Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 10 maggio 2021, n. 18076 - Infortunio durante le operazioni di scarico della melassa. Estinzione per intervenuta prescrizione


 

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: D'ANDREA ALESSANDRO
Data Udienza: 04/05/2021
 

Fatto

 

1. Con sentenza del 19 giugno 2018 la Corte di appello di Bologna confermava - per quanto di specifico interesse in questa sede - la sentenza del Tribunale di Ravenna con cui A.G., S.L. e R.N. erano stati condannati, concessa la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. e le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di euro 400,00 di multa per ciascuno in ordine al reato di cui agli artt. 113, 40 cpv., 590, commi 2 e 3, cod. pen., perché, in cooperazione colposa tra loro, A.G. quale Presidente del C.d.A. della ditta SAPIR S.p.a., S.L. e R.N. quali dirigenti delegati per la sicurezza della ditta SAPIR S.p.a., per colpa, imperizia, imprudenza, non osservando le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro di seguito elencate, cagionavano al dipendente della ditta di trasporti e spedizioni NICAR S.r.l. C.L. lesioni personali gravi (politrauma con frattura osso frontale e orbita dx, frattura C6 e dei traversi delle vertebre lombari, ematoma dello psoas, frattura bacino, frattura multipla ginocchio sx e frattura esposta caviglia dx), da cui derivava l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a quaranta giorni e la messa in pericolo della vita.
Ad A.G. erano state, in particolare, contestate le violazioni: 1) dell'art. 28, comma 2, lett. a), sanzionato all'art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di valutare i rischi di investimento degli operatori derivanti dalla caduta per ribaltamento della struttura di sostegno dell'impianto del vapore per lo scarico della melassa sita nel parco serbatoi, in conseguenza di eventuali urti da parte di autocisterne; 2) dell'art. 28, comma 2, lett. b), sanzionato all'art. 55, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di indicare idonee misure di prevenzione e di protezione da attuare, oltre a dispositivi individuali da adottare, in relazione alla possibilità di verificazione dell'evento descritto; 3) dell'art. 28, comma 2, lett. d), sanzionato all'art. 55, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di indicare idonee procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell'organizzazione aziendale tenuti a provvedervi, in relazione alla possibilità di verificazione dell'evento descritto; 4) dell'art. 28, comma 2, lett. f), sanzionato all'art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di procedere all'individuazione della mansione di segnalatore che precede l'operazione di scarico della melassa nel parco serbatoi, allo scopo di evitare eventuali urti da parte di autocisterne;
5) dell'art. 64, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di garantire la conformità dei luoghi di lavoro a quanto previsto dall'art. 63 del d.lgs., non essendo risultata stabile la struttura cavaliera costruita in ferro a sostegno dell'impianto di insufflazione del vapore per lo scarico della melassa presso il parco serbatoi.
A S.L. e R.N. erano state contestate, invece, le violazioni: 1) dell'art. 26, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di cooperare compiutamente all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività oggetto di appalto, né dai rischi cui erano esposti i lavoratori in ragione delle interferenze esistenti tra i lavori delle diverse imprese coinvolte; 2) dell'art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di fare ricorso alla segnaletica di sicurezza, finalizzata ad evitare rischi di investimento da automezzi in circolazione o da strutture che si potevano ribaltare a seguito di collisione con tali mezzi; 3) dell'art. 37 del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di assicurare a S.O., lavoratore addetto allo scarico, una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza.
Fatti avvenuti in Ravenna il 15 febbraio 2011.

