CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI
 

LINEE DI INDIRIZZO PER LA GESTIONE DEI RISCHI IN MODALITÀ’ SMART WORKING


maggio 2021
 

A cura di:
Ing. Gaetano Fede (Consigliere CNI coordinatore GdL Sicurezza)
Ing. Stefano Bergagnin (GdL Sicurezza CNI)
e del Gruppo Tematico Temporaneo “Smart working e lavori in solitudine” del CNI:
Ing. Alessandro Matteucci (Ordine Ingegneri di Firenze)
Ing. Alessandro Negrini (Ordine Ingegneri di Milano)
Ing. Barbara Castaldo (Ordine Ingegneri di Napoli)
Ing. Gabriella Magri (Ordine Ingegneri di Parma)
Ing. Marco Guidetti (Ordine Ingegneri Bologna)
Ing. Salvatore Gigliotti (Ordine Ingegneri di Torino)
Ing. Serenella Corbetta (Ordine Ingegneri di Monza Brianza)
Ing. Stefania Bosco (Ordine Ingegneri di Foggia)


LINEE DI INDIRIZZO PER LA GESTIONE DEI RISCHI IN MODALITA’ SMART WORKING E LAVORI IN SOLITUDINE


Sommario

Premessa
1. Termini e definizioni
1.1 Smart working
1.2 Lavoro a distanza
1.3 Coworking
1.4 Telelavoro
1.5 Orario di lavoro
1.6 Lavoro in solitudine
1.7 Differenze e rapporti tra smart working, telelavoro
2. Campo di applicazione
2.1 Quando è applicabile la modalità smart working: alcuni esempi

2.2 Caratteristiche della modalità di lavoro in solitudine ed esempi
2.3 Coworking in relazione a smart working e telelavoro
3. Rischi per la salute e la sicurezza per i lavoratori agili
3.1 Differenze tra lavoratori privati e lavoratori PP.AA
3.2 Valutazione del rischio ai sensi del d.lgs.81/08
3.3 Rischi specifici e relative criticità
3.3.1 Ergonomia
3.3.2 Rischio rumore
3.3.3 Rischio da sostanze
3.3.4 Rischio incendio
3.3.5 Sindrome da visione al computer
3.3.6 Esposizione a campi elettromagnetici
3.3.7 Microclima
3.3.8 Boundary tra postazione e abitazione
3.4 Rischi psicosociali e stress lavoro-correlato, web policy e web-etiquette
3.5 Gestione ambientale e smaltimento RAEE e/o dei componenti più critici (es. batterie)
3.6 Sicurezza delle informazioni
4. Strumentazione e caratteristiche luogo di lavoro per smart working
4.1 Strumentazioni ed applicativi
4.2 Caratteristiche minime delle postazioni
4.3 Illuminazione naturale ed artificiale
4.4 Ubicazione e relativa copertura informatica
5. Criticità della gestione delle emergenze
6. Legge 81/2017 “lavoro agile” e proposte di integrazioni e/o modifiche
6.1 Potere di direzione e controllo - vincoli e limiti

6.2 Comportamenti attesi del lavoratore
6.3 Aspetti di difficile applicazione: la verifica posti di lavoro a domicilio
6.4 Tutela del lavoratore
6.5 Contenuti minimi degli accordi in materia di tutela, sicurezza e salute
6.6 Aspetti di formazione ed informazione del lavoratore
7. Conclusioni e obiettivi del documento
ALLEGATI
1- Riferimenti normativi e bibliografia


