Cassazione Civile, Sez. 6, 21 gennaio 2021, n. 1107 - Responsabilità della titolare del negozio di profumeria per la caduta della passante a causa dell'acqua saponata gettata nel marciapiede




Il preponente è tenuto a rispondere dei fatti illeciti commessi non solo dai propri dipendenti, ma anche da tutte le persone che hanno agito su suo incarico o per suo conto. Assolutamente non necessario, quindi, in questa vicenda, provare che «tra il soggetto che aveva gettato sui marciapiede l’acqua insaponata e la titolare della profumeria vi fosse un rapporto di lavoro subordinato», concludono dalla Cassazione.





Presidente Amendola – Relatore Gorgoni

 

Rilevato che:

Notte S.R.L. ricorre per la cassazione della sentenza n. 6598/2018 della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 19 ottobre 2018, notificata tramite Pec il 23 novembre 2018, affidandosi a due motivi, ribaditi con memoria.
Resiste con controricorso B.M.P. .
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1834/2014 respingeva la richiesta risarcitoria avanzata da B.M.P. nei confronti della Profumeria Notte S.r.l., avente ad oggetto i danni subiti in conseguenza della caduta verificatasi (omissis) , ritenendo non provata l’esistenza di un rapporto di subordinazione tra la persona che aveva gettato acqua saponata sui marciapiede antistante l’esercizio commerciale, rendendolo scivoloso, e la Profumeria Notte.
La Corte d’Appello, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, investita del gravame, in via principale, da B.M.P. , e, in via incidentale, dalla profumeria Notte, riteneva applicabile al caso concreto la disciplina di cui all’art. 2049 c.c., e, per l’effetto, condannava l’appellata ai pagamento di Euro 41.840,38, quale risarcimento del danno fisico, oltre alle spese di lite, a favore di B.M.P. .
Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Considerato che:

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per violazione dell’art. 2049 c.c..
Dopo un’ampia digressione sulla funzione della responsabilità di cui all’art. 2049 c.c., la ricorrente lamenta che il giudice a quo abbia ritenuto provati gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, basandosi su una testimonianza de relato che avrebbe dovuto essere considerata priva di valore probatorio ed indiziario, non avendo trovato riscontro in altre circostanze di adeguata consistenza. In aggiunta, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di occasionalità necessaria tra preponente e preposto - la ricorrente sostiene che il rapporto di occasionalità necessaria postula l’accertamento dei rapporto di lavoro e/o di preposizione, per cui, l’assenza di quest’ultimo implica il venir meno anche del primo, essendo illogico "pensare di poter dimostrare la sussistenza del nesso di occasionalità necessaria senza avere previamente provato l’esistenza di un rapporto lavorativo tra il padrone e il committente" (p. 8 del ricorso) - nonché tener conto della condotta della vittima – “poiché, se, da un lato, il proprietario del suolo è sempre tenuto alla manutenzione e a mettere in sicurezza ogni fonte di potenziale pericolo per evitare danni ai terzi, dall’altro lato è sempre richiesto un minimo di attenzione", non potendosi "consentire ii risarcimento ogniqualvolta ci si fa male su una strada pubblica o privala" (p. 9).
2. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente deduce l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte d’Appello correttamente valutato le deposizioni testimoniali e per avere omesso di considerare alcuni fatti storici decisivi.
La Corte d’Appello avrebbe immotivatamente affermato che la valenza delle dichiarazioni rese dalle signore M. e Bi. non potesse ritenersi smentita dagli altri testi escussi: Ma.Jo.Ch. risulterebbe inattendibile, perché smentita da quanto riferito da F.F. ; le deposizioni di F.F. e di W.D. non sarebbero rilevanti, sia perché, non avendo assistito all’incidente, le dichiaranti non erano in grado di riferire della sua dinamica, sia perché le notizie riportate circa le abitudini della gestione della profumeria e sui giorni in cui abitualmente venivano effettuate le pulizie non consentirebbero di escludere che le pulizie fossero state fatte proprio e/o anche il giorno dell’incidente.
3. Il primo motivo è inammissibile.
Ciò che la ricorrente rimprovera alla Corte territoriale, a ben vedere, non è la violazione dell’art. 2049 c.c., ma il modo attraverso cui è pervenuta alla conclusione che fossero risultati provati gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità. La censura, infatti, nella sua parte rilevante ai fini dello scrutinio del mezzo impugnatorio, investe la decisione impugnata, innanzitutto, per aver ritenuto, sulla scorta di una testimonianza de relato, ricorrente il rapporto di preposizione e di occasionalità necessaria tra preponente e preposto.
Quand’anche si correggesse l’errore di sussunzione - la ricorrente avrebbe dovuto dedurre semmai la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per essere la Corte territoriale incorsa in un errore di riconduzione della fattispecie concreta alla fattispecie disciplinata dall’art. 2049 c.c., sulla scorta di un erroneo accertamento della quaestio facti - il motivo non meriterebbe accoglimento, perché le censure della ricorrente muovono da premesse che si rivelano oltre che erronee in iure - la negazione di carattere probatorio e indiziario della testimonianza de relato, l’assenza di un nesso di occasionalità necessaria tra preponente e preposto in assenza di un rapporto lavorativo tra il padrone e il committente (cfr. Cass. 15/04/2019, n. 10445, la quale ha ribadito che, ai sensi dell’art. 2049 c.c., il preponente è tenuto a rispondere dei fatti illeciti commessi non solo dai propri dipendenti, ma anche da tutte le persone che hanno agito su suo incarico o per suo conto, dal momento che l’art. 2049 c.c., non richiede affatto, quale presupposto, l’esistenza un rapporto di lavoro subordinato; e che la responsabilità del padrone o del committente per fatto del commesso sussiste di anche quando, come nel caso di specie, non sia stato individuato l’autore materiale del danno, ove sia comunque certo che questi sia un incaricato o preposto di quello - del tutto astratte, perché prive di confronto con la decisione impugnata, la quale ha ritenuto che vi fossero indizi gravi, precisi e concordanti, emergenti dalle prove testimoniali espletate, per ritenere sussistente il rapporto di preposizione e di occasionalità necessaria, specificando, correttamente, che ai fine della sua ricorrenza non era necessario che tra il soggetto che aveva gettato sui marciapiede l’acqua insaponata e la titolare della profumeria vi fosse un rapporto di lavoro subordinato.
3. Il secondo motivo è inammissibile, perché oltre a non essere sorretto dagli oneri di allegazione che gravano su chi invochi la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è, a dispetto della rubrica, interamente volto a mettere in discussione la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione. Ciò involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili; tale attività selettiva si estende all’effettiva idoneità del teste a riferire la verità, in quanto determinante a fornire ii convincimento sull’efficacia dimostrativa della fonte-mezzo di prova, ed alla rilevanza del contenuto della deposizione ai fini dell’accertamento della verità processuale.
4. In definitiva, il ricorso è inammissibile.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
6. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico dei ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato, se dovuto.

 

P.Q.M.



La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura dei 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.