2. Per come contestato in imputazione ed accertato dai giudici del merito, C.L. era stato vittima dell'indicato infortunio dopo essersi recato presso i locali dello stabilimento SAPIR, alla guida di un'autocisterna, per scaricarvi della melassa che doveva consegnare.
Collocato l'automezzo sotto l'impianto di insufflazione del vapore, con la parte posteriore rivolta verso la vasca di scarico, in ossequio alle indicazioni fornitegli dall'addetto allo scarico S.O., il C.L. era, quindi, sceso dall'automezzo e si era collocato alle spalle di esso, in prossimità dell'impianto, fornendo indicazioni di manovra a B.G., conducente di un'altra autocisterna, che intendeva posizionare il suo mezzo accanto a quello posteggiato dal C.L..
Nell'effettuare la retromarcia, tuttavia, il veicolo condotto dal B.G. aveva agganciato, con il rostro posto sulla sua sommità, il tubo di gomma collegato alla lancia centrale dell'impianto di insufflazione che, allungatosi elasticamente fino a sollevare per rotazione la base metallica, aveva determinato la caduta dell'impianto sulla persona del C.L., causandogli le gravi lesioni indicate.

3. La Corte di appello ha confermato la responsabilità degli odierni ricorrenti - l'A.G. nella qualità di Presidente del C.d.A. della ditta SAPIR S.p.a., S.L. e R.N. quali dirigenti delegati per la sicurezza di tale ditta - nella ritenuta infondatezza delle doglianze dedotte nei motivi di appello.
Con riferimento all'A.G., in primo luogo, ha osservato come la posizione apicale da costui ricoperta non lo potesse esonerare da responsabilità a seguito della disposta delega delle funzioni relative alla sicurezza sul lavoro, costituendo comunque suo obbligo quello di vigilare sul corretto espletamento delle funzioni trasferite da parte del soggetto delegato.
Sotto altro profilo, poi, rispetto alla lamentata imprevedibilità dell'evento, stante la "lontananza" dell'A.G. dalle concrete modalità operative del lavoro di stabilimento, la Corte territoriale ha evidenziato come al medesimo fosse imputabile il mancato aggiornamento del documento di valutazione dei rischi, non avendo regolato con disposizioni puntuali, idonee ad impedire la verificazione dell'evento, la disciplina delle operazioni di scarico delle autocisterne.
Per la Corte territoriale, quindi, «tanto vale, al netto delle osservazioni sul ruolo soggettivo, quanto alla posizione di S.L., delegato alla sicurezza».

Con riferimento, infine, alla posizione del R.N., la Corte ha riaffermato la prevedibilità del fatto, connesso alla fase lavorativa dello scarico della melassa, considerata la precarietà della struttura, non ancorata al suolo. Tale aspetto, unitamente alla possibilità che la manichetta di insufflazione del vapore potesse essere agganciata da un veicolo, con conseguente collasso della struttura, avrebbe dovuto essere oggetto di apposita previsione nel documento di valutazione dei rischi.

4. Avverso la sentenza del giudice di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, A.G., S.L. e R.N., deducendo i motivi di seguito enunciati.

