Cassazione Penale, Sez. 4, 21 gennaio 2021, n. 2293 - Morte per folgorazione dell'autista dell'autobetoniera e responsabilità del coordinatore della sicurezza


 

 

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 19/11/2020
 

Fatto


1. Con sentenza emessa in data 3/2/2015, a seguito di giudizio ordinario, il Tribunale di Tempio Pausania ha dichiarato non doversi procedere, per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, nei confronti di C.R. e V.P., imputati del delitto di cui agli artt. 113, 589, comma 2, cod. pen. in relazione agli artt. 7, comma 1, lett. b) e 89, comma 2, lett. h), d.lgs 626/94; artt. 3, comma 3 e 22, comma 3, lett. b, d.lgs 494/96; artt. 11 e 77 d.P.R. 164/56; art. 5, comma 1, lett. a), c), f), art. 21, comma 2, lett. a) d.lgs. 494/96.
Era contestato al V.P., odierno ricorrente, di avere cagionato, in cooperazione colposa con altri originari coimputati, la morte dell'operaio C.L., dipendente della "Fratelli Chiaromonti s.n.c.", per colpa generica e specifica. Il V.P., in qualità di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione di opere di fondazione in cemento armato, in corso di svolgimento presso il cantiere sito in località Li Junchi, in Badesi, non avrebbe verificato l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento; non avrebbe promosso e organizzato il coordinamento delle attività e la reciproca informazione tra i datori di lavoro e tra questi ed i lavoratori; non avrebbe sospeso, pur ricorrendo situazioni di pericolo grave ed imminente, direttamente riscontrate, le singole lavorazioni, in tal modo determinando la morte per folgorazione di C.L.. Quest'ultimo, autista dell'autobetoniera della ditta F.lli Chiaramonti, mentre si trovava tra l'autobetoniera (che versava il calcestruzzo all'inteno della tramoggia di raccolta dell'autopompa) e l'autopompa (che convogliava il calcestruzzo, con apposito braccio estensibile, nelle fondamenta), in contatto con parti metalliche dell'autopompa, veniva colpito da un arco voltaico generato dal contatto del braccio estensibile dell'autopompa con cavi elettrici che sovrastavano, ad un'altezza di circa sette-otto metri, il luogo di lavorazione. Fatto occorso in data 30/11/2006.
Il giudice di prime cure, cha aveva dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione, aveva ritenuto erroneamente che fosse decorso il termine massimo di anni 7 e mesi 6, indicando nel maggio 2014 la data di estinzione del reato. Aveva quindi emesso pronuncia di non doversi procedere nei confronti dell'imputato, nulla disponendo in ordine alle richieste delle parti civili costituite nel giudizio.
Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Cagliari, sez. Distaccata di Sassari, ha proposto tempestivo appello avverso la sentenza di primo grado, rappresentando che il Giudice aveva erroneamente dichiarato la estinzione del reato per prescrizione, non considerando che, per il reato di omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro è previsto il raddoppio dei termini ex art. 157, comma 6, cod. pen.
Nell'atto di appello aveva chiesto che venisse dichiarata la penale responsabilità dell'imputato, previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, con escussione di taluni testi della lista depositata in primo grado.
La Corte di appello, previa rinnovazione della istruttoria dibattimentale, ha proceduto all'esame dei testi indicati dal P.G. (Luogotenente A. Gianfranco e M. Mario Costantino), rigettando la richiesta di audizione di tutti i testimoni indicati dalla difesa ed ha acquisito documentazione pertinente ai fatti di causa.
All'esito del giudizio ha dichiarato l'imputato V.P. responsabile del delitto di omicidio colposo, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della parti civili costituite, da liquidarsi in separato giudizio, con riconoscimento di una provvisionale determinata in euro 50.000.
2. Avverso la sentenza di condanna ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del difensore, articolando i seguenti motivi di ricorso.
I) Violazione di legge in relazione all'art. 581 cod. proc. pen.; inammissibilità dell'appello presentato dal Procuratore Generale per assoluta aspecificità dei motivi del gravame in punto di responsabilità penale del ricorrente.
Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Cagliari, lamenta la difesa, oltre alle censure prospettate in punto di prescrizione, ha chiesto che la Corte territoriale affermasse la penale responsabilità dell'odierno ricorrente e lo condannasse per il reato contestato secondo le richieste del P.G. di udienza. L'impugnazione così proposta avrebbe dovuto essere ritenuta inammissibile per mancanza di specificità dei motivi.
