• Amianto

Responsabilità del legale rappresentante di una spa per dodici omicidi colposi relativi ad altrettante morti di lavoratori avvenute per causa di malattia professionale da esposizione all'amianto (asbestosi).

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.

"Le sentenze di merito hanno ritenuto lo St. in relazione ai tempi della sua carica di amministratore delegato e poi di componente del consiglio di amministrazione, in relazione ai poteri effettivamente a lui conferiti secondo una serie di atti scrupolosamente catalogati e commentati dal giudice di primo grado responsabile di colpa omissiva, per non avere vigilato sull'andamento generale della gestione di impresa e per non aver dato adempimento alle obbligazioni di garanzia della salute e della integrita' dei lavoratori che secondo legge (a partire dalla norma generale di chiusura di cui all'articolo 2087 c.c. e a finire con le altre norme specifiche menzionate in rubrica) gravavano su di lui, in quelle obbligazioni comprese le obbligazioni di sicurezza, la obbligazione di apprestare risorse economiche per la bonifica, la obbligazione di allontanamento degli ammalati dalla fonte morbigena, le obbligazioni di informazione sul carattere dannoso della specifica organizzazione del lavoro adottata come scelta strategica di impresa, infine la obbligazione residuale di fornire presidi personali adeguati alla protezione dei singoli lavoratori, (pg 61/70 sentenza di primo grado; pg 7/8 della sentenza di appello)."


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - rel. Consigliere

Dott. IACOPINO Silvana G. - Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA/ORDINANZA


sul ricorso proposto da:

1) ST. DI. , N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 425/2005 CORTE APPELLO di BARI, del 22/09/2005;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/05/2009 la relazione falla dal Consigliere Dott. GAETANINO ZECCA;

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

I difensori delle parti civili Ri. Gr. , Lo. Ca. , Lo. Sa. , e Lo. Ma. nonche' il Comune di Bari in persona del suo legale rappresentante hanno domandato l'accoglimento delle depositate conclusioni con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da esse parti secondo il dettaglio delle depositate notule.

L'Avvocato Preziosi Stefano in sostituzione dell'Avvocato Castellaneta Gaetano ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto


La Corte di Appello di Bari con sentenza pronunziata il 22/9/2005 ha confermato la sentenza di condanna pronunziata dal Tribunale di Bari il 26/10/2004 per dodici omicidi colposi relativi ad altrettante morti di lavoratori avvenute per causa di malattia professionale da esposizione all'amianto (asbestosi) e avvenute tra il (OMESSO).

Nel corso del giudizio di primo grado e' stata anche pronunziata sentenza di non doversi procedere nei confronti di altro imputato, Cu.Gi. , per estinzione, a causa di morte, del reato a lui addebitato.

L'imputato St. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di appello ora menzionata e ne ha domandato l'annullamento per piu' profili.

All'udienza del 14/5/2009 il ricorso e' stato deciso con il compimento degli incombenti stabiliti dal codice di rito.

Diritto


All'imputato era stata contestata sia una colpa generica nelle forme della imprudenza, imperizia e negligenza, sia una colpa specifica radicata nella violazione di norme stabilite a tutela della salute dei lavoratori tutte analiticamente indicate in rubrica.
L'Imputato era stato chiamato, nella sua qualita' di rappresentante legale di Ce. It. Fi. s.p.a., a rispondere di diverse condotte omissive che sono state contestate con l'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 3 (colpa con previsione) e 589 c.p., comma 2.

La sentenza confermata aveva irrogato la pena di anni due e mesi sei di reclusione unificati i reati nel vincolo della continuazione e considerate le concesse attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e, infine, aveva applicato la sospensione condizionale della pena ex articolo 163 c.p., comma 3.

La sentenza di primo grado, che in forza della conferma di appello finisce col costituire un unico compendio motivazionale con la sentenza di appello, ricostruisce la storia industriale e la storia dell'organizzazione del lavoro dello stabilimento Fi. di (OMESSO).