Premessa
L’innovazione del mondo del lavoro, soprattutto in ambito commerciale e industriale, in questo momento è evidente ed è prevedibile che si sviluppi con sempre maggiore intensità nei prossimi anni. Non è tuttavia ancora chiaro in tema di prevenzione quali siano le conseguenze in materia di rischi per salute e la sicurezza per chi opera in modalità smart working.
Relativamente a tali tipologie lavorative il legislatore ha emanato una nuova normativa, la Legge 22 maggio 2017 n.81 "Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato" che in merito allo smart working ha previsto un approccio di vecchio stampo mantenendo totalmente a carico del Datore di Lavoro l’obbligo di garantire verso i lavoratori “agili” tutti gli stessi requisiti di sicurezza previsti presso le sedi di lavoro aziendali, mentre al contrario tale modalità di lavoro spesso si svolge in luoghi di lavoro e in condizioni non controllabili e non monitorabili secondo i vecchi approcci, cioè con una visione diretta o quanto meno una conoscenza approfondita degli ambienti di lavoro - in questa modalità la conoscenza è meno approfondita ed è più alta la probabilità. E’ doveroso inoltre ricordare che nella norma citata il legislatore ha definito “lavoro agile” la modalità smart working evitando l’ormai consolidata abitudine di utilizzare neologismi inglesi.
Si rende pertanto necessario un approfondimento in merito alle caratteristiche specifiche dello smart working e, nei casi correlati, alla contemporanea modalità di lavoro in solitudine, in particolare in relazione ai rischi prevedibili durante lo svolgimento del lavoro in queste modalità e alle necessarie misure di prevenzione e protezione che diventeranno necessarie per poter creare una corretta gestione dei rischi per i lavoratori che operano in ambiti così particolari e che nel futuro ravvicinato diventeranno a grandissima diffusione. E’ importante inoltre sottolineare che il presente documento “Linee di indirizzo” non si estende al tema del lavoro in solitudine quale approfondimento di tale modalità di svolgimento della mansione, ma ne cita la correlazione in considerazione dei casi in cui le due tipologie abbiano aspetti in comune.
La parte iniziale del presente documento ha cercato di fornire maggiore precisione in merito a modalità di lavoro che non sono classificabili propriamente come “lavoro agile”, come ad esempio il “lavoro a distanza” ed il “telelavoro”, dei quali viene presentata una definizione. Il lavoro agile infatti, chiamato all’estero smart working, non viene necessariamente svolto esclusivamente a distanza ma spesso in alternanza tra azienda / spazi comuni non aziendali / altre sedi di aziende clienti / trasferte / sedi private o domestiche, e pertanto non corrispondente alla semplice definizione di lavoro a distanza (all’estero definita remote working).
Questo documento è stato sviluppato come linea di indirizzo in un momento epocale derivante purtroppo da una pandemia che si è rilevata drammatica e certamente di lunga durata che ha comportato, per necessità precauzionali ufficializzate da norme in continua evoluzione, un aumento notevole e imprevisto di lavoratori che operano in modalità a distanza e spesso in condizioni di solitudine.
Purtroppo la scarsa conoscenza della modalità di smart working, o di lavoro agile come è stato definito nella norma italiana vigente, ha altresì generato nelle aziende private e in quelle pubbliche notevoli fraintendimenti causati da una generalizzazione mediatica assolutamente errata, portando spesso a classificare il telelavoro in tale ambito. Obiettivo di questo documento pertanto è anche quello di fornire un’efficace chiave di lettura sulle rispettive definizioni, in modo da rendere più facilmente classificabili le diverse metodologie.
Si è inoltre proceduto ad approfondire le situazioni di lavoro maggiormente diffuse in cui lo smart working e il lavoro in solitudine viene oggi previsto per i lavoratori. Ad esempio nell’ambito di nuove attività operative previste dall’industria 4.0, queste situazioni erano già ben presenti prima della comparizione della pandemia SARS-CoV-2, spesso secondo modalità autonome previste dal lavoro a distanza, o in solitudine, o con approcci temporali e ambientali diversi rispetto agli ambienti lavorativi tradizionali. Oggi non solo è sempre più diffuso l’impiego di attrezzature e strumentazioni che consentono di svolgere le proprie mansioni a distanza, quali ad esempio smartphone, phablet, laptop, i-pad, GPS, droni, ma si stanno moltiplicando anche strumenti di nuova generazione come l’intelligenza artificiale, corobot, chatbot, esoscheletro, ecc.. Tali strumenti sono oggi impiegati dai lavoratori in mansioni diffuse come ad esempio i controlli e il funzionamento di impianti a ciclo continuo, ma le novità trattate si allargano anche a lavorazioni in solitudine, come ad esempio in numerose attività di manutenzione, in lavori di guardiania, di trasporto di materiale, di pulizia degli ambienti, o come il sempre più grande diffondersi dei cosiddetti rider spesso che operano per conto delle società che effettuano consegne a domicilio.
La redazione di questa linea di indirizzo è stata orientata verso l’approfondimento di contenuti come la corretta gestione delle estremamente innovative metodologie di lavoro che dovranno essere tenute in considerazione, dato che ormai è evidente che le nuove tipologie di rischio possono generare criticità derivanti da fattori di rischio non trascurabili. I luoghi di lavoro stanno sempre più frequentemente diventando ambienti privati del singolo lavoratore, spesso non identificabili e altrettanto spesso variabili nel tempo, con conseguente difficile applicazione ad esempio delle procedure di emergenza che richiederanno nuovi approcci. Ma non è stato sufficiente fermarsi a criticità facilmente identificabili come questa, nel documento si è ritenuto di affrontare altri aspetti di difficile gestione delle sorgenti di rischio associabili a queste nuove condizioni di lavoro. Ad esempio si sono considerati aspetti importanti come l’eventuale stress derivante dalla mancanza di spazi di lavoro condivisibili con altre persone o dalla mancanza di rapporti diretti con esse, con al contrario la condivisione di spazi e tempi con i propri famigliari, le interferenze con questi ultimi, la tendenza al procrastinare le scadenze di solito verificabili tramite rapporti diretti in ambito aziendale, oppure al contrario la tendenza a non limitare mai il tempo a disposizione del lavoro per rispettare le scadenze degli obiettivi aziendali. Sotto il profilo più strettamente tecnico gli approfondimenti sono stati diretti anche all’identificazione delle nuove tipologie di dispositivi di protezione disponibili e delle misure di prevenzione e protezione innovative da applicare. Infine ultimo ma non meno importante è il tema relativo alla formazione necessaria per i lavoratori che svolgono il lavoro nelle modalità oggetto di questo studio.
Nel pieno del periodo di pandemia il lavoro a distanza in Italia è improvvisamente balzato da circa 500.000 casi a più di 8 milioni e tale quantità è tuttora in crescita. In pratica il lavoro a distanza (anche se non tutto classificabile come smart working), si è finalmente diffuso in larga scala, anche se in forte ritardo rispetto a molti Paesi sviluppati, come ad esempio il Regno Unito dove nel 2018, pertanto in un periodo pre-pandemico, la percentuale di società che avevano fornito l’opzione del lavoro a distanza per i propri dipendenti era del 94%.
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E’ opportuno che si forniscano corrette indicazioni agli ingegneri e in generale ai tecnici che si occupano di sicurezza in merito alla valutazione dei rischi derivanti dalle nuove modalità di lavoro e proprio questa è la finalità del presente documento. Innanzitutto precisando chiaramente che non ci troviamo davanti ad una situazione caratterizzata da 8 milioni di lavoratori in smart working ma dalla presenza ormai evidente di almeno 8 milioni di lavoratori che operano a distanza spessissimo in modalità di telelavoro, che è ben diversa dal lavoro agile definito e normato dalla Legge 81/2017 che costituisce al momento l’unico riferimento applicativo, anche se non sufficiente, per una corretta gestione del rischio.
In tale situazione normativa non è ancora presente un chiaro riferimento ad una corretta gestione del rischio dipendente da numerose variabili come l’orario di lavoro, l’identificazione degli spazi utilizzati, le possibili condivisioni di questi, gli obiettivi da raggiungere, le responsabilità dei soggetti interessati, dal datore di lavoro al lavoratore stesso, dal RSPP al Medico Competente, gli aspetti ergonomici, l’impiego sempre maggiore del videoterminale rispetto al passato, gli aspetti aggregabili al tema delle problematiche psicosociali che possono aumentare, la copertura informatica e gli aspetti correlati alla privacy.
Dato che spesso il coworking è associabile allo smart working, anche se in Italia ancora poco diffuso, si è provveduto infine ad approfondirne le caratteristiche, formulando esempi chiari di modalità così classificabili.
Il documento è pertanto diretto a tutti i colleghi ingegneri che svolgono attività nel campo della sicurezza sul lavoro, con lo scopo di fornire informazioni e strumenti che possano essere non solo utili ma innovativi rispetto ad una realtà lavorativa, ma non solo, in sempre più rapida evoluzione.


