Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 28 aprile 2021, n. 16166 - Sfruttamento della manodopera bracciantile


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 15/04/2021
 

 

Fatto


1. Con ordinanza del 22/5/2020 il GIP del Tribunale di Castrovillari disponeva la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti, tra gli altri, di M. indagato per i reati ex artt. 416 e 603-bis co. 1 n. 2), 3 nn. 1), 2), 3) e 4), 4 nn. 1) e 3) di cui ai capi 1) e 8) della provvisoria rubrica.
Avverso tale provvedimento l'indagato formulava una richiesta di riesame contestato la ritenuta sussistenza dei presupposti legittimanti l'adozione del vincolo coercitivo sia sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza, contestando in particolare la sussistenza del reato associativo, sia delle esigenze cautelari.
Il Tribunale di Catanzaro con ordinanza del 7-8/7/2020 sostituiva la misura carceraria con quella degli arresti domiciliari.

2. Ricorre M., a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla ritenuta gravità indiziaria quanto al reato associativo e all'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
In particolar modo, contesta l'ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente la fattispecie di cui al capo 1) d'incolpazione tanto sotto il profilo dell'affectio societatis che in ordine alla stabilità del vincolo.
Evidenzia, in particolare, che tutte le intercettazioni si riferiscono a soggetti diversi dal M., in relazione al quale non può dubitarsi che fosse un bracciante agricolo con un regolare contratto con l'Impresa T.F. e che in tale qualità veniva impiegato per la raccolta dei frutti nei campi e anche per la conduzione dei mezzi di lavoro e dei lavoratori che dovevano recarsi sul posto di lavoro.
A suo carico -ci si duole- ci sarebbero solo illazioni e presunzioni, del tutto assertive e inconferenti e solo le conversazioni intercettate del 29/3/2018 e 19/5/2018 con A.G. il cui contenuto si riferisce al trasporto di lavoratori da parte dell'indagato, cioè al suo compito di autista, svolto nell'ambito di un rapporto di lavoro regolare e non al servizio di un sodalizio criminoso.
Si sottolinea che non vi è prova di alcuna utilità, provento o altra corresponsione a suo favore.
L'ordinanza impugnata non argomenterebbe in modo puntuale, prendendo in esame la specifica posizione del M., il ruolo da questi svolto all'interno del sodalizio e la consapevolezza di essere parte di un sodalizio criminoso che, aveva come fine quello dello sfruttamento della manodopera. Si parificherebbe la sua ad altre condotte, tenute da altri soggetti, per presunzioni e per automatismi attraverso richiami riferiti ad altri indagati.

