Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 aprile 2021, n. 10373 - Caduta dell'operaio dal soppalco. Responsabilità del datore di lavoro e della srl


 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 20/04/2021
 

Rilevato che

con sentenza n. 682 del 22 dicembre 2014, la Corte d'appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accertato la responsabilità solidale di MPE srl e di S.A. nella causazione dell'infortunio occorso il 29 dicembre 2006 a G.F., il quale era caduto da un soppalco essendo rimasto impigliato ad una rete metallica che aveva gettato sul piano sottostante; a fronte di tale accertamento, la Corte ha condannato i predetti in solido a corrispondere all'INAIL, in via di regresso, ai sensi degli articoli 10 ed 11 DPR n. 1124 del 1965, la somma di complessivi Euro 295.300,62 da maggiorarsi con interessi legali dalla data di costituzione in mora del 28 agosto 2008 al saldo;
la Corte territoriale ha pure condannato Groupama Assicurazioni spa a tenere indenne la sola società MPE s.r.l. relativamente al pagamento della detta somma, compresa entro il massimale assicurativo;
ad avviso della Corte d'appello, la sentenza di primo grado aveva errato nell'escludere la responsabilità specifica di S.A., legale rappresentante della società, giacché dalla ricostruzione dei fatti relativi all'infortunio era emerso che l'Inail già dal ricorso di primo grado aveva individuato come responsabile della sicurezza il medesimo S.A., presidente del consiglio di amministrazione della società, il quale era stato presente durante l'esecuzione dei lavori ed aveva pure rilevato la pericolosità della condotta assunta dal G.F. e dall'altro operaio nel prelevare i materiali accatastati sul soppalco posto a circa due metri di altezza e privo di protezione, senza tuttavia imporre loro di porre fine a tale condotta e limitandosi ad una lamentela relativa alla cattiva abitudine dei due operai di lavorare in tal modo; peraltro, si trattava di responsabilità solidale rispetto a quella della società e la copertura assicurativa valeva nei soli confronti di quest'ultima;
neppure era emersa la condotta abnorme ed imprevedibile dell'infortunato che, secondo il primo giudice, giustificava il riconoscimento del concorso di colpa del medesimo lavoratore;
quanto alla quantificazione degli esborsi dell'Inail recuperabili in via di regresso, la Corte territoriale ha dato atto che la datrice di lavoro non è esonerata dalla responsabilità civile per l'infortunio sul lavoro nel caso in cui il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio ed il tal caso l'Istituto può ottenere in via di regresso dalle persone civilmente obbligate quanto erogato per indennità, spese accessorie e quanto corrispondente al valore capitale dell'ulteriore rendita dovuta all'infortunato che va pure aggiornata se variata nel corso del giudizio;
il danno subito dal G.F., liquidato secondo le cd. tabelle di Milano e tenuto conto della sua età al momento del sinistro ( S2 anni) e delle risultanze della c.t.u. espletata, era riferibile ad un danno biologico permanente in misura pari al 55% ed una inabilità temporanea complessiva di 220 giorni, di cui 110 con invalidità al 100% ed i restanti con invalidità al 50%. Per l'invalidità temporanea l'Inail aveva corrisposto la somma di Euro 16.660,60, mentre il danno biologico puro, secondo le tabelle di Milano, era pari ad Euro 262.140,02. A titolo di componente di danno non patrimoniale in relazione alla invalidità temporanea doveva, poi, aggiungersi la somma di Euro 16.500 ( considerato pari a 100 per ogni giornata di inabilità assoluta ed a 50 per ogni giorno di inabilità parziale al 50%), mentre nessun danno patrimoniale ulteriore da ridotta capacità lavorativa specifica era in effetti residuato. Neppure poteva considerarsi, ai fini della cd. capienza, il danno morale che non era stato indennizzato dall'Inail, dovendosi applicare il principio che l'Inail può recuperare gli esborsi relativi ai medesimi titoli in forza dei quali le somme furono erogate dall'Istituto: in definitiva, andavano sommati gli importi relativi al danno biologico permanente puro, al danno biologico da inabilità temporanea, al danno patrimoniale da perdita del reddito durante la inabilità temporanea, ottenendo la somma di Euro 295.300,62 quale limite di capienza dell'importo rimborsabile all'Istituto;
avverso tale sentenza ricorrono, con separati ricorsi, MPE s.r.l., sulla base di quattro motivi, e S.A. in proprio, sulla base di otto motivi;
resistono con controricorso INAIL e Groupama Assicurazioni; le parti hanno depositato memorie;
 

