Cassazione Penale, Sez. 4, 18 maggio 2021, n. 19560 - Prassi scorretta nell'attività di movimentazione dei tondi in lavorazione


 

 

Presidente: ESPOSITO ALDO
Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 15/01/2021
 

Fatto


1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia del 10 maggio 2016, con cui B.A. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi tre di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 590, commi primo e terzo, cod. pen., in relazione all'art. 583 cod. pen., perché, in qualità di presidente del Consiglio di Amministrazione della ditta BTT S.R.L., con sede legale e sede operativa in Brescia via Omissis n. 12 e datore di lavoro dell'infortunato, per colpa cagionava a T.M. lesioni personali gravi consistite in trauma schiacciamento gamba sinistra giudicate guaribili in 52 giorni, in quanto l'infortunato, impegnato ad agganciare le catene della gru a ponte, su alcuni fasci tondi della misura di 70 mm. e del peso di 2500 Kg., posizionati a circa 50 cm da terra sopra altro materiale, al fine di posizionarli all'interno di appositi bancali saliva sulla catasta di materiale ferroso, metteva in leggero tiro le catene provocando lo spostamento dei tondo, che lo investivano alla gamba sinistra posizionata tra due fasci, riportando così le sopra descritte conseguenze lesive - colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché nell'inosservanza di norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adottando le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori ed in particolare nella violazione: dell'art. 71, comma 3 e 4 D. lgs. n. 81 del 2008 in quanto emergevano carenze relative alla prevenzione da attuarsi nel reparto Elind dedicato alle attività di movimentazione dei tondi in lavorazione, per non avere evitato il sollevamento del materiale in presenza di operatori nei pressi o sopra i fasci predetti, come previsto nella procedura di lavoro BTT/IS.21, procedura non sufficientemente attuata ed anzi subordinata alle esigenze di produzione - in Brescia il 25 luglio 2013.
La dinamica dell'incidente era descritta nei seguenti termini: il 25 luglio 2013, la persona offesa T.M., lavoratore dipendente della ditta BTT s.r.l., stava operando nel magazzino (reparto Elind) della sede operativa della società sita in Brescia. Il T.M. doveva sollevare dei fasci di tondi metallici, del peso di 2500 Kg, uniti tra loro da dei legacci. Per eseguire tale operazione, la persona offesa doveva agganciare i legacci alle catene della gru ed era salito sulla catasta di materiale ferroso per mettere in tiro le catene. Nel corso di tale operazione, i fasci su cui era salito si spostavano e lo investivano cagionando lo schiacciamento della gamba sinistra, che egli aveva posizionato tra due fasci.

