Cassazione Penale, Sez. 4, 20 gennaio 2021, n. 2286 - Infortunio mortale all'interno dello scavo. Omessa realizzazione di armature a sostegno. Responsabilità del direttore generale e del dirigente capo area


 

 

Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: BELLINI UGO
Data Udienza: 15/10/2020
 

Fatto

 

l. La Corte di Appello di Bologna con sentenza pronunciata in data 7 Maggio 2019 confermava, in relazione all'affermazione di responsabilità penale, la sentenza del Tribunale di Ravenna che aveva riconosciuto gli odierni ricorrenti G.A. e DP.A. colpevoli del reato di omicidio colposo, aggravato dall'inosservanza di disposizioni prevenzionistiche, del lavoratore S.I.B. impegnato all'interno di uno scavo in attività di livellamento di una gettata di calcestruzzo nell'ambito del consolidamento di opera in cemento a sostegno di manufatto in corso di realizzazione.
Agli imputati, nella loro qualità di direttore generale il G.A. e di dirigente capo area il DP.A. della società ITER soc.coop., affidataria degli interventi, oltre ad addebiti di colpa generica veniva contestata la inosservanza dell' art. 119 D.Lgs. 81/2008 per avere omesso la realizzazione di armature a sostegno nello scavo di trincee profonde oltre un metro e mezzo e in ragione della scarsa consistenza del terreno anche in ragione della pendenza dello scavo e della presenza di acqua di falda. Agli stessi era altresì contestato di non avere vigilato sulla sicurezza dei lavori affidati alla società ESSE EFFE Costruzioni s,r.l. e sull'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del PSC che pure prevedeva la realizzazione di armature e di consolidamento di terreno negli "Scavi a Sezione Ristretta e negli Scavi di Sbancamento", nonché per non avere adeguatamente verificato la congruenza del POS della società appaltatrice la quale non prevedeva alcuna misura di salvaguardia in relazione "al rischio di smottamento di fronti di scavo durante le operazioni di getto di calcestruzzo", rischio invece contemplato nel POS della ditta committente, così da trasmettere i POS della ditta ESSE EFFE al coordinatore per la sicurezza nella esecuzione piuttosto di contestare la incoerenza rilevata.
3. La Corte di Appello nel respingere i motivi di doglianza dei ricorrenti riconosceva in primo luogo la posizione di garanzia a carico dei ricorrenti, quali massimi vertici dell'organizzazione aziendale con poteri di direzione, organizzazione e di spesa in materia di prevenzione degli infortuni e di sicurezza sul lavoro evidenziando che, pure a fronte di un organigramma aziendale caratterizzato da diversificate posizioni di prepositura nella fase operativa, difettava nella specie una rituale delega di funzioni che determinasse il trasferimento delle responsabilità e dei rischi connessi.
In particolare rappresentava che, a parte figure con funzioni consultive in materia di prevenzione e protezione, il datore di lavoro non potesse che riconoscersi nella persona del G.A., direttore generale dell'ITER titolare della delega in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, né era possibile a tale proposito il ricorso ad una sub delega. Il DP.A. poi era espressamente incaricato di "osservare e fare osservare rigorosamente quanto di competenza" in riferimento "alla adozione di misure antinfortunistiche sul lavoro". La responsabilità degli stessi veniva in considerazione in termini di cooperazione nel delitto colposo per la necessaria reciproca consapevolezza della convergenza dei loro doverosi rispettivi contributi imposti da esigenze organizzative ed agli stessi noti, nella gestione in comune della sicurezza nel cantiere e pertanto agli stessi erano riferibili gli obblighi nascenti dalle disposizioni oggetto di addebito (art.97 e 119 Dlgs.81/2008).
