Consiglio di Stato, Sez. 4, 30 novembre 2020, n. 7560 - Esposizione all’uranio impoverito dei militari in missione all’estero




N. 07560/2020REG.PROV.COLL. N. 01951/2019 REG.RIC.
 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente
 

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 1951 del 2019, proposto dal Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro

il sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Renato Chiesa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale conseguito a missione militare all’estero.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS- e l’annesso ricorso incidentale; Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’istanza di passaggio in decisione senza discussione, depositata dal Ministero della difesa in data 5 ottobre 2020;
Vista l’istanza di passaggio in decisione senza discussione, depositata dal sig. - OMISSIS- in data 13 ottobre 2020;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020, in cui nessuno è comparso, il Cons. Luca Lamberti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 



FattoDiritto



1. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.a.r. per il Veneto ha accolto, “nei sensi e nei limiti di cui in motivazione”, il ricorso dell’odierno resistente, capitano dell’Esercito Italiano in congedo dal 1 aprile 2000, teso ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all’infermità “-OMISSIS-”, diagnosticata nel 2008.
1.1. L’odierno resistente aveva sostenuto che tale patologia fosse derivata, tra l’altro, dalla sua partecipazione ad alcune missioni all’estero (in particolare in Somalia dal 28 agosto 1993 al 31 ottobre 1993 ed in Bosnia dal 20 maggio 1999 al 2 dicembre 1999), nel corso delle quali sarebbe stato esposto al contatto con sostanze contaminanti altamente tossiche, fra le quali l’uranio impoverito (”Depleted Uranium”, di seguito DU), le nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dall’esplosione di materiale bellico (“N.P.”) e il benzene.
1.2. La fondatezza della pretesa risarcitoria sarebbe stata indirettamente confermata sia dal riconoscimento amministrativo della dipendenza della patologia -OMISSIS- da causa di servizio, sia dall’attribuzione della qualità di “vittima del dovere”, con i conseguenti benefici economici.
2. Il T.a.r., previa CTU affidata ad un dirigente medico dell’INAIL, ha così deciso:
- ha pregiudizialmente respinto l’eccezione di incompetenza territoriale formulata dal Ministero, giacché “il criterio di individuazione del Tribunale competente sulla base della <<sede di servizio>> ex art. 13, comma 2, c.p.a. non può operare allorché si sia già realizzata, come nel caso di specie, la cessazione dal rapporto di servizio”;
- ha parimenti respinto l’eccezione ministeriale di prescrizione, “ dal momento che la richiesta di integrale risarcimento del danno azionata con l’odierno ricorso fa valere una responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., pacificamente assoggettata al termine decennale di prescrizione”;
- nel merito, ha dichiarato la sussistenza di un nesso causale fra l’esposizione al DU e la neoplasia;
- ha riconosciuto un grado di invalidità (30%) superiore a quello individuato dalla C.M.O. (20%), ma inferiore a quello (41%) chiesto dal ricorrente;
- ha liquidato il conseguente danno non patrimoniale secondo le Tabelle di Milano per l’anno 2014, previa compensatio lucri cum damno;
- ha posto le spese di lite, liquidate in € 2.000,00 oltre accessori, a carico del resistente Ministero.

3. Il Ministero ha interposto appello, con cui:

- in rito, ha riproposto l’eccezione di incompetenza territoriale;

- nel merito, ha criticato l’affermazione del T.a.r. circa la sussistenza del nesso di causalità, che, fra l’altro, non potrebbe essere tratta dal pregresso riconoscimento amministrativo della dipendenza della neoplasia da causa di servizio, essendo questo un istituto indennitario e non risarcitorio; di converso, da un lato “non risulta comprovato l’utilizzo di U.I. in Somalia”, dall’altro il Ministero “fino al dicembre 2000 non era a conoscenza dell’impiego di munizionamento all’U.I. in Bosnia”.
