato la ditta Giglio Ascensori, di cui è legale rappresentante A.B., di realizzare un ascensore presso l'abitazione del proprio palazzo in Firenze. La ditta Giglio, installatrice di ascensori, aveva subappaltato alla Comp.As. s.n.c. i lavori di incastellatura del ballatoio e dei vetri dell'ascensore e alla ditta L.S. l'incarico di installare l'impalcatura; ogni ditta aveva un Piano Operativo di Sicurezza (di seguito, POS) e la redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento (d'ora in avanti PSC) era affidata a G.T..
Il cantiere implicava l'intervento coordinato di tre ditte. L'impalcato di sicurezza fu realizzato a regola d'arte dalla ditta L.; in particolare quello dell'ultimo piano era senza spazi ed aperture e le assi di legno erano bloccate con tubi innocenti e agganciate con vitoni; dopo l'ultimazione dell'impalcatura la ditta Comp.As. aveva proceduto a montare la torre e i vetri; per la mansarda posta all'ultimo piano si era realizzato un apposito ballatoio per consentire l'accesso tra la porta dell'ascensore e la porta di ingresso dell'abitazione.
Il giorno dell'incidente A.B., per realizzare l'installazione delle cabine e dell'impianto elettrico dell'ascensore, aveva inviato sul cantiere gli operai P.P. e B..
P.P. era salito sulla piattaforma dell'ascensore e, arrivato all'ultimo piano, si era accorto che la porta dell'ascensore non chiudeva; era uscito dall'ascensore, aveva attraversato il ballatoio e camminato sull'impalcatura e, quindi, era caduto rovinosamente fino al pianerottolo del secondo piano.
Il tecnico Asl prevenzione di Firenze, intervenuto sul posto dell'incidente, riferiva di aver notato subito l'assenza di un montante che, invece, avrebbe dovuto essere regolarmente fissato, e che erano assenti anche i sottoponti previsti nel PSC. L'istruttoria dibattimentale aveva evidenziato che gli operai della Comp.AS. snc, C. e T., il 13 e il 14 febbraio 2013 avevano montato il ballatoio del terzo piano, che doveva servire a collegare l'uscita dell'ascensore e la mansarda; a causa di alcune difficoltà incontrate nel montaggio, avevano dovuto smontare il tubo innocenti che fissava l'impalcatura, spostando le tavole, e, finito il lavoro, non avevano provveduto a ripristinare il tubo innocenti ed a rifissare l'impalcatura: era stata una loro autonoma determinazione di cui, si afferma in sentenza, non avevano informato nessuno.
La sentenza argomenta, sulla base delle acquisizioni testimoniali, che il G.T. aveva seguito con assiduità il cantiere effettuando l'ultimo controllo proprio il 13 febbraio 2013, cinque giorni prima dell'incidente e prima dell'intervento degli operai che avevano montato il ballatoio. Risulta che anche A.B. aveva eseguito l'ultimo controllo in cantiere proprio il 13 febbraio 2013 e che non era stato informato dello smontaggio da parte degli operai della Comp.as. s.n.c. dei tubi innocenti che tenevano in sicurezza l'impalcatura.

4. Il giudice di primo grado, alla luce di questa ricostruzione in fatto, ravvisava nel comportamento negligente e gravemente colposo degli operai della ditta Comp.As. snc - che avevano provveduto allo smontaggio del tubo innocenti e avevano omesso di segnalare al proprio datore di lavoro le condizioni di pericolo e, comunque, le modifiche apportate di loro iniziativa ai dispositivi di sicurezza dell'impalcatura -, una condotta di per sé valutata come idonea a generare da sola l'infortunio del P.P., interrompendo il nesso causale con riferimento alle posizioni di garanzia facenti capo ai datori di lavoro e al coordinatore per la sicurezza.

5. In accoglimento del ricorso per saltum promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, la Corte di Cassazione, Sez. 4, con sentenza n. 43852 del 19 luglio 2018, dep. il 3 ottobre 2018, annullava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Firenze per il giudizio.

