Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 08 giugno 2021, n. 22269 - Utilizzo improprio di un carrello elevatore in precario stato manutentivo


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 13/05/2021
 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Siena di condanna di S.S. per il reato di cui all'art. 590 cod. pen. ai danni del lavoratore C.D., aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, e di numerose contravvenzioni previste dal d. lgs. n. 81/2008, ha dichiarato queste ultime estinte per prescrizione e confermato nel resto.
Si è contestato allo S.S., nella qualità di legale rappresentante della ITALFARINE s.r.l., di avere cagionato al C.D. le lesioni gravi descritte in imputazione (esitate nell'amputazione di alcune dita della mano, con indebolimento permanente dell'organo della prensione), per negligenza, imprudenza e imperizia e per inosservanza di numerose norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (e, in particolare, per non avere: messo a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere e dotate delle istruzioni d'uso; operato la valutazione dei rischi e redatto il DUVR; designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione; nominato il medico aziendale; formato i lavoratori coinvolti nella lavorazione durante la quale era avvenuto l'incidente, in merito ai rischi connessi all'utilizzo del macchinario impiegato e neppure gli addetti al primo soccorso e alla gestione delle emergenze), consentendo ai lavoratori V. e C.D. di usare impropriamente un carrello elevatore in precario stato manutentivo per effettuare la movimentazione e il carico su un camion di un pezzo di nastro trasportatore in precedenza smantellato (operazione che comportava una forte esposizione a rischio, sia per lo stato del macchinario, che per il suo scorretto utilizzo), operazione alla quale il C.D. attendeva posizionato sulle forche del carrello condotto dal V., perdendo il primo l'equilibrio a causa di un movimento imprevisto del mezzo e entrando in contatto con la catena di sollevamento delle forche, così procurandosi le lesioni descritte in imputazione.

2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto mancata assunzione di prova decisiva, intesa alla verifica del luogo nel quale l'infortunio sarebbe avvenuto (via Rossa o via delle Persie di Sinalunga), mediante l'audizione dei carabinieri intervenuti nella immediatezza dei fatti. La difesa ha contestato l'assunto secondo cui la richiesta sarebbe stata esplorativa e generica, assumendo di contro il travisamento del suo significato, in quanto articolata dalla difesa sulla scorta del carattere di novità della prova sopravvenuta alla sentenza appellata. La risposta della Corte d'appello avrebbe dovuto tener conto del paradigma descritto nell'art. 603, c. 2, cod. proc. pen. e non di quello di cui al primo comma della stessa norma, trattandosi di soggetti assunti a sommarie informazioni, ma non escussi a dibattimento. La prova pretermessa, inoltre, avrebbe il carattere della decisività, facendo riferimento a una premessa probatoria immediatamente successiva alla verificazione dei fatti.

Con un secondo motivo, ha dedotto vizio motivazionale in relazione alla affermazione della penale responsabilità, rilevante anche sotto il profilo della violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, avendo il processo fotografato, anche a causa della lacunosità delle prove, una realtà solo parziale degli accadimenti, avendo la Corte d'appello liquidato le doglianze difensive con estrema genericità, valorizzando solo gli assunti a riscontro delle accuse promananti dalla persona offesa e avendo liquidato, siccome inutilizzabili, le dichiarazioni dibattimentali del V., il quale non aveva confermato la tesi del C.D. in punto ubicazione del luogo in cui era avvenuto l'infortunio. Sotto altro profilo, la difesa ha contestato l'assunto secondo cui le dichiarazioni dibattimentali del V. sarebbero inutilizzabili, egli essendo stato sentito alla presenza del difensore e riguardando il divieto solo le dichiarazioni incriminanti e non anche quelle favorevoli.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Kate TASSONE, ha depositato memoria in base alle direttive del proprio ufficio, nonostante la richiesta di trattazione orale formulata dalla difesa, rilevando trattarsi di procedimento che non presenta aspetti di significatività, per essere il reato estinto per prescrizione.

