Cassazione Penale, Sez. 4, 22 ottobre 2020, n. 28300 - Infortunio dell'addetta alle pulizie con rapporto di lavoro non regolare: lavoratore domestico e competenza del Giudice di Pace


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO
Data Udienza: 17/09/2020
 

Fatto

1. Con sentenza in data 07/02/2012, all'esito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Alba assolveva per insussistenza del fatto R.R. dall'imputazione ex art. 590 c.p. ascrittale in base alla quale avrebbe colposamente causato lesioni personali (consistenti in trauma distrattivo rachide cervicale, per cui era formulata inizialmente una prognosi di giorni 7, malattia poi prolungatasi sino a giorni 32) a S.D. - che quale addetta alle pulizie del suo studio in base a rapporto di lavoro non regolare cadeva da una scala instabile poiché mancante di uno dei piedini di gomma mentre puliva uno scaffale della libreria urtando con la spalla destra una poltroncina. Alla pronuncia assolutoria il Tribunale perveniva ritenendo che le emergenze investigative non consentissero di ritenere accertate al di là di ogni ragionevole dubbio le modalità di verificazione del sinistro; in particolare riteneva che la persona offesa nelle diverse occasioni in cui era stata sentita, avesse reso dichiarazioni non esattamente sovrapponibili.
1.1. Con sentenza n. 3912/2019 del giorno 28/05/2019, la Corte di Appello di Torino, adita dalla sola parte civile, in parziale riforma della sentenza appellata, dichiarava, ai soli fini civili, R.R. responsabile delle lesioni colpose occorse a S.D. e per l'effetto la condannava al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, salva l'assegnazione di una provvisionale a favore della stessa di euro 1,000; condannava l'imputata alla rifusione delle spese di continuata assistenza e rappresentanza sostenute dalla parte civile, liquidate in euro 1.300 oltre 15% spese generali, epa ed. iva di fogge quanto al primo grado di giudizio ed in euro 1.300 oltre 15% spese generali, c.p.a. ed IVA di legge quanto al secondo grado di giudizio, confermando nel resto.