6. In primo luogo, la Corte di cassazione ha affermato che "la interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente dei lavoratori, valutato dal Tribunale nella sentenza impugnata, quale causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, non risponde ai principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 25409) per i quali va considerata interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore che si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è 'interruttivo' non perché 'eccezionale' ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez. 4 n. 15124 del 13.12.2016, Rv. 269603)".
Nel caso in esame, il Tribunale di Firenze non aveva fatto corretta e coerente applicazione dei principi giuridici sopra esposti, "poiché ha ritenuto (fol. 10) che il comportamento degli operai della Comp.As. snc, che nella fase di montaggio del ballatoio hanno smontato i tubi di sostegno dell'impalcato di sicurezza, peraltro già privo di sottopalco, ha interrotto il nesso di causalità con l'evento lesivo e ha omesso di considerare nella individuazione del determinismo causale le condotte omissive delle doverose misure di prevenzione, facenti capo al coordinatore per la sicurezza e al A.B., datore di lavoro dell'operaio che ha subito l'infortunio e che stava svolgendo l'attività lavorativa nell'ultima fase di installazione e funzionamento dell'ascensore. Ciò nonostante una puntuale ricostruzione dei fatti che ha accertato, tra l'altro, come l'ultimo controllo al cantiere da parte del G.T. e del A.B. sia stato effettuato il 13 febbraio 2013, cinque giorni prima dell'incidente e che nessuna verifica risulti effettuata in concomitanza del 18 febbraio 2013, quando gli operai P.P. e B.. sono stati inviati, senza alcuna previa informazione sulle aree di rischio, per lo svolgimento dell'attività finale di installazione della cabine e del circuito".