Viene ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, l'associazione per delinquere si caratterizza, in primo luogo, per essere frutto di un accordo a carattere generale e continuativo volto ad eseguire un programma criminoso: la stabilità del vincolo e l'indeterminatezza del programma criminoso costituiscono infatti i tratti differenziali del reato associativo rispetto all'istituto del concorso di persone ex art. 110 ss. cod. pen., contrassegnato invece dalla occasionalità del vincolo e dalla specificità del reato che costituisce oggetto di accordo. L'associazione per delinquere, poi, deve avere come scopo la commissione di "più" delitti, cioè l'attuazione di un programma criminoso: dunque, l'art. 416 cod. pen. non è applicabile se gli associati programmano un solo reato, ovvero perseguono scopi antisociali o immorali. Inoltre, l'elemento psicologico del reato associativo consiste nella volontà di far parte in modo permanente dell'associazione con la consapevolezza degli scopi cui l'associazione medesima è finalizzata: si tratta, dunque, di dolo specifico, cioè di una cosciente volontà di attuare il programma criminoso e prestare un contributo utile alla vita del sodalizio e realizzarne gli scopi.
Ebbene, si lamenta che l'ordinanza impugnata non sia sufficientemente motivata su tali punti.
Il ricorrente censura il provvedimento impugnato anche per quanto ri­ guarda la configurabilità dei gravi indizi sul reato di cui all'art. 603bis cod. pen.che sarebbe stata ritenuta senza un approfondimento critico e, senza tenere in considerazione che, il M. era un lavoratore subordinato che si limitava a eseguire le direttive che venivano a lui impartite nell'ambito del contratto di lavoro agricolo.
Si lamenta che i giudici della cautela abbiano ritenuto di addebitare a carico del M. i reati di cui al capo 1) e 8) della rubrica, quindi, tanto il reato associa­ tivo, tanto l'ipotesi di cui al 603 bis c.p., senza motivare detta scelta e approfondire i rapporti tra le fattispecie delittuose, in quanto si assume che le condotte che si assumono poste in essere, al più, dovevano essere ricondotte nella sola fattispecie, meno grave, di cui al 110 cod. pen. e 81 cpv, e non in quelle di cui al 416 cod. pen. come sollevato nell'atto di riesame. A tal riguardo non sarebbe rinvenibile il ragionamento logico - giuridico che ha condotto il giudice della cautela ad escludere l'ipotesi del mero concorso di persone in favore dell'ipotesi associativa, difettandone gli elementi costitutivi tipici di quest'ultimo.
Con un secondo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 274 lett. c) cod. proc. pen. e vizio motivazionale in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
Ci si duole, in relazione al ritenuto pericolo di reiterazione delle condotte della stessa specie, che il tribunale del riesame non abbia tenuto in debito conto tutti gli elementi a favore dell'indagato, quali la sua incensuratezza, l'esito negativo della perquisizione domiciliare, la dichiarazione di estraneità rispetto ai fatti contestati affermata sin dal momento dell'arresto e, ribadita, in sede di interrogatorio di garanzia, al quale il M. si è sottoposto con contegno collaborativo.
A tal proposito, il giudice del gravame cautelare affermerebbe un giudizio di pericolosità del soggetto, in relazione alla personalità senza, tra l'altro, prendere a riferimento gli indici sintomatici che, possono verosimilmente, condurre ad una tale valutazione di pericolosità sociale: il tenore e il contenuto delle intercettazioni, la personalità arrendevole e remissiva, l'incensuratezza, l'assenza di precedenti di polizia, la circostanza che questi ha lavorato regolarmente da circa 10 anni in Italia con regolare rapporto di lavoro agricolo.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l'ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.

3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, e il Difensore della ricorrente, Avv. Mariarosa Novellis, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
 

Diritto


1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e pertanto il proposto ricorso va rigettato.

2. Va rilevato, in primis, che il difensore ricorrente ripropone, tout court, quelli che sono stati i motivi di riesame, contestando genericamente, in realtà senza confrontarvisi criticamente, le argomentazioni addotte nel provvedimento impugnato a sostegno del rigetto del proposto gravame.

3. Va premesso che questa Corte Suprema è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (...) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell'B/3/2012, Lupo, Rv. 252178).
In altra pronuncia, che pure si condivide, si è sottolineato che, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475);
Spetta dunque a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.
In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedi­ mento impugnato. Se, cioè, in quest'ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l'uno di carattere positivo e l'altro negativo, e cioè l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l'assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Questa Corte di legittimità, ancora di recente ha peraltro ribadito come la nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non sia omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (sez. 5 n. 36079 del 5.6.2012, Fracassi ed altri, rv. 253511).
Al fine dell'adozione della misura cautelare, infatti, è sufficiente l'emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare "un giudizio di qualificata probabilità" sulla responsabilità dell'indagato» in ordine ai reati addebitati.
In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati se­ condo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
Ciò lo si desume con chiarezza dal fatto che l'art. 273, comma lbis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4 dell'art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi (così univocamente questa Corte, ex plurimis Sez. 2, n. 26764 del 15.3.2013, Ruga, rv. 256731; sez. 6 n. 7793 del 5.2.2013, Rossi, rv. 255053; sez. 4 n. 18589 del 14.2.2013, Superbo, rv. 255928).