4. La difesa ha depositato motivi nuovi scritti, ribadendo, quanto al primo motivo di ricorso, la decisività dell'audizione dei soggetti giunti sul luogo dell'incidente qualche ora dopo, anche alla stregua degli elementi ricavabili dalla sentenza resa il 30/10/2020 dal Tribunale di Siena, irrevocabile il 19/3/21, nei confronti di C.A. e V. V. per lo stesso fatto storico contestato allo S.S. sub A) della rubrica, essendo stati i due assolti anche dal reato di falsa testimonianza, ritenuto invece il portato dichiarativo del C.D. tale da disporre la trasmissione degli atti ai sensi dell'art. 207 co. proc. pen. Trattasi di documento che la difesa assume acquisibile in questa sede.
Quanto al secondo motivo, inoltre, rileva che il novum sopra indicato non è stato oggetto di alcuna valutazione da parte dei giudici nella sentenza impugnata, ricorrendo quantomeno la possibilità di un contrasto tra giudicati.

 

Diritto
 



1. Il ricorso è inammissibile.


2. La Corte fiorentina, nel riprendere le argomentazioni svolte nella sentenza appellata, alla luce delle doglianze proposte nel gravame di merito, ha ritenuto confermata dall'istruttoria la ricostruzione dei fatti del teste C.D., persona offesa del reato di lesioni colpose, per come avallata dal Tribunale. In base ad essa, il dichiarante - dipendente ITALFARINE s.r.l., azienda facente capo allo S.S. e in fase di dismissione - il giorno dell'infortunio era stato impegnato unitamente al V. presso lo stabilimento di via Rossa nello svolgimento delle mansioni sopra descritte; per evitare lo sbilanciamento del nastro trasportato, egli si era posizionato in ginocchio sullo stesso; a seguito di un sobbalzo del carrello dovuto al passaggio dalla zona in cemento a quella in ghiaia; aveva perso l'equilibrio e cercato appoggio su una colonna del muletto, ove però si trovava la catena in movimento che ne aveva trascinato l'arto nell'ingranaggio.
In sede di sommarie informazioni, il lavoratore V. aveva sostanzialmente confermato detta ricostruzione, divergendo la sua dichiarazione solo sul punto riguardante la decisione del C.D. di posizionarsi sopra il muletto (secondo la vittima su richiesta del V., secondo quest'ultimo d'iniziativa).
Sulla scorta dell'esame testimoniale del V., che aveva sostanzialmente ritrattato la prima versione dei fatti, contestatagli in sede di esame, è poi emersa la presenza di un soggetto mai prima indicato, sia nel corso delle indagini, che nel corso del giudizio. Si tratta del teste C., dipendente di altra società dello S.S. sita in via Persie, per il quale il Tribunale ha disposto la trasmissione degli atti ai sensi dell'art. 207 cod. proc. pen. Si è così delineata, a distanza di anni dai fatti, una terza versione, sostenuta dalla difesa, in base alla quale l'infortunio non sarebbe avvenuto presso lo stabilimento della ITALFARINE s.r.l., bensì all'interno dell'impianto di biogas di via Persie. Il V., infatti, ha affermato che, nell'occorso, era stato impegnato insieme alla persona offesa nello scarico di sacchi di concime dal pianale del camion, servendosi del muletto; il C.D. aveva utilizzato il carrello impropriamente come un ascensore e aveva perso l'equilibrio appoggiandosi alla catena. Il teste C., pur non avendo assistito all'incidente, aveva confermato che, nell'occorso, i due erano intenti a lavorare con i sacchi presso l'impianto di via Persie.
Emersa tale versione dei fatti, l'intero procedimento si è articolato attorno alla verifica della attendibilità del teste sopravvenuto, tenuto conto, quanto al V., delle dissonanti versioni da questi fornite nella immediatezza, in maniera sostanzialmente coerente con il racconto fornito dalla vittima; a distanza di anni e in dibattimento, del tutto dissonanti quanto alla ubicazione dei fatti e all'utilizzo del carrello.
I giudici del doppio grado di merito, articolando un ragionamento basato su plurimi argomenti fattuali e logici, hanno conformemente ritenuto attendibile la versione riferita dalla persona offesa. Il suo racconto, intanto, collimava con quello reso nell'immediatezza dal V. e era genuino dal momento che i due non avrebbero mai potuto concordare una versione falsa: il C.D., infatti, era stato assunto a sommarie informazioni solo dopo esser stato dimesso dall'ospedale, 21 giorni dopo l'accaduto, mentre il V. era stato sentito nell'immediatezza sia dai carabinieri, che dal personale ASL. I carabinieri, inoltre, non si erano recati in via Persie, come sarebbe stato logico se questo fosse stato il luogo dell'accaduto indicato da chi li aveva allertati e ciò aveva ricevuto conferma anche da parte del personale dell'ASL che era intervenuto direttamente in via Persie, ove i carabinieri presenti avevano riferito che in via Rossa non c'era alcun segno. Il personale ASL si era poi recato in via Rossa a distanza di circa un mese proprio perché consapevole dell'assenza di tracce. Inoltre, il teste C. non era stato indicato dagli accertatori come presente in via Persie e, dal canto suo, aveva riferito un orario dell'infortunio (ore 10:00) del tutto incompatibile con l'ingresso del ferito al non vicino pronto soccorso dell'ospedale di Montepulciano, registrato praticamente in contemporanea, e cioè alle ore 10:06 (il C.D., al contrario, aveva fatto riferimento a un lasso temporale ricompreso tra le ore 9:00 e le ore 9:30).