7. In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha affermato che la sentenza impugnata non aveva fatto corretta applicazione dei principi che presiedono il sistema di sicurezza aziendale delineato dal d.lgs. n. 81 del 2008.
In particolare, la Corte ha affermato che, in materia di responsabilità colposa, il committente di lavori dati in appalto ha il dovere di "adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza scegliere l'appaltatore e più in genere il soggetto al quale affida l'incarico, accertando che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa. Egli ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744).
Viene anche ricordato che nei cantieri temporanei o mobili in cui sia prevista la presenza (anche se non contemporanea) di più imprese esecutrici, il committente, nella fase preliminare di progettazione dell'opera, deve nominare il coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera (CSP) o coordinatore per la progettazione di cui all'art. 89, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 81 del 2008, figura investita dell'obbligo di predisporre il PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento), costituito da una relazione tecnica e da dettagliate prescrizioni correlate alla complessità dell'opera da realizzare oltre che alle eventuali fasi critiche del processo attuativo; prescrizioni idonee a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (art. 91, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 81 del 2008), fondamentale per la corretta gestione prevenzionale e antinfortunistica di tutte le fasi lavorative, dato che i POS, Piani Operativi di Sicurezza, ne sono piani complementari di dettaglio (art. 92, comma 1 lett. b, d.lgs. n. 81 del 2008). Il CSE (coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera art. 90, comma 4, d.lgs. n. 81 del 2008), è chiamato a verificare scrupolosamente l'idoneità del POS di ciascuna impresa, sia in rapporto al PSC che in rapporto ai lavori di eseguirsi, potendo sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. (Sez. 4 n. 10334 del 25.01.2018, Rv. 272239; Sez. 4 n. 14167, del 12.03.2015, Rv. 263150).
I datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici (art. 96, comma 1, lett. g) d.lgs. n. 81 del 2008) redigono il POS Piano Operativo di Sicurezza (art. 89, comma 1, lett. h, d.lgs. n. 81 del 2008), che, come già detto, si pone come piano integrativo e specifico del PSC. In altri termini, ciascuna impresa che collabori o sia presente (anche non contestualmente), come nel caso di specie, nel cantiere temporaneo o mobile, deve studiare le modalità di esecuzione del suo segmento di lavoro, prevedendo le aree di pericolo per la salute dei lavoratori, e dando precise disposizioni per evitare in modo assoluto qualsiasi infortunio, rispetto al quale la posizione di garanzia permane a carico di ciascun datore di lavoro, mediante la cooperazione nella prevenzione dei rischi generici derivanti dall'interferenza tra le diverse attività, rispetto ai quali la posizione di garanzia si estende a tutti i datori di lavoro ai quali siano riferibili le plurime attività coinvolte nel processo causale da cui ha tratto origine l'infortunio; il tutto mediante l'adeguato coordinamento, onde prevenire i rischi interferenziali, realizzato attraverso la figura del C.S.E. In particolare il coordinatore per la sicurezza ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica (datori di lavoro, dirigenti, preposti), a lui essendo attribuiti i compiti di realizzazione del piano prevenzionistico tendente proprio a regolare il rischio interferenziale, anche in relazione al susseguirsi di lavorazioni affidate ad imprese che non operino contemporaneamente. E' chiaro che al coordinatore per l'esecuzione spettano compiti di "alta vigilanza", che attengono alla generale configurazione delle lavorazioni e, quindi, non la puntuale e stringente vigilanza momento per momento, demandata alle figure operative (da ultimo Sez. 4 10544 del 25.01.2018, rv 272240; sez. 4 45853 del 13.09.2017, Lamberti e altri), ma il controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e consolidamento, nonchè la verifica della scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori.
Il P.S.C. (Piano di Sicurezza e Coordinamento), secondo quanto previsto dall'art. 92, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 81 del 2008, realizza una funzione fondamentale per la corretta gestione prevenzionale e antinfortunistica di tutte le fasi lavorative, dato che i singoli POS, Piani Operativi di Sicurezza, sono piani complementari di dettaglio (art. 92, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 81 del 2008).
La Corte ha ribadito che il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, oltre a controllare i POS, deve verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti, contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro (cfr. ex multis Sez. 4, n. 27165 del 24/5/2016, Rv. 267735).
Il C.S.E. deve inoltre segnalare al committente, previa contestazione scritta all'impresa o ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni antinfortunistiche; e, nei casi di pericolo grave ed imminente, sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate. Di indubbio rilievo è la puntualizzazione che il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma va svolto in concreto, secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni; essenziale è che alla previsione della cautela segua un'attività di verifica della sua attuazione, della quale devono darsi cura le imprese esecutrici".

8. Il Tribunale aveva disatteso i principi ora richiamati: pur avendo "individuato le figure operative che, essendo prossime al posto di lavoro, avevano poteri-doveri di intervento e assumevano perciò la posizione di garanzia nella prevenzione del rischio di infortunio derivante anche dall'interferenza tra le diverse attività, non ne aveva tratto le necessarie conseguenze in punto di responsabilità, in relazione alle plurime attività omissive poste in essere da A.B. e dal G.T., coinvolti nel processo causale da cui ha tratto origine l'infortunio.
In particolare per quanto riguarda il A.B., titolare della Ditta Giglio, "il Giudice di merito non ha attribuito l'adeguata incidenza causale alla omessa verifica, nella fase di lavorazione di sua competenza, ove peraltro si è verificato l'infortunio, e che era finalizzata alla istallazione delle cabine e dell'impianto elettrico dell'ascensore, della rispondenza dell'impalcato alle norme di sicurezza antinfortunistiche".