4. Se questi sono i canoni ermeneutici cui questa Corte di legittimità è ancorata, va rilevato che nel caso all'odierno esame non risulta essersi verificata né violazione di legge e nemmeno vizio di motivazione rilevante ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
La motivazione del tribunale del riesame è stata prospettata in concreto e diffusamente in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
Come ricorda il provvedimento impugnato, il presente procedimento trae origine da una più ampia indagine condotta dalla Procura di Castrovillari, che ha fatto emergere l'esistenza di un radicato circuito di sfruttamento del lavoro ai danni di numerosi soggetti di nazionalità rumena o extracomunitari (questi ultimi spesso reclutati nei centri di accoglienza o, comunque, privi dei permessi di soggiorno).
L'accertamento investigativo ha preso le mosse da un controllo effettuato in data 5/10/2017 dai militari della Guardia di Finanza a carico di un veicolo FIAT Scudo, condotto da Giuseppe Ab. e a bordo del quale erano presenti n. 7 braccianti agricoli. Escussi a s.i.t., questi ultimi hanno dichiarato di percepire una retribuzione pari a 28 euro al giorno per la raccolta delle fragole e di corrispondere 6 euro all'autista, Giuseppe Ab., per il trasporto sul luogo di lavoro. Si è allora proceduto ad una intensa attività di intercettazione, corredata da servizi di osservazione e pedinamento, localizzazioni GPS, acquisizioni documentali ed assunzione di sommarie informazioni. Ne è fuoriuscito un quadro indiziario grave ed univocamente attestante plurime e reiterate condotte di sfruttamento ed utilizzazione di manodopera in violazione delle prescrizioni giuslavoristiche e realizzate anche in forma associativa nei territori di Calabria e Basilicata.
In questo quadro, è emersa anche la figura di A.G., cui si contesta di essere stato promotore ed organizzatore di un complesso sistema di reclutamento di manodopera agricola in condizioni di sfruttamento nella Piana di Sibari, oltre a tutta una serie di reati di intermediazione e sfruttamento illecito della manodopera, destinata presso diverse aziende agricole, in condizioni di sfruttamento
- attesa la reiterata corresponsione di retribuzioni difformi dai contratti collettivi nazionali o territoriali e, comunque, sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di la­ voro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria e alle ferie, la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza ed a situazioni alloggiative degradanti - approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori i quali, invero, attese le precarie condizioni economiche ed avendo la necessità di provvedere ai loro bisogni, erano costretti ad accettare le prefate condizioni di lavoro.
I giudici del gravame della cautela, nell'esaminare il provvedimento impugnando, ricordano come la gravità indiziaria in ordine agli ipotizzati reati sia stata desunta nel caso che ci occupa dal dato costituito dalle intercettazioni, analiticamente riportate nell'ordinanza cautelare (cui rinviano) e dal servizio di o.c.p.
Da esso emerge chiaramente l'attività di intermediazione posta in essere da A.G., ritenuto promotore e organizzatore dell'associazione a delinquere di cui al capo 1, nei confronti di moltissime aziende agricole fra cui Azienda agricola Ac. s.a.s. di Ac. R., Desifrutta s.r.l.s. unipersonale, ditta individuale T.F., Degiovi s,.r.l.s., ditta individuale M.R., ditta individuale Z.R. e ditta individuale M.G..
Dalle risultanze investigative viene fuori, infatti, il ruolo assunto dall'indagato quale elemento di vertice della struttura piramidale che vede alle sue dipendenze numerosi subcaporali, individuati in F.A., A.G. , A.R.A. (alias sig.ra F.), C.P., M.A., nell'odierno ricorrente M. (alias R.), O.M., P.F. detto Fe., S.S.K., A.L., F.G., M.G., Ab. G..
I predetti subcaporali - secondo la prospettazione accusatoria convalidata dai giudici della cautela- eseguono le direttive impartite dall'A.G. e si occupano del reclutamento dei braccianti, dell'organizzazione dei furgoni ai fini del trasporto dei lavoratori sui terreni nella disponibilità delle varie aziende agricole, della direzione e controllo dei braccianti sui luoghi di lavoro, della predisposizione della documentazione utile per la loro assunzione, dei conteggi relativi alle giornate lavorate, dell'incasso A degli acconti distribuiti dai datori di lavoro.
Tanto emerge dalle numerosissime conversazioni intercettate: ed infatti mediante il proprio telefono cellulare l'A.G. teneva i contatti con i subcaporali, ognuno dei quali aveva a disposizione delle squadre di braccianti, dislocandoli sui vari terreni in ragione della necessità del momento, delle richieste dei datori di lavoro, della tipologia di coltura e delle caratteristiche dei braccianti stessi.