2. Avverso tale ultima sentenza, propone ricorso per cassazione R.R., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto dì cui all'art.173, comma 1, dìsp. att. cod. proc. pen.):
I) violazione di legge in relazione all'art. 48 D.Lgs. 274/2000 per avere omesso la Corte di Appello di Torino di dichiarare la propria incompetenza per materia in favore del Giudice di Pace di Alba.
Deduce che correttamente la Corte di Appello ha riconosciuto che, essendo mancata l'impugnazione da parte del P.M., la sentenza di assoluzione del Tribunale di Alba è divenuta irrevocabile, almeno ai fini penalistici; altrettanto correttamente ha ritenuto che, alla base della vicenda essendovi un rapporto di collaborazione domestica (non rilevando se di natura autonoma o subordinata) non è applicabile al fatto contestato la normativa antinfortunistica.
Conseguentemente, venuta meno la violazione delle norme antinfortunistiche, in relazione alle quali si fondava la competenza del Tribunale in primo grado e della Corte di Appello in secondo grado, il fatto veniva così a riqualificarsi come lesioni personali colpose semplici, in relazione alle quali è prevista la competenza per materia del Giudice di Pace. Nondimeno, la Corte di Appello ha ritenuto di poter comunque procedere in virtù del principio della perpetuatio competentiae, violando così il dictum di cui alla sentenza Sez. Un. n. 28908 del 27/09/2018 Ud. (dep. 03/07/2019) Rv. 275869, secondo cui "L'incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo ex art. 48 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in deroga al regime ordinario di cui agli artt. 23, comma 2, e 24, comma 2, cod. proc. pen., ferma restando, in caso di riqualificazione del fatto in un reato di competenza del giudice di pace, la competenza del giudice togato in applicazione del criterio della "perpetuatio iurisdictionis" purché il reato gli sia stato correttamente attribuito "ab origine" e la riqualificazione sia dovuta ad acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo".
Il) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 546, comma 1, lett. e), c.p.p. con riferimento agli elementi di prova giudicati decisivi nonché omessa valutazione, motivazione e confutazione da parte della Corte di Appello di prove valutate dal Tribunale e poste alla base della sentenza assolutoria di primo grado.
Deduce che, pur avendo correttamente escluso l'applicabilità della normativa antinfortunistica alla fattispecie, la Corte di Appello, a causa della parziale rinnovazione istruttoria esperita, ha ritenuto comunque la responsabilità dell'imputata in ordine al fatto colposo contestato, considerando non giustificati i dubbi espressi dal primo giudice in ordine alla prova delle circostanze di tempo e di luogo relative all'infortunio denunciato e dalle sue modalità di verificazione. In particolare, della scala di cui si tratta non è dato trovare alcuna traccia, nessun accertamento è stato svolto sulla stessa sebbene sia agli atti un'ispezione INAIL nella quale non veniva dato atto del rinvenimento di alcuna scala presso lo studio legale. Invero, nel corso del giudizio di primo grado il tribunale aveva deciso di escutere -in quanto assolutamente necessario ai fini della decisione- l'ispettore INAIL B., il quale nulla riferiva in ordine alla presenza della scala.
Inoltre, la Corte di Appello ha omesso di considerare come nelle dichiarazioni rese in precedenza dalla persona offesa la stessa sarebbe stata consigliata dal personale dell'ospedale di Bra di non indicare la causa lavorativa dell'infortunio (cfr. dichiarazioni rese al Funzionario INAIL B. da S.D. il 18/12/2007): su questo punto la persona offesa è stata smentita dalle dichiarazioni sia del dottor P. e sia dell'infermiera V. Maria, assunti a s.i.t. dalla polizia giudiziaria presso il Tribunale di Alba (si vedano le s.i.t. utilizzate in ragione del rito abbreviato). Il collegio territoriale, poi, non ha saputo spiegare come la persona offesa, dopo essersi recata al pronto soccorso di Alba, abbia potuto prevedere che presso l'ospedale di Bra avrebbe trovato meno gente in attesa né la distanza temporale (oltre 4 ore) tra l'evento e la decisione di recarsi al pronto soccorso né, infine, l'assenza di riscontro presso il pronto soccorso non soltanto di ecchimosi alla spalla ed al braccio destro, sedi corporee ove la persona offesa riferisce di aver subito un urto contro le poltrone nella caduta, ma anche di riferite algie.
Assume che la stessa Corte di Appello (a differenza del primo giudice secondo cui nel periodo tra il 18/11/2007 ed il 28/11/2007 la p.o. avrebbe ben potuto procurarsi un traumatismo avente una diversa eziologia, poiché, rimanendo documentalmente "scoperto" tale periodo, nulla garantisce circa la continuità dell'asserita malattia) non ha valutato che il primo certificato del P.S. di Bra limitava la prognosi di guarigione a giorni 7, lasciando quindi fuori dalla durata della malattia il periodo di dieci giorni compreso tra il 17/11/2007 ed il 28/11/2007, data del secondo certificato medico prodotto agli atti, che prolungava la malattia della p.o. fino al 05/12/2007.
III) violazione di legge in relazione agli artt. 111 Cost. e 603 c.p.p. per avere la Corte di Appello disposto una rinnovazione soltanto parziale dell'istruttoria dibattimentale, assumendo le sole dichiarazioni accusatorie presenti nel fascicolo di primo grado (utilizzabili in ragione del rito abbreviato) e trascurando quelle a discarico dell'imputata nonché per avere omesso di ammettere l'imputata alla prova contraria, dando facoltà alla medesima di escutere in contraddittorio le persone le cui dichiarazioni erano acquisite agli atti del fascicolo di primo grado (in ragione del rito abbreviato).
Deduce che la rinnovazione è stata limitata ai soli testi dell'accusa (la p.o. e la di lei madre, LM.).
Assume che la Corte del merito, nel disporre la rinnovazione "a senso unico" di cui sopra, non ha dato nemmeno la possibilità all'imputata - la quale aveva scelto in primo grado che il giudizio si svolgesse con il rito abbreviato, quindi "allo stato degli atti" - a fronte delle prove nuove (almeno quanto all'oralità) disposte ed assunte dal Giudice d'Appello, di dedurre a sua volta nuove prove, sia in assoluto che quanto alla assunzione nel giudizio penale di dichiaranti che hanno reso dichiarazioni in altre sedi, malgrado il principio (fissato da Sez. 6, Sentenza n. 15912 del 28/01/2015 Ud. -dep. 16/04/2015- Rv. 263120) per cui "la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale disposta nel giudizio di appello, anche a seguito di rito abbreviato, implica il diritto delle parti all'ammissione della prova contraria, per tale dovendosi intendere quella diretta a contrastare o a mostrare sotto una diversa prospettiva lo stesso fatto oggetto della prova assunta d'ufficio, o comunque ad illuminare a petti di tale fatto rimasti oscuri o ambigui all'esito della nuova acquisizione, salvo che non si tratti di profili manifestamente superflui o irrilevanti".
IV) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 92 c.p.c. per omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in ordine alla mancata compensazione, totale o parziale, delle spese di lite sostenute dalla parte civile nei due gradi di giudizio.
Deduce che la stessa Corte di Appello, una volta ritenuta la responsabilità dell'imputata per il sinistro occorso alla p.o., ha ritenuto sussistente una responsabilità concorrente della medesima p.o. nella causazione dell'evento di danno, in misura quantomeno pari al 50%. Nonostante tale decisione in ordine alla sussistenza di una responsabilità concorrente della p.o. nella causazione dell'evento lesivo, la Corte non ha tratto dalla medesima le conseguenze logico giuridiche che sarebbero state necessarie in ordine alla rifusione delle spese di lite, poste ad integrale carico dell'imputata, anche per il giudizio di primo grado, all'esito del quale la medesima veniva assolta.
 