1. Termini e definizioni
1.1 Smart working

Una definizione ufficiale del lavoro agile al momento è rintracciabile nella Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 che, anche se in riferimento a concetti più generali, lo definisce come un nuovo approccio all’organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione.
La normativa vigente (Legge 22 maggio 2017 n.81 il cui Capo II si riferisce al lavoro agile) non stabilisce invece una definizione, tuttavia il comma 1 dell’art.18 riporta in riferimento al lavoro agile quanto segue:
“modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.”
E’ importante notare che la Legge 81/2017, come riportato nel comma 1 dello stesso art.18, introduce questa modalità di rapporto di lavoro “allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. In buona sostanza il lavoro agile ha come fine l’obiettivo di identificare e introdurre la possibilità per il lavoratore di svolgere le attività assegnate nelle condizioni ritenute più confortevoli ad esempio:
- la scelta del luogo di lavoro presso il quale il lavoratore vorrebbe svolgere la sua mansione, o l’assegnazione di uno spazio in un ambito di coworking, riducendo per quanto possibile, gli spostamenti in entrambi i casi,
- fornendo adeguati strumenti, che dovranno consentire il regolare svolgimento del lavoro nella nuova modalità,
- in merito all’organizzazione, in quanto egli deve raggiungere un obiettivo ma con l’opportunità di concordare i cicli di lavoro, nei tempi e nei modi a lui più consoni, nel rispetto delle scadenze fissate contrattualmente con il datore di lavoro ma senza necessariamente fare riferimento a orari e luoghi predefiniti (quest’ultimo è un aspetto importante che distingue tale modalità dal telelavoro)
Riassumendo, è importante evidenziare che la modalità di lavoro agile concede flessibilità e autonomia al lavoratore nella scelta degli spazi, degli orari e in buona parte anche in merito agli strumenti da utilizzare ma che tuttavia prevede il raggiungimento di obiettivi (a cui ovviamente sarà legata la prestazione del lavoratore stesso) e pertanto anche una responsabilità del lavoratore in merito ai risultati da ottenere.
In buona sostanza le novità che caratterizzano questa modalità di lavoro in piena evoluzione e diffusione sono quattro: la flessibilità degli orari, la diversità dei luoghi di lavoro in cui svolgere la mansione (non più esclusivamente la sede aziendale), il raggiungimento di obiettivi e risultati concordati, una riorganizzazione del lavoro con conseguente diverso approccio dei soggetti coinvolti.


1.2 Lavoro a distanza
Il lavoro a distanza (remote working) prevede l’utilizzo costante di sedi di lavoro diverse dalla sede aziendale, spesso coincidenti con l’ufficio aziendale. Esse potrebbero essere varie come ad esempio la propria casa, spazi condominiali (all’estero luoghi già da tempo condivisi), uffici comuni affittati in modalità coworking, uffici diversi presso altre aziende e/o enti oppure organizzazioni, o anche semplicemente presso qualsiasi luogo in modalità trasferta.
Il lavoro a distanza potrebbe essere anche definito in casi particolari come “nomadic work”, corrispondente a un lavoro a distanza “estremo” dove la prestazione lavorativa mediante strumenti digitali viene effettuata da qualsiasi luogo come la propria città, luoghi lontani, dalla spiaggia, presso zone turistiche, ecc. In questi casi è necessario tuttavia che la definizione di un obiettivo lavorativo concordato tra le parti (azienda e lavoratori) sia stato precedentemente definito.
Rientra nel lavoro a distanza anche il “work while traveling” corrispondente al lavoro svolto in viaggio durante l’utilizzo delle strumentazioni digitali a disposizioni, nel caso in cui il lavoratore svolga spesso le proprie mansioni durante gli spostamenti con i mezzi di trasporto, in hotel, nei ristoranti, nei cafè, ecc.. Questa modalità, se priva di obiettivi precisi concordati, potrebbe a volte rientrare in una classificazione di “telelavoro mobile” (vedi definizione nel paragrafo 1.4).


1.3 Coworking
Non esiste nel nostro Paese una definizione precisa di tale termine, che si mantiene tuttora in lingua inglese, non soltanto perché tale modalità di lavoro è nata negli Stati Uniti (a San Francisco nel 2005 nei pressi della Silicon Valley), ma perché risulta difficilmente trasformabile in una parola della nostra lingua data la diversità con cui si manifesta a seconda dei casi.
Il coworking può essere definito come una modalità di lavoro che prevede la condivisione di uno stesso luogo di lavoro, da parte di più lavoratori appartenenti alla stessa o a più società diverse, in qualità di dipendenti o di lavoratori a contratto. Lo stesso luogo di lavoro potrebbe essere altresì condiviso anche da lavoratori autonomi o da liberi professionisti.
Nel primo caso la tipologia di svolgimento del lavoro è classificabile come smart working e la caratteristica principale è la condivisione di uno spazio lavorativo, spesso un ufficio di grandi dimensioni, che consente la delocalizzazione e la fornitura degli strumenti necessari per svolgere la propria mansione a distanza. La scelta dello spazio comune, spesso presso luoghi di lavoro che 8
vengono affittati a tale scopo da società principalmente private ma anche in caso di condivisione di spazi privati dei lavoratori stessi, rientra ufficialmente nella forma di contratto tra azienda e lavoratore (dipendente con contratto a tempo indeterminato, a tempo determinato, a contratto, ecc.) o tra azienda utilizzatrice e azienda somministratrice di lavoro temporaneo. Anche il telelavoro potrebbe prevedere l’impiego di una modalità di condivisione degli spazi di lavoro, non essendo quest’ultimo aspetto il parametro che lo differenzia dallo smart working.
Lo scopo del coworking, che ne ha determinato la nascita e ne ha inizialmente caratterizzato la diffusione, è tuttavia legato soprattutto alla condivisione di valori e di competenze che consentano una sinergia tra i lavoratori interessati derivante anche dal contatto diretto che non è possibile in condizioni di isolamento o di lavoro in solitudine, limitando inoltre gli aspetti negativi ancora oggi derivanti dall’ambiente domestico.
Recentemente il coworking si è sviluppato anche senza una specifica condivisione di uno spazio lavorativo, ma semplicemente di una comunità di intenti o di valori condivisi, allo scopo di promuovere l’attività della comunità stessa o di ampliarne la condivisione eventualmente in un spazio comune da attivare in un secondo momento.