2. Il B.A., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art. 192, comma 1, cod. proc. pen..
Si deduce che il punto nodale della vicenda concerne l'accertamento circa l'esistenza o meno in azienda di un'adeguata normativa antinfortunistica nonché delle relative misure organizzative e procedurali.
La Corte territoriale, nell'illustrare il ragionamento logico-giuridico che aveva portato ad una conferma del giudizio di responsabilità in capo al B.A., ha dapprima affermato che l'organizzazione aziendale non aveva osservato la normativa antinfortunistica in vigore presso la "BTT S.r.l" (pagg. 5 ed 8) - dando così conto della esistenza in ditta di disposizioni specificatamente volte a scongiurare incidenti o infortuni durante le fasi di lavorazione - salvo sostenere, poi, che l'operazione svolta dalla persona offesa al momento dell'infortunio sarebbe risultata priva di qualsivoglia regolamentazione (pag. 7), così negando il presupposto (ossia l'esistenza di apposita normativa antinfortunistica) che poco prima aveva, invece, rappresentato il presupposto dell'intero ragionamento e, di conseguenza, inficiando la motivazione offerta nella sua stessa struttura logica.
Sempre in relazione alla presenza in azienda di adeguate disposizioni e procedure in materia antifortunistica, dalla relazione tecnica dell'ing. G., consulente della difesa, si evinceva come, più di cinque anni prima dell'infortunio in oggetto, erano stati attuati interventi finalizzati a garantire la sicurezza dei lavoratori e ritenuti idonei dall'ASL di Brescia nel marzo 2008 (prot. n. 0034930 del 6 marzo 2008 - all. n. 3 della consulenza tecnica agli atti) che, in particolare, aveva affermato: "E' stata regolamentata con specifiche procedure di lavoro l'attività di movimentazione dei carichi presso il reparto Elind al fine di ridurre il rischio di investimento per gli addetti". Come facilmente evincibile dalla lettura del capo di imputazione, l'infortunio in esame era occorso in quel reparto e proprio durante operazioni di carico del materiale.
Ciò premesso, la Corte di appello ha distorto il dato probatorio, per avere sostenuto la tesi della mancanza di regolamentazione o di divieti o di prassi aziendali relativamente alle modalità esecutive delle operazioni di carico del materiale.
Inoltre, al momento dell'infortunio, la persona offesa non solo era un lavoratore esperto - assunto in "BTT S.r.I." dal lontano 2002 - ma altresì altamente formato in materia di prevenzione, tanto che era apparso subito evidente che un comportamento diligente dello stesso rispetto sia alla normativa, che alla prassi aziendale avrebbe senz'altro scongiurato l'evento infortunistico occorso. Se il lavoratore si fosse attenuto alla normativa vigente in azienda, limitandosi a salire sui fasci per agganciarli alla catena della gru, per proseguire poi le operazioni da terra, servendosi dei radio­comandi di cui tutti i carroponte erano stati dotati proprio al fine di non vincolare l'operatore, l'infortunio non si sarebbe verificato. In tal senso concludevano non solo i testi della difesa ed il consulente tecnico ing. G., ma anche la stessa Corte di appello (pag. 7 della sentenza).
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 133 cod. pen..
Si rileva che le ragioni addotte dalla Corte territoriale relativamente alla quantificazione della pena finale irrogata all'imputato erano generiche, in aperto contrasto con l'obbligo di motivazione.

 