5. Dalle conversazioni intercettate - che vengono analiticamente analizzate nel provvedimento impugnato alle pagg. 3 e ss. del provvedimento impugnato- è emerso che i subcaporali reclutavano i braccianti per conto di A.G., che lo stesso A.G. coordinava l'attività di trasporto dei braccianti reclutati presso le aziende agricole effettuate dai subcaporali che facevano a lui riferimento, tra cui l'odierno ricorrente.
Ininfluente appare, in tal senso, il tema, su cui si sofferma il ricorrente, della sua regolare assunzione presso una delle aziende agricole coinvolte.
Quello che rileva è se l'attività di reperimento e trasporto dei lavoratori sul luogo di lavoro, tipica del caporale, attività che peraltro il ricorrente non contesta di effettuare, la svolgesse, come appare dalle intercettazioni, per conto dell'A.G..
Quest'ultimo, come si legge nel provvedimento impugnato, che richiama i dialoghi intercettati da cui si desumono tali circostanze e l'attività di riscontro posta in essere dalla PG, predisponeva anche la documentazione necessarie per le assunzioni e i conteggi relativi alle giornate da versare per i pagamenti, oltre al controllo sul posto di lavoro dei braccianti - che lavoravano senza alcun dispositivo di protezione individuale e con retribuzioni irrisorie- e alla distribuzione a questi degli acconti per il tramite dei suoi subcaporali.
All'ampia attività di riscontro da parte della P.G., comprese le dichiarazioni rese da V.S., responsabile di filiale della SKY JOB LTD di Corigliano (cfr. pag. 9 dell'ordinanza impugnata), vanno poi aggiunte le dichiarazioni delle braccianti S.F., N.M.e P.S., di cui il tribunale del riesame daà ampiamente conto alle pagg. 10-11 da cui emerge in modo evidente come i lavoratori fossero oltremodo sfruttati sul lavoro, sottoposti a controlli degradanti, pagati in maniera irrisoria ed in situazioni alloggiative degradanti approfittando del loro stato di bisogno.