1.4 Telelavoro
Il telelavoro è una modalità che nasce prima dello smart working. Di seguito si riportano tre definizioni la prima di origine anglosassone, la seconda al momento ufficiale nell’ambito di accordi di categoria del settore privato, la terza nell’ambito dell’accordo quadro nazionale del settore pubblico.
La definizione fornita dall’Oxford Languages (il dizionario internazionale maggiormente diffuso) indica il telelavoro quale modalità svolta “secondo Il decentramento produttivo e occupazionale realizzato mediante strumenti telematici che permettono di lavorare scambiando dati e informazioni in tempo reale con la sede di lavoro”.
L’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004 riprende integralmente la definizione dell’Accordo Quadro Europeo sul telelavoro del 2002 firmato da ETUC (European Trade Union Confederation), UNICE (Union of industrial and employer’s Confederation of Europe) e CEEP (Centro europeo delle imprese pubbliche). Secondo tale Accordo il telelavoro “costituisce una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa”.
L’Accordo Quadro Nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni del 23 Marzo 2000 contiene infine la seguente definizione.
“L'espressione telelavoro indica, in via generale, le molteplici possibilità di modificare la natura e la localizzazione del lavoro attraverso l'utilizzo di reti di telecomunicazioni avanzate e di tecniche del trattamento delle informazioni. Prendendo in considerazione i rapporti di lavoro subordinato, due, quindi, gli elementi che risultano imprescindibili: l'utilizzo di strumenti informatici e l'esistenza di una certa distanza fisica tra il telelavoratore e la macro-sede cui risulta assegnato.”
In ambito nazionale è evidente che le definizioni citate sono state diffuse mediante accordi tra le parti che pertanto, nel caso in cui al lavoratore venga offerta l’opportunità di operare secondo questa modalità, andranno citati formalmente.
In tutte tre le definizioni è evidente che i parametri comuni che caratterizzano tale modalità sono lo svolgimento non presso la sede di lavoro abituale e la disponibilità di strumenti informatici adeguati. Non viene mai citata invece la caratteristica degli obiettivi, né la libertà di orario, presumendo pertanto che lo stesso possa rimanere invariato. In merito all’orario è chiaro che esso, salvo diverse intese tra le parti da formalizzare nel contratto in essere, dovrà rimanere lo stesso che il lavoratore avrebbe all’interno degli spazi lavorativi aziendali.
Dal contenuto degli accordi si deduce infine che nel contratto di lavoro in esame rimane l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro verso il lavoratore stesso; tale potere, individuato nel principio giuridico della “eterodirezione” del datore di lavoro (art. 2094 c.c.) pone il vincolo di rispetto, da parte del lavoratore, verso le direttive del datore di lavoro, con la possibilità di interferenza dello stesso sia nel ciclo produttivo che presso il luogo di svolgimento del contratto di lavoro. Sostanzialmente non è concessa la completa autonomia del lavoratore nello svolgimento della mansione a distanza.
Le modalità di svolgimento di questa tipologia di lavoro possono essere diverse, le tre principali sono le seguenti:
Telelavoro a domicilio: il lavoratore utilizza strumenti tecnologici adatti a consentirgli lo svolgimento dell’attività lavorativa da casa. Questa forma di telelavoro interessa una varietà di attività come ad esempio i lavori tradizionali di ufficio.
Telelavoro mobile: in questo caso per il lavoratore non esiste un luogo specifico di lavoro ma tanti luoghi, purché sia munito di strumenti idonei (PC portatile, smartphone, i-pad, ecc.) che gli consentano di avere a disposizione il collegamento sia per le comunicazioni che per l’accesso ai dati necessari. Questa modalità operativa è diffusa per figure che operano nell’ambito della distribuzione (ad esempio rappresentanti di commercio o venditori) e dell’assistenza tecnica e che sono per la maggior parte del tempo in trasferta.
Telelavoro da telecentri: i lavoratori dipendenti o a contratto per fornire le loro prestazioni all'azienda o al committente per cui lavorano si recano presso telecentri, strutture attrezzate con prodotti e servizi tecnologici adatti a svolgere il lavoro a distanza. Il telecentro è una postazione remota rispetto alla sede dell'azienda o del cliente, connessa con reti a larga banda e tipicamente fornita di sistemi di videoconferenza, software per “cloud computing” ed altri servizi come ad esempio mensa aziendale, servizio navetta per il trasporto dei telelavoratori, ecc.. Tali strutture potrebbero essere fornite in affitto a società che vi mandano i propri lavoratori o realizzate anche congiuntamente da due o più società che si consorziano tra loro.


1.5 Orario di lavoro
La definizione di orario di lavoro è fornita dall’art.1 comma 2 lettera a) del D.lgs.8 aprile 2003 n.66 “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro” ed è la seguente:
“Costituisce orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
Questa definizione richiede che, in relazione alla modalità di lavoro, il rapporto contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore preveda precise indicazioni, in merito all’orario che eventualmente il lavoratore è obbligato a rispettare o in merito al numero di ore che lo stesso dovrà garantire con eventuali opzioni di elasticità di orario e con possibilità di eventuali ore straordinarie. Tale definizione è di semplice applicazione in caso di contratto che preveda il telelavoro, ma non lo è in caso di modalità smart working, in quanto viene consentita l’elasticità e la libertà (per il lavoratore) di scelta di orario con la conseguente grossa difficoltà di identificazione degli orari e della durata di attività effettiva. Neppure l’espressione “a disposizione del datore di lavoro” sarebbe facilmente applicabile nel caso della modalità smart working in quanto la forma del contratto di lavoro non dall’orario di lavoro verrebbe caratterizzata ma dal raggiungimento di obiettivi condivisi tra le parti.
Sono pertanto tre i parametri citati nella definizione di orario di lavoro: il vincolo contrattuale di subordinazione, la disponibilità del lavoratore come presenza, l’esercizio della sua attività in relazione alle sue funzioni.


1.6 Lavoro in solitudine
Non esiste al momento una definizione legislativa di questa modalità di lavoro. Una definizione che potrebbe essere utile a comprendere quale tipologia di lavoro rientri in questa modalità è la seguente, ed è stata formulata dopo una ricerca delle principali definizioni internazionali di cui ne vengono riportate alcune per confronto:
“lavoro che debba/possa essere svolto da un lavoratore in totale autonomia, isolato da altri lavoratori, senza possibilità che altri lavoratori possano sovrintendere, sorvegliare o collaborare in presenza”.
Per maggiori chiarimenti si riportano anche le seguenti definizioni:
“Una persona è sola al lavoro quando non può essere vista o sentita da un’altra persona; e quando non può aspettarsi una visita da un altro lavoratore. Il lavoro in solitudine riguarda tutti i lavoratori che possono avere periodi di tempo in cui non hanno un contatto diretto con un collega.” (pubblicazione del Canada’s National Occupational Health e Safety Resource).
“Lone workers are those who work by themselves without close or direct supervision” (definizione del HSE - United Kingdom).
“Per persona «tenuta a lavorare da sola» si intende una persona alla quale non si può prestare immediatamente aiuto in caso di infortunio o di fronte a una situazione critica poiché, ad esempio, opera fuori dal contatto visivo o vocale con altre persone” (definizione del SUVA - Svizzera)
Un aspetto comune a tutte le definizioni al momento disponibili è costituito dall’aspetto di isolamento del lavoratore, caratterizzato dalla non visibilità e dalla non udibilità, a prescindere dalla distanza rispetto ad altri soggetti, elementi senza dubbio critici in caso di emergenza.
Ne consegue che il lavoratore che svolge la propria attività “in solitudine” si trova in condizioni prive di una sorveglianza, di un’interrelazione diretta o della presenza ravvicinata di altri soggetti. Tale condizione lavorativa non è necessariamente permanente ma il concetto di isolamento deve essere inteso sia in termini di posizione rispetto al contesto in cui si trova a dover operare che in termini di organizzazione della propria attività. Le condizioni che determinano questa situazione possono essere molto diverse, legate al tipo di attività svolta, al tipo di mansione, all’orario/turno di lavoro (ad esempio durante il turno di notte) o semplicemente il proprio lavoro può trasformarsi in solitario per effetto di cause esterne quali, per esempio, il protrarsi oltre il normale orario di lavoro, la necessità di un intervento o un sopralluogo da effettuare in luogo remoto o difficilmente raggiungibile in termini anche di posizione territoriale o nel complesso aziendale stesso.