3.1. Il sig. -OMISSIS- si è costituito e, oltre a contestare i motivi di appello, ha svolto ricorso incidentale avverso la liquidazione delle spese di lite operata in suo favore dal T.a.r., in tesi troppo contenuta.
3.2. Il ricorso è stato introitato per la decisione alla pubblica udienza del 15 ottobre 2020.
4. Il ricorso in appello dell’Amministrazione non è fondato.
5. Quanto, in primis, alla questione della competenza territoriale, merita condivisione quanto affermato dal T.a.r.: invero, il criterio di cui all’art. 13, comma 2, c.p.a. presuppone l’attualità del rapporto di servizio, nella specie per tabulas già venuta meno all’atto del radicamento del giudizio di prime cure.
5.1. Deve, dunque, applicarsi (cfr. art. 13, comma 1, c.p.a.) l’ordinario criterio generale dell’estensione territoriale della res controversa, nel caso di specie limitata al Veneto, Regione di residenza del ricorrente all’epoca dell’introduzione del giudizio.
6. Con riferimento al merito, il Collegio prende le mosse da un’affermazione preliminare: allorché, su disposizione dei competenti Organi della Repubblica, invia uomini in missione all’estero, l’Amministrazione della difesa è giuridicamente tenuta:
- ad informarsi preventivamente della concreta ed effettiva situazione (militare, politica, sociale, sanitaria, ambientale) del contesto operativo;
- ad accertarsi della piena idoneità psico-fisica dei militari, adottando tutte le opportune profilassi;
- a fornire al personale tutti gli strumenti di protezione individuale ragionevolmente utili al fine di prevenire i possibili rischi, ivi inclusi quelli connotati da una bassa probabilità statistica.
6.1. Altrimenti detto, nell’ipotesi di missioni all’estero (cosiddette “ missioni di pace”) l’Amministrazione della difesa versa in una condizione di responsabilità lato sensu di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile - giuridicamente qualificabile alla stessa stregua del caso fortuito - ma in cui, viceversa, rientra il rischio da esposizione ad elementi che, benché non ancora scientificamente acclarati come sicuro fattore eziopatogenetico, ciononostante lo possano essere, secondo un giudizio di non implausibilità logico-razionale.
6.2. La diligentia cui è tenuta l’Amministrazione si situa dunque, in tali casi, ad un livello massimo.
6.3. Conducono a tale affermazione plurimi e convergenti rilievi.
7. È bene, in limine, precisare che è incontestato il dovere giuridico del militare di esporsi al pericolo, ciò che, anzi, ne marca la differenza ontologica rispetto al dipendente civile dello Stato e ne giustifica, da un lato, la sottoposizione ad un rigido vincolo gerarchico, dall’altro, l’acquisizione di uno speciale status positivamente normato (si veda il d.lgs. n. 66 del 2010).
7.1. Tuttavia, l’estensione di tale condizione di agere debere deve essere circoscritta e precisata.
7.2. Il militare, invero, ha il dovere giuridico di esporsi al pericolo:
- recato dalle forze nemiche o, comunque, da formazioni armate irregolari che intendano contrastare, anche con forme di guerra asimmetrica, le Forze Armate della Repubblica;
- riveniente dagli svariati rischi inevitabilmente connessi con l’uso, il maneggio e la conservazione del materiale bellico;
- intrinseco alle attività addestrative;
- conseguente all’ontologica insidia recata dalla permanenza fisica in contesti operativi instabili, in quanto, benché formalmente pacificati, siano ancora percorsi da forti elementi di frattura dell’ordinaria esistenza civile (ragion per cui vengono, appunto, inviati militari e non semplice personale civile).
7.3. Tale dovere, tuttavia, non può essere inteso come base per affermare che sul militare gravi ogni tipo di rischio comunque conseguente alla sua presenza fisica nel teatro di operazioni.
7.4. Al dovere del militare di esporsi al pericolo stricto sensu bellico, infatti, si contrappone lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere il cittadino- soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di pericoli non strettamente dipendenti da azioni belliche, in primis apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto.
