• Misure Generali di Tutela 

INTERDIZIONE DALLA PROFESSIONE AEREONAUTICA IN CASO DI DISASTRO COLPOSO


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Severo CHIEFFI - Presidente -
Dott. Antonio MARCHESE - Consigliere -
Dott. Angelo VANCHERI - Consigliere -
Dott. Maria Cristina SIOTTO - Consigliere -
Dott. Giovanni CANZIO - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) C. F. N. IL GG/MM/AAAA;
2) R. R. N. IL GG/MM/AAAA;
3) R. A. N. IL GG/MM/AAAA;
4) A. D. N. IL GG/MM/AAAA;

avverso ORDINANZA del 09/10/2003 CORTE APPELLO di VENEZIA;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. VANCHERI ANGELO;

lette le conclusioni del P.G. Dr. F. Mauro Iacoviello, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata.

Fatto e Diritto

Con ordinanza del 9.10.2003 la Corte di Appello di Venezia, provvedendo su richiesta del Procuratore Generale in sede, applicava in sede di esecuzione a C. F., R. R., R. A. (erroneamente indicato con il nome di R.) e A. D., dichiarati responsabili, con sentenza 9.7.2001 passata in giudicato, dei reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo di cui agli artt. 449, comma 2^, e 589, comma 3^, C.P., la pena accessoria della interdizione temporanea dalla professione aeronautica per una durata di due anni nei confronti del C., di un anno nei confronti del R., di un anno e nove mesi nei confronti del R., e di un anno e otto mesi nei confronti dello A.. Rispondendo ai relativi rilievi avanzati dalle difese, la Corte suddetta osservava:
a) che la suindicata pena accessoria era applicabile anche in sede esecutiva, in quanto la stessa consegue di diritto alla condanna come effetto penale della stessa ed era predeterminata dalla legge sia nella specie che nella durata;
b) che la medesima pena accessoria era legittimamente irrogabile ai condannati di cui sopra ai sensi dell'art. 1125, comma 4^, del Codice della Navigazione, posto che gli stessi rientravano indubbiamente nella categoria della "gente dell'aria", secondo quanto in maniera esplicita previsto dal primo comma, lett. b) dell'art. 731 e dall'art. 733 stesso codice, non potendosi ritenere, come affermato dai difensori, che l'applicazione di essa fosse subordinata alla iscrizione in appositi albi.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per Cassazione:
1) C. F., il quale ha dedotto:
a) erronea interpretazione della legge, sotto il profilo che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, egli, in qualità di direttore dell'Aeroporto "V. Catullo" di Verona, e quindi dirigente amministrativo, rientrava nella categoria della "gente dell'aria" in senso lato, ma non in senso stretto, e che solo coloro che svolgevano una "professione aeronautica", secondo quanto previsto dall'art. 732 C.N., potevano considerarsi "gente dell'aria" in senso stretto, dal momento che solo i predetti, oltre al personale addetto al servizio pubblico di informazioni e quello tecnico-direttivo delle costruzioni aeronautiche, devono essere iscritti in appositi albi nazionali e registri, e devono essere provvisti di licenze, attestati e abilitazioni, in base a quanto prescritto dall'art. 731, comma 2^, e dall'art. 735 C.N.;
b) erronea applicazione di legge, sul rilievo che il contenuto sanzionatorio della norma di cui al terzo comma dell'art. 1125 C.N. - che prevede l'interdizione temporanea dai titoli o dalla professione nei confronti di appartenenti alla gente dell'aria dichiarati responsabili del reato di cui all'art. 449 C.P., e che fa riferimento alle norme di cui agli artt. 1082 e 1083 - non può che essere ispirato ai principi generali riguardanti le pene accessorie, contenuti nel codice penale e, in particolare, nell'art. 30 di tale codice, secondo cui l'interdizione riguarda solo quelle attività professionali che richiedono, per essere espletate, il possesso di abilitazioni, autorizzazioni o licenze, per modo che, non essendo necessario per l'esercizio della professione di direttore aeroportuale alcun tipo di abilitazione, la suddetta pena accessoria non è applicabile nella fattispecie;
c) violazione di legge, sotto il profilo che, essendo egli un pubblico dipendente, al medesimo non poteva essere applicata la pena accessoria in questione, prevista per gli appartenenti alla gente dell'aria, ma, eventualmente, poteva ritenersi applicabile il sistema sanzionatorio previsto per il pubblico impiego.
2) R. R., il quale ha dedotto: erronea applicazione degli artt. 731 e 733 C.N. sul rilievo che la Corte territoriale aveva a lui applicato la pena accessoria della interdizione temporanea dall'esercizio della professione in base all'erroneo presupposto che egli fosse un appartenente alla categoria della gente dell'aria, laddove tale assunto non è ancorato ad alcun dato normativo ed è frutto di un esame superficiale e semplicistico, dal momento che egli, quale addetto ai servizi a terra, ma non al controllo del traffico aereo, non rientrava nella suddetta categoria, potendosi farvi rientrare soltanto le figure professionali che svolgono mansioni direttamente connesse alla navigazione aerea e per i quali sono previsti il rilascio di apposita abilitazione e l'iscrizione in un apposito albo nazionale.