Per quanto riguarda il G.T., coordinatore per l'esecuzione, "il Tribunale ha interpretato in maniera errata il concetto di 'alta vigilanza', come una sorta di contrazione della posizione di garanzia, non valorizzando adeguatamente in maniera logica e coerente l'incidenza causale delle omissioni dell'attività di controllo e coordinamento che doveva essere effettuata nei momenti topici delle lavorazioni, individuabili in particolare nel passaggio tra una fase e l'altra dell'opera, in cui era necessario predisporre e verificare tutte le attività idonee ad assicurare la rispettosa e completa attuazione dei piani operativi di sicurezza attraverso la mediazione dei datori esecutori; tutto ciò in palese violazione di quanto previsto nel PSC, che individuava le seguenti misure proprio per l'ultima fase: 'una volta approntato la spazio necessario con le protezioni prospicienti il vuoto, ancora in opera, la ditta Giglio provvederà al montaggio della struttura e dei componenti di completamento della piattaforma ... ogni impalcato di lavoro costituito da tavole di legno di adeguato spessore poggianti sui traversi metallici della struttura dovrà avere un sottoponte a distanza non superiore a 2,50 m; sarà dato spazio all'informazione degli addetti ai lavori tramite riunioni di cantiere'. Ciò nonostante una puntuale ricostruzione dei fatti che ha accertato, tra l'altro, come l'ultimo controllo al cantiere da parte del G.T. e del A.B. sia stato effettuato il 13 febbraio 2013, cinque giorni prima dell'incidente e che nessuna verifica è stata invece effettuata in concomitanza del 18 febbraio 2013, quando gli operai P.P. e B. sono stati inviati, senza alcuna previa informazione sulle aree di rischio, per lo svolgimento dell'attività finale di installazione della cabine e del circuito".

9. La Corte di appello ha affermato la penale responsabilità degli imputati, individuando i seguenti profili di colpa: a carico di A.B., l'aver omesso il controllo che l'impalcato fosse corrispondente alle norme antinfortunistiche e l'aver omesso di coordinarsi con l'impresa che aveva eseguito l'intervento precedente; a carico del G.T., il non aver previsto, nel piano di sicurezza e di coordinamento, che, nel momento in cui sarebbe stato montato il ballatoio, l'impalcato avrebbe dovuto essere necessariamente smontato, almeno in parte, e privato degli elementi strutturali per consentire l'esecuzione dell'intervento sull'ascensore, e l'aver omesso di esercitare un effettivo controllo nel momento di passaggio dei lavori da una società all'altra, non compiendo quell'attività di coordinamento necessaria a prevenire ogni rischio per la sicurezza.

10. Prima di affrontare il merito, si impongono alcune considerazioni comuni ad entrambi i ricorsi.

10. In primo luogo è del tutto errato il ripetuto riferimento, da parte dei ricorrenti, alle valutazioni espresse dal Tribunale in relazione alla spiegazione del sinistro per l'assorbente ragione che la sentenza rescindente ha cassato, sul punto, la sentenza di primo grado, censurandone gli errori di diritto sopra indicati ai paragrafi 6 e 8.

11. In secondo luogo, si rammenta che il giudizio di cassazione non rappresenta un terzo grado del giudizio di merito, come sembrano adombrare i ricorrenti, laddove evidenziano asseriti travisamenti dalla prova - all'uopo inserendo, nel corso del ricorso, taluni spezzoni, in maniera parziale e arbitraria, di deposizioni testimoniali assunte nel giudizio di primo grado (p. 3, 6, 13, 16-17 del ricorso A.B. e p. 5, 6, 8, 13-14 del ricorso G.T.) - attraverso i quali, a ben vedere, si pretende una diversa lettura dei dati probatori.
Punto fermo è che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando invece preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
L'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
Il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene perciò né alla ricostruzione dei fatti, né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento {Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760). Questa conclusione, peraltro, non muta a fronte del vigente testo dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., come modificato dalla I. 20 febbraio 2006 n. 46, la quale non ha trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione e non del fatto; nel giudizio di cassazione, pertanto, non si può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti, ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Del pari, il ricorrente non può limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, ma deve indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta. Al riguardo, l'aver introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere a una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione.