La ritrattazione del V., peraltro, è stata ritenuta inattendibile dallo stesso Tribunale: da un lato, la spiegazione addotta a giustificazione dal dichiarante (garantire, cioè, al collega C.D. il diritto al risarcimento, visto che era dipendente della ditta che aveva sede in via Rossa) era del tutto infondata, stante l'indifferenza della circostanza ai fini risarcitori; dall'altro, la prima versione era sostanzialmente collimante con quella che soltanto 21 giorni dopo la persona offesa avrebbe reso, senza alcuna possibilità che i due avessero concordato una comune versione dei fatti.
Alla luce di tali elementi, valutati in maniera conforme, i giudici del doppio grado di merito hanno ritenuto la genuinità delle dichiarazioni rese dal testimone/persona offesa, peraltro riscontrate dalla circostanza incontestata che i Carabinieri si erano recati subito in via Rossa e dal fatto che il C. non era stato trovato in via Persie né da costoro, né dai funzionari ASL. Il C.D., peraltro, è stato ritenuto credibile anche alla luce dell'esame dibattimentale : egli - assente per più udienze - non si era precipitato ad accusare il suo datore di lavoro, né si era accanito contro costui e, durante l'esame, si era espresso con palese sofferenza; la circostanza che avesse dichiarato, sin dal suo ingresso in ospedale, che l'incidente era avvenuto in via Rossa, poi, non ne dimostrava la non genuinità, bensì la sincerità e la linearità del riferito, non avendo mai cambiato la propria versione. Nessuno aveva parlato di via Persie, sino al dibattimento, allorché era stato sentito il C., non identificato sui luoghi; tale prova dichiarativa non poteva considerarsi nuova e introdotta solo alla luce del riferito dibattimentale del V., poiché nessuno aveva mai indicato la presenza del C. al momento dell'accesso dei funzionari ASL, nonostante la presenza dello stesso S.S.; in via Persie non era stata rilevata alcuna traccia materiale (sangue o altro) dell'accaduto; infine, non era mai stata sollecitata la correzione di quello che era indicato a difesa come un clamoroso travisamento dei fatti.
A fronte di tale quadro probatorio, il Tribunale ha ritenuto superflua l'integrazione della istruttoria dibattimentale, al fine di assumere la testimonianza dei carabinieri intervenuti dopo l'infortunio e, alla stregua delle censure articolate dalla difesa, sostanzialmente basate sull'asserita assenza di riscontri alle dichiarazioni del C.D. e sulla ingiustificata diffidenza con la quale era stato considerato il teste C., la Corte d'appello ha dal canto suo ritenuto non necessaria la richiesta di integrazione dell'istruzione dibattimentale articolata dalla difesa all'udienza del 14/6/2019 (cfr. verbale allegato al ricorso), con riferimento alla audizione dei militari e di due soggetti, mai indicati prima, assunti a s.i.t nel luglio nel 2017 nel diverso procedimento a carico del V. per lo stesso reato di cui al capo A (cfr. pag. 7 del ricorso), anche perché la relativa richiesta è stata giudicata generica e di natura esplorativa .
Una volta confermata l'attendibilità della versione dei fatti della persona offesa, anche nella loro dimensione spazio-temporale, il ragionamento dei giudici dei due gradi diverge solo quanto alla decisività dell'accertamento della collocazione spaziale dell'accaduto: il Tribunale, infatti, ha ritenuto irrilevante accertare se l'infortunio fosse accaduto in via Rossa, sede della ITALFARINE s.r.l., o in via Persie; la Corte, al contrario, ha ritenuto perfettamente corroborata la versione del teste C.D. e accertata la collocazione dell'incidente proprio nel luogo da questi sin da subito indicato.
Quanto ai profili di colpa ascritti all'imputato, infine, i giudici del merito hanno ritenuto che l'istruttoria avesse confermato la esistenza delle violazioni contestate. Per quanto di specifico interesse in questa sede, alla luce delle doglianze difensive e del rischio concretizzatosi, si rileva, in particolare, che la Corte territoriale ha dato risalto alla deposizione del teste C. (vice presidente e socio della società incaricata per la valutazione dei rischi e la formazione di ITALFARINE s.r.l.), il quale aveva affermato che i due dipendenti erano privi di formazione specifica, non avevano competenze per l'utilizzo del muletto e non avevano ricevuto alcuna informazione sui rischi del suo utilizzo. Del resto, lo stesso Tribunale ha richiamato la deposizione del V., il quale aveva confermato di non essere stato destinatario di alcuna attività di formazione, come lo stesso C.D..