1.7 Differenze e rapporti tra smart working, telelavoro
Smart working e telelavoro, pur avendo caratteristiche comuni, rimangono due modalità di lavoro con profonde differenze.
In primo luogo è evidente che una caratteristica comune è identificabile nello svolgimento del proprio lavoro lontano dalla sede aziendale o comunque dal luogo di lavoro abituale. In entrambi i casi il lavoratore può lavorare in un luogo diverso che potrebbe essere la propria abitazione, un ufficio comune ad altri lavoratori in coworking, oppure semplicemente in più luoghi esterni all’azienda o all’ente per cui lavora, durante le attività svolte al di fuori della sede di lavoro.
Altro aspetto comune risiede nella disponibilità di strumentazione adeguata a lavorare a distanza (computer, i-pad, smartphone, garanzia di copertura del collegamento in rete, accesso all’archivio aziendale se necessario, ecc.) che il datore di lavoro è obbligato a fornire ad ogni lavoratore che opera con queste modalità. In entrambi i casi sono già riscontrabili in questi anni alcuni vantaggi che queste modalità offrono, ad esempio la riduzione dell’inquinamento derivante dagli spostamenti casa-lavoro-casa o il calo degli infortuni in itinere.
Molto diversa è invece la situazione relativa agli orari di lavoro e agli obiettivi concordati secondo le modalità del contratto di lavoro. Il telelavoro prevede infatti semplicemente lo spostamento, in tutto o in parte, della sede di lavoro dai locali aziendali ad altra sede (solitamente l’abitazione del lavoratore), ma il dipendente è vincolato comunque a lavorare da una postazione fissa e prestabilita, con gli stessi limiti di orario che avrebbe in ufficio o comunque specificandolo nell’accordo tra le parti senza cambiamenti di durata salvo modifiche specifiche del contratto. Il carico di lavoro, gli oneri e i tempi della prestazione, insomma, devono essere equivalenti a quelli dei lavoratori che svolgono la prestazione all’interno del posto di lavoro.
Al contrario lo smart working prevede completa autonomia per il lavoratore compresa la libertà di svolgere la propria attività/mansione in orari a sua scelta ma anche di eseguirla in parte all’interno di locali aziendali e in parte (o totalmente) all’esterno, ma senza stabilire una postazione fissa. Pertanto non ci sono vincoli di spazio e di tempo, salvo i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Si può lavorare da qualsiasi luogo (dentro e fuori l’azienda), non si timbra un cartellino, non si fanno pause in orari predefiniti. L’azienda e il dipendente ridefiniscono in maniera flessibile le modalità di lavoro. Nel caso dello smart working è pertanto evidente soprattutto la notevole flessibilità.
Infine la differenza maggiore a nostro avviso risiede in una proprietà dello smart working che non si riscontra assolutamente nel telelavoro. Mentre infatti la modalità lavoro agile prevede la determinazione e la condivisione di obiettivi precisi, nel telelavoro non vi è traccia di questo aspetto. Questo significa che i lavoratori in smart working una volta stabilita la durata e la dead line (scadenza) di un obiettivo di risultato nella propria attività, ovviamente oggetto di confronto e accordo preventivo con la dirigenza aziendale e per tale motivo traccia evidente di una riorganizzazione aziendale in continuo, potrebbero gestire in autonomia la propria mansione e nel caso la stessa venga sviluppata in maniera ottimale potrebbero non solo variare in completa libertà le fasce orarie di impegno lavorativo ma anche diminuire le ore lavorate. In definitiva è evidente che in questo caso ci si focalizza sul raggiungimento di obiettivi e risultati.


2. Campo di applicazione
2.1 Quando è applicabile la modalità smart working: alcuni esempi

La Legge n. 81/2017 individua nel lavoro agile una particolare modalità di svolgimento della prestazione di lavoro, in forma subordinata senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, grazie all'utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di rendere la prestazione lavorativa a distanza.
È rivolto pertanto a tutti i lavoratori dipendenti o meglio subordinati, a tempo determinato e/o indeterminato - compreso i contratti di somministrazione o di lavoro intermittente, e apprendistato (sia full time sia part-time) - ad eccezione dei ruoli, delle mansioni e condizioni non compatibili con l’esercizio della prestazione lavorativa in modalità smart working, quali le attività produttive che richiedono la presenza fisica del personale.
E’ applicabile sia nel settore privato che nel settore pubblico ma, a differenza del telelavoro, prevede di operare per obiettivi e progetti. Trattandosi di una nuova filosofia manageriale fondata sulla concessione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare (e comunque da fornire ai lavoratori) prevede anche una maggiore responsabilizzazione sui risultati e sul raggiungimento degli obiettivi.
Per tale motivo è necessario verificare se queste caratteristiche siano compatibili con l’attività del lavoratore ed anche con le sue caratteristiche e competenze. Questo richiede anche una correlata capacità del manager che si rapporta con lo smart worker nell'affidare obiettivi coerenti e raggiungibili.
Pertanto Il lavoro agile, volto a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro, può essere svolto sia all’interno dell’azienda sia in mobilità, da remoto (utilizzando quindi dei device tecnologici), senza restrizioni precise riguardanti il luogo, ma non limitandosi all’home working in orari prefissati, ovvero al lavorare da casa con caratteristiche tipiche del telelavoro.
Nel suo poter essere svolto anche al di fuori dell’azienda e in mobilità, lo smart working diventa così espressione di una società tecnologica, dove il lavoro si avvale in modo significativo di strumenti digitali, device portatili e piattaforme collaborative, permettendo ai lavoratori di essere operativi anche al di fuori delle mura dell’ufficio, e così andrebbe inquadrato il profilo del campo di applicazione.
Secondo quanto previsto dall’art. 18, comma 1, e dell’art. 19 della legge 81/2017, è l’accordo individuale a definire le modalità di lavoro agile e non è indicata una contrattazione collettiva nazionale, ma è quanto meno necessario redigere una policy nella quale l’azienda identifichi quelle condizioni per le quali un dipendente sia o meno eleggibile allo smart working: l’individuazione di tali criteri dovrebbe valorizzare il fatto che non si tratta di scelte imposte in via dirigista, ma frutto di dialogo lungo tutta la struttura aziendale.
La policy aziendale contiene normalmente elementi che definiscono l’implementazione pratica del “lavoro agile”, sia dal punto di vista della attivazione del progetto, sia della individuazione delle regole da seguire.
La policy si articola in una breve descrizione della prestazione lavorativa e dei comportamenti che è opportuno seguire nel corso della prestazione lavorativa, quali a titolo di esempio:
- Individuazione di un lasso temporale ove collocare i momenti di lavoro svolti in modalità smart working
- La possibilità di concordare a livello generale una “rosa di luoghi” in cui la prestazione verrà svolta, lasciando al soggetto la scelta di dove lavorare
- La responsabilizzazione dello “smartworker” nello svolgimento della prestazione lavorativa secondo criteri di diligenza e fedeltà
- Individuazione di sistemi di vigilanza del rispetto della POLICY e dei comportamenti che i lavoratori devono adottare ai sensi dell’art. 20, D.Lgs. n. 81/2008
- Formalizzazione delle funzioni interne chiamate a fornire supporto e a svolgere vigilanza rispetto alla policy (es. SPP, preposti adeguatamente formati, ecc.).
Esempi di smart working
Sono ormai molti i settori nei quali risultano presenti progetti strutturati di smart working tra i quali si segnalano i seguenti:
- Attività di comunicazione ed informazione: call center, marketing in cloud, customer care
- Ricerche di mercato e osservatori di ricerca digital innovation
- Sviluppatori software e app
- Gestione piattaforme e-commerce
- ICT
- Progettazione della formazione
- Formazione in videoconferenza (non e-learning)
- Servizi assicurativi
- Attività di service
- Progettazione
- Attività di consulenza in genere
- Agenzie di viaggio e turismo
- Giornalismo