Diritto




3. Il ricorso è fondato e l'accoglimento della censura sub I) è assorbente.

4. Mette, infatti, conto rilevare che la stessa Corte territoriale ha correttamente affermato che <<agli, addetti ai servizi domestici e familiari non si applica la normativa antinfortunistica [ ... ] principio peraltro applicabile anche alla vicenda in esame».
Nondimeno, ha poi ritenuto che «Sebbene l'esclusione della normativa antinfortunistica indicata e la durata inferiore a 40 gg. della malattia lamentata parrebbe rendere riconducibile la condotta lesiva nell'alveo della fattispecie di competenza del giudice di pace, si osserva tuttavia che rientri nei poteri della Corte d'appello pronunciarsi nel merito dell'impugnazione proposta senza dover trasmettere gli atti al P.M. dichiarando contestualmente la competenza del giudice di pace [ ... ] Il che appare ancor più evidente rispetto a vicende come quella in esame in cui il contenzioso ha natura sostanzialmente civilistica stante la definitiva assoluzione de/l'imputata sul piano penale».
4.1. Su quest'ultimo punto si deve osservare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che l'incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo ex art. 48 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in deroga al regime ordinario di cui agli artt. 2B, comma 2, e 24, comma 2, cod. proc. pen., ferma restando, in caso di riqualificazione del fatto in un reato di competenza del giudice di pace, la competenza del giudice togato in applicazione del criterio della "perpetuatio iurisdictionis" purché il reato gli sia stato correttamente attribuito "ab origine" e la riqualificazione sia dovuta ad acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo (cfr. Sez. Un., n. 28908 del 27/09/2018 Ud. -dep. 03/07/2019- Rv. 275869).
4.1.1. Nella specie la "riqualificazione" non è stata dovuta ad acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo, per cui il dictum citato avrebbe imposto la dichiarazione di incompetenza ex art. 48 D.Lgs. 274/2000, non risultando rispettata, sin dall'origine, l'individuazione del giudice naturale e precostituito per legge.

