Categoria: Cassazione penale
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  • Datore di Lavoro
  • Delega di Funzione
  • Dirigente e Preposto
  • Dispositivi di Protezione Individuali


Responsabilità di un preposto, dichiarato colpevole della contravvenzione prevista dall'art. 4, comma quinto, lettera 1), decreto legislativo 626/94, perché non richiedeva l'osservanza, da parte dei singoli lavoratori, dell'uso dei dispositivi di prevenzione individuali ed, in particolare, non richiedeva al lavoratore, poi infortunatosi al piede destro, l'uso delle calzature protettive.

Ricorre in Cassazione - Respinto

"Come ha esattamente affermato l'impugnata sentenza, non è esatta l'affermazione secondo cui, per effetto della entrata in vigore del citato decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, la violazione contestata non preveda più una sanzione penale.
È vero che la lett. f) del primo comma dell'art. 18 del decreto legislativo n. 81 del 2008, che fissa gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, non è contemplata dal successivo art. 55 (nella formulazione precedente al decreto legislativo correttivo del 3 agosto 2009, n. 106), che prevede le corrispondenti sanzioni per datore e dirigenti.
Tuttavia deve considerarsi che la violazione dell'obbligo di richiedere l'osservanza, da parte dei lavoratori, delle disposizioni sull'uso dei dispositivi di prevenzione degli infortuni resta comunque sanzionata a carico del preposto, come conseguenza dell'analogo precetto che alla lett. a) dell'art. 19 è fissato, appunto, tra gli obblighi di questa categoria di soggetti.
È infatti proprio chi è deputato, dal datore o dal dirigente, con delega, formale o anche di fatto, a sorvegliare e vigilare sulle modalità di concreto espletamento dell'attività lavorativa ed a verificare, quindi, che il dipendente si attenga alle disposizioni impartite, a dover rispondere del fatto di non aver vigilato sull'uso da parte dei lavoratori dei prescritti dispositivi di prevenzione.
Sicché per il preposto la violazione dell'obbligo in esame resta sanzionata penalmente dall'art. 56, lett. a), del decreto legislativo n. 81 del 2008, peraltro con pena più lieve rispetto alla lett. b) dell'art. 89 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
È possibile però - come è avvenuto nella specie - che il datore di lavoro non deleghi tale attività di vigilanza ad alcuno preposto.
In tale evenienza questa attività di vigilanza sull'uso dei dispositivi di prevenzione degli infortuni non può che far carico direttamente sul datore di lavoro stesso non potendo farsi discendere dalla mancata delega ad un preposto l'esonero tout court dall'osservanza di tale norma di prevenzione.

Ne consegue che la condotta omissiva contestata è tuttora sanzionata penalmente a carico del datore nella misura in cui quest'ultimo non abbia delegato tale attività di vigilanza ad un preposto e quindi allorché tale attività faccia carico direttamente su lui."


REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione III Penale

composta dagli ill.mi signori Magistrati:
dott. Ernesto Lupo Presidente
1. dott. Agostino Cordova
2. dott. Aldo Fiale
3. dott. Giovanni Amoroso
4. dott. Luigi Marini
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da ..., n. a..... avverso la sentenza dell'11 dicembre 2008 del tribunale di Barcellona Pozzo del Gotto, sez. distaccata di Milazzo;
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P .M., in persona del S . Procuratore Generale dott. Gioacchino Izzo che ha concluso per il rigetto del ricorso;
la Corte osserva:

Fatto
 
 
1. ... imputato della contravvenzione p. e p. dall'art. 4, comma quinto, lettera 1), decreto legislativo 626/94, perché non richiedeva l'osservanza, da parte dei singoli lavoratori, dell'uso dei dispositivi di prevenzione individuali ed, in particolare, non richiedeva al lavoratore, ... l'uso delle calzature protettive, che allo stesso avrebbero permesso di evitare l'infortunio avvenuto in data ... che gli aveva cagionato contusione al IV dito del piede dx (in ... ... , in data ...) - veniva dal pubblico ministero citato in giudizio innanzi a questo ufficio, per rispondere di tale contravvenzione.
All'udienza del 13 novembre scorso, la difesa preliminarmente rilevava la intervenuta depenalizzazione o abrogazione del precetto in esame, per il quale non più esisterebbe oggi sanzione a seguito della entrata in vigore del decreto legislativo 9.4.2008 n. 81.
Espletata l'istruttoria, il tribunale di Barcellona Pozzo del Gotto, sez. distaccata di Milazzo, con sentenza del 11.12.2008 dichiarava ... colpevole della contravvenzione ascrittagli e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di euro seicento di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, con i benefici della pena sospesa e della non menzione.
 
2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con quattro motivi.

Diritto
 
1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

Deduce innanzi tutto la nullità della sentenza per la mancata correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, nonché erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione nella parte in cui, in sentenza, è stata affermata la responsabilità dell'imputato quale preposto.
L'obbligo di richiedere l'osservanza dell'utilizzo dei dispositivi di protezione è posto a carico dei datori di lavoro e dei dirigenti dall'art. 18 lett. f), comma primo, del nuovo testo legislativo.
Tuttavia, per la violazione di tale obbligo, la nuova normativa (art. 55 sulle sanzioni per datori di lavoro e dirigenti) non prevede alcuna sanzione.
 
Il ricorrente deduce poi la violazione dell'art. 192 c.p.p., per essere state utilizzate le dichiarazioni del lavoratore infortunato quale teste, mentre quest'ultimo avrebbe dovuto essere sentito ai sensi dell'art. 210 c.p.p. (audizione dell'imputato di reato connesso).
 
Il ricorrente lamenta altresì l'erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà di motivazione nella parte in cui si afferma nell'impugnata sentenza la sussistenza del fatto contestato (omissione di vigilanza sull'uso delle misure di prevenzione da parte dei lavoratori).
 
Da ultimo il ricorrente deduce l'erronea applicazione della legge penale nella parte in cui è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena della ammenda, in assenza di richiesta da parte della difesa ed in ipotesi in cui, a fronte della esiguità della sanzione, il beneficio è idoneo a costituire in realtà un pregiudizio.
 
2. Il primo motivo è infondato.
 
Come ha esattamente affermato l'impugnata sentenza, non è esatta l'affermazione secondo cui, per effetto della entrata in vigore del citato decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, la violazione contestata non preveda più una sanzione penale.
È vero che la lett. f) del primo comma dell'art. 18 del decreto legislativo n. 81 del 2008, che fissa gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, non è contemplata dal successivo art. 55 (nella formulazione precedente al decreto legislativo correttivo del 3 agosto 2009, n. 106), che prevede le corrispondenti sanzioni per datore e dirigenti.
Tuttavia deve considerarsi che la violazione dell'obbligo di richiedere l'osservanza, da parte dei lavoratori, delle disposizioni sull'uso dei dispositivi di prevenzione degli infortuni resta comunque sanzionata a carico del preposto, come conseguenza dell'analogo precetto che alla lett. a) dell'art. 19 è fissato, appunto, tra gli obblighi di questa categoria di soggetti.
È infatti proprio chi è deputato, dal datore o dal dirigente, con delega, formale o anche di fatto, a sorvegliare e vigilare sulle modalità di concreto espletamento dell'attività lavorativa ed a verificare, quindi, che il dipendente si attenga alle disposizioni impartite, a dover rispondere del fatto di non aver vigilato sull'uso da parte dei lavoratori dei prescritti dispositivi di prevenzione.
Sicché per il preposto la violazione dell'obbligo in esame resta sanzionata penalmente dall'art. 56, lett. a), del decreto legislativo n. 81 del 2008, peraltro con pena più lieve rispetto alla lett. b) dell'art. 89 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
È possibile però - come è avvenuto nella specie - che il datore di lavoro non deleghi tale attività di vigilanza ad alcuno preposto.
In tale evenienza questa attività di vigilanza sull'uso dei dispositivi di prevenzione degli infortuni non può che far carico direttamente sul datore di lavoro stesso non potendo farsi discendere dalla mancata delega ad un preposto l'esonero tout court dall'osservanza di tale norma di prevenzione.
Ne consegue che la condotta omissiva contestata è tuttora sanzionata penalmente a carico del datore nella misura in cui quest'ultimo non abbia delegato tale attività di vigilanza ad un preposto e quindi allorché tale attività faccia carico direttamente su lui.
Nello specifico - ha poi osservato ulteriormente il tribunale - all'epoca dei fatti il ..., legale rappresentante della s.r.l. datrice di lavoro, risultava comunque anche aver svolto in concreto le funzioni di "preposto" (cfr. in tal senso la precisazione fatta all'udienza dallo stesso verbalizzante escusso) ed in quella veste egli rispondeva ugualmente della violazione contestata.
 