4. Quanto alla inosservanza di dette regole cautelari evidenziava come il confronto tra i POS delle due ditte, nonché il contenuto delle specifiche determinazioni contenute nel PSC, di cui il committente doveva vigilare la costante applicazione nel confronto e nel coordinamento con la ditta appaltatrice, esecutrice delle opere, avrebbero dovuto orientare i soggetti che avevano obblighi di vigilanza e di coordinamento nelle lavorazioni ad imporre l'adozione di armature e di altri mezzi di consolidamento delle trincee diretti a prevenire il rischio di smottamenti e di crolli.
Tale condotta risultava tanto più necessaria in considerazione delle caratteristiche delle lavorazioni all'interno di uno scavo profondo metri 3,50, caratterizzato dalla instabilità del sedime in ragione della presenza di falda acquifera, di ripida angolatura della parete, della presenza di altri elementi (sonde) che già ne avevano intaccato la coesione e in considerazione di un ulteriore indizio della scarsa tenuta del terreno costituito dall'affioramento di acqua in altri punti dello scavo ed il verificarsi di piccoli smottamenti in corrispondenza.
4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa degli imputati prospettando tre motivi di doglianza in ricorsi dall'analogo contenuto.
Con un primo motivo di doglianza i ricorrenti hanno dedotto difetto di motivazione in relazione al riconoscimento della titolarità della posizione di garanzia nell'ambito di struttura organizzativa dalle rilevanti dimensioni aziendali ove, anche alla stregua degli apporti dichiarativi testimoniali (S.), la verifica del rispetto della disciplina antinfortunistica era rimessa ad una serie di figure intermedie, in particolare ai capo-cantieri; assumono inoltre che non si era in presenza di scelte gestionali di carattere generale ovvero di macroscopiche inosservanze alla disciplina prevenzionistica che potessero coinvolgere massimi vertici dell'organizzazione che vantava decine di cantieri in tutta Italia, a fronte dell'esercizio da parte dei ricorrenti di incombenti di carattere gestionale, amministrativo e contabile.
Sotto diverso profilo rappresentano come fosse mancata un'adeguata verifica della ricorrenza dei profili soggettivi del reato laddove, al di là della enunciazione delle regole cautelari disattese, non vi era stata una verifica della riferibilità soggettiva dell'addebito agli imputati sotto il profilo della prevedibilità e della evitabilità dell'evento, tenuto conto altresì del carattere eccezionale dello smottamento e ancora prima sotto il profilo della esigibilità della condotta dovuta, tenuto conto delle funzioni da ciascuno effettivamente svolte all'interno dell'organigramma aziendale e della ricorrenza di figure intermedie di preposti incaricati di vigilare sulle lavorazioni.
Con una terza articolazione si deduce carenza di motivazione e violazione di legge nel giudizio di bilanciamento di circostanze di segno opposto e nella determinazione del trattamento sanzionatorio, dal momento che il giudice di appello pur riconoscendo agli imputati le circostanze attenuanti generiche, era comunque partito da una pena base di anni due di reclusione, lamentando altresì la omessa sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria ex art. 53 L. 689/81.
Alla udienza di discussione la difesa dei ricorrenti, nel concludere come in premessa, depositava certificato di morte del ricorrente G.A..