4.1. A.G. ha dedotto, con il primo motivo di ricorso, l'erronea applicazione degli artt. 43, 113, 40 cpv., 590, commi 2 e 3, cod. pen. e la mancanza di motivazione, lamentando errori del giudice di appello in ordine alla configurazione della colpa, con particolare riguardo alla prevedibilità ed evitabilità dell'evento. L'impugnata sentenza, infatti, avrebbe ignorato il principio dell'accertamento della colpa fondato sulla prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento, da considerarsi con riferimento alla posizione di ogni singolo imputato.
Vi sarebbe stata, in particolare, carenza motivazionale con riguardo all'accertamento dell'imprevedibilità del fatto, essendosi dilungata la Corte territoriale a considerare tematiche relative al documento di valutazione dei rischi che, per quanto affini, non sono comunque rilevanti rispetto alla prevedibilità, evitabilità ed esigibilità in concreto dell'evento, determinanti ai fini della valutazione della colpa. A dire dell'A.G., in particolare, numerosi fattori di concreta imprevedibilità avrebbero contribuito a causare l'infortunio (come l'accesso autonomo di un'autista o l'aggancio con il rostro dell'autocisterna alla lancia elastica), conformemente a quanto indicato sia dal perito nominato dal P.M. - per il quale la causa prossima del fatto lesivo era «non facilmente prevedibile», in quanto il ribaltamento «è stato il frutto del concatenamento di una serie di circostanze non facilmente riproducibili tutte assieme», tali da causare un evento particolarmente raro - che dal consulente della difesa - per il quale si era trattato di un sinistro oggettivamente imprevedibile, verificatosi in ragione del concomitante intervento di una serie di circostanze singolarmente e cumulativamente imponderabili -.
Con la seconda doglianza il ricorrente ha eccepito erronea applicazione dell'art. 40 cpv. cod. pen. ed erroneo governo del principio sulla colpa e sull'accertamento del nesso di casualità, oltre a carenza di motivazione.
Lamenta l'A.G. che l'essere stato titolare di una posizione di garanzia, per aver ricoperto un ruolo apicale, non avrebbe dovuto determinare il disposto automatico riconoscimento della sua responsabilità penale, attesa la necessità di effettuare comunque, con giudizio ex ante, un accertamento del nesso eziologico - invece non operato dalla Corte territoriale - volto a verificare se l'imputato potesse prevedere lo specifico sviluppo causale concretamente realizzatosi. Ove il giudice di appello avesse correttamente applicato tali principi sulla colpa e sulla responsabilità in materia di reato omissivo colposo di evento avrebbe sicuramente avuto modo di accertare l'assenza di responsabilità da parte dell'imputato.
Con il terzo motivo l'A.G. ha dedotto i medesimi vizi indicati con la precedente doglianza, lamentandosi dell'omessa motivazione in sentenza circa il nesso di causalità che deve intercorrere tra l'omissione addebitata all'imputato e l'evento. Richiamando i diversi principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia, il ricorrente ha eccepito che la sentenza gravata non si è minimamente occupata del nesso causale intercorrente tra l'addebito colposo per violazione dell'art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2008 e l'evento dannoso - così come, invero, neppure della sua evitabilità - determinando una grave carenza motivazionale su di un punto decisivo per la ricostruzione individualizzata della responsabilità penale.
E' stata ravvisata, inoltre, pure la presenza di contraddittorietà nella motivazione, per aver dapprima imputato la verificazione del fatto alla «inopinata decisione dell'infortunato C.» - e dunque ad un comportamento eccentrico che, di certo, aveva interrotto il nesso causale - e poi averne addossato la responsabilità al ricorrente, per non averla prevista e regolata nel documento di valutazione dei rischi.
Con il quarto motivo l'A.G. ha lamentato l'errata applicazione dell'art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2008, nonché degli artt. 40 cpv. e 43 cod. pen., oltre a contraddittorietà della motivazione. La sentenza, infatti, opererebbe una non corretta applicazione della norma indicata, adottando una motivazione contraddittoria sul punto, non dovendo il documento di valutazione dei rischi indicare tutti i possibili rischi astratti, ma solo quelli concretamente presenti, verificabili in relazione alla casistica esistente.

4.2. S.L. e R.N. - i cui ricorsi, sia pur distinti tra loro, possono essere trattati congiuntamente, in quanto aventi contenuto identico - hanno eccepito, con il primo motivo di ricorso, errata applicazione dell'art. 26, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008 e contraddittorietà della motivazione, ritenendo che nella fattispecie sarebbe stata erroneamente applicata una norma invece dedicata in via esclusiva al contratto di appalto, inesistente nel caso di specie, stante l'insussistenza di un qualsiasi rapporto contrattuale tra il soggetto infortunato e la ditta SAPIR S.p.a.
Il secondo motivo è del tutto coincidente con il primo dedotto dall'A.G. - cui, pertanto, viene fatto rinvio -.
Il terzo motivo è, del pari, identico a quello eccepito dall'A.G. con la sua seconda doglianza - alla quale, quindi, viene fatto nuovamente rinvio -.
Il quarto motivo è in tutto coincidente, ancora, con quello proposto dall'A.G. nel suo terzo motivo di ricorso - cui viene fatto ulteriormente rinvio -.
Con la quinta doglianza, infine, lo S.L. e il R.N. hanno lamentato l'errata applicazione dell'art. 26 del d.lgs. n. 81 del 2008, nonché degli artt. 40 cpv. e 43 cod. pen., oltre a carenza assoluta di motivazione in ordine alla insussistenza dei fatti descritti nell'imputazione sub art. 163, comma 1, e art. 37 del d.lgs. n. 81 del 2008.
La sentenza, infatti, opererebbe una non corretta applicazione delle suddette disposizioni normative, non essendo tenuto il documento di valutazione dei rischi ad indicare tutti i possibili rischi astratti, ma solo quelli concretamente presenti, verificabili in relazione alla casistica esistente.
Non sussisterebbe, poi, motivazione alcuna in ordine alle contravvenzioni ex artt. 163, comma 1, e 37 del d.lgs. n. 81 del 2008, ritenute violate dai suddetti imputati, rispetto alle quali, invece, erano state svolte specifiche argomentazioni difensive nell'ambito dei rispettivi atti di appello.

5. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato.


 

Diritto



1. Il Collegio ritiene che i motivi dedotti dai ricorrenti non siano manifestamente infondati, per cui deve, conseguentemente, prendere atto dell'intervenuta prescrizione del reato, pronunciando nei loro riguardi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

2. A prescindere da ogni altra considerazione, infatti, appare sufficiente osservare come sia da ritenersi non manifestamente infondata la doglianza relativa alla ritenuta carenza motivazionale dedotta dall'A.G. con il primo motivo di ricorso e dallo S.L. con il suo secondo motivo.
La Corte di appello, in particolare, risulta aver confermato, con riguardo ai suddetti imputati, la ricorrenza dell'elemento soggettivo della colpa solo occupandosi del contenuto che avrebbe dovuto avere il documento di valutazione dei rischi, senza conferire valutazione adeguata - invece richiesta da parte degli appellanti - agli aspetti concernenti i requisiti della prevedibilità e della evitabilità in concreto dell'evento, con riferimento alla posizione di ciascuno di loro, da valutarsi anche alla stregua delle risultanze emerse dalle disposte indagini peritali.
Con riguardo alla posizione del R.N. e dello S.L., poi, appare non manifestamente infondata la doglianza con i cui i ricorrenti, nel loro ultimo motivo, hanno lamentato che il giudice di seconde cure non ha espresso motivazione alcuna in ordine alla ritenuta violazione delle contravvenzioni di cui agli artt. 163, comma 1, e 37 del d.lgs. n. 81 del 2008, rispetto alle quali, invece, erano state svolte puntuali argomentazioni difensive nell'ambito dei rispettivi atti di appello.

3. Ne deriva la non manifesta infondatezza dei motivi indicati, che fanno ritenere ben radicato il grado di giudizio dinanzi a questa Corte di legittimità, inducendo alla conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
La commissione del reato, infatti, risale al 15 febbraio 2011, per cui, stante l'assenza di cause di sospensione e di interruzione intervenute, il termine prescrizionale massimo di anni sette e mesi sei, di cui al combinato disposto agli artt. 157, comma 1, e 161, comma 2, cod. pen., si è compiuto il 15 agosto 2018 - e quindi prima dell'entrata in vigore dell'art. 83, comma 3-bis, d.l. n. 18 del 2020, convertito dalla legge n. 27 del 2020, che non può trovare applicazione nel caso di specie -.
E', poi, appena il caso di sottolineare come la maturata prescrizione renda superfluo ogni possibile approfondimento nel merito. Ed infatti, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti dei ricorrenti, è ben noto che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511-01), non essendo rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione (v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01).
Non ricorrono, infine, le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., tenuto conto delle congrue e non illogiche valutazioni rese dalla Corte di merito nella sentenza impugnata.
Non emergendo, dunque, all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazione" (cioè presa d'atto), la necessità di assoluzione (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01), discende, di necessità, la pronunzia dell'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, nei confronti di tutti i ricorrenti, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.

 

P. Q. M.
 



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione. Così deciso in Roma il 4 maggio 2021