3) R. A. ed A. D., i quali hanno lamentato:
a) violazione dell'art. 1082 C.C., non potendo egli, quale direttore del settore operativo della società di gestione dei servizi di assistenza aeroportuale, qualificarsi come appartenente alla gente dell'aria ed essendo, pertanto, non passibile della pena accessoria in esame, secondo quanto già dedotto dal ricorrente C.;
b) violazione di legge, per essersi erroneamente ritenuta l'applicabilità della pena accessoria in sede esecutiva, nonostante la stessa non fosse predeterminata nella sua durata. Il Procuratore Generale presso questa Corte chiedeva l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata.
L'udienza di trattazione veniva fissata al 30.11.2004, ma la decisione veniva riservata, al fine di acquisire agli atti copia della sentenza di condanna, emessa il 9.7.2001 dalla Corte di Appello di Venezia.
Indi la decisione veniva assunta il 22.12.2004.
Ciò premesso, osserva la Corte che i ricorsi vanno accolti, anche se per ragioni diverse da quelle rappresentate dai ricorrenti.
1. Va innanzitutto sgombrato il campo dal rilievo, prospettato dai ricorrenti R. ed A., concernente l'applicabilità o meno in sede esecutiva della pena accessoria prevista dal terzo comma dell'art. 1125 C.N..
Come correttamente ritenuto dalla Corte di merito, non si può dubitare della astratta possibilità di applicare la pena accessoria suddetta anche in executivis, ove non vi abbia provveduto il giudice della cognizione, una volta che siano soddisfatte le condizioni all'uopo richieste dalla legge: e cioè l'obbligatorietà, e non la discrezionalità, della sua applicazione come effetto penale della condanna (v. art. 20 C.P.), e la sua predeterminazione per legge sia nella specie che nella durata (v. Cass. Sez. I, sent. n. 1997 del 4.5.1993, Alberoni; Sez. V, sent n. 4249 del 2.10.1997, Mainolfi ecc).
La sussistenza delle prime due condizioni deriva dalla norma di cui al terzo comma del citato art. 1125 C.N., che prevede che la condanna per il delitto di cui all'art. 449 C.P.,commesso da appartenenti al personale marittimo o alla gente dell'aria, importa obbligatoriamente l'interdizione temporanea dai titoli ovvero dalla professione. L'esistenza dell'altro presupposto si rinviene nella disposizione di cui al quinto comma dell'art. 1083 C.N., (oltre che nel combinato disposto degli artt. 30 e 37 C.P.), in base alla quale la durata della suddetta pena accessoria (già determinata nella specie) è pari a quella della pena principale inflitta o che dovrebbe scontarsi nel caso di conversione della pena pecuniaria per insolvibilità del condannato. Nella specie l'interdizione temporanea "dalla professione aeronautica", automaticamente conseguente alla condanna per il reato di cui all'art. 449 C.P., è stata commisurata, per ciascun interessato, alla durata della pena principale inflitta con la sentenza definitiva.
2. Più complesso è invece il problema relativo alla applicabilità in concreto della suddetta pena accessoria.
Le pene accessorie previste dal codice della navigazione, anche se strutturate su quelle previste dal codice penale agli artt. 28 e segg. ed aventi analoga funzione di prevenzione e deterrenza, svolgono sostanzialmente un ruolo di complementarietà rispetto a queste ultime, alle quali si aggiungono senza tuttavia sostituirle, per modo che l'applicazione delle prime non è incompatibile con l'applicazione delle seconde. Con specifico riguardo alla fattispecie in esame, la pena accessoria della interdizione temporanea della professione aeronautica, da distinguersi dalla interdizione dai titoli professionali, priva il condannato della capacità di esercitare la professione connessa con la qualifica e le funzioni possedute dall'interessato nel settore aeronautico, e comporta, di riflesso, la decadenza dalle abilitazioni, eventualmente possedute, correlate alla professione stessa.
Ora - a prescindere dalla fondatezza o meno delle considerazioni svolte dai ricorrenti e dal Procuratore Generale presso questa Corte in ordine alla inapplicabilità della suddetta pena accessoria nei confronti dei medesimi, sul rilievo che gli stessi non rientrerebbero nella categoria della "gente dell'aria" se non in senso lato, mentre la pena suddetta sarebbe applicabile esclusivamente agli appartenenti in senso stretto alla suddetta categoria - occorre tenere presente che vi è una norma (quella contenuta nel sesto comma dell'art. 1083 C.N.), la quale prescrive che alle pene accessorie dell'interdizione e della sospensione previste nel suddetto articolo si applicano le disposizioni relative alla interdizione da una professione e alla sospensione dall'esercizio di una professione, intendendo riferirsi, implicitamente ma chiaramente, alle norme previste in materia dal codice penale, e cioè, indubitabilmente, a quelle di cui agli artt. 30, 31 e 33, riguardanti anche le condanne per delitti commessi con la violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio, ovvero con l'abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio o mestiere, o, per quel che qui importa, come si evince chiaramente dalle imputazioni contestate ai ricorrenti, con la violazione dei doveri inerenti alla professione da loro esercitata.