Compiuta e' l'analisi dei passaggi di proprieta' dal (OMESSO) dello stabilimento di Sa. s.p.a. poi incorporata dal 1/1/1972 da Ce. It. Fi. s.p.a., poi trasformata in Fi. fi. s.p.a e cedente dello stabilimento che ne occupa a Fi. sud srl.
Successivamente lo stabilimento in questione era ceduto a Fi. srl e poi nel 1996 fusa per incorporazione in Fi. Fi. spa.
Compiuta e' la catalogazione delle lavorazioni e dei metodi di lavorazione nel corso dei decenni, delle vicende giudiziarie gia' occorse, della ricchissima quantita' di dati raccolti nel corso di interventi disposti, anche per ordine della autorita' giudiziaria, nelle diverse occasioni, della evoluzione in aggravamento fino al 100% della inabilita' da asbestosi riconosciuta dall'Inail ai lavoratori in questione fino all'attestazione della loro morte.
Prima di procedere alla valutazione dei motivi di ricorso per cassazione, questa Corte deve sottolineare che la sentenza impugnata ha rilevato la intervenuta acquiescenza, dell'imputato allora appellante ai punti della decisione di primo grado che avevano stabilito essere stata la morte dei dodici lavoratori dipendenti Fi. considerati nel presente procedimento, causata dalla asbestosi contratta in occasione e a causa delle prestazioni di lavoro rese nello stabilimento barese, con prolungata inalazione di fibre di amianto per quantita' sensibilmente superiori ai limiti di sicurezza. Eguale acquiescenza la sentenza di appello accerta rispetto ai punti della decisione che hanno ravvisato un rapporto di causalita' tra l'omissione di cautele adeguate nello svolgimento della attivita' produttiva e l'insorgenza della malattia professionale con il successivo aggravamento fino all'esito fatale.
Tanto esclude la necessita' di verificare la motivazione in ordine agli accertamenti della dannosita' delle lavorazioni manuali a secco lungamente svolte in fabbrica con la esposizione diretta delle persone alle polveri del minerale prodotte da lavorazioni organizzate senza alcuna efficace cautela e senza segregazione alcuna delle fonti di danno alla salute.
La sentenza di primo grado confermata da quella di appello oggi impugnata ha operato sul punto una notevole ricostruzione documentale, medico legale e storica fondata su atti giudiziari di lontani procedimenti, testimonianze, elaborati peritali, reperti fotografici soffermandosi (alle pgg da 5 a 46) sulla organizzazione del lavoro nei diversi tempi, nei diversi reparti e nelle diverse lavorazioni; sul grado di esposizione, sulla assenza di prevenzione e di presidi di tutela della salute; sulla specifica esposizione di ciascuno dei dodici lavoratori, protratta per essi anche dopo l'accertamento diagnostico della insorgenza della malattia asbestosica in 141 lavoratori, 24 dei quali morti per asbestosi; sulla vicenda degli intervenuti riconoscimenti di inabilita' Inail e sulla evoluzione degli aggravamenti, sul rapporto di causalita' certa tra esposizione, malattia dose-correlata e morte (quantomeno accelerata dalla esposizione anche successiva al determinarsi della malattia).

Il ricorrente denunzia:

1) violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione all'articolo 125 c.p.p., comma 3, per difetto di motivazione;

2) violazione degli articoli 40, 42 e 43 c.p., nonche' delle norme in materia antinfortunistica di cui al Regio Decreto 14 aprile 1927, n. 530, articolo 17; articolo 2087 c.c.; Legge 12 aprile 1943, n. 455, articolo 5, articolo 4, lettera a) b), c), d e Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, articolo 21; Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articoli 377 e 378; Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, articoli 157 e 176 particolarmente ribadito per la violazione dell'articolo 40 c.p. con riguardo all'articolo 27 Cost..

3) erronea applicazione dell'articolo 61 c.p., comma 1, n. 3.

Osserva questa Corte che il ricorso e' totalmente infondato e deve essere rigettato. Nel caso concreto si rileva:

Il primo motivo si affida alla allegazione in fatto che lo St. , al di la' della qualifica "meramente formale" di amministratore delegato della societa' proprietaria dello stabilimento, non abbia mai fatto parte dello staff dirigenziale dello stabilimento di (OMESSO) nel quale ebbero a prodursi le malattie e infine le morti di dodici lavoratori (per quanto rileva in questo processo) e sia stato invece direttore dello stabilimento di (OMESSO) della stessa societa'.

Secondo lo specifico motivo di censura, le deposizioni testimoniali, indicate e sintetizzate, avrebbero dimostrato la estraneita' dello St. ad ogni scelta e ad ogni direttiva relative allo stabilimento barese. Per un verso il giudice di legittimita' non puo' essere chiamato ad una terza valutazione di merito del processo, per altro verso la censura proposta si risolve in una questione gia' sollevata nel merito e ritenuta infondata con motivazione adeguata, logica e sostenuta da corretti postulati aderenti ai principi di diritto esattamente commisurati alle accertate situazioni di fatto alle quali dare regolazione.

Le sentenze di merito hanno ritenuto lo St. in relazione ai tempi della sua carica di amministratore delegato e poi di componente del consiglio di amministrazione, in relazione ai poteri effettivamente a lui conferiti secondo una serie di atti scrupolosamente catalogati e commentati dal giudice di primo grado responsabile di colpa omissiva, per non avere vigilato sull'andamento generale della gestione di impresa e per non aver dato adempimento alle obbligazioni di garanzia della salute e della integrita' dei lavoratori che secondo legge (a partire dalla norma generale di chiusura di cui all'articolo 2087 c.c. e a finire con le altre norme specifiche menzionate in rubrica) gravavano su di lui, in quelle obbligazioni comprese le obbligazioni di sicurezza, la obbligazione di apprestare risorse economiche per la bonifica, la obbligazione di allontanamento degli ammalati dalla fonte morbigena, le obbligazioni di informazione sul carattere dannoso della specifica organizzazione del lavoro adottata come scelta strategica di impresa, infine la obbligazione residuale di fornire presidi personali adeguati alla protezione dei singoli lavoratori, (pg 61/70 sentenza di primo grado; pg 7/8 della sentenza di appello).