7.5. In sostanza, nel caso delle missioni all’estero, il militare ha il dovere di esporsi al rischio bellico (sempre latente in tali contesti), ma l’Amministrazione ha il dovere di circoscrivere al massimo, in un’ottica di precauzione, i diversi ed ulteriori rischi concretamente prevedibili (in quanto non implausibili) ed oggettivamente prevenibili.
7.6. Mentre, dunque, il rischio bellico grava sul militare (salvo il caso di scuola di invio in battaglia con un armamento macroscopicamente inadeguato, sempre che altrimenti non si possa fare per le condizioni dell’apparato produttivo e logistico del Paese), il rischio non stricto sensu bellico, ove non implausibile, può e deve essere previsto, circoscritto e prevenuto, nei limiti del possibile, dall’Amministrazione.
8. Ciò premesso, non ha pregio la difesa dell’Amministrazione, secondo cui:
- ignorerebbe tuttora l’uso di munizionamento DU in Somalia;
- avrebbe appreso dell’utilizzo di munizionamento DU in Bosnia solo nel 2000, a seguito di espressa richiesta agli Alleati della NATO.
8.1. In disparte la considerazione secondo cui finché non si chiede, non si avranno risposte, il Collegio osserva che era onere (recte, dovere istituzionale) dell’Amministrazione, prima del materiale invio degli uomini in missione, accertarsi presso le parallele strutture della difesa degli Alleati della NATO, fra l’altro, circa il tipo di munizionamento utilizzato durante i pregressi eventi bellici, al fine di individuare l’equipaggiamento più opportuno e predisporre le migliori procedure per l’assolvimento della missione ordinata dalle massime Autorità dello Stato.
8.2. Non può, peraltro, sottacersi che, stante la pluridecennale partecipazione italiana alla NATO, alleanza organica ed integrata di carattere militare, è del tutto ragionevole presumere che i massimi vertici dell’Amministrazione della difesa ben conoscessero la tipologia di armamento anti-carro in dotazione agli Alleati, rappresentata appunto, fra l’altro, da proiettili DU.
9. Il Collegio, inoltre, rileva che il carattere doveroso dell’invio di uomini in loco, stanti le imperative deliberazioni degli Organi costituzionali della Repubblica, non elideva il conseguente e parallelo dovere dell’Amministrazione di individuare le più opportune modalità tecnico-operative per svolgere il compito affidato, affinché il pieno assolvimento della missione (valore di carattere prioritario, quale precipitato non solo del principio di efficacia dell’azione amministrativa, ma, prima ancora, del carattere “sacro” della difesa della Patria) non vulnerasse il diritto dei cittadini-soldati a non essere sottoposti a rischi diversi ed ulteriori rispetto a quelli che sono ex lege tenuti ad affrontare. Né, d’altra parte, risulta che l’Amministrazione della difesa abbia specificamente rappresentato al decisore politico i rischi di una missione non puntualmente preparata e, ciononostante, abbia ricevuto il preciso incarico di inviare senza alcun indugio gli uomini. Tale eccezionale circostanza, che potrebbe ipoteticamente rappresentare un caso di esenzione dalla responsabilità civile, a questo punto non più ascrivibile all’Amministrazione, non risulta tuttavia allegata né, tantomeno, documentata.
10. Si deve, invero, notare che l’Amministrazione della difesa, quale Ente datoriale, è sottoposta agli obblighi di protezione stabiliti dall’art. 2087 c.c., che impone a quanti ricorrano, nell’esercizio di attività imprenditoriale, ad energie lavorative di terzi di adottare, nell’esercizio di tali attività, “misure” idonee, secondo un criterio di precauzione e di prevenzione, a “tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
10.1. La disposizione, più in particolare, nello stabilire che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, enuclea un dovere di protezione che arricchisce ex lege (cfr. art. 1374 c.c.) il rapporto obbligatorio riveniente dal contratto di lavoro.
