Cassazione Penale, Sez. 4, 02 febbraio 2021, n. 3979 - Sfruttamento di lavoratori extracomunitari. Carenza di gravità indiziaria


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 20/01/2021
 

 

Fatto




1. Con ordinanza resa il 1 luglio 2020 (e depositata il 12 luglio 2020), il Tribunale del Riesame di Genova ha parzialmente riformato l'ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva applicato a S.K. la misura cautelare degli arresti domiciliari, sostituendola con la misura dell'obbligo di dimora nel Comune di Carrara.
Tanto in relazione a un'incolpazione per reati di concorso in attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (capo 2 dell'imputazione provvisoria) a lui contestato come commesso in Rapallo (periodo complessivo dell'attività illecita compreso dal febbraio all'ottobre 2019) e di intermediazione illecita di manodopera riferita a n. 4 extracomunitari non identificati (capo 8).
Conviene sintetizzare brevemente la vicenda da cui é scaturito il presente procedimento penale.
1.1. Nel mese di ottobre del 2018, una forte burrasca colpiva il Golfo del Tigullio, con una mareggiata che cagionava danni ingenti nella zona di Rapallo e Santa Margherita Ligure. In particolare, numerose imbarcazioni da diporto venivano distrutte o danneggiate gravemente, ed in molti casi affondate, nelle acque antistanti il porto turistico Carlo Riva di Rapallo. Sorgeva pertanto la necessità di liberare lo specchio acqueo e il fondale dai relitti: necessità in esito alla quale la Capitaneria di Porto competente dispose che al recupero e allo smaltimento delle imbarcazioni distrutte provvedessero la Società Porto Turistico Carlo Riva e gli armatori delle singole unità danneggiate.
Nel gennaio 2019 quasi tutti gli armatori si accordarono con il Porto Turistico affinché quest'ultimo si incaricasse del recupero e dello smaltimento dei relitti. In una prima fase le attività connesse venivano assegnate alla Metalcast; ma, dopo che solo 4 relitti erano stati rimossi, la direttrice del Porto Carlo Riva, M.S., decideva di non voler più sostenere i costi dell'operazione, in quanto troppo onerosi. A quel punto la M.S. si rivolgeva a P.C., legale rappresentante della British Shipways, soggetto ritenuto vicino a clan camorristici e a sua volta coinvolto nel presente procedimento, unitamente alla M.S.: il P.C. poteva assicurare un prezzo nettamente più vantaggioso (pattuito in ragione di 480 euro per ogni tonnellata da smaltire) in quanto - secondo l'impostazione accusatoria - la British operava al di fuori di qualsiasi regime autorizzatorio, senza ricorrere a personale qualificato e senza attenersi alla disciplina in materia antinfortunistica e ambientale. Le operazioni di recupero e smaltimento venivano effettuate, secondo l'accusa, in maniera abusiva ed interessavano in tutto 85 imbarcazioni per un totale di 764 tonnellate di rifiuti speciali misti pericolosi e non pericolosi: rifiuti che venivano recuperati (ivi compresi quelli dispersi in mare) entro il mese di aprile 2019, e smaltiti in alcune discariche a Marina di Massa, a Marina di Carrara e a Giugliano in Campania.
1.2. Secondo l'assunto accusatorio recepito nell'ordinanza cautelare, il S.K. sarebbe stato contattato dal P.C. per effettuare operazioni di movimentazione e smontaggio di almeno alcune delle imbarcazioni distrutte, con successivo smaltimento delle stesse nei depositi di Marina di Massa e di Marina di Carrara (e con conseguente coinvolgimento del S.K. quale concorrente nel reato di cui al capo 2). Nell'esecuzione di dette operazioni, in base al monitoraggio mediante videocamere e all'annotazione del servizio di OCP in data 15 maggio 2019, risultava che il S.K. accompagnasse, presso i siti 3M di Via Dorsale 21 a Massa e di Viale Zaccagna a Marina di Carrara, alcuni ragazzi di colore (due a Massa, due a Carrara), privi di qualsiasi dispositivo individuale di protezione (pur essendo i siti adibiti a deposito di rifiuti speciali pericolosi), i quali venivano visti nell'atto di eseguire operazioni di smontaggio di alcune componenti dai relitti; il S.K. si allontanava dopo avere accompagnato i ragazzi di colore sui predetti siti. Dalle intercettazioni telefoniche si é ritenuto di poter affermare che i rapporti tra il S.K. e il P.C. non fossero limitati all'occasione appena descritta, atteso che il giorno prima (il 14 maggio) vi era stata una conversazione fra i due in cui il P.C., mostrando di avere già pregressa conoscenza con il S.K., gli ordinava lo smaltimento di una parte del materiale facendo riferimento a "quella roba che sta in terra". Il successivo 20 maggio si registrava pure una conversazione fra il P.C. e il suo factotum e autista B.D.F. in cui si faceva riferimento al S.K. in relazione a operazioni di demolizione. L'impiego, da parte del S.K., dei suindicati lavoratori di colore - pur non essendo l'indagato titolare di attività imprenditoriale, né di alcuna agenzia di lavoro interinale o di mediazione di manodopera - in condizioni di sicurezza incompatibili con il lavoro presso i suddetti depositi di rifiuti speciali pericolosi é stato inquadrato secondo l'ipotesi di reato di cui all'art. 603-bis cod.pen..
La sopra indicata prospettazione accusatoria, così come articolata nel provvedimento applicativo della primigenia misura coercitiva, é pienamente recepita dal Tribunale del Riesame, a parte la modifica in melius delle statuizioni cautelari.