6. Il provvedimento impugnato dà conto ampiamente, con una motivazione priva di aporie logiche, del grave quadro indiziario a carico dell'odierno ricorrente, che appare ben lungi dall'essere il mero autista di cui alla tesi difensiva.
Così a pag. 12 si riporta la conversazione n. 3724 del 28/4/2018, nella quale l'A.G., nel rispondere ad A.L. , che evidenzia che nel furgone, oltretutto "sporco", non ci sono sufficienti posti a sedere, minimizza, affermando che in qualche modo i braccianti arriveranno a destinazione, anche se qualcuno di essi dovrà giocoforza accomodarsi, addirittura, nel portabagagli ("A.G.: ah ... ma perché non sono andato io oggi ... ma sono di più... comunque fa niente, non è un problema ... Di arrivare arrivano.., magari qualcuno si deve sedere nel cofano perché sono troppi!").
Nella conversazione n. 3627 del 27/4/2018 A.G. chiede a S.S.K. di far viaggiare tre braccianti nel vano posteriore del furgone, circostanza della cui gravità lo S.S.K. appare ben consapevole, tanto da presagire problemi con le forze dell'ordine ("A.G.: Roseto.. . che c'è F. e pure R. con il furgone, che mi devi mettere tre perone nel tuo cofano [si riferisce ad A.R.A. e all'odierno ricorrente M. V.]; S.S.: "tre persone per"; A.G.: "e li devi portare pure da R. [Marta] hai capito?"; S.S.: "devo portare da R. G. questo per carabinieri problema"].
Anche nella conversazione n. 1665 del 12/5/2018 Gennaro A.G. esorta l'interlocutore, stavolta C.P., a stipare cinque braccianti di colore nel vano posteriore del furgone ("A.G.: e "5 ... tu mettile nel cofano.. fai ... quelle nere... "; C.P.: "se mi ferma qualcuno mi arresta proprio a me... '').
I giudici catanzaresi evidenziano che l'ordine di stipare i braccianti nel cofano era impartito seriamente: infatti, durante il controllo su strada del 20/3/2018, i militari operanti accertavano per l'appunto che tre braccianti (M.L., R.G.e I.T.I.) viaggiavano stipate nel vano posteriore del furgone; circostanza riferita da M., ben consapevole della sua gravità, nella conversazione intrattenuta con A.G. al quale chiedeva istruzioni a seguito del controllo (progr. 506 del 20/3/2018: "M.V.: "...e che vuoi dire perchè loro non vengono qua carabinieri perchè loro hanno fatto foto che ci sono 2 dietro nei cofano. Che devo fare?").

7. Con motivazione logica e congrua il tribunale catanzarese dà conto di come, nel contesto appena delineato, si inserisca la posizione di M.V.S., a carico del quale si configurano gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo 8) della rubrica provvisoria in base a quanto condivisibilmente argomentato dal GIP nell'ordinanza genetica.
Le risultanze dell'attività investigativa dimostrano infatti il ruolo di subcaporale svolto dall'indagato alle dipendenze dell'A.G., per conto del quale M.V.S. si occupava principalmente del trasporto dei lavoratori.
Ciò - come si legge nel provvedimento impugnato- è comprovato dal compendio intercettivo richiamato nell'ordinanza genetica della misura e che non solo attesta le direttive che l'indagato prendeva da A.G. ma attesta anche lo specifico ruolo da lui svolto (in particolare il richiamo è al progr. 2056 del 19.5.2018: A.G.: quanti siete in tutti e 2 i furgoni R.?; M. alias R.: che cosa?; A.G.: tutti e 2 i furgoni quanti siete?; M. alias R.: mamma mai! Altri non lo so... noi siamo 11... altri non lo so G. quanti ne ha portati..).
Vengono poi logicamente ritenute costituire un vigoroso riscontro alle intercettazioni anche gli esiti dell'attività di o.c.p. che provano il ruolo operativo dell'indagato. In particolare, nella mattinata del 20.3.2018, i militari operanti rinvenivano nelle campagne di Scanzano Jonico il mezzo targato OMISSIS, con numerosi braccianti impiegati nella raccolta delle fragole, che veniva successiva­ mente sottoposto a controllo di polizia in Roseto Capo Spulico direzione Reggio Calabria, mentre era di ritorno dalla citata campagna. Alla guida dell'automezzo vi era M., alias "R." ed a bordo, oltre al M. V., vi erano undici braccianti agricoli. Inoltre, nel corso di un servizio di O.C.P. effettuato in data 11.4.2018 veniva controllato il furgone avente targa bulgara OMISSIS, con a bordo numerosi braccianti agricoli, sempre condotto da M.. E la medesima circostanza veniva constatata nel corso di un servizio di O.C.P. effettuato in data 31.5.2018, allorquando il M. guidava il mezzo avente targa bul­ gara OMISSIS con a bordo numerosi braccianti agricoli.
Coerente con tali risultanze è la conclusione cui pervengono i giudici del riesame che la formale regolarità dell'attività svolta dall'indagato non consente di escludere i gravi indizi che si profilano nei suoi confronti in ordine al reato conte­ statogli al capo 8), atteso che la condotta da lui posta in essere si inserisce nel contesto di una più vasta ed articolata attività di sfruttamento della manodopera bracciantile nell'ambito della quale l'indagato ha concretamente fornito un apprezzabile contributo sul piano operativo.