Diritto



1. Il ricorso è infondato.


2. Il primo motivo di ricorso, con cui si censura l'affermazione di responsabilità sotto vari profili, è infondato.
2.1. Va disattesa, innanzitutto, la doglianza secondo cui la Corte di appello sarebbe incorsa nel vizio di contraddittorietà della motivazione, dapprima per aver riconosciuto l'esistenza di misure cautelari aziendali per prevenire infortuni ai lavoratori e successivamente per aver sostenuto l'assenza totale di regolamentazione della materia della sicurezza.
La Corte di appello, infatti, ha inizialmente evidenziato l'effettiva esistenza di una specifica procedura di sicurezza (BTT\IS 21), secondo la quale tra i fasci dovevano essere lasciati spazi liberi, se possibile, al fine di evitare agli operai di salire sul materiale per le operazioni di imbragatura nonché di altre procedure aziendali che prevedevano di alzare i legacci, se aderenti ai tondi, con apposita leva, e prevedevano il posizionamento all'addetto in un luogo sicuro al momento dell'imbragatura e del trasporto.
La stessa Corte territoriale, tuttavia, ha precisato che, come attestato dal tecnico ASL dr. Benassa, tali misure apparivano del tutto insufficienti ad evitare che gli operai salissero sui fasci dei tubi, i quali, avendo una superficie non piana, tendevano naturalmente a muoversi.
Inoltre, ha chiarito come, già in epoca precedente e successiva all'infortunio in esame, era emersa l'esistenza di una serie di incidenti analoghi a quello in contestazione, l'ultimo dei quali risalente al 2014, e che, nel corso dell'ispezione seguita a tale ultimo infortunio, lo stesso tecnico aveva riscontrato il permanere della situazione di insicurezza nel reparto in questione; solo nel corso dell'estate 2015 erano state realizzate delle passarelle tra uno stallo e l'altro, che consentivano l'aggancio dei fasci senza salire sul materiale; l'adozione delle passarelle evitava agli addetti di salire sui fasci, riducendo in toto il rischio di caduta o di investimento.
Nella sentenza impugnata, quindi, si è specificato in modo completo ed adeguato che, le procedure di sicurezza non erano state rispettate e che, in ogni caso, erano del tutto insufficienti a scongiurare gli infortuni, occorrendo ulteriori meccanismi di sicurezza e, cioè, le passerelle, installate solo in epoca recente, successiva a tutti i pregressi incidenti sul lavoro.
2.2. Ugualmente non può essere accolta la tesi prospettata in ricorso, secondo cui il B.A. aveva eseguito tutte le prescrizioni imposte dall'ASL in materia di sicurezza e la stessa ASL, in occasione di un precedente controllo sui luoghi di lavoro avvenuto nel marzo 2008, ne aveva riconosciuto la validità, richiamando in proposito l'elaborato dell'ing. G., consulente di difesa.
La Corte di merito, con motivazione lineare e coerente, ha rilevato l'inesattezza dei rilievi dell'ing. G., ai fini della ricostruzione della dinamica del sinistro, in quanto il modus operandi dell'infortunato, pur dissonante rispetto alle prescrizioni dell'azienda, costituiva il frutto di un errore fisiologico a fronte dell'insufficienza strutturale della direttiva aziendale e della prassi interna che ne tollerava l'inosservanza. Al riguardo, nella sentenza impugnata si è ricordato che l'ASL era intervenuta a seguito di un infortunio analogo nel 2006, raccomandando procedure di verifica periodica ed una stretta vigilanza sull'operato dei lavoratori, prescrizioni sicuramente violate in occasione dell'infortunio occorso al T.M. nonché di quelli subiti dal lavoratore N. in data 28 settembre 2012 e dal dipendente B. nel 2014.
Il ricorrente non si confronta con tali dettagliate ed esaurienti spiegazioni della Corte territoriale, limitandosi a reiterare le censure già prospettate con l'atto di appello.
2.3. Non è neanche condivisibile la tesi difensiva secondo cui la Corte di merito ha erroneamente escluso la sussistenza di una regolamentazione o di una prassi per l'esecuzione dell'attività lavorativa in questione.
La Corte bresciana, infatti, con approfondito apparato argomentativo, ha sottolineato che il T.M., per imbragare i fasci di tubi da movimentare, dovesse necessariamente salire al di sopra dei tubi stessi, per cui nel magazzino, al momento dell'infortunio, in violazione della norma di sicurezza sul punto, non vi era adeguato spazio tra un cumulo e l'altro di tubi ed era impossibile eseguire l'operazione assegnata alla persona offesa stando a terra.
Come emerso dalle testimonianze assunte, la mancanza di spazi tra un gruppo di tubi e l'altro costituiva la situazione ambientale ordinaria di operatività dei lavoratori. Tale situazione imponeva agli operai di salire sopra i fasci di tubi, ad un'altezza di circa mezzo metro da terra, per poter poi agganciarli alle catene della gru e successivamente movimentarli, per cui il T.M., quindi, stava operando secondo modalità consuete per la prassi aziendale (cfr. verbali delle testimonianze della persona offesa, di B.E. e B.A.). L'aggancio dei tubi alle catene della gru avveniva collegando i ganci del carroponte alle fascette che legavano insieme tra loro i tubi; i lavoratori B. e N. avevano riferito come usualmente essi salissero sui tondi metallici per provvedere all'aggancio degli stessi al carroponte.
Pertanto, nonostante i pregressi incidenti e le prescrizioni delle ASL di prevedere un controllo costante degli operai, sussisteva una prassi scorretta, che imponeva ai lavoratori di procedere a proprio rischio e pericolo in base alle modalità di intervento prescelte dal T.M..
Ebbene, dal contesto sopra descritto emerge che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente, il B.A. aveva violato l'obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire alla individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, non mancando di assicurarsi l'osservanza di tali misure da parte dei lavoratori.
Il datore di lavoro avrebbe dovuto predisporre le opportune misure di prevenzione ed assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate, direttamente o attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati, e la previsione di procedure che assicurassero la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019, Arrigoni, Rv. 275577).
In base a quanto sopra esposto, nell'esercizio dell'attività lavorativa risultava essersi instaurata, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, con la tolleranza o col consenso del datore di lavoro, venuto meno ai doveri di predisposizione delle opportune misure di sicurezza e di sorveglianza in relazione alla pericolosa prassi operativa instauratasi; per cui è a lui ascrivibile il reato di lesioni colpose aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960, in un caso di omicidio colposo; in conformità, in un'ipotesi di lesioni colpose, Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004, Policarpo, Rv. 228344; principio risalente a Sez. 4, n. 17941 del 16/11/1989, Raho, Rv. 182857).
2.4. Il ricorrente, peraltro, evidenzia il comportamento non diligente del lavoratore, posto in essere in violazione alle disposizioni aziendali, che gli imponevano di limitarsi a salire sui fasci per agganciarli alla catena della gru e proseguire le operazioni da terra, servendosi dei radiocomandi di cui tutti i carroponte erano stati dotati. Sul punto, la Corte territoriale ha analiticamente riportato le operazioni materiali eseguite dal T.M. e le ragioni che lo avevano indotto ad eseguirle: a) per sollevare il materiale, doveva raddrizzare i legacci che univano il gruppo di tubi, che erano schiacciati dal peso stesso del fascio di tubi, per poi predisporre fasciature adeguate intorno al materiale che ne avrebbero consentito il successivo aggancio e sposta­ mento; b) ai fini dell'esecuzione di tale, egli aveva messo in tiro le catene collegate al carroponte, minimo movimento che aveva fatto spostare i tubi sui quali si trovava in equilibrio, determinando le lesioni oggetto del presente procedimento.

