Categoria: Cassazione penale
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  • Datore di Lavoro
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Responsabilità di un lavoratore dipendente che, alla guida di un carrello elevatore, investiva sulla pubblica via un ciclista causandone la morte - Il carrello elevatore, pur non essendo omologato per la circolazione stradale, era uscito dall'azienda per raggiungere il vicino distributore di benzina per fare rifornimento e, dopo avere svoltato a sinistra per immettersi sulla pubblica via, aveva iniziato a circolare contromano in quanto il distributore si trovava sul lato sinistro della carreggiata, e cioè sullo stesso lato in cui si era immesso nella strada.

Per il delitto di omicidio colposo fu condannato al risarcimento dei danni, in qualità di responsabile civile, anche il datore di lavoro dell'imputato.

Ricorre in Cassazione il difensore del responsabile civile - Rigetto. 

La Corte afferma che:

"Per quanto attiene alla affermata responsabilità del ricorrente, essa è riconducibile nell'alveo dell'art. 2049 c.c. (Responsabilità dei padroni e committenti), in quanto il P. ha commesso il fatto nell'espletamento delle sua mansioni come dipendente della società ricorrente.
Quest'ultima ha lamentato che la sua responsabilità era stata illegittimamente affermata, avendo il P. compiuto il fatto fuori dall'orario di lavoro ed in violazione di esplicite direttive.
Il giudice del merito, in ordine a tali circostanze, ha con coerente motivazione evidenziato come l'approvvigionamento esterno e diretto di carburante da parte del muletto doveva essere un'abitudine aziendale, se era vero che: nessuna aveva fermato il muletto al momento di uscire in strada; la figlia del titolare, D. L., aveva visto il mezzo in strada e non si era preoccupata di farlo rientrare; il titolare D.D., in dibattimento non aveva saputo indicare come il carburante veniva portato in azienda per rifornire il muletto.
In ogni caso va ricordato come questa Corte abbia avuto modo di statuire che "ai fini della responsabilità civile per fatto illecito commesso dal dipendente, è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal dipendente, che ricorre quando l'illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se il dipendente ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti"


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. IACOPINO Silvana Giovann - Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Fratelli D'Aniello e Co. S.n.c. (responsabile civile);
nel processo nei confronti:
P.G., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 5/6/2006 della Corte di Appello di Roma;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. IZZO Fausto;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Dott. MONTAGNA Alfredo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentiti gli Avv. MARINO Gaetano e ADDESSI Giuseppe, difensori delle parti civili, che hanno concluso per il rigetto del ricorso.
Si Osserva:

Fatto

1. Con sentenza del Tribunale di Latina, sez. dist. di Terracina, del 28/11/2003, P.G., veniva condannato per omicidio colposo in danno di F.G., in quanto, alla guida di un carrello elevatore sulla pubblica via, investiva la bicicletta condotta dalla vittima (fatto acc. in (OMISSIS)).
Il Tribunale irrogava la pena di anni uno di reclusione, con le attenuanti generiche, pena sospesa; condannava inoltre l'imputato ed il responsabile civile, datore di lavoro D'Aniello s.n.c., al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidare in sede civile.
Osservava il Tribunale che dall'istruttoria svolta era emerso che:
- il carrello elevatore, pur non essendo omologato per la circolazione stradale, era uscito dall'azienda per raggiungere il vicino distributore di benzina per fare rifornimento;
- poco prima dall'azienda era uscito anche il F. a bordo della sua bici Mountain Bike;
- il carrello elevatore, dopo avere svoltato a sinistra per immettersi sulla pubblica via, aveva iniziato a circolare contromano in quanto il distributore si trovava sul lato sinistro della carreggiata, e cioè sullo stesso lato in cui si era immesso nella strada;
- due testi presenti su un furgone che sopraggiungeva, avevano visto il carrello sobbalzare e le ruote di una bicicletta sotto di esso.
Fermatisi avevano trovato il corpo inanimato del F..
Da tale ricostruzione dei fatti il Tribunale traeva il convincimento che il carrello, di enormi dimensioni e lunghe pale elevatrici, aveva inforcato la bicicletta che la precedeva poco dopo avere svoltato a sinistra, senza che il conducente se ne accorgesse, anche in ragione dell'ora serale e del fatto che il mezzo probabilmente non aveva le luci funzionanti ed in ogni caso non idonee ad illuminare la carreggiata.
Tale convincimento era corroborato dal fatto che da accertamenti di P.G., su cui aveva deposto il teste T. della Polizia Scientifica, era emersa la identità tra la vernice del muletto e quelle rinvenuta sulla bicicletta (il campione contrassegnato con la lett. C).
Inoltre nessuno dei presenti (testi ed imputato) avevano visto la presenza di altri veicoli sulla carreggiata che avrebbero potuto investire il F., peraltro uscito dall'azienda poco prima del muletto; sicchè, se ciò fosse avvenuto, sarebbe caduto sotto la percezione visiva dell'imputato e degli altri testi.
 