Vero è che il giudice d'appello può riesaminare liberamente tutte le questioni senza essere vincolato alle ragioni esposte nell'impugnazione, potendo addivenire a ricostruzioni in fatto e in diritto diverse da quelle sostenute dall'appellante, tuttavia, i capi e le richieste devono essere "specifici", postulando l'art. 581 cod. proc. pen. l'indicazione precisa dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione con contestuale enunciazione dei motivi contenenti le ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Il Procuratore Generale appellante, non facendo corretta applicazione di tale norma, ha invocato la riforma della sentenza di primo grado senza alcun riferimento ai motivi posti a fondamento dell'auspicato ribaltamento della decisione impugnata.
II) Nullità della sentenza per violazione dell'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen.; vizio di motivazione in ordine all'omessa rinnovazione del dibattimento in relazione agli artt. 603, comma 3, cod. proc. pen. previgente e 6, par. 3, lett. d) CEDU; mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con escussione dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna pronunciata dalla Corte territoriale.
La Corte d'appello ha ritenuto che l'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. non fosse applicabile al presente giudizio.
E' noto come la regola stabilita dall'art. 533 cod. proc. pen. - che impone la condanna solo nel caso in cui l'imputato sia ritenuto colpevole "oltre ogni ragionevole dubbio" - nel caso di pronuncia di proscioglimento o assolutoria in primo grado, esiga che il giudice di appello offra una motivazione rafforzata in caso di condanna, anche nel rispetto del canone dell'oralità, che implica la riassunzione delle prove decisive. Orbene, la Corte territoriale - pur avendo operato una reformatio in peius - non ha ravvisato la necessità di rinnovare integralmente o parzialmente l'istruttoria dibattmentale mediante l'esame dei testi, escussi in primo grado, ritenuti decisivi. Ciò sul presupposto che il Giudice di prima istanza non aveva espresso un giudizio di inattendibilità delle prove dichiarative, tale da imporre la escussione di tutti i testi già esaminati nel processo di primo grado.
La Corte di merito ha quindi ricostruito il nesso di causalità e i profili che attengono alla colpa del ricorrente attraverso una mera rilettura delle prove dichiarative assunte in primo grado. Tale modus procedendi contrasterebbe con la previsione di cui all'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. che impone un meccanismo di rinnovazione generale e automatico in caso reformatio in peius.
Pertanto, anche nell'ipotesi di sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (sebbene erroneamente pronunciata), devono attivarsi le garanzie procedurali stabilite dagli artt. 603 cod. proc. pen. e 6 CEDU in ossequio ai fondamentali principi della presunzione d'innocenza dell'imputato e della necessità che la condanna sia pronunciata soltanto ove si ritenga raggiunta la prova della colpevolezza «oltre ogni ragionevole dubbio».
Quand'anche si ritenesse inapplicabile al caso in esame l'art. 603, comma 3-bis, cod. proc . pen., dovrebbe comunque ravvisarsi un vizio logico della motivazione. In passato, prima della riforma dell'art. 603 cod. proc. pen., la giurisprudenza di legittimità e quella della Corte EDU tendeva a delineare uno statuto della rinnovazione istruttoria non basato su linee rigidamente tracciate, affiancando al tradizionale richiamo al canone dell'oralità e a quello dell'immediatezza, un'esigenza di apprezzamento del materiale probatorio rispettoso di un quadro di garanzie concretamente idoneo ad assicurare l'equità complessiva del giudizio.
III) Violazione di legge in relazione agli artt. 40, comma 2, 589 cod. pen. e 5 d.lgs. 494/1996; vizio motivazionale in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per aver omesso di adottare tutti i provvedimenti di sua competenza; vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza, in capo al medesimo, del potere-dovere di attivarsi per impedire l'evento.
Pur potendosi condividere l'inquadramento giuridico fornito dalla sentenza di merito in ordine alle competenze e agli obblighi della figura del coordinatore della sicurezza, nello specifico, non sarebbe stata valutata la situazione eccezionale ed imprevedibile in cui si è verificato l'infortunio. L'estemporanea, non programmata ripresa dei lavori in clandestinità assurgerebbe a fattore causale eccezionale rispetto alla posizione del ricorrente. L'imputato non era a conoscenza di tale ripresa, risultando le operazioni di cantiere sospese. Nessuna attività di prevenzione imposta al coordinatore della sicurezza avrebbe potuto, in concreto, evitare l'evento dannoso, stante le peculiari condizioni in cui si stava svolgendo la lavorazione (assenza di condizioni di visibilità per l'orario notturno).
IV) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai criteri di determinazione della pena.
Sarebbe inadeguata e insoddisfacente la motivazione offerta dai giudici di merito con riferimento alla sanzione concretamente irrogata, anche in relazione alla decisione di denegare le circostanze attenuanti generiche.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020) il P.G. e la difesa dell'imputato.
Il P.G. ha chiesto il rigetto del ricorso.