Nella sentenza impugnata si è chiaramente spiegato che la persona offesa stava svolgendo un'operazione preliminare al vero e proprio spostamento dei fasci di tubi, oggetto quest'ultimo della regolamentazione aziendale - comunque insufficiente - per cui era previsto che scendesse dagli stessi e manovrasse il carroponte stando a distanza. La Corte bresciana, rispondendo esaurientemente alle doglianze difensive e richiamando sul punto la testimonianza del tecnico ASL e del dipendente N.N., ha evidenziato che la direttiva adottata dall'azienda era laconica, non specificava le modalità attuative di quel segmento di operazione e lasciava ampi margini di errore per la sua sinteticità, in quanto indicava unicamente di "lasciare per quanto possibile degli spazi liberi tra gli stalli di contenimento in modo da agganciare il materiale senza dover salire sui pacchi per le operazioni di imbragatura".

3. Il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio, è generico.
Va premesso che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l'enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754).
La pena applicata non eccede la media edittale e, in relazione ad essa, non era dunque necessaria un'argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
Al contrario, nella fattispecie, l'entità della pena irrogata è stata correttamente giustificata in riferimento alla gravità della vicenda criminosa, alla ripetizione dell'infortunio con modalità analoghe a quelle relative ad altri precedenti infortuni per mancata adozione di norme di sicurezza, al precedente penale per analogo reato e al compimento di violazioni alle norme in tema di prevenzione depenalizzate, ma risultanti dal certificato penale. La Corte di appello ha altresì dato atto che il parziale risarcimento del danno subito dalla vittima (per l'importo di euro tremila) era già stato valutato dal Tribunale ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche.

A fronte di tale articolata ed esauriente motivazione, il ricorrente ha contestato, in termini del tutto vaghi e aspecifici, l'entità eccessiva della pena irrogata.

4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (art. 616 cod. proc. pen.).

 

P. Q. M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 15 gennaio 2021.