Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 aprile 2021, n. 9654 - Determinazione del danno da infortunio sul lavoro in caso di versamento di acconti


 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 13/04/2021
 

 

Rilevato che

La Corte d'appello di Venezia, con sentenza n. 563 del 2013, ha parzialmente accolto l'impugnazione proposta da G.T. nei confronti di C.R. (suo dipendente) avverso la sentenza del Tribunale di Treviso che, dichiarata cessata la materia del contendere tra il G.T. e l'Inail (quanto all'azione di regresso avanzata per ottenere il rimborso delle prestazioni riconosciute dall'Istituto al C.R. a seguito dell'infortunio sul lavoro del 13.3.1997), aveva condannato il G.T. a risarcire al lavoratore la somma complessiva di Euro 440.802,97 dalla quale andava detratta, oltre alla rendita percepita dall'Inail pari ad Euro 57.692,18, la somma di 258.228,44, ricevuta dal lavoratore dalla Compagnia Nazionale Assicurazioni s.p.a., che aveva assunto la copertura assicurativa del rischio per infortuni sul lavoro;
per quanto ora di interesse, la Corte territoriale ha accolto il solo profilo dell'appello principale proposto dal G.T. relativo alla asserita erroneità delle modalità di detrazione della somma già corrisposta dalla compagnia assicuratrice e ciò in quanto la somma versata a titolo di acconto - nel periodo intercorso tra il pagamento e la liquidazione definitiva -verosimilmente avrebbe potuto essere utilizzata per l'ottenimento di un lucro finanziario di cui si doveva tener conto nella liquidazione definitiva del danno subito; per tale motivo, la Corte ha disposto la detrazione della somma di Euro 258.228,44, versata a titolo di acconto, nell'importo corrispondente alla sua rivalutazione secondo il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi, qualora superiore al saggio degli interessi legali dalla data dei singoli pagamenti alla data della sentenza impugnata avverso tale sentenza ricorre per cassazione C.R. sulla base di due motivi: 1) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1224, secondo comma, C.c. ( art. 360, primo comma n.3) c.p.c.) in quanto la sentenza impugnata avrebbe applicato alla fattispecie concreta, relativa alla liquidazione del danno subito da un lavoratore, la disposizione contenuta nell'art. 1224, secondo comma, c.c. attribuendo al C.R. ( vittima del sinistro e dunque creditore della prestazione risarcitoria sin dalla data di verificazione dell'evento) la posizione di soggetto tenuto a corrispondere alla controparte gli importi relativi al maggior danno da svalutazione, con ciò ribaltando la posizione del creditore dell'obbligazione risarcitoria; 2) violazione dell'art. 3 Cost., in ragione del fatto che l'interpretazione dell'art. 1224, secondo comma, c.c. sposata dalla Corte d'appello comporterebbe l'inevitabile conseguenza di consentire al debitore dell'obbligo risarcitorio di poter fruire della rivalutazione sopra indicata, mentre priverebbe di tale possibilità il lavoratore danneggiato;
resiste con controricorso G.T.; entrambe le parti hanno depositato memorie;
il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso;

 