La difesa dell'imputato si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l'accoglimento.

 

Diritto




1. I motivi di ricorso impongono le seguenti considerazioni.
2. Il primo motivo di doglianza è infondato.
Il Tribunale di Tempio Pausania ha erroneamente dichiarato l'estinzione del reato ascritto al ricorrente, emettendo sentenza ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen.
Legittimamente, avverso tale sentenza, ha proposto appello il Procuratore Generale, lamentando che il reato, alla data della pronuncia della sentenza di primo grado (3.2.2015), non era estinto per prescrizione, non essendo decorso il termine massimo.
Invero, il Tribunale ha trascurato di considerare che, ai sensi dell'art. 157, comma 6, cod. pen. il termine ordinario di prescrizione per il delitto di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, è raddoppiato. Ai fini del computo del termine massimo, al termine ordinario di prescrizione, pari ad anni 12, deve aggiungersi un aumento pari ad un quarto del tempo necessario a prescrivere, con la conseguenza che il reato in contestazione si prescrive nel termine massimo di quindici anni, a decorrerre dalla data di consumazione (30/11/2006).
La sentenza impugnata, con cui il primo giudice ha dichiarato la estinzione del reato, è una pronuncia di proscioglimento resa ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen.
In essa il Tribunale si è limitato ad affermare che non sono emersi elementi atti a consentire una pronuncia assolutoria, a cui si addiviene, nella ricorrenza di una causa di estinzione del reato, soltanto ove «le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte de/l'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento"» (così Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 - 01).
In relazione a questo tipo di pronuncia, la cui peculiarità è rappresentata dal fatto che il giudice deve constatare che non ricorrano ragioni che impongano l'immediata assoluzione dell'imputato, non può validamente sostenersi che l'appello proposto dal P.G. - in cui ha sollecitato la pronuncia di penale responsabilità dell'imputato - sia caratterizzato da genericità e aspecificità. Ed invero tali connotati devono essere comunque parametrati al contenuto del provvedimento che si impugna, il quale, nel presente caso, conteneva la mera constatazione della mancanza della evidenza di prove attestanti l'estraneità dell'imputato al fatto reato (cfr. Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Rv. 277811 - O1: "L'appello è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato.
3. Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato. La giurisprudenza di legittimità è tutta indirizzata nel senso di riconoscere la necessità della rinnovazione della istruttoria dibattimentale nel caso in cui la sentenza di primo grado sia stata assolutoria e non nel caso in cui sia intervenuta la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
In tale ultima ipotesi non trova applicazione l'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., di cui si assume la violazione. Il citato articolo, introdotto con legge n. 103 del 23 giugno 2017, prevede che il giudice sia tenuto a disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale allorquando il pubblico ministero promuova appello contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa. Nel presente caso, nel gudizio di primo grado, è intervenuta una delibazione soltanto sommaria delle prove dichiarative assunte.
Neppure può porsi un problema di violazione dei principi stabiliti nella nota pronuncia a Sezioni Unite nel caso Dasgupta, atteso che l'obbligo di rinnovazione in essa sancito - discendente dalla previsione contenuta nell'art.6, par.3, lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, come interpretata dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - presuppone una sentenza assolutoria nel merito in primo grado (si veda Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Rv. 267487 - 01, così massimata: "La previsione contenuta nell'art.6, par.3, lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto de/l'imputato di
esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all'esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado").
Deve invece trovare applicazione nel caso in esame l'art. 604, comma 6, cod.proc.pen., il quale dispone espressamente che "Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l'azione penale non poteva essere Iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito".
Evidente è la differenza che scaturisce dal raffronto tra le due norme citate: la disposizione di cui all'art. 603, comma 3-bis, cod.proc.pen. stabilisce un preciso obbligo, per il giudice, di provvedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, mentre il termine "occorrendo", contenuto nella formulazione dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen. fa salvo il potere del giudice di valutare se la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sia necessaria o meno (dr. in argomento Sez. 2, n. 12416 del 19/02/2020, Rv. 279058 - 01: "Nel caso in cui il giudice di appello riformi una sentenza di immediata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, per essersi il reato prescritto non al momento della sentenza di primo grado ma soltanto in appello, condannando l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile, non è tenuto obbligatoriamente alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ma ha facoltà di disporla ai sensi dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen. ").
4. Fondato è invece il terzo motivo di ricorso.
La Corte di merito ha sottolineato che il V.P. fu designato quale coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori, correttamente riconoscendo che a tale figura la legge attribuisce una posizione di garanzia ed un dovere di intervento a tutela della salvaguardia dei lavoratori di grande rilievo.