12. Dopo questa lunga ma necessaria premessa, risulta evidente l'inammissibilità di entrambi i ricorsi.

13. Quanto all'esclusiva riconducibilità dell'infortunio alla malaccorta condotta degli ascensoristi di Comp.As. s.n.c., dedotta da entrambi i ricorrenti (primo motivo del ricorso A.B.), è sufficiente richiamare quanto già affermato dalla sentenza rescindente, laddove ha censurato le conclusioni a cui era pervenuto il Tribunale e a cui si sono appellati i ricorrenti; in particolare, la Cassazione ha ritenuto errato quanto ritenuto dal primo giudice, ossia che "il comportamento degli operai della Comp.As. snc, che nella fase di montaggio del ballatoio hanno smontato i tubi di sostegno dell'impalcato di sicurezza, peraltro già privo di sottopalco, ha interrotto il nesso di causalità con l'evento lesivo e ha omesso di considerare nella individuazione del determinismo causale le condotte omissive delle doverose misure di prevenzione, facenti capo al coordinatore per la sicurezza e al A.B., datore di lavoro dell'operaio che ha subito l'infortunio e che stava svolgendo l'attività lavorativa nell'ultima fase di installazione e funzionamento dell'ascensore".

14. Manifestamente infondati sono il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso nell'interesse di A.B., esaminabili congiuntamente perché strettamente connessi.

15. Nel solco tracciato dalla sentenza rescindente - secondo cui il Tribunale, relativamente alla posizione del A.B., "non ha attribuito l'adeguata incidenza causale alla omessa verifica, nella fase di lavorazione di sua competenza, ove peraltro si è verificato l'infortunio, e che era finalizzata alla istallazione delle cabine e dell'impianto elettrico dell'ascensore, della rispondenza dell'impalcato alle norme di sicurezza antinfortunistiche" - la Corte d'appello ha ritenuto, nei confronti del A.B., nella sua veste di datore di lavoro alla cui dipendenze prestava servizio il P.P., due distinti profili di colpa.

16. In primo luogo, la Corte territoriale ha ravvisato l'omesso colposo accertamento che l'impalcato fosse rispondente alla norme antinfortunistiche; e ciò perché, per un verso, sul cantiere erano intervenuti operai di una società diversa (e poco importa che con tale società vi fosse una consuetudine pregressa di lavoro, ciò che non esimeva delle verifiche di cui appresso), e, per altro verso, perché dall'ultimo intervento erano trascorsi cinque giorni, nel corso dei quali il cantiere era rimasto comunque incustodito.
In ogni caso, la Corte d'appello ha osservato, in maniera non manifestamente illogica, che il giorno della ripresa dei lavori, in cui si verificò l'incidente, non venne espletato alcun controllo in ordine alla stabilità dell'impalcato, tanto più doveroso in quanto non era stato montato il sottoponte, perché le distanze tra i piani non lo consentivano; e proprio la mancata realizzazione del sottoponte avrebbe imposto una preventiva e accurata verifica delle condizioni di sicurezza dell'impalcato, ciò che avrebbe consentito di rilevare la rimozione del tubo innocenti, indipendentemente dal fatto che essa fosse o meno visibile.

17. In secondo luogo, la Corte territoriale ha individuato, quale ulteriore profilo di colpa, la mancanza di coordinamento con la ditta che aveva eseguito l'intervento precedente, caratterizzato dalla carenza informativa in ordine al tipo e alla modalità dell'intervento.
In particolare, nella fase del passaggio di consegne dei lavori tra una ditta e l'altra, correttamente definita "delicata" proprio perché si sarebbe dovuto accertare in cosa fosse consistita l'attività posta in essere dalla Comp.As. s.n.c., si sarebbe reso necessario non solo acquisire informazioni, appunto, in ordine all'attività espletata dagli ascensoristi, ma effettuare un sopralluogo per verificare le condizioni di sicurezza dell'impalcato, che, come anticipato, avrebbe fatto emergere la rimozione del tubo innocenti. Il che non è avvenuto, in aperta violazione, come ritenuto nella sentenza rescindente, "di quanto previsto nel PSC, che individuava le seguenti misure proprio per l'ultima fase: 'una volta approntato la spazio necessario con le protezioni prospicienti il vuoto, ancora in opera, la ditta Giglio provvederà al montaggio della struttura e dei componenti di completamento della piattaforma ... ogni impalcato di lavoro costituito da tavole di legno di adeguato spessore poggianti sui traversi metallici della struttura dovrà avere un sottoponte a distanza non superiore a 2,50 m; sarà dato spazio all'informazione degli addetti ai lavori tramite riunioni di cantiere"'.