3. I motivi sono manifestamente infondati.


3.1. La lunga ricostruzione dei fatti, ricavabile dalla lettura integrata delle sentenze di merito, è strumentale alla verifica della loro conformità, certamente tale quanto alla ricostruzione dei fatti e alla attendibilità e credibilità della vittima; ma è anche necessaria ai fini della verifica della correttezza del giudizio formulato dai giudici del doppio grado in ordine alla completezza dell'istruttoria dibattimentale, unico punto devoluto allo scrutinio di questa Corte. Gli elementi di valutazione, pertanto, devono essere ricavati da entrambe le sentenze di merito, atteso che - in caso di doppia sentenza conforme - la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (cfr. sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250), a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (cfr. sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615).

3.2. Sotto altro, conseguenziale profilo, poi, deve ribadirsi l'estraneità, al vaglio di legittimità, degli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Tale principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).

4. La manifesta infondatezza dei motivi, tra di loro correlati, discende dalla apoditticità dell'assunto - tale perchè non preceduto da un effettivo confronto con i motivi delle due decisioni di merito - secondo cui la istruzione dibattimentale sarebbe incompleta e il compendio probatorio contraddittorio, assunto che sostiene sia la censura relativa all'omessa rinnovazione istruttoria (primo motivo), che la dedotta violazione della regola di giudizio di cui all'art. 533, c. 1, cod. proc. pen. (secondo motivo). Quanto al primo motivo, poi, la manifesta infondatezza è correlata anche alla intrinseca aspecificità parziale della doglianza, non avendo la parte allegato i verbali di s.i.t. rese dai due soggetti, il cui ruolo neppure viene precisato a verbale dell'udienza davanti alla Corte d'appello, questo sì allegato al ricorso.
Tanto premesso, operato l'unico vaglio consentito in questa sede quanto alle questioni attinenti al merito del giudizio, dalla motivazione integrata delle due sentenze di merito emerge la smentita, sorretta da un ragionamento congruo, non contraddittorio, né manifestamente illogico dell'assunto difensivo sopra richiamato: la difesa sostiene che l'istruzione non avrebbe fugato la "contraddittorietà processuale" in ordine alle dinamiche afferenti all'incidente e che, pertanto, sarebbe stato doveroso l'esame dei carabinieri intervenuti nella immediatezza e di due persone, assunte a s.i.t. nel diverso procedimento a carico del V. per lo stesso fatto contestato al capo A) che, sempre secondo la difesa, avrebbero reso dichiarazioni coerenti con il riferito del C. e soprattutto del V. (le cui dichiarazioni, si ricorda ancora, sono state vagliate attraverso la lente processuale dell'art. 500 cod. proc. pen., stanti le evidenti contraddizioni delle versioni fornite da costui, sulla cui difformità non può esservi contestazione, siccome risultante per tabulas, stante l'attivazione del meccanismo processuale sopra richiamato). I giudici del merito hanno escluso l'equivocità del compendio probatorio e lo hanno fatto attraverso un giudizio articolato in maniera conforme sulla scorta delle evidenze raccolte e specificamente indicate, cosicché il vaglio di correttezza della decisione di non procedere alla riapertura dell'istruzione non può prescindere da tale insindacabile valutazione.