10.2. La disposizione – osserva il Collegio – non ha una portata solo settoriale ma, al contrario, delinea un principio generale di tutela del prestatore di lavoro che si proietta prismaticamente in tutto l’ordinamento: come tale, integra un referente normativo e valoriale di impatto sistemico e, pertanto, trova applicazione anche nel caso del rapporto di impiego o, comunque, di servizio fra il militare e l’Amministrazione della difesa.
11. La conclusione sopra esposta trova ulteriore conforto nell’art. 2050 c.c., il quale, pur se dettato in punto di responsabilità extra-contrattuale, ha anch’esso una potenzialità normativa espansiva, in quanto emersione settoriale di un principio generale: le conseguenze dannose delle attività pericolose gravano in capo a colui che le pone in essere, salva la prova dell’adozione di “tutte le misure idonee ad evitare il danno”.
12. Tali generali coordinate normative debbono essere calate nella specificità delle funzioni dell’Amministrazione della difesa, in particolare allorquando, in esecuzione di disposizioni delle massime Autorità dello Stato, deve inviare personale militare in teatri operativi esteri.
13. Orbene, giacché le “misure” che deve adottare il datore di lavoro militare, strutturalmente impegnato in “attività pericolose”, sono normativamente funzione anche della “particolarità del lavoro”, ne consegue che, nel caso di invio di militari all’estero, l’Amministrazione è tenuta, prima di procedere all’esecuzione materiale della missione, ad una rigorosa analisi delle condizioni del contesto ambientale, ad una puntuale enucleazione dei possibili fattori di rischio e, quindi, ad una conseguente individuazione delle “misure” tecnico-operative concretamente disponibili, ragionevolmente implementabili e potenzialmente idonee ad eliminare o, comunque, ad attenuare il più possibile i rischi non stricto sensu bellici connessi all’impiego di militari nel teatro de quo.
13.1. Ciò è tanto più vero allorché la missione debba svolgersi in contesti operativi interessati da previ eventi bellici, come tali connotati da una poliedrica, imponderabile e multifattoriale pericolosità.
13.2. In particolare, nell’ex Jugoslavia era stata condotta una campagna di bombardamenti con uso anche di munizionamento pesante, con conseguente presenza, inter alia, di un potenziale e non implausibile rischio chimico/radiologico da inalazione/ingestione umana di particelle finissime di metalli pesanti, rimaste sospese nell’aria a seguito di esplosioni di obiettivi attinti da proiettili DU.
13.3. Quanto alla Somalia, le apposite linee guida elaborate dalle Forze Armate statunitensi all’indomani dell’operazione ONU “Restore Hope” dimostrano, sia pure indirettamente, il verosimile uso di munizionamento DU anche nel teatro africano.
13.4. Tale condizione dei luoghi era, poi, particolarmente pericolosa per l’odierno resistente, che, a quanto consta, aveva svolto compiti operativi sul terreno rispettivamente quale Comandante di plotone (in Somalia) e Comandante di compagnia (in Bosnia), oltretutto nell’ambito di un’Unità scelta e di prima linea dell’Esercito, quale il 186^ Reggimento paracadutisti.
14. Del resto, non solo l’appellante Amministrazione non ha specificamente confutato le conclusioni raggiunte dal CTU nominato in prime cure, ma tali conclusioni sono indirettamente avvalorate sia dal riconoscimento amministrativo della dipendenza dell’infermità -OMISSIS- da causa di servizio, sia, prima ancora, dalle risultanze delle indagini nanodiagnostiche fatte svolgere dal resistente in data 26 gennaio 2009, che hanno riscontrato, in un campione del tessuto -OMISSIS-, “la presenza di una quantità veramente importante di corpi estranei”, costituiti da “detriti prevalentemente metallici” di forma sferica, “ chimicamente tossici e non biodegradabili”: tali “corpi estranei”, evidentemente di origine non fisiologica, possono aver innestato reazioni biologiche poi confluite nell’epilogo -OMISSIS-.