2. Con sentenza del 5/6/2006 la Corte di Appello di Roma dichiarava la prescrizione del reato, confermando le statuizioni civili.
In particolare la Corte, in accoglimento di istanze difensive, disponeva la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, attraverso una perizia tecnica sulla dinamica del sinistro, che concludeva per la responsabilità nel sinistro del P..
 
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore del responsabile civile, lamentando:
 
3.1. La violazione di legge, per non avere il giudice del merito estromesso il responsabile civile da processo, pur essendo stato questi citato non per la prima udienza, ma dopo un rinnovo della citazione, per dichiarata sua nullità.
 
3.2. La violazione di legge, per avere utilizzato come prova gli accertamenti tecnici della Polizia Scientifica, che in quanto atto non ripetibile, avrebbe dovuto essere svolto con le garanzie difensive.
 
3.3. La insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in quanto:
a) le tracce di vernice erano stata dichiarate compatibili, non identiche;
b) l'attendibilità dei testi presenti sul furgone era limitata, in quanto erano sopraggiunti dopo il fatto e quindi non potevano averne visto la dinamica;
c) la tesi dell'investimento era contraddetta dall'assenza di tracce sull'asfalto del trascinamento della bici e dall'assenza di evidenti gravi lesioni da schiacciamento sul corpo della vittima;
d) non era stata tenuta nel debito conto la C.T. di parte redatta dall'arch. Pa.;
 
3.4. La violazione di legge in relazione alla affermata responsabilità della s.n.c. D'Aniello in relazione a fatti commessi da un dipendete fuori dall'orario di lavoro ed in violazione di esplicite direttive;
 
3.5. Il difetto di motivazione, perchè la Corte dopo avere censurato la condotta di guida del F., anch'egli contromano e con le luci spente, non aveva determinato l'entità del concorso di colpa.
 
4. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
 
4.1. In ordine all'eccezione processuale formulata e già respinta in appello, va ricordato che questa Corte ha precisato, in tema di partecipazione del responsabile civile al dibattimento, che "la disposizione di cui all'art. 83 c.p.p., comma 2, secondo la quale la richiesta di citazione del responsabile civile deve essere proposta "al più tardi per il dibattimento", non implica affatto che tale parte debba essere citata per la prima udienza.
La norma è volta ad assicurare che il responsabile civile possa partecipare a tutte le fasi del dibattimento, che costituisce il nucleo centrale del giudizio, con parità delle armi rispetto alle altre parti.
Ne consegue che non è affatto escluso che la citazione avvenga per un'udienza successiva alla prima, purchè, in tale eventualità, le udienze iniziali siano solo prodromiche, di differimento, e non impediscano al responsabile civile di svolgere il proprio ruolo nel dibattimento sin dalla prima fase di costituzione delle parti" (Cass. 4^, 2628/06, Messina).
Nel caso di specie, sebbene non citato per la prima udienza, il responsabile civile è stato citato prima della formale apertura del dibattimento, con possibilità, quindi, di esercitare tutte le facoltà di cui all'art. 491 c.p.p.. Il motivo di censura, per quanto detto, è infondato.
 
4.2. Con il secondo motivo di ricorso il responsabile civile lamenta la utilizzazione come prova degli accertamenti tecnici svolti dalla P.G. sulle tracce di vernice trovate sulla bicicletta.
Va premesso che nel corso del dibattimento di primo grado è stato escusso come teste il Dott. T., direttore del Laboratorio di Polizia Scientifica.
Questi ha riferito che sulla bicicletta erano state rinvenute delle tracce di vernice che mostravano "identità spettrale tra i due campioni posti a riferimento. In particolare la vernice del muletto e la vernice trovata sulla bicicletta ...'".
Sulla base di tali risultanze, oltre che delle deposizioni dei testi oculari, era stato provato l'investimento.
Ciò premesso, va osservato che nessuna violazione di legge si è maturata.
In primo luogo, negli atti è specificato che l'accertamento svolto è di tipo non distruttivo, per cui correttamente non è stato utilizzato lo strumento di cui all'art. 360 c.p.p. (accertamenti tecnici non ripetibili).
In secondo luogo, gli esiti dell'accertamento tecnico sono stati acquisiti in dibattimento attraverso l'escussione del Dott. T. in primo grado ed attraverso l'opera del perito di ufficio in appello (ai sensi dell'art. 603 c.p.p.).
Per cui nessun pregiudizio al principio del contraddittorio in tema di acquisizione della prova si è maturato.
Anche tale motivo di censura è, pertanto infondato.
 