Considerato che
il ricorso proposto da S.A. sì articola sui seguenti motivi: 1) violazione dell'art. 414 c.p.c. e dell'art. 27, primo comma, dPR n. 547/1955 in relazione all'art. 2043 c.c., in ragione della nullità del ricorso introduttivo derivante dalla circostanza che tale ricorso non conteneva la sufficiente allegazione del titolo di specifica responsabilità del S.A., ragione per la quale la sentenza impugnata aveva errato nel ritenere che l'Inail aveva addirittura provato una responsabilità personale ( necessariamente extra contrattuale) del S.A.;2) violazione dell'art. 2043 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ravvisato nel fatto che il soppalco sul quale i lavoratori operavano non costituiva un'area di lavoro, ma la sommità di locali posti all'interno del più ampio stabilimento della Società per cui a tale soppalco non poteva collegarsi l'obbligo di cui all'art. 27 dPR n. 547/1955; 3) violazione dell'art. 11 dPR n. 1124 del 1965 in relazione all'art. 1227, primo comma, c.c. laddove non era stato riconosciuto il concorso di colpa del lavoratore che aveva posto in essere una manovra imprudente; 4) violazione dell'art.. 11 dPR n. 1124 del 1965 e dell'art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000 in quanto era stato considerato come voce di danno recuperabile in via di regresso anche il danno biologico da inabilità temporanea non coperto dalle prestazioni Inail; 5)violazione degli art. 132, secondo comma, ai sensi dell'art. 360, primo comma n.4, c.p.c. in quanto sin dal primo grado era stata chiamata in garanzia Groupama Assicurazioni che, intervenuta in giudizio, nulla aveva eccepito riguardo alla detta chiamata ed il Tribunale aveva rigettato le domande nei suoi confronti ed in appello erano state ribadite le conclusioni di cui al primo grado e, nonostante ciò, la sentenza impugnata aveva ritenuto che la copertura assicurativa offerta da Groupama non riguardava il S.A. senza alcuna motivazione sul punto; 6) violazione degli artt. 24, secondo comma, 111, secondo comma, Cost. e 101 c.p.c. con relativa nullità della sentenza in quanto aveva deciso per l'assenza di copertura assicurativa sulla base di una questione rilevabile d'ufficio non previamente indicata alle parti; 7) violazione e falsa applicazione dell'art. 115 e dell'art. 1362, secondo comma, c.c. in quanto la polizza assicurativa copriva anche la responsabilità civile personale dei dipendenti dell'Assicurato, dei lavoratori parasubordinati e dei lavoratori interinali nello svolgimento delle proprie mansioni; 8) violazione e falsa applicazione dell'art. 91, primo comma, c.p.c. e 436, terzo comma, c.p.c. laddove il S.A. era stato condannato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore della società Groupama Assicurazioni s.p.a. che non aveva mai contestato di dover tenere indenne il ricorrente;