Pertanto, a prescindere dal profilo assorbente della aspecificità del motivo di ricorso sul punto, con riferimento ai due soggetti indicati a verbale dell'udienza del 14/5/2019, quanto alla natura delle prove da assumere, si rileva la congruità, non contraddittorietà e la logicità del ragionamento svolto dai giudici del merito per giustificare la mancata rinnovazione istruttoria sotto il profilo della novità della prova da assumere e della asserita incompletezza dell'istruttoria svolta: costoro hanno fornito ampia e insindacabile giustificazione circa la ritenuta inattendibilità del teste V., di fatto autore di una vera e propria ritrattazione in dibattimento; hanno dato rilievo alla circostanza che il teste C., che avrebbe dovuto riscontrare questa nuova versione, era "comparso" inspiegabilmente solo a distanza di cinque anni dai fatti, non essendo stato indicato dai verbalizzanti tra coloro in grado di riferire accadimenti direttamente percepiti, relativi all'infortunio. E, sotto tale profilo, deve anche rilevarsi la correttezza del giudizio di genericità della richiesta formulato dalla Corte territoriale.
In questa· sede, poi, va ricordato che il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice d'appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento, non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire, me deve esaurirsi nell'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (cfr. sez. 3, n. 7680 del 13/1/2017, Loda, Rv. 269373), e che la rinnovazione istruttoria è istituto di natura eccezionale - attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado - al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (cfr. sez. unite, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820). Infatti, alla rinnovazione nel giudizio di appello, di cui all'art. 603, c. 1, cod. proc. pen., può ricorrersi solo ove il giudice ritenga "di non poter decidere allo stato degli atti", sussistendo tale impossibilità solo se i dati probatori già acquisiti siano incerti, oppure l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che esso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo a inficiare ogni altra risultanza (cfr. sez. 6 n. 20095 del 26/2/2013, Ferrara, Rv. 256228; sez. 6, n. 48093 del 10/1072018, Rv. 274230).
Infine, deve pure precisarsi che, ove la parte solleciti poteri istruttori giudiziali in relazione a prove già conosciute o già esistenti all'epoca della decisione di primo grado, ha l'onere di evidenziare analiticamente le ragioni dell'assoluta necessità del mezzo di prova da assumere in relazione al compendio istruttorio già formatosi nel caso concreto (cfr. sez. 3, n. 5441 del 19/9/2017, dep. 2018, Rv. 272573). Nella specie, il ricorrente nulla ha dedotto in ordine alle ragioni per le quali alcuni soggetti, mai identificati durante le indagini, né indicati dalla difesa, abbiano reso dichiarazioni che si assumono collimanti con la versione dei fatti che il V. ha reso successivamente in dibattimento, ritrattando quella resa nella immediatezza. Pertanto, anche sotto tale profilo, il motivo manifesta la sua aspecificità.