4.3. Con ulteriori motivi di ricorso la difesa del responsabile civile ha posto in dubbio che il carrello elevatore aziendale, condotta dal P., abbia investito da tergo la bicicletta.
Le censure mosse propongono dubbi sulla ricostruzione del fatto operata dal giudice del merito (non è certo che le tracce di vernice trovate sulla bicicletta siano identiche a quelle del muletto; non è sicuro che i testi abbiano visto l'incidente; il corpo della vittima non era schiacciato; non era stata tenuta in debito conto la C.T. dell'arch. Pa.).
Tali censure manifestano un mero dissenso di merito rispetto ad una doppia pronuncia di condanna ed a fronte di una motivazione della Corte distrettuale coerente e che non presenta vizi di manifesta illogicità.
Invero, la Corte ha ricordato, quanto alle tracce di vernice, che come deposto dal teste T., l'identità spettrale dei campioni, si riscontra solamente nei prodotti che hanno l'esatta composizione chimica.
Quanto ai testi oculari ( p. e M., siti a bordo di un furgone che precorreva la stesa strada), costoro hanno riferito di avere visto il muletto avere un "sobbalzo" e successivamente di avere visto il mezzo "portare sotto" la bicicletta e trascinarla.
Pertanto detti testi, contrariamente a quanto detto nei motivi di ricorso, non sono sopraggiunti, ma hanno assistito al fatto nel momento in cui si verificava ("sobbalzo", "trascinamento").
In ordine alla assenza di tracce di schiacciamento del corpo della vittima, tale argomento non smentisce la ricostruzione del sinistro da parte del giudice del merito, in quanto a seguito dell'urto e della caduta, la morte può sopraggiungere anche per traumatismi diversi dallo schiacciamento totale del corpo della vittima.
Quanto alla presenza di tracce sull'asfalto, il Gen. R., perito d'ufficio, come evidenziato nella sentenza impugnata, ha riscontrato dei segni di pneumatici gemellari che iniziavano qualche metro prima del punto dove si notavano tracce di scalfitura sull'asfalto e terminavano nei pressi in cui era stata trovata in posizione di stasi la bicicletta.
Infine il richiamo agli esiti della C.T. di parte (arch. Pa.), è formulato in modo generico ed in ogni caso essi sono contraddetti dagli esiti della perizia di ufficio disposta in appello e che è stata fatta propria dalla Corte distrettuale.
In sostanza le censure mosse dalla difesa della ricorrente esprimono solo un dissenso generico rispetto ad una ricostruzione del fatto che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.
La convincente prospettiva in cui si muove la Corte distrettuale nella sua motivazione è quella di una rivisitazione delle prove non solo ancorata agli specifici fatti indicati, ma ad una visione non atomistica degli stessi: tutte le prove assunte, le tracce di vernice, le deposizioni dei testi oculari, la perizia di ufficio, sono convergenti nel ricondurre la responsabilità del sinistro alla condotta del P..
 
4.4. Per quanto attiene alla affermata responsabilità del ricorrente, essa è riconducibile nell'alveo dell'art. 2049 c.c. (Responsabilità dei padroni e committenti), in quanto il P. ha commesso il fatto nell'espletamento delle sua mansioni come dipendente della società ricorrente.
Quest'ultima ha lamentato che la sua responsabilità era stata illegittimamente affermata, avendo il P. compiuto il fatto fuori dall'orario di lavoro ed in violazione di esplicite direttive.
Il giudice del merito, in ordine a tali circostanze, ha con coerente motivazione evidenziato come l'approvvigionamento esterno e diretto di carburante da parte del muletto doveva essere un'abitudine aziendale, se era vero che: nessuna aveva fermato il muletto al momento di uscire in strada; la figlia del titolare, D. L., aveva visto il mezzo in strada e non si era preoccupata di farlo rientrare; il titolare D.D., in dibattimento non aveva saputo indicare come il carburante veniva portato in azienda per rifornire il muletto.
In ogni caso va ricordato come questa Corte abbia avuto modo di statuire che "ai fini della responsabilità civile per fatto illecito commesso dal dipendente, è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal dipendente, che ricorre quando l'illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se il dipendente ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti" (Cass. 3^, 36503/02, Cernito).
Nel caso di specie, certamente il P., nel momento in cui andava a rifornire il muletto di carburante, ha svolto tale attività nell'ambito delle mansioni affidategli e servendo un interesse aziendale e non proprio. Ne consegue l'infondatezza anche di tale motivo di ricorso.
 
4.5. Infine, quanto alla doglianza relativa alla mancata quantificazione del concorso di colpa della vittima, va ricordato che "il giudice penale, nell'ipotesi di condanna generica, deve pronunciarsi solo sull'"an debeatur", e non anche sul "quantum", non essendo conseguentemente tenuto a stabilire la percentuale della colpa o della concorrente condizione posta in essere dall'autore del fatto" (Cass. 3^, 16310/09, Mattiolo).
Nel caso de quo il giudice penale ha rimesso la pronuncia sulle statuizioni civili al competente giudice civile, per cui spetterà a quest'ultimo stabilire la percentuale di concorso di colpa della vittima.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalla parti civili, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
 
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al rimborso delle spese in favore della parte civile F.A., che liquida in Euro 1.800,00 oltre accessori come per legge, ed in favore delle parti civili F.G., F.D. e F.C., che unitariamente liquida in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2009
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2009