15. Oltretutto, è noto che i militari inviati in missione all’estero sono sottoposti ad un pesante protocollo di vaccinazioni, ciò che può con ogni ragionevolezza aver contribuito, insieme con il tipo di vita condotto in loco, ad indebolire le difese immunitarie.
16. Più in generale, inoltre, il Collegio osserva che, in tema di illecito civile, il nesso causale ha veste probabilistico-statistica (“più probabile che non”) e non richiede, dunque, quella certezza di contro propria dell’accertamento penale.
16.1. Tale strutturale carattere per così dire “attenuato” della prova richiesta in ordine all’elemento eziologico del danno civile è, se possibile, ancor più pregnante e giuridicamente necessario allorché:
- i danni lamentati afferiscano alla dimensione della tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore;
- questi svolga un servizio (la “ difesa della Patria”) di vitale importanza per la Repubblica (“sacro dovere del cittadino”, art. 52 Cost.);
- sia in gioco la preservazione della salute e della stessa vita del militare;
- siano concretamente disponibili e ragionevolmente implementabili mezzi di protezione individuale.
16.2. Quanto a quest’ultimo punto, l’Amministrazione della difesa non ha specificamente contestato quanto affermato ex adverso, circa il fatto che Forze Armate di Paesi Alleati avessero dotato il proprio personale operante in ex Jugoslavia di dispositivi di protezione individuale ed avessero, inoltre, predisposto specifiche procedure volte a minimizzare il rischio da esposizione ad agenti patogeni dispersi nell’ambiente, mediante, in particolare, puntuali indicazioni prescrittive circa le modalità d’uso di tali dispositivi.
16.3. Ciò rileva per due ordini di considerazioni:
- il ricorso a tali dispositivi di protezione ed a tali procedure indica che altri Alleati, coinvolti nella stessa missione, ritenevano concreto o, comunque, astrattamente possibile il rischio alla salute derivante dall’esposizione a residui di combustione di metalli pesanti;
- il ricorso a tali dispositivi ed a tali procedure poteva rappresentare, in una doverosa ottica precauzionale, un elemento di tutela per il personale inviato in missione all’estero, a fronte di un costo economico e di uno sforzo logistico oggettivamente relativi, rispetto a quelli necessari per l’apprestamento e lo svolgimento della missione.
16.4. Ciò è particolarmente evidente per chi, come l’odierno resistente, operava fisicamente sul terreno, nell’ambito di un Reparto di prima linea.
17. A conclusione di questo passaggio motivazionale, il Collegio non può non rilevare:
- da un lato, che difettano spiegazioni eziologiche alternative della patologia -OMISSIS- de qua;
- dall’altro, che difettano dati scientifici che consentano di escludere il rischio per la salute umana da esposizione, chimica o radiologica, a DU (e, in generale, a residui di esplosione di metalli pesanti utilizzati negli armamenti, ad esempio tungsteno).
18. Merita, in proposito, sottolineare che i militari inviati in missione all’estero si collocavano, nell’ambito della popolazione nazionale, nei percentili più alti in punto di integrità e prestanza fisica: il rilievo dell’Amministrazione circa la natura ancora non conosciuta dei fattori oncogenetici, dunque, non può prescindere da tale circostanza.
19. Sotto altro profilo, la questione della natura rischiosa delle condizioni operative nel teatro somalo ed ex jugoslavo era così evidente ab origine, che è confluita in iniziative istituzionali sia del Legislatore (cfr. art. 4-bis d.l. n. 393 del 2000, introdotto dalla legge di conversione n. 27 del 2001, nonché le numerose Commissioni parlamentari d’inchiesta disposte nel corso del tempo in subiecta materia), sia della stessa Amministrazione (si ponga mente alla campagna di monitoraggio eseguita nell’ex Jugoslavia dal CISAM).