3. Il secondo motivo è infondato in quanto il lavoratore che ha subito l'infortunio non era in concreto imputato di reato connesso e quindi non trovava applicazione l'art. 210 c.p.p.; cfr. Cass., sez. III, 8 giugno 2007, Pontoriero, secondo cui il divieto di esaminare in dibattimento l'indagato per lo stesso reato o per reato connesso come persona informata sui fatti senza le formalità di cui all'art. 210, 2°, 3° e 4° comma, c.p.p., consegue all'assunzione della qualità di indagato in forza dell'iscrizione prevista dall'art. 335 c.p.p.; circostanza questa che nella specie non risulta, né è dedotta dal ricorrente.
 
4. Il terzo motivo è inammissibile.
 
Si tratta di una censura in fatto non deducibile in sede di legittimità se non nei rigorosi limiti del vizio di motivazione.
Nella specie comunque correttamente il tribunale ha dato ragione del suo convincimento in ordine alla sussistenza della condotta contestata rilevando che dall'audizione dell'infortunato emergeva la pratica costante seguita, non soltanto dall'infortunato, ma anche da altri dipendenti e che comportava la sistematica violazione della prescrizione antinfortunistica.
Era infatti emerso che, allorché si doveva lavare con acqua la coperta delle imbarcazioni realizzate nel cantiere navale, l'infortunato (e gli altri lavoratori) operavano a piedi nudi.
Ciò faceva sì che il lavoratore infortunato urtasse con le dita dei piedi su di un ostacolo, procurandosi la contusione che gli determinava lesioni lievissime; le quali sarebbero state di certo evitate dall'uso delle scarpe protettive.
Il tribunale ha poi ulteriormente rilevato che l'elemento soggettivo era integrato dalla coscienza e volontà dell'omissione dell'attività di vigilanza da parte dell'imputato.
 
5. Il quarto motivo è inammissibile mancando l'interesse a ricorrere.
 
Ha affermato questa Corte (Cass., sez. I, 10 giugno 2008 - 2 luglio 2008, n. 26633) che nell'esercizio del potere discrezionale riconosciutogli dall'art. 163 cod. pen., il giudice può anche di ufficio disporre la sospensione condizionale della pena, facendo prevalere, sul contrario interesse dell'imputato a non giovarsene in relazione alla lievità della sanzione inflittagli, una valutazione in concreto di utilità della concessione del beneficio per la finalità di prevenzione speciale e rieducazione che costituisce la "ratio" dell'istituto. Cfr. anche Cass., sez. III, 4 novembre 2008 - 14 novembre 2008, n. 42530, secondo cui è inammissibile per difetto dell'interesse ad impugnare il ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna a pena dell'ammenda, condizionalmente sospesa "ex officio", e relativa a contravvenzione non oblabile ai sensi dell'art. 162 cod. pen., in quanto la circostanza che il reato sia punito con pena alternativa determina l'obbligatorietà dell'iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale.
 
6. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM
 
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2009
DEPOSITATA IN CANCELLERIA
Il 3 DIC. 2009