Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 7, 30 novembre 2020, n. 33688 - Violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno


 

Presidente: MANCUSO LUIGI FABRIZIO AUGUSTO Relatore: CAPPUCCIO DANIELE
Data Udienza: 10/09/2020
 

FattoDiritto



1. Con ordinanza del 28 maggio 2019 la Corte di appello di Napoli ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello proposto da Z.L. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Nola, il 3 ottobre 2017, lo ha condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed applicazione della disciplina sulla continuazione, alla pena, condizionalmente sospesa, di otto mesi e dieci giorni di reclusione e 5.900 euro di multa perché responsabile di alcune violazioni della normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e per avere occupato alle proprie dipendenze tre operatori stranieri privi del permesso di soggiorno.

2. Z.L. propone, con il ministero dell'avv. Elisabetta Montano, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione della legge processuale per avere la Corte di appello illegittimamente ritenuto la genericità delle doglianze articolate con l'atto di impugnazione avverso la decisione di primo grado.
3. Il ricorso è inammissibile perché fondato su motivo manifestamente infondato.
Risulta dal combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lett. d), e 591, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che l'impugnazione è inammissibile - patologia della quale il giudice preposto al suo vaglio può dare atto con ordinanza - quando non contiene l'enunciazione specifica dei motivi, con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
La giurisprudenza di legittimità, nell'enucleare l'ambito applicativo dell'istituto, ha precisato, tra l'altro, che «È inammissibile l'appello che non indichi con chiarezza e precisione gli elementi fondanti le censure dedotte» (Sez. 6, n. 39247 del 12/07/2013, Tartaglione, Rv. 257434), fermo restando l'onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811).
Ha, inoltre, statuito, che «Il tasso di specificità necessario per l'atto di appello, che esclude l'inammissibilità ex artt. 581 e 591 cod. proc. pen., va valutato raffrontando le specifiche censure articolate nell'impugnazione, con la consistenza delle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 37737 del 18/06/2014, Bacci, Rv. 259907). Nel caso in esame, la Corte di appello ha ritenuto che l'appellante - a fronte della analitica indicazione, da parte del giudice di primo grado, delle riscontrate violazioni della normativa antinfortunistica, del numero (tre, su un totale di dieci) e dell'identità dei lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, dell'ottemperanza alle formulate prescrizioni e dell'omesso versamento della somma fissata a titolo di oblazione - si è limitato ad obiettare che, ove fosse stato verificato che l'azienda da lui gestita è a conduzione familiare e quale fosse il totale dei dipendenti impiegati, sarebbe stato possibile accertare l'esonero dagli adempimenti non effettuati.
La Corte di appello ha avuto, quindi, buon gioco nel rilevare la carenza di specificità del motivo, vertente su allegazioni del tutto indimostrate (la natura familiare dell'impresa) ovvero smentite dalla motivazione della sentenza impugnata (il numero complessivo dei dipendenti) e, comunque, del tutto inidonee a contraddire l'impianto accusatorio.
Analogamente, la richiesta di mitigazione del trattamento sanzionatorio, avanzata con il secondo motivo di appello, è stata ritenuta aspecifica perché incentrata su un dato di fatto, l'avvenuta eliminazione di una parte delle irregolarità, già espressamente considerato dal Tribunale all'atto dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche e della commisurazione della pena.
La Corte di appello si è, pertanto, determinata a dichiarare l'inammissibilità dell'appello in forza di un apparato argomentativo ossequioso del dettato normativo e conforme a canoni di coerenza logica, che non è minimamente scalfito da quanto dedotto nel ricorso, ove, con proposizione di assoluta e tangibile genericità, si evocano, ancora una volta, deroghe alla soggezione alla normativa antinfortunistica delle quali il compendio probatorio non reca traccia di sorta nonché, a supporto della richiesta di riduzione di pena, la parziale ottemperanza dell'imputato alle prescrizioni della quale il Tribunale ha tenuto debitamente conto.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
 


P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/09/2020.