2. Avverso la prefata ordinanza insorge il S.K., con atto articolato in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della condotta a lui contestata, limitata in realtà a un singolo episodio di accompagnamento di lavoratori extracomunitari presso i siti del P.C., in seguito al quale, lo stesso giorno, il S.K. si recava a prestare regolarmente la sua attività di lavoro dipendente; dalle intercettazioni si ricava inoltre che il S.K. non intendeva eseguire operazioni illecite, chiedendo anzi che si eseguissero operazioni regolarmente fatturate e con bolla di accompagna mento.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione a proposito dell'addebito a lui mosso al capo 8: in realtà, sostiene il deducente, si trattò unicamente dell'accompagnamento di alcuni prestatori d'opera in una singola occasione, di tal che non può da ciò inferirsi né l'elemento materiale, né quello psicologico del reato per cui si procede.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, che vengono indicate come inattuali al momento dell'emissione dell'ordinanza restrittiva, a fronte dell'assenza di elementi circa prossime favorevoli occasioni di reiterazione e di significativi precedenti penali.

 

Diritto
 



1. Si premette che la valutazione affidata al giudice in tema di misure cautelari personali, vincolata al rispetto dei requisiti di gravità indiziaria di cui all'art. 273 cod.proc.pen., non coincide con quella finalizzata all'accertamento della responsabilità sulla base delle emergenze probatorie in sede dibattimentale, essendo la prima caratterizzata da esigenze interinali (cautelari, appunto) che postulano la seria probabilità, ma non necessariamente la certezza della commissione del reato da parte della persona sottoposta ad indagini; e la seconda, invece, legata alla necessità che la colpevolezza dell'imputato venga affermata "al di là di ogni ragionevole dubbio".
In tal senso va ricordato il mai disatteso indirizzo giurisprudenziale in base al quale il termine "indizi", adoperato dall'art. 273 primo comma Cod. Proc. Pen., ha una valenza completamente diversa da quella che il medesimo termine assume nell'art. 192, secondo comma. Infatti, mentre in tale ultima norma la scelta lessicale operata dal legislatore trova la sua evidente ragion d'essere nell'esigenza di distinguere tra prove ed indizi (e soprattutto onde stabilire le condizioni in cui questi ultimi possono, considerati nel loro complesso, assurgere a dignità di "prove" e giustificare, quindi, le affermazioni di colpevolezza), l'uso del termine indizi, nell'art. 273, primo comma, non é in alcun modo riconducibile ad un'analoga distinzione, ma unicamente alla diversa natura del giudizio (di probabilità e non di certezza) che é richiesto ai fini dell'applicazione di una misura cautelare e rispetto al quale doveva, quindi, parlarsi non di "prove", ma sempre comunque di "indizi", non essendovi altrimenti congruenza fra detta natura probabilistica del giudizio stesso ed i fondamenti ai quali quest'ultimo doveva essere ancorato (Sez. 6, Sentenza n. 4825 del 12/12/1995, dep. 1996, Meocci, Rv. 203600; in senso conforme vds. ex multis Sez. 3, Sentenza n. 742 del 23/02/1998, Dersziova, Rv. 210514, e Sez. 6, Sentenza n. 2547 del 05/07/1999, Merolla, Rv. 214930).
Si premette ulteriormente che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 4, Sentenza n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460). Analogamente si é affermato che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, é ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884).