8. Debitamente e congruamente motivate -diversamente da quanto si sostiene in ricorso- sono inoltre la sussistenza del sodalizio associativo e la partecipazione dell'odierno ricorrente allo stesso.
Alle pagg. 16 e ss. si dà correttamente conto della giurisprudenza di questa Corte in materia, e delle diversità rispetto al concorso di persone nel reato, evidenziando la natura professionale ed organizzata del sodalizio in esame (come emerge, ad esempio, dalla conversazione n. 2622 del 16/4/2018 riportata a pag. 17), dalla disponibilità dei furgoni per il trasporto dei lavoratori e dalla predisposizione di un meccanismo per reperire gasolio agricolo per alimentarli a prezzo agevolato.
Il provvedimento impugnato dà atto di come la continuità dei rapporti di M. con altre figure incardinate nella medesima compagine risulti confermata anche da varie captazioni tra cui la n. 48 del 22.3.20 18 dalla quale può evincersi un contatto tra l'indagato e A.R.A. la quale, in altra conversazione (n. 3857 del 29.4.2018) dimostra di prendere in considerazione il parere di M. V. sulle assunzioni al punto da riferirne il disappunto espresso da quest'ultimo direttamente ad A.. E dalle conversazioni n. 1667 del 12.5.2018 e 3069 del 23.4.2018 tra A.G. ed il datore P.B., emerge come A.R.A. (F.) e S.S.K. svolgano i propri compiti alle dipendenze dell'A­ loe unendo le proprie forze e come dello stesso gruppo faccia parte anche M. V. detto "R.".
Significativa in tal senso viene ritenuta anche la conversazione n. 1924 del 10.4.2018, nella quale, in poche battute tra A.G. e A.R.A. , appare condensata l'essenza del gruppo che opera di concerto, che coopera in vista del raggiungimento di un obiettivo comune, sulla base di una previa organizzazione e divisione di compiti e mansioni. Ed infatti A.G.  si occupa, tra l'altro, di rifornire di carburante i subcaporali che trasportano i braccianti sul luogo di lavoro. Nel caso specifico la A.R.A. chiede aiuto all'A.G., essendo rimasta priva di carburante e l'A.G. naturalmente risponde che provvederà tramite G.. Dalla replica dell'A.G. si comprende inoltre come la A.R.A. svolga la propria attività di subcaporale unitamente ad altri soggetti, come P.F. Fe. e M. V. (R.).
Un altro esempio di collaborazione prestata dall'odierno ricorrente ad altro sodale si rinviene per i giudici catanzaresi nella conversazione n. 2351 del 13.4.2018, dalla quale risulta come P.F. Fe. e M. V. si siano addirittura scambiati i furgoni, il che dimostra come gli indagati all'occorrenza si pre­ stino mutuo soccorso in vista della realizzazione di uno scopo comune, in base alle necessità del caso concreto)
Rilevato ciò, alla luce di una lettura unitaria dei dati intercettivi, coerente appare dunque la conclusione dei giudici del gravame cautelare di condividere la valutazione del Gip sulla condotta partecipativa del M. V. il quale ha consapevolmente agito in sinergia con A.G. e altri subcaporali nell'ottica del rafforzamento del sodalizio preposto al reclutamento e nella gestione di lavoratori in condizioni di sfruttamento .
Ebbene, se quelli illustrati in premessa sono i limiti del sindacato di questa Corte in punto di sussistenza della gravità indiziaria appare chiaro che con i motivi del presente ricorso si propongono e sviluppano censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, a fronte di argomentazioni spese nel provvedimento impugnato che appaiono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato, per cui quello che si chiede è proprio quello che questo giudice di legittimità non può fare, e cioè una rivalutazione nel merito del compendio indiziario.