Il protestato difetto di poteri specifici in ordine alla gestione dello stabilimento Fi. di (OMESSO) e' giuridicamente privo di significato a fronte della considerazione dell'insieme di obbligazioni di garanzia gravanti sull'amministratore delegato (ma anche su un consigliere di consiglio di amministrazione) in forza di legge e in forza della assunzione sociale di responsabilita' generali quali accertate, dopo compiuta analisi di atti sociali, dalle sentenze di merito.

Gli argomenti fin qui spesi per il rigetto del primo motivo sono idonei a determinare anche il rigetto del secondo motivo di censura.

Si deve pero' aggiungere che le sentenze impugnate non hanno verificato la fondatezza di addebiti mossi in relazione ad una posizione meramente formale dello St. o in relazione ad una sorta responsabilita' oggettiva, ma hanno individuato precise colpe personali e hanno dato conto delle fonti di legge e delle fonti di regolazione concreta della vita sociale di Fi. che a quelle responsabilita' personali danno fondamento. Sulla consapevolezza dello St. degli eventi mortali e delle cause di quegli eventi si deve anzitutto rammentare la sottolineatura delle sentenze di merito dedicata al diretto e personale coinvolgimento dello St. , per causa dei suoi poteri, ad attivita' processuali internet a controversie giudiziali in tema di salute, o in tema di licenziamenti collegati alla materia della salute, insorte tra i lavoratori di (OMESSO) e la societa'. Ma si deve conclusivamente rammentare che anche l'assenza e il silenzio del massimo responsabile della societa' su temi come quello della malattia e della morte di tanti lavoratori dipendenti sono stati posti a base della responsabilita' per colpa rispetto alla quale non costituisce utile scudo l'opporre inconsapevolezze consustanziali alle omissioni, costitutive, proprio in quanto tali, della struttura del delitto colposo contestato. Il non sapere di chi ha obbligo di sapere (in funzione dell'adeguato provvedere (sentenza di appello pg 9) e' fattore costitutivo della colpa omissiva contestata.

La censura relativa alla violazione dell'articolo 163 c.p.p., comma 3 non e' argomentata ma solo enunciata e dunque deve essere rigettata per la sua genericita' che non consente al giudice di legittimita' di individuare gli ambiti entro i quali ex articolo 609 c.p.p., deve essere esercitato il suo specifico controllo.

Gli argomenti spesi in ordine alla ritenuta continuazione tra delitti colposi, al giudizio di bilanciamento delle circostanze e al trattamento sanzionatorio non colgono nel segno e non possono essere considerati idonee e specifiche censure perche' sono formulati in accumulazione contro lo specifico dettato dell'articolo 581 c.p.p., lettera c), perche' ignorano la motivazione ampia spesa su quegli argomenti sia dalla sentenza di appello sia dalla sentenza di primo grado con riguardo al tipo di colpa accertato (colpa con previsione), con riguardo alla previsione di cui all'articolo 81 c.p., comma 2 al di fuori della ipotesi di cui all'articolo 589 c.p., comma 4, al protrarsi per tempo lunghissimo della condotta omissiva contestata, e al giudizio di congruita' della pena, formulato all'esito di una valutazione di equita' della quale sono individuati i parametri di fatto utilizzati.

Il ricorso deve essere rigettato con ogni conseguenza per le spese.

Il ricorrente deve altresi' essere condannato alla rifusione delle spese di questo grado del giudizio in favore delle parti civili costituite e le liquida in euro 3290,00 oltre accessori come per legge in favore di Ri. Gr. , Lo. Ve. Ca. , Lo. Sa. , e Lo. Ma. nonche' di euro 3892,00 oltre accessori come per legge in favore del Comune di Bari in persona del suo legale rappresentante. Restano ferme le statuizioni civili della sentenza impugnata.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Condanna altresi' il ricorrente al pagamento delle spese di questo grado del giudizio in favore delle parti civili costituite e le liquida in euro 3290,00 oltre accessori come per legge in favore di Ri. Gr. , Lo. Ca. , Lo. Sa. , e Lo. Ma. nonche' di euro 3892,00 oltre accessori come per legge in favore del Comune di Bari in persona del suo legale rappresentante.

Restano ferme le statuizioni civili della sentenza impugnata.