2. Premesso quanto precede, il primo motivo di ricorso é infondato.
Ed invero, quanto al reato di cui al capo 2, la condotta contestata al S.K. emerge non solo dal monitoraggio dell'accompagnamento dei prestatori d'opera di colore presso i siti di Massa e di Carrara (del 15 maggio 2019), ma anche dalle conversazioni intercettate il giorno prima e soprattutto il 20 maggio, da cui emerge
- a un qualificato livello indiziario - la continuità o, comunque, la non episodicità della cooperazione del S.K. con il P.C. (e anche con il suo autista e factotum B.D.F.) in attività illecite di smaltimento dei rifiuti. Non ha pregio l'osservazione del ricorrente circa la sua asserita volontà di partecipare alle operazioni in modo (formalmente) regolare, se é vero com'é vero che egli trasportava a tal fine i lavoratori di colore presso i depositi di rifiuti speciali pericolosi senza che costoro fossero dotati dei necessari dispositivi individuali di protezione (con conseguente violazione di quanto stabilito dalla circolare MAATM n. 4064/2018): ciò che costituisce indice - sul piano della gravità indiziaria - della verosimile consapevolezza dell'odierno ricorrente di partecipare a un'attività complessivamente illecita. Né rileva a tal fine la natura della partecipazione del S.K. all'attività de qua, limitata alle operazioni di movimentazione dei rifiuti presso i depositi suddetti: ed invero, in materia di reati ambientali, ai fini dell'integrazione del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen., é sufficiente che anche una sola delle fasi di gestione dei rifiuti avvenga in forma organizzata, in quanto la norma incriminatrice indica in forma alternativa le varie condotte che, nell'ambito del ciclo di gestione, possono assumere rilievo penale (Sez. 3, Sentenza n. 43710 del 23/05/2019, Gianino, Rv. 276937).

3. A conclusioni diverse deve invece pervenirsi quanto al secondo motivo di ricorso, che risulta fondato.
Deve infatti premettersi che, secondo la più recente e condivisibile giurisprudenza di legittimità, la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'art. 603-bis cod. pen. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (Sez. 4, Sentenza n. 49781 del 09/10/2019, Kuts, Rv. 277424). Se a ciò si aggiunge che il rapporto instauratosi tra il S.K. e i quattro giovani extracomunitari (mai identificati) ha formato unicamente oggetto del monitoraggio eseguito il 15 maggio 2019 - in base al quale risulta che in tale occasione l'odierno ricorrente accompagnava i lavoratori presso i suddetti siti di smaltimento -, deve inferirsene che nella specie non appare raggiunta la soglia della gravità indiziaria, attesa l'episodicità di detto rapporto e l'assenza di elementi francamente e manifestamente suggestivi dello sfruttamento dei predetti lavoratori nei termini richiesti dalla norma incriminatrice contestata. E' quindi pertinente l'osservazione del ricorrente con riguardo all'occasionalità del monitoraggio e al fatto che esso risulti di fatto limitato all'accertamento dell'accompagnamento dei giovani di colore da parte del S.K..

4. Le considerazioni che precedono, afferenti la carenza di gravità indiziaria quanto al reato di cui al capo 8, assorbono anche le questioni relative alle esigenze cautelari, per le quali si impone una revisione della posizione del ricorrente anche a tali fini.

L'ordinanza impugnata va perciò annullata, con rinvio per nuovo esame alla competente Sezione del Tribunale di Genova.

 

P.Q.M.
 



Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Genova, Sezione Riesame.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2021.