9. Il provvedimento impugnato si rileva del tutto logico e coerente anche in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Va ricordato che nel sistema processualpenalistico vigente, così come non è conferita a questa Corte di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli indizi, non è dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell'indagato in relazione all'apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l'applicazione della misura, nonché, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.
Quanto alle esigenze cautelari ed alla loro attualità, l'art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. - che qui interessa, essendo la misura stata confermata in relazione a tale esigenza - come novellato dalla legge n. 47/2015 stabilisce, dunque, che le misure cautelari personali possono essere disposte - con riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede (evenienza ravvisata nel caso in esame) - soltanto quando il pericolo medesimo presenta i caratteri della concretezza e dell'attualità, ricavabili dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali; con l'ulteriore precisazione - ancora introdotta dalla I. n. 47 del 2015 - per cui le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell'imputato, non possono essere comunque desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede.
La ratio dell'intervento legislativo (che, peraltro, investe numerose altre norme di cui allo stesso Libro IV, titolo I, da leggere tutte nella medesima ottica) deve esser individuata nell'avvertita necessità di richiedere al giudice un maggiore e più compiuto sforzo motivazionale, in materia di misure cautelari personali, quanto all'individuazione delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c), cod. proc. pen., in ordine alle quali, quindi, non risulta più sufficiente il requisito della concretezza ma si impone anche quello dell'attualità. In realtà, relativamente al pericolo di reiterazione, la nuova disposizione non ha fatto altro che codificare lo ius receptum di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 34271 del 3/7/2007, Cavallari, Rv. 237240; Sez. 2, n. 49453 dell'S/10/2013, Scortechini e altro, Rv. 257974) che aveva ritenuto imprescindibile un giudizio prognostico basato su dati concreti, che ben possono essere tratti dagli aspetti fattuali della vicenda, come dimostra l'incipit della lett. c) dell'art. 274 cit. ("specifiche modalità e circostanze del fatto"; personalità dell'imputato o indagato "desunta da compor­ tamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali").

Rimane tuttavia valido il principio, anche in precedenza affermato da questa Corte, che il pericolo di reiterazione criminosa vada valutato in ragione delle modalità e circostanze del fatto e della personalità dell'imputato (cfr. per tutte Sez. 3, n. 14846 del 5/3/2009, Pincheira, Rv. 243464, fattispecie di misura cautelare applicata per il delitto di violenza sessuale ai danni di un minore, in cui la Corte ha annullato per illogicità e contraddittorietà della motivazione l'ordinanza del tribunale del riesame che, nell'attenuare la misura cautelare, aveva sostenuto che essendo la condotta delittuosa collegata ad un solo soggetto passivo, non appariva verosimile che il reo potesse reiterarla in danno di altre persone).
Più precisamente, la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati, di cui all'art. 274 comma primo lett. c) cod. proc. pen., può e deve essere desunta sia dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, che dalla personalità dell'imputato, valutata sulla base dei precedenti penali o dei comportamenti concreti, attraverso una valutazione che, in modo globale, tenga conto di entrambi i criteri direttivi indicati (Sez. 4, Sentenza n. 37566 del 01/04/2004 Cc. dep. 23/09/2004 Rv. 229141). Ed è stato, in più occasioni, anche condivisibilmente sottolineato come nulla impedisca di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell'apprezzamento della capacità a delinquere.
In altri termini, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell'indagato, ove la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell'agente (cfr., ex plurimis, Sez. 2 n. 35476/07). Nello specifico, è stato più volte affermato come ai fini dell'individuazione dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lettera c), cod. proc. pen., il giudice possa porre a base della valutazione della personalità dell'indagato le stesse modalità del fatto commesso da cui ha dedotto anche la gravità del mede­ simo (Sez. 1 n. 8534 del 9/1/2013, Liuzzi, Rv. 254928; Sez. 5 n. 35265 del 12/3/2013, Castelliti, Rv. 255763) ..