5. Condividendo il dictum surriportato, giova ribadire che la diversa disciplina introdotta dall'art. 48 cit. trova la sua ragione nella specificità della giurisdizione onoraria e nella peculiarità del procedimento davanti al giudice di pace. La stessa competenza per materia e il catalogo dei reati attribuiti a questo giudice delineano, più di ogni altro parametro, i caratteri della sua giurisdizione, che conciliano il soddisfacimento delle esigenze deflattive, con un nuovo modello di giurisdizione volto alla composizione del dissidio interindividuale, consacrato in modo formale nell'art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 274 del 2000, che funzionalizza il procedimento all'obiettivo della conciliazione tra le parti.
Si tratta di un tipo di giurisdizione onoraria concorrente e, al tempo stesso, alternativa a quella professionale, con caratteristiche di originalità e capace di offrire una differente risposta giudiziaria a reati "minori". La selezione delle fattispecie individua situazioni di micro-conflittualità tra privati, connotate da semplice accertamento e da interessi confliggenti interpersonali con un livello di gravità modesto, elementi che contribuiscono a delineare un giudice risolutore e mediatore di piccoli conflitti.
Nell'ambito di questa competenza si innesta un arsenale sanzionatorio anch'esso tipico e alternativo rispetto a quello utilizzato dal giudice professionale, che si ascrive ad un "diritto penale mite".
L'intero processo è imbastito in funzione servente delle specificità della giurisdizione onoraria, diretta alla piena attuazione della mediazione del conflitto interindividuale.
Di tali caratteristiche ha risentito anche la disciplina sulla competenza: il risultato è una competenza chiusa, in cui sono ridotti al minimo i contatti con i "giudici diversi", scelta che vuole preservare la specificità di questa giurisdizione.
Una conferma di questa tendenza all'autonomia rispetto alla giurisdizione professionale la si trova nella Relazione allo schema di decreto legislativo deliberato dal Consiglio dei ministri del 23 giugno 2000, in cui, sebbene con riferimento alla materia della connessione, la volontà di tracciare «un solco tra le diverse forme di esercizio della giurisdizione penale» è espressa in modo netto, specificando che l'obiettivo è quello di riservare al giudice di pace «la cura di un "orto chiuso", come già accade per il giudice minorile>>.
Del resto, la peculiarità della giurisdizione di pace è stata valorizzata in diverse occasioni dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 298 del 2008; n. 426 del 2008; n. 47 del 2014) che ha rimarcato come il procedimento di pace presenti caratteri di assoluta specificità, che lo rendono incompatibile con il procedimento davanti al tribunale, con forme alternative di definizione le quali si innestano in un «procedimento connotato da una accentuata semplificazione e concernente reati di minore gravità, con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo: procedimento nel quale il giudice deve inoltre favorire la conciliazione tra le parti e in cui la citazione a giudizio può avvenire anche su ricorso della persona offesa» (Corte Cost., n. 50 del 2016).
Anche le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare la peculiarità del modello di giustizia onoraria, sottolineando, da un lato, l'autonomia del sistema sanzionatorio, configurato «nel segno della complessiva mitigazione dell'afflittività>>, dall'altro, la novità del «rito orientato, più che alla repressione del conflitto sotteso al singolo episodio criminoso, alla sua composizione» (Sez. U, n. 53683 del 28/11/2017, Perini, che ha escluso l'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art.131- bis cod. pen. nel procedimento davanti al giudice di pace, daQdo prevalenza alla peculiarità del complessivo sistema sostanziale e processuale introdotto in relazione ai reati di competenza del giudice di pace, nei cui ambito la specifica tenuità del fatto prevista dall'art. 34 svolge un ruolo anche in funzione conciliativa, valorizzando la posizione della persona offesa).
A garantire lo spazio di autonomia di questa giurisdizione è l'art. 48 - oltre alle regole sulla competenza, soprattutto per connessione -, assicurando che il giudice superiore debba sempre riconoscere, in ogni stato e grado del processo, la propria incompetenza a favore del giudice di pace, così preservando non solo la tutela degli spazi operativi dell'organo giudicante, ma garantendo all'imputato di poter fruire di tutti gli istituti conciliativi e deflattivi previsti.
Riconosciuto all'art. 48 il ruolo di "custode della separatezza" della giurisdizione onoraria, sarebbe arduo sostenere che non abbia la capacità di derogare alla disciplina codicistica di cui all'art. 23, comma 2, cod. proc. pen.
Non può non darsi rilevanza ad alcune pronunce della Corte costituzionale che hanno già avuto modo di affermare, espressamente, la natura derogatoria dell'art. 48 cit. rispetto alla disciplina generale dell'incompetenza per materia.
In tre distinte ordinanze la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni riguardanti disposizioni contenute nel D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 in materia di immigrazione, rilevando la palese incompetenza per materia dei tribunali, che le avevano sollevate sull'erroneo presupposto di poter conoscere dei reati appartenenti alla competenza del giudice di pace, senza considerare l'operatività dell'art. 48, a cui il giudice delle leggi ha riconosciuto piena capacità di derogare alla disciplina generale relativa alla c.d. incompetenza per eccesso prevista dall'art 23, comma 2, cod. proc. pen. (ord. n. 252 del 2010; ord. n. 318 del 2010; ord. n. 144 del 2011).
Nei casi esaminati i giudici a quo avevano ritenuto la propria competenza a conoscere del reato del giudice di pace a seguito di una riqualificazione giuridica ovvero per effetto di connessione seguita da un provvedimento di separazione, quindi sulla base del principio della "perpetuatio iurisdictionis", soluzione che la Corte costituzionale ha censurato, affermando che l'art. 48 deroga al regime codicistico del rilievo dell'incompetenza per eccesso anche quando derivi da connessione o da riqualificazione.
La spiegazione di questa ricostruzione la Corte costituzionale la offre in due decisioni coeve (sentenze n. 64 del 2009 e n. 56 del 2010), aventi ad oggetto entrambe la legittimità costituzionale dell'art. 6 D.Lgs. n. 274 del 2000, sebbene sotto diversi profili, in cui la scelta fortemente limitativa delle ipotesi di connessione operata dal legislatore viene ritenuta del tutto legittima dal punto di vista costituzionale, in quanto diretta a valorizzare le "peculiarità" della giurisdizione di pace, evitando il rischio di svuotamento delle funzioni del giudice onorario, che sarebbe potuto derivare dall'attrazione delle competenze presso il giudice superiore se non si fosse limitata l'operatività della connessione al solo concorso formale di reati.