 

Diritto



1. In primo luogo deve disporsi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata relativamente al ricorso proposto da G.A. per morte del reo, sopravvenuta alla presentazione del ricorso per cassazione, come attestato dal certificato depositato dalla difesa alla udienza di discussione.
Invero la morte dell'imputato, "intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, impone l'annullamento senza rinvio della sentenza, per estinzione del reato, con l'enunciazione della relativa causale nel dispositivo, risultando esaurito il rapporto processuale ed essendo preclusa ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ex art. 129, comma secondo, cod. proc. pen.", tanto più quando non risulti, dal testo del provvedimento impugnato l'evidenza di alcuna delle situazioni previste da tale ultima disposizione (sez.1, 9.6.2010, Lombardo, Rv.247790; sez.3, 12.5.2016 Patti, Rv.267394).
2. Nel primo motivo di ricorso i ricorrenti hanno contrastato la motivazione della sentenza impugnata contestando la ricorrenza della titolarità, da parte di essi, di una posizione di garanzia che li rendesse gestori e garanti del rischio connesso alla sicurezza degli scavi nell'ambito di cantiere edile in cui si realizzò l'infortunio, in ragione della veste apicale dagli stessi rivestita, del settore commerciale ed amministrativo che li vedeva impegnati e della presenza di un assetto organizzativo che contemplava specifiche figure di preposto a presidio della sicurezza delle lavorazioni nei singoli cantieri. Infondate devono ritenersi le deduzioni in ordine a tale preliminare aspetto introdotte dalla difesa del ricorrente DP.A.. Nessun dubbio sussiste sul fatto che il ricorrente abbia rivestito al momento del fatto la qualifica di Responsabile di Area in relazione all'osservanza delle misure antinfortunistiche sul lavoro nell'interesse della società ITER e pertanto che egli rappresentava la massima espressione della operatività dell'azienda con particolare riferimento al settore della verifica della osservanza sul luogo di lavoro delle misure di prevenzione e di protezione anche in relazione al cantiere in cui si è realizzato l'infortunio (Sez.IV,1.2.2017,Ottavi, Rv. 269133; 29.1.2019, Ferrari, Rv.276335).
2.1 Quanto agli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro, la gestione operativa del rischio può essere trasferita con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110801; sez.4, 16.12.2015, Raccuglia, Rv.265947). Va peraltro considerato che il DP.A., in qualità di dirigente, era tenuto a recepire le direttive del datore di lavoro e di farle osservare sul luogo di lavoro, così da garantire l'esatta osservanza delle misure di prevenzione e di protezione, di talchè tale figura, come correttamente osservato dal giudice di appello, era complementare e non sovrapponibile a quella del datore di lavoro, rivestendo essa un ambito ben definito nella organizzazione e nella pro.grammazione della sicurezza e della verifica della applicazione delle cautele richieste dalla legge in relazione alla specifica lavorazione .
3. Quanto alle doglianze articolate dal ricorrente, sotto il profilo meramente formale manca nella specie qualsiasi elemento da cui inferire la presenza dei requisiti essenziali di un trasferimento di una o più funzioni dal soggetto delegante, facendo totalmente difetto una delega formale volta a definire l'ambito circoscritto, o ben definito, delle competenze trasferite, risolvendosi in mera allegazione difensiva il riferimento a verbali del giudizio in cui veniva dato atto della presenza sul cantiere di soggetti preposti alla vigilanza, alla direzione dei lavori e alla sicurezza in relazione al più ristretto ambito territoriale (cantiere) ove la società ITER era impegnata ad operare con le proprie maestranze; se da un lato tale allegazione difensiva può valere alla individuazione di ulteriori figure tutoriali, dall'altra non risulta idonea all'esonero di responsabilità in capo al soggetto che è gravato da attribuzioni dirigenziali, quale soggetto incaricato della verifica della corretta osservanza delle misure di salvaguardia. Invero il giudice di legittimità, pur distinguendo la posizione del preposto di fatto sul luogo di lavoro dalla delega di funzioni, ha costantemente affermato che, pur in presenza di un esercizio di fatto di una posizione di garanzia all'interno del luogo di lavoro, sia essa determinata da un atto di ingerenza piuttosto che da una distribuzione di incarichi non formalizzati, giammai si realizza una ipotesi di esonero di responsabilità del titolare effettivo della posizione di garanzia, costituendosi semmai una parallela ed altérnativa di garanzia, semmai chiamata a rispondere sulla base del principio di effettività richiamato dall'art.299 D.Lgs. n. 81/2008 (sez.lV, 28.2.2014 Consci rv. 259224, 18.12.2012 Marigioli rv 226339, 9. 2.201 2 Pezzo rv. 253850).