10. Tornando all'intervento riformatore del 2015, questa Corte di legittimità, in più pronunce sul punto, ha condivisibilmente chiarito (vedasi, soprattutto, Sez. 4 n. 43880 del 4/7/2017 R., non mass.) che il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato di cui all'art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede una valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto, fondata sia sulla permanenza dello stato di pericolosità personale dell'indagato dal momento di consumazione del fatto sino a quello in cui si effettua il giudizio cautelare, desumibile dall'analisi soggettiva della sua personalità, sia sulla presenza di condizioni oggettive ed "esterne" all'accusato, ricavabili da dati ambientali o di contesto - quali le sue concrete condizioni di vita in assenza di cautele - che possano attivarne la latente pericolosità, favorendo la recidiva, conseguendone che il pericolo di reiterazione è attuale ogni volta in cui sussista un pericolo di recidiva prossimo all'epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente (cfr. Sez. 2, n. 53645 del 8/9/2016, Lucà, Rv. 268977 nella cui motivazione, la Corte ha precisato che la valutazione prognostica non può estendersi alla previsione di una "specifica occa­ sione" per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice; Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, Esposito, Rv. 268508; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016 dep. il 2017, Verga, Rv. 269684).
Orbene, nel caso che ci occupa il tribunale calabrese - che peraltro ha attenuato la misura carceraria sostituendola con gli arresti domiciliari- appare avere assolto al suo onere motivazionale evidenziando come le specifiche modalità e circostanze del fatto (l'indagato è stato membro di una strutturata ed organizzata associazione dedita all'intermediazione e sfruttamento di manodopera prevalente­ mente extracomunitaria) e alla personalità dell'odierno ricorrente (che ha dimostrato una non comune spregiudicatezza nell'attività di sfruttamento dei braccianti che non ha avuto scrupoli a trasportare nel furgone, nonostante il rischio di controlli su strada da parte delle forze dell'ordine),
Logico e corretto, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati, appare il rilievo che si tratti di pericolo concreto (in considerazione della stabile dedizione dell'indagato all'attività di intermediazione e sfruttamento del lavoro), nonché attuale, avuto riguardo alla sua radicata compenetrazione nel circuito criminale e al ruolo apicale assunto in seno all'organizzazione.
Il tribunale del riesame, tuttavia, come si ricordava poc'anzi, a fronte di questo dato, rimarca che il ruolo di subcaporale svolto dall'indagato alle dirette dipendenze dell'A.G. rende ragione di una minore pericolosità del preposto rispetto al vertice del sodalizio, trattandosi pur sempre di un soggetto che ha costante­ mente ottemperato alle altrui direttive senza esternare un'autonoma capacità di iniziativa né poteri organizzativi indipendentemente dalla figura di A.G.. E, dunque, se da un lato non vengono rilevati dubbi sulla sua spiccata pericolosità sociale, essendo elevato il pericolo che lo stesso, se lasciato libero, possa commettere reati della stessa specie, soprattutto in considerazione della dimostrata versatilità nel delinquere e dei contatti medio tempere acquisiti con i datori di lavoro che hanno fiancheggiato l'organizzazione, dall'altro viene comunque evidenziato, in forza di quanto sopra rilevato, che il pericolo di reiterazione a fronte del ruolo meramente subordinato ricoperto da M. V. può essere arginato anche con la misura custodiale di minor rigore degli arresti domiciliari non essendo emersi elementi da cui poter inferire che l'indagato una volta isolato nel contesto domiciliare possa ripetere l'attività delittuosa.
Il provvedimento impugnato - soddisfacendo pienamente l'onere motivazionale richiesto- evidenzia dunque che non vi sono dubbi sulla spiccata pericolosità sociale dell'indagato, essendo elevato il pericolo che lo stesso, se lasciato libero, possa commettere reati della stessa specie.
La concretezza e attualità delle esigenze di cautela - va infatti ribadito- non deve essere concettualmente confusa con l'attualità e la concretezza delle con­ dotte criminose, onde il pericolo di reiterazione di cui all'art. 274, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l'ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (cfr. Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Rv. 267785).

11. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.
 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 14 aprile 2021