2.2 Caratteristiche della modalità di lavoro in solitudine ed esempi
Il campo di applicazione del lavoro in solitudine è estremamente vario e ampio. Nella maggior parte dei luoghi di lavoro infatti è possibile individuare mansioni che a volte si svolgono in condizioni tali da poter essere classificate come “lavoro in solitudine” come evidente dalle diverse tipologie che sono riportate come esempi in questo paragrafo. Spesso la modalità “in solitudine” è temporanea, ad esempio in relazione ad interventi del lavoratore occasionali o con periodicità molto ampia.
E’ importante sottolineare che la condizione di solitudine/isolamento non è di per sé un rischio lavorativo associato ad una mansione, ma lo diventa nel momento in cui, in caso di emergenza/bisogno, il lavoratore non può contare sul supporto di altri lavoratori in quanto non immediatamente raggiungibili.
E’ tuttavia altresì importante evidenziare che il datore di lavoro è obbligato ad attivarsi per effettuare una valutazione del rischio e a definire le misure di prevenzione e protezione nonché i controlli necessari, secondo quanto previsto nei contenuti dell’articolo 15 del D.Lgs. 81/2008 “Misure generali di tutela”. Un aspetto fondamentale per sviluppare i relativi e necessari approfondimenti risiede nel verificare, in particolare da parte del RSPP che fornisce la propria competenza proprio a tal fine, se il lavoratore che opera in solitudine conosca o non conosca l’ambiente di lavoro in cui opera in tali condizioni, perché in base a questa informazione si dovranno programmare le necessarie e differenti forme di misure di prevenzione e protezione.
I principali aspetti da approfondire, secondo l’ottica dell’approccio indicato, riguardano innanzitutto due criticità specifiche.
In primo luogo è necessario prendere atto del rischio diretto dovuto all’eventuale impossibilità di ricevere soccorsi immediati, sia in caso di infortunio sul lavoro che di malore. Inoltre è importante essere coscienti delle possibili conseguenze, meno dirette, che riguardano gli aspetti psicologici e sociali che possono avere ripercussioni sullo stato di benessere del lavoratore e potrebbero comportare una maggiore esposizione al rischio lavoro stress correlato.


Elenco esempi di lavoro in solitudine.
Occorre distinguere fra mansioni lavorative vere e proprie che intrinsecamente sono destinate ad essere catalogate come “solitarie” ed altre che possono essere anche svolte in solitudine, ma non necessariamente in periodi di tempo lunghi e/o costanti.
Alla prima categoria delle mansioni operative spesso classificabili “in solitudine” appartengono:
- Autotrasportatori (comprese le consegne a domicilio)
- Driver
- Tecnici di pronto intervento (energia elettrica, gas, acqua, telefonia, ecc.)
- Addetti alle pulizie
- Addetti ai servizi di vigilanza
- Addetti ai servizi ambientali (raccolta rifiuti)
- Addetti al telelavoro
- Lavoratori agili in modalità di lavoro a distanza isolati in luoghi privati
Alla seconda categoria appartengono situazioni occasionali o con periodicità non elevata tra cui:
- Lavoratori agricoli
- Addetti al commercio
- Addetti all’assistenza impianti e/o magazzinaggio
- Addetti alla riscossione (pedaggio autostradale, distributori di carburante, ecc.)
- Addetti al controllo e alla manutenzione di impianti continui
- Addetti alle celle frigo


2.3 Coworking in relazione a smart working e telelavoro
Come già stato anticipato il coworking è una tipologia di lavoro che può riguardare sia lo smart working sia il telelavoro. Essendo svolto in condizioni di condivisione di spazi di lavoro tra più lavoratori, sia dipendenti della stessa azienda o ente, sia dipendenti di aziende e società diverse, è estremamente raro che venga effettuato in condizioni di solitudine, a meno che il lavoratore stesso non si rechi presso la sede di coworking da solo in orari di usuale non frequentazione da parte degli altri lavoratori che possono accedervi.
Il coworking può essere svolto in situazione tra loro diverse, principalmente riassumibili nei seguenti casi:
- uno o più lavoratori di una stessa azienda condividono un medesimo luogo di lavoro fisico non coincidente con la sede legale o le unità operative dell’organizzazione per la quale svolgono le proprie mansioni,
- uno o più lavoratori di diverse aziende o società condividono un medesimo luogo di lavoro fisico non coincidente con la sede legale o le unità operative delle rispettive organizzazioni per la quale svolgono le proprie mansioni,
- uno o più lavoratori di una stessa azienda (compresi eventuali consulenti di società di consulenza) condividono un medesimo luogo di lavoro fisico presso una specifica azienda dietro comando/indicazione di quella per la quale operano (accade ad esempio per i distaccati/comandati)
Nel nostro Paese, e in generale attualmente anche nel resto del mondo, nella maggior parte dei casi il coworking avviene presso locali di società che li mettono a disposizione ad aziende o enti secondo un contratto che ne prevede l’accesso al personale di quest’ultime, comprendendo spesso nel contratto anche la fornitura della strumentazione necessaria e dei necessari collegamenti internet indispensabili per il personale che li utilizza al fine di mantenere il contatto continuo con la propria azienda.
Ci possono tuttavia essere situazioni che comportano una certa differenza sia contrattuale che di mezzi e spazi a disposizione, di seguito elencate.


