Cassazione Penale, Sez. 4, 01 marzo 2021, n. 7921 - Caduta all'interno dell'apertura posta su un grigliato. Centralità del ruolo del datore di lavoro


 

 

Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 05/11/2020
 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, appellata da P.E., con la quale costui era stato condannato, con riconoscimento di provvisionale per i danni, per il reato di cui all'art. 590 comma 3 cod. pen. per avere, nella qualità di datore di lavoro, per colpa e in violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, omesso di assicurare che le aperture poste su un grigliato foss'ero chiuse con mezzo adeguato e così cagionato a DM.M., suo dipendente, il quale percorrendo il grigliato poggiava i piedi su un coperchio non fissato posto su un'apertura di cm. 80 e vi cadeva all'interno, lesioni superiori ai 40 giorni (in Civitavecchia il giorno 11/09/2009).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il P.E. con proprio difensore, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, rilevando che il reato contestato rientra tra i reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione e che, per addivenire all'affermazione di penale responsabilità, sarebbe stato necessario provare alcuni specifici elementi, primi fra tutti la posizione di garanzia dell'imputato e la rimproverabilità psicologica a titolo di colpa della condotta omissiva contestata.
Quanto al primo elemento, ha rilevato che all'interno della ISOLMEC s.r.l. vi erano altre figure preposte alla sicurezza del cantiere, nulla avendo sul punto affermato la Corte d'appello, pur investita della questione; inoltre, ha osservato che il cantiere era di proprietà di ENEL Produzione S.p.A., il piano di lavoro era stato realizzato da quest'ultima - che aveva pure predisposto il piano di sicurezza - e che il contratto di lavoro prevedeva l'impegno di ENEL a eliminare ogni prevedibile rischio di incidenti o infortuni, avendo la Corte d'appello risposto solo in ordine al primo dei punti indicati.
Sotto altro profilo, ha rilevato che il DM.M. era stato assunto per svolgere mansioni diverse in altra parte del cantiere e che era stato il dipendente DS. a decidere che il predetto portasse materiali ai lavoratori impegnati su quel piano di calpestio, sicché l'infortunio era avvenuto mentre il lavoratore era impegnato nello svolgimento di compiti estranei alle mansioni cui era adibito.

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.

2. I temi introdotti dal ricorso e, prima ancora, dall'appello, si polarizzano attorno ad alcune questioni, riguardanti specificamente la posizione di garanzia dell'imputato, datore di lavoro della vittima, avuto riguardo alla esistenza di altre figure di garanti e alla circostanza che il cantiere in cui si è trovata a operare la ditta del P.E. era di proprietà ENEL e che, in base al contratto di appalto, questa impegnata a eliminare le fonti di rischio. In questa prospettiva, la parte ricorrente focalizza le sue censure su un preteso vuoto motivazionale che avrebbe investito alcuni dei punti controversi, lacune che, tuttavia, vanno esaminate, ove esistenti, alla stregua dei motivi di appello e della motivazione resa dal Tribunale.

3. Dalla lettura integrata delle due sentenze di merito, opportuna stante la loro conformità, emerge chiaramente che i temi riproposti in ricorso sono stati ampiamente trattati, evidenziandosi dai giudici dei due gradi di merito i principi di diritto in base ai quali è stata ritenuta la posizione di garanzia del P.E., in uno con la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie contestata.
L'infortunio è stato ricostruito, inoltre, in maniera coerente con le evidenze esposte nelle motivazioni, essendo rimasto accertato che il DM.M., operaio addetto ad altre incombenze e non a svolgere lavori in quota, era stato invece richiesto di accedere a quel piano di calpestio, rivelatosi privo delle condizioni di sicurezza per operarvi (le aperture non essendo coperte con strutture stabili). Il che rappresenta proprio la concretizzazione di quel rischio che la norma prevenzionistica violata era intesa a scongiurare, l'evenienza che il DM.M. salisse su quel piano non rappresentando un fattore imprevedibile, né eccezionale.
I giudici del merito, inoltre, hanno messo in evidenza la irrilevanza delle concorrenti figure di garanzia, affermando la centralità del ruolo del datore di lavoro, quale garante della sicurezza in cantiere e parimenti la irrilevanza delle clausole contrattuali, cui non può attribuirsi effetto liberatorio rispetto a obblighi posti dalla legge, avendo chiarito il Tribunale che, anche a voler attribuire una qualche rilevanza alla previsione contrattuale enfatizzata a difesa, la stessa non prevedeva alcuna esclusiva in materia di sicurezza in capo all'ENEL, né peraltro avrebbe potuto farlo ai sensi delle norme vigenti.