5. Quanto, poi, all'allegazione effettuata in sede di formulazione dei motivi nuovi di ricorso, va subito precisato che non sussistono i presupposti per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Intanto, occorre muovere dal principio in base al quale l'inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione (cfr. sez. 5, n. 48044 del 2/7/2019, Di Giacinto erasmo, Rv. 277850).
Inoltre, pur riconosciuta la facoltà di allegare una sentenza divenuta irrevocabile anche in sede di legittimità, va tuttavia rilevato che da tale produzione non discende automaticamente l'effetto di imporre l'annullamento con rinvio della sentenza censurata, dovendosi operare un netto distinguo in relazione al caso di specie, fermo restando il divieto di operare una rivalutazione della situazione probatoria in questa sede ai sensi dell'art. 238-bis, cod. proc. pen. Il principio, più volte affermato da questa Corte di legittimità (cfr., ex multis, anche sez. 6, n. 3702 del 4/1272012, dep. 2013, Capasso e altri, Rv. 254766, citata dalla difesa) deve essere correttamente interpretato alla stregua della situazione processuale all'esame.
Ed infatti, nel precedente richiamato a difesa il reato per il quale si è proceduto separatamente era rappresentato da un fatto associativo e le conclusioni nelle due diverse sedi processuali avevano riguardato l'accertamento del merito dell'accusa. Pertanto, pur senza operare una rivisitazione del compendio probatorio, preclusa al giudice di legittimità, quest'ultimo è certamente chiamato a verificare la sussistenza del presunto contrasto (cfr. sez. 5, n. 32031 del 7/5/2014, Daccò, Rv. 261988), essendogli precluso solo di sindacare le ragioni di esso, ferme restando in ogni caso le preclusioni processuali già maturate (nello stesso senso anche sez. 5, n. 38569 del 7/5/2014, Dell'Orefice, Rv. 259904, sempre in ipotesi di associazione per delinquere e bancarotta fraudolenta; sez. 2, n. 19409 del 13/2/2019, PG/Biscotti Luigi, Rv. 276653).
Orbene, nella specie, non sussiste alcun contrasto tra le sentenze in esame, non essendovi una divergente valutazione del medesimo fatto (peraltro ascritto al V. a titolo di cooperazione colposa, rispetto al reato contestato allo S.S. in violazione di precise regole cautelari che lo stesso avrebbe dovuto osservare siccome datore di lavoro e garante), la sentenza passata in giudicato essendosi limitata a dichiarare la prescrizione del reato. Cosicché, va escluso che tale pronuncia imponga l'annullamento con rinvio della sentenza censurata per la rivisitazione del compendio probatorio esaminato, non ravvisandosi alcun contrasto di accertamenti sul medesimo fatto e non configurandosi, pertanto, un potenziale contrasto di giudicati sul punto.
Quanto alla falsa testimonianza, non si pone neppure un profilo di potenziale contrasto tra giudicati, trattandosi di fattispecie estranea al reato contestato in questa sede, la produzione avendo semmai l'obiettivo di contrastare il ragionamento svolto dai giudici del doppio grado in ordine alla necessità di procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Ma, sul punto, non può prescindersi dal considerare i connotati del sindacato di legittimità: l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, infatti, ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato
- per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (cfr. sez. unite n. 24 del 24.11.1999, Rv 214794, richiamata in motivazione in sez. 2, n. 19409/2019, cit.). Il ragionamento svolto dai giudici del merito muove dal riscontrato contrasto tra le versioni fornite dal V., rilevato attraverso il meccanismo processuale dell'art. 500, c. 1 e 2, cod. proc. pen., e non dalla ritenuta falsità delle seconde, la trasmissione degli atti essendo stata conseguenza della regola processuale di cui all'art. 207 cod. proc. pen. Lo stesso dicasi per il teste C., comparso nel procedimento oggetto del presente ricorso a distanza di anni dai fatti. In altri termini, la valutazione dell'attendibilità dei due testimoni escussi in questo procedimento rimane apprezzamento proprio del giudice di merito, sindacabile in questa sede nei ristretti limiti sopra delineati.

6. La inammissibilità del ricorso, precludendo l'instaurarsi di un valido rapporto processuale in questo grado di giudizio, non consente a eventuali cause estintive del reato, verificatesi dopo la sentenza d'appello, di operare e impedire il consolidarsi della pronuncia di condanna (cfr. Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266; n. 33542 del 27/06/2001, Rv. 219531; n. 23428 del 22/03/2005, Rv. 231164; sez. 6 n. 25807 del 14703/2014, Rv. 259202; sez. 1 n. 6693 del 20/01/2014, Rv. 259205).

7. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).

 

P.Q.M.




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 13 maggio 2021