Coworking privato
E’ il caso più frequente. Una società mette a disposizione un servizio di affitto di locali adibiti a coworking, per personale della stessa società o per società diverse (sia pubbliche, più frequenti, sia private) a seconda delle richieste contrattuali pervenute, fornendo anche tutti i servizi strumentali necessari per un corretto svolgimento delle attività del personale che ne farà uso.
In alcuni casi lo spazio potrebbe essere condiviso anche da liberi professionisti o lavoratori autonomi ma possibilmente con mansioni e operatività inerenti alla stessa tipologia di attività. Il coworking infatti è stato ritenuto utile ed efficace soprattutto negli Stati Uniti, paese di origine di tale modalità di lavoro, per un confronto costruttivo tra le persone interessate che pur operando a distanza dalle sedi abituali hanno tratto i vantaggi derivanti dal contatto con competenze parallele finalizzate spesso verso obiettivi di crescita comuni. E’ evidente che tale modalità di lavoro comporti un cambiamento notevole nell’organizzazione aziendale collegabile ad una forma di smart working incentrata su obiettivi importanti, concordati tra le società ed i rispettivi lavoratori. Ovviamente questo approccio non è compatibile con il cosiddetto telelavoro.


Coworking pubblico
Il coworking pubblico ha una modalità di organizzazione diversa e spesso legata alla disponibilità di spazi da parte di enti pubblici, ma non è esclusa anche se più rara l’ipotesi di affitto dei locali presso aziende fornitrici degli stessi, per la condivisione anche della strumentazione necessarie a disposizione di lavoratori dell’ente stesso o di lavoratori di altri settori di enti pubblici. A volte anche in relazione a situazioni di distacchi precedentemente citati.
E’ evidente che in questi casi non è abituale fissare obiettivi specifici ben definiti e condivisi tra le dirigenze e i lavoratori stessi, spesso chiamati semplicemente ad operare presso luoghi di lavoro diversi dalle sedi dell’ente presso le quali hanno solitamente operato.


Coworking familiare
Il coworking familiare è una modalità al momento raramente utilizzata nel nostro Paese. Prevede una situazione particolare in cui persone della stessa famiglia o che abitano presso lo stesso edificio (ad esempio un condominio o in alcuni casi un intero isolato) decidono di condividere come zona di lavoro un intero locale comune. In questo caso è chiaramente impossibile che vi sia anche una condivisione di obiettivi di tutti i soggetti che utilizzano il locale interessato ma anche in questa situazione vengono concordate modalità di utilizzo dell’ambiente comune e della eventuale strumentazione a disposizione.
Questa tipologia di coworking potrebbe rientrare per alcuni dei soggetti che la praticano in modalità smart working, se l’area comune viene utilizzata in completa libertà di orario, di strumentazione impiegata e con preventivo accordo di obiettivi da conseguire con l’azienda di cui il lavoratore fa parte o con la quale ha comunque un contratto.
Se invece il lavoratore che utilizza l’area di lavoro comune vi si reca secondo orari fissi e con strumentazione fornita dal datore di lavoro e senza un accordo definito di obiettivi, la modalità in cui opera in coworking sarebbe classificabile come semplice telelavoro.


3. Rischi per la salute e la sicurezza per i lavoratori agili
Un'adeguata trattazione delle criticità legate all'organizzazione del lavoro in modalità agile non può prescindere dai molteplici fattori che caratterizzano i lavoratori stessi, gli ambienti di lavoro e le risorse a loro disposizione in un'articolata gamma di possibili combinazioni che derivano dalle peculiarità di una modalità di esecuzione in cui:
✓ i canonici vincoli temporali e/o spaziali sono, per definizione
², messi in discussione;
✓ la commistione tra sfera lavorativa e dimensione privata si fa più marcata, sino a consentire una piena sovrapposizione dei due ambiti nell'intento di favorire un miglior bilancio degli impegni che li denotano;
✓ la delocalizzazione di risorse e lavoratori genera una spinta verso l'acquisizione e/o l'affinamento di competenze digitali nonché il ricorso a tecnologie di nuova generazione che permettano di conservare competitività e continuità operativa nel tempo.
Più in dettaglio, la valutazione dei rischi in un contesto di lavoro agile
³ dovrà lasciarsi alle spalle le logiche tradizionali, prendendo atto che questa modalità organizzativa:
✓ non coincide sempre col lavoro in solitudine e/o con l'attività da casa;
✓ non si svolge necessariamente secondo dinamiche a basso rischio
;
✓ può implicare il confronto con criticità psico-fisiche individuali (es. disabilità) in un'ottica di inclusione e/o di reintroduzione all'attività lavorativa dopo un incidente;
✓ può travalicare i confini nazionali, richiamando in causa ulteriori fattori d'interesse per quanto concerne i lavoratori all'estero e le relative responsabilità datoriali.
La valutazione dei rischi richiede tuttavia prima di tutto un inquadramento organizzativo dello staff che opera in modalità di lavoro agile. Prima di approfondire gli aspetti relativi ai rischi specifici e alle misure di prevenzione e protezione necessarie è utile individuare quanti lavoratori operano in condizioni di smart working, quanti e quali eventualmente è già programmato che vi lavorino nell’immediato futuro. Altro aspetto importante da verificare preventivamente alla valutazione dei rischi specifica riguarda quale tipologia di attività aziendale viene svolta in modalità lavoro agile e quale sia l’estensione geografica dei lavoratori coinvolti (sedi di lavoro in smart working ed eventuali ulteriori spostamenti temporanei ad esempio presso locali di vacanza o in trasferta presso clienti). Praticamente è necessario procedere inizialmente con una check list interna improntata ad una raccolta dei dati elencati.
Alla luce di queste considerazioni sono stati analizzati aspetti legati alle diverse caratteristiche che la modalità del lavoro agile può comportare.