il ricorso proposto da MPE s.r.l. si articola su cinque motivi: 1) violazione degli artt.10 ed 11 dPR n. 1124 del 1965 in relazione all'art. 1227, primo comma, c.c. laddove non era stato riconosciuto il concorso di colpa del lavoratore che aveva posto in essere una manovra imprudente; 2) violazione dell'art. 11 dPR n. 1124 del 1965 e dell'art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000 in quanto era stato considerato come voce di danno recuperabile in via di regresso anche il danno biologico da inabilità temporanea non coperto dalle prestazioni Inail; 3) violazione dell'art. 1917 c.c. e o nei sensi delll'art. 360, primo comma n. 4, c.p.c., per non avere la sentenza impugnata posto a carico della società assicuratrice le spese di giudizio liquidate in favore dell'INAIL; 4) violazione o falsa applicazione dell'art. 1917, comma 3. c.c. ed omessa pronuncia in ragione del fatto che la Corte d'appello aveva omesso di provvedere nel rapporto tra assicurata ed assicuratrice quanto alle spese del giudizio; 5) violazione o falsa applicazione dell'art. 1917, comma 2. c.c. ed omessa pronuncia, in ragione del fatto che la Corte d'appello aveva omesso di provvedere sulla domanda di condanna dii Groupama Assicurazioni al pagamento diretto in favore del danneggiato;
il terzo o motivo del ricorso di S.A. ed il primo motivo del ricorso di MPE srl, di contenuto coincidente, sono infondati;
correttamente la Corte d'appello ha ritenuto insussistente il concorso di colpa dell'infortunato giacché, alla luce della ricostruzione in fatto descritta in sentenza e neanche censurata dai ricorrenti, non era emersa la condotta abnorme che sola può integrare tale concorso;
questa Corte di legittimità ha, infatti, affermato che il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggerne l'incolumità nonostante la sua imprudenza o negligenza; pertanto, la condotta imprudente del lavoratore attuativa di uno specifico ordine di servizio, integrando una modalità dell' 'iter" produttivo del danno "imposta" dal regime di subordinazione, va addebitata al datore di lavoro, il quale, con l'ordine di eseguire un'incombenza lavorativa pericolosa, determina l'unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso ( Cass. 24798 del 2016; Cass. 11753 del 2018);
il primo motivo del ricorso del S.A. è infondato; lo stesso non si confronta adeguatamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha interpretato il contenuto del ricorso di primo grado nel senso di una prospettazione della responsabilità personale del S.A. derivante dal concreto esercizio della funzione di soggetto responsabile della sicurezza (evidentemente trattasi di ruolo diverso da quello dell'amministratore), e neanche adeguatamente contrasta la detta interpretazione, nei limiti in cui ciò potrebbe avvenire in sede di legittimità, dovendo riaffermarsi il principio secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, l'erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. ( Cass. n. 31546 del 2019), nel caso di specie il ricorrente non spiega i termini di un vizio motivazionale di tal genere ma propugna una diversa interpretazione ed insieme denuncia una nullità del ricorso introduttivo che neppure viene riprodotto od allegato;
il secondo motivo è pure infondato giacché ( Cass. n. 12561 del 2017; Cass. 12429 del 2020) la speciale azione di regresso spettante all'INAIL, ai sensi degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, è esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso tutti i soggetti - come l'appaltante o il subappaltante - che, chiamati a collaborare a vario titolo nell'assolvimento dell'obbligo di sicurezza in ragione dell'attività svolta, siano gravati di specifici obblighi di prevenzione a beneficio dei lavoratori assoggettati a rischio; dunque, anche il ricor-rente che operava comunque come responsabile dell'organizzazione produttiva all'interno dell'ambiente di lavoro, ingerendosi in concreto nella stessa, aveva assunto la relativa responsabilità nell'intero contesto aziendale, senza che si possa ridurre tale ambiente ad alcuni ambienti piuttosto che ad altri;
il quinto, il sesto ed il settimo motivo, connessi e da trattare congiuntamente, sono infondati; la sentenza, seppure laconicamente, ha fornito una motivazione relativamente alla assenza di copertura assicurativa in favore del S.A. dicendo che il contratto stipulato non riguardava il ricorrente, dunque non è nulla per motivazione apparente; il ricorrente non allega al ricorso la polizza assicurativa che invoca e, per lo stralcio che riporta, allude ad una copertura estesa a favore dei soggetti in relazione di para-subordinazione o di subordinazione con la società; tale rapporto, però non è stato neanche prospettato in concreto e costituisce fatto del tutto nuovo in ordine al quale, comunque, occorrerebbe fornire prova in quanto le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili purché si accerti l'attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell'assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società ( Cass. 19596 del 2016);
anche l'ottavo motivo del ricorso del S.A. è infondato giacché la sentenza impugnata ha regolato le spese secondo soccombenza;
i motivi terzo quarto e quinto del ricorso della società sono infondati in quanto si riferiscono a pretese coperture assicurative relative alle spese sostenute nel giudizio intentato dal danneggiato, ovvero alla richiesta di pagamento dell'indennizzo direttamente in favore del medesimo danneggiato, senza considerare che il presente giudizio è esercizio dell'azione di regresso intentata dall'INAIL che è azione autonoma espressione dell'interesse pubblico la cui cura è assegnata all'Inail ai sensi dell'art. 38 Cost.;
sono fondati il quarto motivo del ricorso di S.A. ed il secondo del ricorso della società in quanto in tema di responsabilità del datore di lavoro per il danno da inadempimento (nella specie derivante da un demansionamento), l'indennizzo erogato dall'INAIL ai sensi dell'art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000 non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che sulla base di tale norma, in combinato disposto con l'art. 66, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all'inabilità permanente. ( Cass. 4972 del 2018) ed in tema di danno cd. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l'erogazione Inail ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l'indennizzo erogato dall'Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale; pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest'ultimo alla quota Inail rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall'importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall'importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita Inail destinata a ristorare il danno biologico permanente. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, pur accogliendo il criterio della comparazione tra poste omogenee, non aveva liquidato il danno per invalidità temporanea ed aveva calcolato il danno differenziale detraendo il valore della rendita dall'importo­ base spettante a titolo di danno biologico, senza riconoscere la maggiorazione dovuta alla personalizzazione del danno stesso) (Cass. n. 9112 del 2019);
in definitiva, vanno accolti il quarto motivo del ricorso di S.A. ed il secondo del ricorso della società, rigettati i rimanenti motivi di entrambi i ricorsi, la sentenza impugnata va cassata in parte qua e la causa rinviata alla Corte d'appello di Firenze in diversa composizione per la determinazione della somma da rimborsare all'INAIL in applicazione del principio sopra enunciato, oltre che per le spese del giudizio di legittimità;
 

P.Q.M.
 

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso proposto da Ademaro S.A. ed il secondo del ricorso proposto da MPE srl., rigetta gli altri motivi di entrambi i ricorsi, cassa in parte qua la sentenza impugnata rinvia alla Corte d'appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell'8 ottobre 2020.