3.1 Sotto il profilo sostanziale poi il motivo di ricorso si presenta generico e non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata laddove ha riconosciuto che il concreto atteggiarsi delle lavorazioni risultava del tutto compatibile con l'esercizio in fatto dei poteri di coordinamento, cooperazione e vigilanza che incombevano, nello specifico settore dell'adozione di misure di sicurezza e di salvaguardia, al dirigente DP.A. e che questi, al di là di aspecifiche allegazioni di operare in distinto ambito organizzativo e con attribuzioni di diverso, ma assorbente, rilievo amministrativo e tecnico, non ha in concreto allegato elementi precisi e circostanziati che consentissero di ritenerlo estraneo al perimetro del rischio garantito, nonostante la delega alla gestione della sicurezza nei singoli cantieri, quanto meno sotto il profilo della verifica della affidabilità e della professionalità delle ditte incaricate delle lavorazioni e della adeguatezza dei Piani Operativi di Sicurezza nei singoli cantieri.
4. Quanto alle censure sviluppate nel secondo motivo di ricorso sui profili soggettivi degli addebiti ascritti, le stesse risultano infondate. La Corte di Appello di Bologna ha invero rappresentato, con motivazione lineare e non contraddittoria come la posizione di garanzia del ricorrente non solo fosse effettiva, ma comprendeva altresì obblighi di collegamento, di confronto e di cooperazione con la ditta appaltatrice e di verifica del POS di questa; Rilevava poi il giudice di appello che manifesto ed eclatante, già in sede progettuale, doveva risultare il difetto di coordinamento del POS dell'impresa appaltatrice con quello della ITER e più in generale con il Piano di Sicurezza e di Coordinamento, in quanto privo di qualsiasi riferimento a misure di prevenzione e protezione dal rischio di smottamento dei fronti di scavo durante le operazioni di getto del calcestruzzo, laddove il PSC conteneva tali previsioni; ma tale difetto, secondo la coerente e logica motivazione della sentenza impugnata, risaltava ancor di più in fase esecutiva laddove, pure a fronte degli obblighi di armatura nascenti dalla previsione di legge (art.119 d.lgs.81/2008 in presenza di scavo profondo, di terreno non stabile per pendenza, falda acquifera e consistenza del sedime) ed espressamente consacrati nel PSC, nessun fronte di scavo risultava protetto da opere di armatura e di consolidamento.
4.1 Con argomentazioni lineari e logiche il giudice di appello poneva in rilievo che la violazione delle più elementari regole di diligenza e di specifiche disposizioni di legge da parte dell'impresa appaltatrice risultava evidente, non occasionale ma permanente e protratta per diversi mesi, così da rendere possibile, anzi doveroso l'intervento ed il coordinamento del responsabile d'area, in ragione dei periodici accessi al cantiere, ma ancora prima, all'atto della verifica preliminare delle capacità tecniche della impresa appaltatrice e della rispondenza al PSC del documento operativo della sicurezza predisposto dall'appaltatore.
4.2 D'altro canto il ricorrente, al di là delle contestazioni generiche sulle attribuzioni effettivamente rivestite all'interno della compagine, peraltro in contrasto con il dato formale delle deleghe allo stesso affidate in materia di sicurezza, non ha sostenuto di avere introdotto nei gradi di merito ulteriori elementi per affermare la concreta impossibilità di intervento in relazione ad obblighi giuridici che facevano capo alla sfera di competenze di cui era investito; né risulta avere allegato elementi da cui inferire la imprevedibilità dell'evento che, al contrario, proprio in ragione della palese inosservanza di basilari regole cautelari fin dalla fase progettuale della sicurezza e del coordinamento e di qualsiasi verifica in sede esecutiva, risultava per i giudici di merito assolutamente scongiurabile.
5. Il terzo motivo di ricorso risulta parimenti infondato laddove il giudice di appello, pure a fronte del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da intendersi come prevalenti rispetto alla contestata circostanza aggravante in ragione del calcolo aritmetico eseguito, ha ritenuto corretto partire dalla pena base di anni due di reclusione (in ragione del grado della colpa a causa della violazione di più disposizioni antinfortunistiche e del grado della colpa in ragione della evidenza della situazione di pericolo e della prevedibilità del crollo) pervenendo pertanto a pena finale (anni uno mesi quattro di reclusione) che esclude la sostituzione con pena pecuniaria ai sensi dell'art.53 L.689/81.
5.1 L'obbligo motivazionale è dunque assolto laddove questa Corte di legittimità ha più volte precisato che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media come nella specie e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (così Sez. 4, n. 21294, Serratore, rv. 256197; conf. Sez. 2, n. 28852 dell'8.5.2013, Taurasi e altro, rv. 256464; sez. 3, n. 10095 del 10.1.2013, Monterosso, rv. 255153), potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così Sez. 2, n. 36245 del 26.6.2009, Denaro, rv. 245596).
6. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per morte del reo in relazione al ricorso proposto da G.A., mente in relazione a DP.A. il ricorso deve essere rigettato, da cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.
 

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.A. per essere il reato estinto per morte del reo. Rigetta il ricorso di DP.A. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 15 Ottobre 2020