20. Può, quindi, affermarsi, in virtù della considerazione unitaria delle argomentazioni che precedono, che l’assenza, allo stato delle conoscenze, di una piena dimostrazione scientifica circa la valenza oncogenetica dell’esposizione a DU o, comunque, a residui di combustione di metalli pesanti non osta, nel particolare caso di specie, a riconoscere comunque integrato l’elemento eziologico dell’illecito civile.
21. Può, anzi, sostenersi che, alla luce della peculiarità dello specifico contesto operativo, del carattere contrattuale della responsabilità dell’Amministrazione, dei valori primari in gioco, della mancata adozione degli accorgimenti pur apprestati dagli Alleati a beneficio del proprio personale, dell’impegno prettamente operativo e “sul campo” svolto dall’odierno resistente, gravasse sull’Amministrazione l’onere di fornire, a contrario, un principio di prova circa l’intervento di un fattore oncogenetico alternativo e diverso rispetto all’esposizione al DU ed ai metalli pesanti.
22. Quale estrema considerazione di sistema, il Collegio osserva, infine, che il regime nazionale della responsabilità civile è volto ad allocare le conseguenze dannose dell’illecito in capo al soggetto normativamente “meritevole” di subirle, vuoi (criterio generale) perché ha operato con dolo o colpa (art. 2043 c.c.), vuoi (criteri sussidiari) perché versa in condizioni oggettive (articoli 2047, 2048, 2049, 2050, 2051, 2052, 2053 c.c.) che, comunque, rendono più congruo porre a suo carico l’evento di danno, salva, in talune ipotesi, la residuale facoltà probatoria di dimostrare, in sostanza, di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno e salva, in ogni caso, la non imputabilità del danno che si dimostri conseguito al caso fortuito.
23. Come visto supra, nella specie l’Amministrazione della difesa, Ente datoriale strutturalmente impegnato in attività pericolose e tenuto ex lege a garantire la protezione dei sottoposti, non può per tabulas sostenere di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno alla salute ai militari inviati in ex Jugoslavia.
24. L’Amministrazione, inoltre, non può neppure invocare, quale fattore ostativo al riconoscimento della propria responsabilità, la mancanza di una chiara evidenza scientifica circa il carattere oncogenetico dell’esposizione umana a residui di combustione di metalli pesanti, in primis DU.
25. Al lume delle considerazioni sinora esposte, infatti, la prova liberatoria non può consistere semplicemente nell’invocare il fattore causale ignoto, ma deve spingersi sino a provare convincentemente il fattore causale fortuito, ossia quello specifico agente, non prevedibile e, comunque, non prevenibile, che ha provocato l’evento di danno.
25.1. Altrimenti detto, nel quadro di una responsabilità contrattuale posta a garanzia di beni primari, nell’ambito di un ordinamento di settore connotato dall’insindacabilità degli ordini, nel contesto di una missione in teatri operativi interessati da eventi bellici ed ancora pervasi da plurimi, insidiosi e multifattoriali fattori di pericolo, il rischio causale ignoto grava sull’Amministrazione, non sul singolo militare.
25.2. Del resto, la causa ignota, categoria gnoseologica e non ontologica, non è altro che la conseguenza dell’attuale ignoranza scientifica circa i nessi eziologici: è cioè, un dato umano (relativo e dinamico), non una realtà naturale (assoluta e fissa).
26. Deve quindi affermarsi, nell’an, la responsabilità dell’Amministrazione e, conseguentemente, respingersi l’appello del Ministero.
27. Specularmente, la delicatezza della res controversa, la complessità dei sottesi profili di diritto e, in definitiva, l’ampia discrezionalità del Giudice nello stabilire il regolamento delle spese di lite, sindacabile solo in casi di macroscopica illogicità, depongono, unitariamente considerati, per la reiezione dell’appello incidentale.
28. Possono compensarsi le spese del presente grado di giudizio, in considerazione della complessità in diritto della controversia.
 

P.Q.M.



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello e sull’appello incidentale, come in epigrafe proposti, li rigetta.
Spese del presente grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2020.