4. Il motivo è manifestamente infondato.
Le critiche che la difesa ha articolato all'apparato motivazionale della sentenza censurata omettono di considerare che la risposta della Corte territoriale è stata calibrata su una censura (il primo motivo del gravame, gli altri attenendo al trattamento sanzionatorio), in una prima parte del tutto generica, incentrata nel resto sulla affermazione che il datore di lavoro non sarebbe stato, nel caso in esame, costituito garante della sicurezza dei propri lavoratori e del cantiere in cui gli stessi erano stati chiamati a operare poiché tale posizione di garanzia sarebbe stata assunta, in forza di una clausola del contratto stipulato con l'ente appaltante, in virtù della quale era questo a garantire gli obblighi che per legge incombono sul datore di lavoro.
Quanto alla violazione degli obblighi derivanti dalla posizione di garanzia ravvisata in capo all'imputato, il ragionamento svolto dai giudici del merito è del tutto congruo, logico e soprattutto coerente con le risultanze probatorie, rispetto alle quali non si apprezzano censure specifiche neppure nell'atto di appello.
Il ricorrente ha continuato ad affermare che l'esonero da responsabilità derivasse dalla clausola contrattuale, del tutto dimentico, tuttavia, dei principi consolidati in materia della sicurezza sul lavoro ai quali i giudici del merito hanno dato puntuale applicazione.
Non è ultroneo ricordare che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine [cfr. sez. 4 n. 1511 del 28/11/2013 Ud. (dep. 15/01/2014), Schiano Di Cola e altro, Rv. 259086; sez. 3 n. 12228 del 25/02/2015, Cicuto, Rv. 262757; sez. 4 n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239252].
Quanto alla dimensione soggettiva del rimprovero colposo, giovi ricordare che la colpa, in base alla formula legale rinvenibile nell'art. 43, cod. pen., presenta un tratto di carattere eminentemente oggettivo e normativo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare che esprime la funzione di orientare il comportamento dei consociati e l'esigenza di un livello minimo ed irrinunciabile di cautele (una volta abbandonate le risalenti teorie che riconoscevano un fondamento eminentemente psicologico alla colpa); e un altro, di natura più squisitamente soggettiva, solo indirettamente adombrato dalla definizione legale, che serve a segnare il confine con l'imputazione dolosa. Esso è generalmente individuato <<nella capacità soggettiva dell'agente di osservare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere l'osservanza della regola stessa: in poche parole, nell'esigibilità del comportamento dovuto ...... Si tratta di un aspetto che può essere collocato nell'ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all'agente e costituisce un profilo della colpevolezza colposa al quale la riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di rendere personalizzato il rimprovero dell'agente attraverso l'introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell'oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche della concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali [cfr., in motivazione, Sez. U. n. 38343 del 2014, Espenhahn e altri, richiamata anche in sez. 4 n. 12175 del 03/11/2016 Ud. (dep. 14/03/2017), Montefibre 2]. Con formula che sintetizza efficacemente la ricostruzione sopra tratteggiata, si è pertanto affermato che il rimprovero colposo riguarda la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l'esigibile osservanza delle norme cautelari violate (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 12478 del 19-20/11/2015, P.G. in proc. Barberi e altri e n. 12175 del 20:7, Montefìbre 2 cit. che alla prima rinvia).

Ciò premesso, deve rilevarsi come le obiezioni difensive scontino il mancato, effettivo confronto con le ragioni esposte nella sentenza censurata: in quella sede, il giudice d'appello ha dato conto del fatto che il P.E. aveva la disponibilità giuridica dei luoghi nei quali si svolgeva il lavoro e sui quali insisteva il piano di calpestio incriminato, sottolineando la mancata attivazione dei poteri di intervento da parte del primo garante della sicurezza, vale a dire il datore di lavoro.
Infine, quanto al comportamento tenuto dalla vittima, esso non può considerarsi abnorme, nei termini precisati dal consolidato orientamento di questa corte. Costituisce ius recepetum nella giurisprudenza di questa stessa sezione il principio secondo cui, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).
Nel caso in esame, del tutto correttamente il Tribunale ha posto l'attenzione sulla circostanza che il lavoratore si era recato su qui piano di calpestio siccome richiesto all'interno del procedimento lavorativo, ciò peraltro non implicando alcuna abnormità del suo comportamento nel senso sopra chiarito, né alcun valore interruttivo dell'obbligo del datore di predisporre i presidi di sicurezza affinchè su quella superficie potesse accedersi senza rischi di caduta dall'alto.

5. l'inammissibilità del ricorso, precludendo l'instaurarsi di un valido rapporto processuale in questo grado di giudizio, non consente alla causa estintiva del reato, nelle more sopravvenuta, di operare e impedire così il consolidarsi della pronuncia di condanna (cfr. Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266; n. 33542 del 27/06/2001, Rv. 219531; n. 23428 del 22/03/2005, Rv. 231164; sez. 6 n. 25807 del 14703/2014, Rv. 259202; sez. 1 n. 6693 del 20/01/2014, Rv. 259205).

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Deciso il 5 novembre 2020