Va inoltre precisato che la disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 1125 C.N., che prescrive l'obbligatoria applicazione della pena accessoria della sospensione temporanea dai titoli o dalla professione, si richiama alle norme, contenute negli artt. 1082 e segg., concernenti l'applicazione in generale delle pene accessorie previste dallo stesso codice della navigazione e, quindi, anche a quella, sopra richiamata, contenuta nel sesto comma del citato art. 1083.
Orbene, se è vero - come è vero - che, in dipendenza delle disposizioni sopra richiamate, alle pene accessorie previste dal codice della navigazione si applicano le norme previste in materia dal codice penale, non è chi non veda come nella specie debba trovare piena applicazione anche la norma di cui al secondo comma dell'art. 33 C.P., la quale prescrive che le disposizioni dell'art. 31 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo, qualora la pena inflitta sia inferiore a tre anni di reclusione, o se è inflitta soltanto una pena pecuniaria.
Ne deriva ineludibilmente che, essendo stata nella specie inflitta a tutti i ricorrenti, condannati per delitto colposo, una pena inferiore al limite dei tre anni, la pena accessoria della interdizione temporanea dalla professione aeronautica non era applicabile.
Si tratta, come è evidente, di una scelta del legislatore, che ha improntato la disciplina delle pene accessorie a rigidi criteri di automatismo sia per quanto concerne la loro applicazione, che per quanto concerne la loro durata, sottraendone la scelta e la quantificazione alla discrezionalità del giudice, ma introducendo nel contempo delle eccezioni al sistema, scegliendo, ad esempio, di non punire con sanzioni accessorie comportamenti integranti reati colposi per i quali siano state inflitte pene rimaste al di sotto di un certo limite.
Nè pare a questa Corte che le disposizioni contenute nel codice della navigazione possano considerarsi derogatorie rispetto a quelle corrispondenti, contenute nel codice penale.
Ciò, per diverse considerazioni.
Innanzitutto, a favore della tesi che si propugna vi è un inconfutabile argomento di ordine letterale, dal momento che, come già sopra rilevato, vi è fra le norme contenute nel codice della navigazione, relative alle pene accessorie, un preciso ed esplicito richiamo, quanto alle modalità applicative delle stesse, a quelle contenute nel codice penale.
In secondo luogo, le disposizioni sulle pene accessorie contenute nel codice della navigazione, anche se raffiguranti un quadro di collateralità rispetto a quelle di cui al codice penale, non possono essere collocate, in mancanza di una norma che ne evidenzi la natura speciale e derogatoria, in una logica che vada a vulnerare e contraddire, a parità di condizioni e di situazioni, principi di uguaglianza e di uniforme applicazione della legge. Ad ulteriore conferma di tale tesi, va poi evidenziato che, così come nessuno dubita, analogamente a quanto si verifica per qualsiasi pena accessoria, della applicabilità delle pene accessorie previste dal C.N., in presenza di certi presupposti, anche in sede esecutiva, sulla scorta di quanto espressamente previsto dall'art. 31 C.P., dall'art. 676 c.p.p. e dall'art. 183 Disp. Att. c.p.p.; come nessuno dubita della applicabilità a queste ultime degli artt. 20 e 37 C.P. - che, per la loro portata generale, rappresentano il cardine della relativa disciplina - o della applicabilità alle medesime della norma di cui all'art. 166 C.P. - che prevede che la sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie - non pare dubitabile che anche l'art. 33 c.p., sopra citato, sia applicabile indistintamente a tutte le pene accessorie, e quindi anche a quelle previste dal codice della navigazione.
Non si può, infatti, sostenere arbitrariamente l'applicabilità di alcune disposizioni relative alle pene accessorie, contenute nel codice penale, alle pene accessorie previste dal C.N., ed escludere l'applicabilità alle stesse sanzioni di altre. Ciò, per la semplice ed intuibile ragione che, così facendo, si avrebbe un sistema normativo caratterizzato da irrazionalità, da ingiustificate discrasie e da distorsioni, anziché da coerenza e logicità. In ogni caso, trattandosi di una disposizione più favorevole, in virtù del principio del favor rei l'applicabilità della stessa non può essere esclusa sulla base di più o meno fondati dubbi interpretativi.
Da ciò consegue che l'ordinanza impugnata, in quanto emessa in violazione di una specifica disposizione normativa, va annullata senza rinvio, rimanendo assorbite le rimanenti deduzioni avanzate dai ricorrenti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2004.

depositata in cancelleria il16 febbraio. 2005