Considerato che



i motivi, strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente;
in primo luogo, va posto in evidenza che la sentenza impugnata ha ritenuto : a) che l'acconto corrisposto dalla compagnia assicuratrice, nel periodo intercorrente tra il pagamento e la liquidazione definitiva verosimilmente avrebbe potuto essere utilizzato per l'ottenimento di un lucro finanziario di cui si deve tener conto nella liquidazione finale;
b) deve, quindi, farsi applicazione del principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione n. 19499 del 2008, secondo il quale il maggior danno di cui all'art. 1224, secondo comma, c.c. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di, Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali; da ciò ha fatto conseguire che, in assenza di diversa allegazione e prova, le somme corrisposte a titolo di acconto dalla compagnia (Euro 258.228,44) si sarebbero dovute detrarre dalla somma riconosciuta con la sentenza di primo grado (Euro 440.802,97) nell'importo corrispondente alla rivalutazione secondo il saggio medio di rendimento dei titoli di Stato sopra indicato alla data della stessa sentenza;
in sostanza, richiamando un principio relativo all'interpretazione dell'art. 1224, secondo comma, c.c. (disposizione in verità non applicabile alla fattispecie perché relativa ad obbligazioni originariamente pecuniarie) si è proceduto alla determinazione della liquidazione del danno detraendo dall'importo complessivo liquidato alla data della sentenza, l'importo come sopra rivalutato;
poiché il ricorrente nulla lamenta in riferimento alle modalità di rivalutazione del danno operate dal primo giudice o sulle modalità temporali di pagamento degli acconti, deve ritenersi che la Corte d'appello abbia posto in essere la detrazione di cui sopra operando tra poste omogenee, cioè tra importi entrambi rivalutati secondo lo stesso parametro;
sulla base di tale premessa, va affermato che la sentenza impugnata non ha nella sostanza violato alcuna disposizione in materia di determinazione del danno da infortunio sul lavoro in caso di versamento di acconti;
la giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Cass. n. 9950/2017; negli stessi termini, Cass., n. 25817/2017; Cass., n.29031/2018; Cass., n.1637/2020) ha consolidato il seguente orientamento cui va data continuità;
nel caso di ritardato adempimento delle obbligazioni di valore, non si applicano le norme sulla mora nelle obbligazioni pecuniarie (art. 1224 c.c.);
il ritardato adempimento dell'obbligo di risarcimento del danno (obbligo rispetto al quale il debitore è in mora ex re dal giorno dell'illecito: art. 1219 c.c.) impone al debitore di: a) pagare al creditore l'equivalente monetario del bene perduto, espresso in moneta dell'epoca della liquidazione, il che si ottiene con la rivalutazione del credito, salvo che il giudice ovviamente l'abbia già liquidato in moneta attuale; (b) pagare al creditore il lucro cessante finanziario, ovvero i frutti che il denaro dovutogli a titolo di risarcimento sin dal giorno del sinistro avrebbe prodotto, in caso di tempestivo pagamento; e questo danno si può liquidare anche (ma non solo) applicando un saggio di interessi equitativamente scelto dal giudice sul credito risarcitorio rivalutato anno per anno (Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995);
ai fini della soluzione del problema pratico dello scomputo degli acconti, quel che rileva è la ratio della soluzione adottata da Sez. un. 1712/95, cit. che consiste nel principio secondo il quale la liquidazione del danno da mora nelle obbligazioni di valore deve ipotizzare quel che il creditore avrebbe potuto ricavare dall'investimento della somma a lui dovuta, se fosse stato tempestivamente soddisfatto;
è dunque evidente che, nel caso di pagamenti in acconto, il creditore:

(a) nel periodo compreso tra il danno e il pagamento dell'acconto, a causa della mora ha perduto la possibilità di investire e far fruttare il denaro dovutogli: e dunque il danno da mora deve, per questo periodo, replicare il lucro che gli avrebbe garantito l'investimento dell'intero capitale dovutogli; (b) solo dopo il pagamento dell'acconto, e per effetto di quest'ultimo, il creditore non può più dolersi di avere perduto i frutti finanziari teoricamente derivanti dall'investimento dell'intero capitale dovutogli; dopo il pagamento dell'acconto, infatti, il lucro cessante del creditore si riduce alla perduta possibilità di investire e far fruttare il capitale che residua, dopo il pagamento dell'acconto;
questo essendo il criterio che deve presiedere alla liquidazione del danno da mora nelle obbligazioni di valore, ne segue che nel caso di pagamento di acconti, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio attraverso le seguenti operazioni:
(a) rendere omogenei il credito risarcitorio e l'acconto (devalutandoli entrambi alla data dell'illecito, ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione); (b) detrarre l'acconto dal credito; (c) calcolare gli interessi compensativi applicando un saggio scelto in via equitativa: (c') sull'intero capitale, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto; (c") sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva (così già Sez. 3, Sentenza n. 6347 del 19/03/2014);
resta così superato il diverso principio espresso da Cass. n. 6357 del 21/03/2011, in quanto incoerente con la ratio e lo scopo dei principi;
che disciplinano la mora nelle obbligazioni di valore, come stabiliti da Cass. sez. un. 1712/95, cit., e conduce di fatto ad una sottostima del danno;
essendo la sentenza impugnata in linea con tali principi, seppure con le precisazioni di cui sopra il ricorso va, dunque, rigettato;
le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo;

 

P.Q.M.





la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 5000,00 oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove previsto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio dell'8 ottobre 2020.