In particolare, ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. n. 494 del 1996 (il cui contenuto è stato trasfuso nell'art. 92 d.lgs. n. 81 del 2008), il coordinatore per la sicurezza - oltre a dovere assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione - ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell'incolumità dei lavoratori. Ha altresì il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospenderli, in caso di pericolo grave e imminente (art. 5, comma 1, d.lgs. 494/96: "Durante la realizzazione dell'opera, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori provvede a: a) verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; b) verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all'articolo 12, assicurandone la coerenza con quest'ultimo, e adeguare il piano di sicurezza e coordinamento e il fascicolo di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, nonché verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza; c) organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione; d) verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere; e) segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 7, 8 e 9, e alle prescrizioni del piano di cui all'articolo 12 e proporre la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornirne idonea motivazione, il coordinatore per l'esecuzione provvede a dare comunicazione dell'inadempienza alla Azienda unità sanitaria locale territorialmente competente e alla Direzione provinciale del lavoro; f) sospendere in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate").
Ha quindi affermato che il V.P., in ragione della qualifica ricoperta all'interno della società, "contravvenendo alla disposizione di cui all'art. 5 comma 1 lett. a), c), f) del D. lgs. 494/96, non verificò nella realizzazione dell'opera edilizia commissionata, l'effettiva applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento (POS), nonostante il medesimo fosse investito del compito di eseguire incisivi controlli in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute dei lavoratori", rimarcando che l'imputato era venuto meno alla funzione di alta vigilanza che gli era propria - come risulta dalle dichiarazioni assunte dagli operai, che avevano affermato di non avere mai conosciuto il V.P. - mancando di riscontrare i gravi rischi esistenti nel processo lavorativo e di sospendere i lavori fino all'adeguamento da parte delle imprese esecutrici.
Difetta tuttavia una chiara valutazione dell'aspetto rimarcato dalla difesa in ordine alle peculiari circostanze in cui si è verificato l'infortunio: i lavori erano sospesi in quanto la concessione edilizia era scaduta e la vittima è stata colpita da folgorazione nel corso di attività svolte in modo clandestino durante l'orario notturno.
La Corte di merito ha argomentato sul punto affermando: "sebbene la licenza edilizia risultasse scaduta di validità allorquando si verificò l'infortunio mortale ai danni del C.L., si osserva che il V.P. non procedette a contemplare il rischio all'incolumità degli operai -rappresentato dalla presenza di linee elettriche a media tensione in prossimità dei lavori -e né tantomeno provvide a sospendere le lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate, neppure allorquando l'esecuzione della commissionata opera edilizia procedeva in costanza di autorizzazione.
Appare pertanto evidente che, qualora il V.P. avesse adempiuto agli obblighi di garanzia su lui gravanti, l'evento non si sarebbe verificato anche se - come appunto accaduto nel caso di specie -i lavori all'interno del cantiere erano proseguiti nella clandestinità, in quanto la concessione edilizia era scaduta".
La motivazione non può essere ritenuta soddisfacente: non si chiarisce da quali elementi sia stata desunta la consapevolezza, da parte del ricorrente, della ripresa dei lavori sul cantiere in condizioni di clandestinità, inoltre, sul piano dell'incidenza causale, manca ogni approfondimento in ordine alla concreta efficacia impeditiva dell'evento dannoso in caso di adempimento del comportamento atteso da parte del ricorrente.
Il primo profilo è incidente sulla prevedibilità dell'evento dannoso, il secondo profilo sulla sua evitabilità.
Sfugge alla considerazione della Corte di merito che il V.P., in qualità di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione era chiamato a svolgere un ruolo di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza demandata ad altre figure operative [si veda, da ultimo Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017, Rv. 270991 - 01: "In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha una funzione di autonoma vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)"]. Pertanto, una estemporanea ripresa dei lavori, nelle condizioni accertate, poteva essere non prevedibile da parte del ricorrente.
Inoltre, quanto alla evitabilità dell'evento dannoso, date le peculiari circostanze in cui è avvenuto l'infortunio, la Corte di merito avrebbe dovuto esplicitare le ragioni che l'hanno indotta a ritenere che gli adempimenti richiesti al coordinatore per la sicurezza, tra i quali si sottolinea quello della sospensione dei lavori, sarebbero stati osservati, svolgendo la loro efficacia impeditiva dell'evento.
5. Per tali motivi la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Cagliari per nuovo giudizio, rimanendo assorbita nella decisione l'ulteriore questione posta dalla difesa in ordine al trattamento sanzionatorio.

 

P.Q.M.




Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Cagliari per nuovo giudizio.
In Roma, così deciso il 19 novembre 2020