6. In conclusione, deve ritenersi che la disciplina prevista dall'art. 23, comma 2, cod. proc. pen. è inapplicabile con riferimento al giudice di pace e conseguentemente escludersi che l'incompetenza del tribunale a conoscere dei reati del giudice di pace debba essere eccepita entro il termine di decadenza stabilito dall'art. 491, comma 1, cod. proc. pen., come richiamato dall'art. 23, comma 2, cod. proc. pen., trovando applicazione la regola contenuta nell'art. 48 D.Lgs. n. 274 del 2000, secondo cui la competenza del giudice di pace deve essere dichiarata in ogni stato e grado del processo.
6.1. Per le medesime ragioni non può condividersi quell'orientamento che, nell'ambito dei rapporti tra giudice di pace e giudice ordinario, risolve sulla base dell'art. 24 cod. proc. pen. i casi in cui la "derubricazione" sia ritenuta dal giudice di appello. Secondo questo indirizzo interpretativo se la corte di appello, riqualificando un fatto giudicato dal tribunale, lo riconduce ad una fattispecie di reato di competenza del giudice di pace, può decidere, anche fuori dai casi previsti dall'art. 6 d.lgs. n. 274 del 2000, nel merito dell'impugnazione, senza dover trasmettere gli atti al pubblico ministero e dichiarare contestualmente la competenza del giudice di pace (cfr. Sez. 5, n. 42827 del 16/07/2014, Schintu, Rv. 262114).
L'art. 24 cod. proc. pen., nel secondo comma, assegna un regime omogeneo a tutti i casi in cui viene riconosciuta l'incompetenza per eccesso del primo giudice, sancendone l'irrilevanza in grado di appello, regola questa, che per le ragioni sopra evidenziate, non trova spazio nei rapporti con la competenza del giudice di pace, in cui va riconosciuta la prevalenza dell'art. 48 cit., anche qualora sia il giudice di appello a operare la riqualificazione in favore della competenza del giudice onorario ovvero in quella sede venga meno il vincolo di connessione.

7. Nel caso che occupa il giudice "superiore" si è trovato a dover giudicare esclusivamente di un reato di competenza del giudice di pace dato l'errore nell'originaria determinazione della competenza o nella qualificazione giuridica del fatto. Ne deriva che il riconoscimento del principio della perpetuatio iurisdictionis si pone in attrito con il principio costituzionale del giudice naturale di cui all'art. 25, primo comma, Cost.
In sostanza, nell'ipotesi di incompetenza per eccesso derivante da una riqualificazione ("derubricazione") di un reato attribuito alla cognizione del giudice "ordinario", opera l'art. 48 cit., poiché la competenza del giudice ordinario è stata, come in questo caso, in origine, erroneamente individuata, sottraendo il reato alla cognizione del suo giudice naturale, cioè del giudice di pace.

8. Ne consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e di quella di primo grado, con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti.



P.Q.M.
 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e di quella di primo grado Dispone la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti.

Così deciso il 17/09/2020