18. In conclusione, quanto ai profili di responsabilità colposa, la motivazione merita conferma, avendo la Corte territoriale correttamente applicato i principi affermati dalla sentenza rescindente.

19. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Invero, il riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 6 cod. pen. presuppone l'intervenuto integrale risarcimento del danno patito dal danneggiato entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Nel caso in esame, non vi è prova che il danno sia stato integralmente risarcito, come si desume proprio dal ricorso, laddove, nel riportare il contenuto del verbale dell'udienza del 15 luglio 2016, afferma che, a fronte dell'offerta banco iudicis di un assegno di 25.000 euro, "la p.c. accetta l'offerta in conto del maggior avere tenendo conto del buon fine dell'assegno". E' perciò evidente che, quand'anche l'assegno fosse andato a buon fine - circostanza peraltro che non emerge dagli atti - in ogni caso la somma sia stata accettata dal P.P. a titolo di acconto sul maggiore danno, a dimostrazione che non vi è prova che il risarcimento sia stato integrale, come ritenuto dalla Corte territoriale, laddove ha evidenziato di non avere elementi per valutare la congruità dell'offerta.

20. Il ricorso promosso nell'interesse di G.T. è manifestamente infondato.

21. Oltre alle considerazioni sopra svolte, comuni al ricorso proposto nell'interesse di A.B., si osserva che la Corte d'appello, anche in tal caso, si è uniformata, con logica motivazione, ai dieta della sentenza rescindente, la quale aveva affidato alla Corte territoriale il compito di valutare le "omissioni dell'attività di controllo e coordinamento che doveva essere effettuata nei momenti topici delle lavorazioni, individuabili in particolare nel passaggio tra una fase e l'altra dell'opera, in cui era necessario predisporre e verificare tutte le attività idonee ad assicurare la rispettosa e completa attuazione dei piani operativi di sicurezza attraverso la mediazione dei datori esecutori".

21. Orbene, la Corte d'appello ha individuato due profili di colpa a carico del ricorrente.
21.1. In primo luogo ha addebitato al G.T. il fatto di non aver previsto, nel PSC, che, nel momento in cui veniva montato il ballatoio, l'impalcato di lavoro avrebbe dovuto necessariamente essere smontato, almeno in parte, e privato di elementi strutturali per consentire l'esecuzione dell'intervento sull'ascensore. La Corte ha osservato che l'omessa individuazione di tali operazioni e dei rischi ad essa connessi ha comportato la mancata predisposizione di modalità operative per l'esecuzione in sicurezza di tale fase di esecuzione dell'opera.
Si tratta di una conclusione coerente con le emergenze istruttorie ed immune da vizi logici, in relazione alla quale il ricorrente omette di confrontarsi.
21.2. In secondo luogo, la Corte d'appello ha ravvisato, in capo all'imputato, il mancato esercizio della doverosa attività di controllo e di coordinamento nel momento di passaggio dei lavori da un'impresa all'altra: una fase, come si è detto, particolarmente delicata perché comportava un rischio interferenziale, stante la compresenza, anche non contemporanea, di più imprese, ciò che richiedeva azioni di cooperazione, di controllo e coordinamento che, nel caso di specie, sono del tutto mancate.
Anche in tal caso, le censure mosse del ricorrente sono fattuali e, quindi, non consentite in sede di legittimità.

22. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 23/07/2020.