3.1 Differenze tra lavoratori privati e lavoratori PP.AA
La filosofia che sta alla base dello smart working, che può essere applicato con notevoli vantaggi non solo all’interno delle aziende, ma anche all’interno della pubblica amministrazione può essere sintetizzato con le parole seguenti: flessibilità, autonomia, responsabilizzazione, orientamento ai risultati.
Il primo riferimento normativo dello smart working è da ricercarsi nella Legge 22 maggio 2017 n.81 (art. 18-23), che ne chiarisce i termini di applicazione anche all’interno del comparto pubblico. La Legge n. 81/2017 individua nel lavoro agile una particolare modalità di svolgimento della prestazione di lavoro, in forma subordinata senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, grazie all'utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di rendere la prestazione lavorativa a distanza.
L’ingresso del lavoro agile all’interno del settore pubblico è avvenuto con l’emanazione della Direttiva n. 3 del 2017 a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della Semplificazione e della Pubblica Amministrazione. Essa mira alla promozione di strumenti flessibili volti a coniugare le esigenze di lavoro e le esigenze di vita privata dei dipendenti, in attuazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 14 della Legge 7 agosto 2015, n. 124. L’obiettivo è chiaramente la creazione di nuove modalità lavorative.
L’articolo 14 della Legge 7 agosto 2015, n. 124 stabilisce che le amministrazioni adottino misure tali da permettere, entro tre anni, ad almeno il 10% delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici che lo richiedano di avvalersi delle nuove modalità di lavoro agile, mantenendo in ogni caso inalterate le opportunità di crescita e di carriera per questi lavoratori.
Con l’introduzione della legge 81/2017 lo smart working, oltre che nel settore pubblico, ha visto una prima implementazione all’interno dei grandi gruppi aziendali, esportando il concetto nel mondo del lavoro privato.
A seguito del propagarsi dell’epidemia COVID-19, l’incentivo allo smart working ha avuto la sua massima espressione: le amministrazioni pubbliche, attraverso una serie di provvedimenti di legge, sono state così chiamate al suo utilizzo su larga scala. I dati ISTAT, dopo mesi dall’ inizio dell’epidemia hanno evidenziato che oltre la metà delle aziende hanno attivato programmi di smart working (più del 50% l’ha attivato per la prima volta) e stesso trend si è registrato nella pubblica amministrazione (media regionale di impiegati nella pubblica amministrazione che lavora in smart working superiore al 50%).
In realtà dall’inizio della pandemia le persone hanno lavorato in remoto da casa (puro telelavoro) sia nel privato che nella pubblica amministrazione nella maggior parte delle situazioni, ma non in smart working. Lo smart working non è telelavoro, spesso si tende ancora a fare confusione e a sovrapporre queste due modalità di gestione del rapporto lavorativo, ma la differenza è sostanziale, come già abbondantemente evidenziato in precedenza.
L’introduzione massiva del lavoro agile ha rappresentato una importante rivoluzione organizzativa che merita di essere analizzata: potrebbe incontrare ostacoli laddove prevalga l’opposizione all’innovazione o specifici criteri valutativi delle prestazioni. Sarà necessario capire, a titolo di esempio, come organizzare il processo di valutazione dell’efficacia lavorativa in caso di organizzazioni che non perseguono scopi di profitto (quali la pubblica amministrazione).
Il recente sviluppo dello smart working è stato repentino e in un certo senso forzoso: il suo evolversi sarà accompagnato da un perfezionamento delle regole che lo disciplinano.
Bisogna fare presente che lo smart working non è un punto di non ritorno e che si possono apportare delle correzioni al modello, motivo per il quale ad oggi, parliamo ancora di sperimentazione. Il tema del controllo fa paura a tutti, ma il vero cambiamento è quello di superare questo modo di intendere il lavoro e soffermarsi su quanto il concetto di performance ed il raggiungimento della stessa, rappresenti il minimo sindacale e il minimo comune denominatore per raggiungere veri risultati sia nel pubblico che nel privato.


3.2 Valutazione del rischio ai sensi del d.lgs.81/08
Il datore di lavoro, oltre a fornire ai lavoratori le attrezzature e i dispositivi necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa, dovrà considerare anche tutti gli aspetti legati alla sicurezza e alla salute degli smart workers, come previsto dal D. Lgs. 81/08. Inoltre, dovrà, in collaborazione con il RSPP aziendale, procedere alla valutazione dei rischi, individuando idonee misure per la loro gestione e prevenzione. Tale valutazione dovrà individuare i rischi “generali” e i rischi “specifici” connessi alla particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, in ambienti diversi da quelli abituali di lavoro.
Lo smart working è inteso come un’attività lavorativa resa al di fuori del consueto posto di lavoro dove il datore di lavoro è obbligato a garantire al lavoratore la tutela della salute e sicurezza ai sensi del D.Lgs. 81/08 proprio come se il lavoratore si trovasse nei locali aziendali.
Secondo la nuova normativa, tra i poteri organizzativi e direttivi del Datore di Lavoro, rientra la possibilità di destinare il proprio dipendente a svolgere la prestazione di lavoro, secondo le sue esigenze produttive, in un luogo diverso rispetto a quello ordinario, così come definito al momento dell’assunzione o nel corso di svolgimento del rapporto di lavoro.
Diverse attività lavorative ne contemplano l’esecuzione in luoghi diversi dalla sede aziendale: lo svolgimento di trasferte, missioni e il telelavoro ne sono un esempio. Oltretutto, determinate attività lavorative, quasi per loro stessa definizione, erano già svolte in luogo diversi dalla ordinaria sede: è il caso dei rappresentanti o agenti di commercio.
Pertanto il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, che ha molte similitudini con alcune delle situazioni di lavoro che già conosciamo.
Ciò che caratterizza tali prestazioni è il loro svolgimento “in parte all’interno dei locali aziendali ed in parte all’esterno, senza una postazione fissa ed entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge o dalla contrattazione collettiva”.
L’art. 62, comma 1, d.lgs. 9 aprile 2008, n.81 ad oggi non prevede tuttavia nulla di specifico relativamente allo smart working, la difficoltà sta dunque nell’individuare comportamenti e procedure idonei a tutelare il lavoratore durante i periodi in cui gestisce la propria attività lavorativa al di fuori della sede aziendale senza eleggere alcun luogo in particolare (anche se potrebbe farlo in casi particolari come previsto dal comma 3 dell’articolo 23 della Legge 81/2017).
Ricordiamo che l’articolo 22 della legge n. 81/2017 dedicato la sicurezza sul lavoro stabilisce che:
✓ Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
✓ Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.
Particolarmente rilevante appare l’introduzione, nel secondo comma, di una sorta di collaborazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, per quanto concerne il rispetto delle norme di prevenzione e di sicurezza, in linea con i contenuti dell’art. 20 del D.Lgs. 81/2008 “Obblighi dei lavoratori”. La motivazione di questa scelta è da ricercarsi nell’oggettiva impossibilità, da parte del datore di lavoro, di un pronto intervento al verificarsi di una criticità.
Viene previsto che annualmente venga consegnata al lavoratore un’apposita informativa in cui vengono precisati i rischi specifici e generici a cui esso è esposto lavorando in modalità agile. Va da sé che nonostante l’obbligo previsto dalla Legge 81/2017 sia annuale non si possa prescindere dal consegnare tale documento per la prima volta prima dell’inizio dell’attività, quindi prima della firma del contratto. Il contenuto di tale informativa non è affatto semplice da definire, l’applicazione del D.Lgs 81/2008 ci ha abituati ad individuare con estrema precisione i rischi legati all’attività svolta in azienda, cosa il lavoratore deve fare e come deve farlo, qui si tratta invece di informare il lavoratore, non tanto sui rischi specifici della sua attività in quanto, presumibilmente, si tratta pur sempre di attività svolte principalmente al computer o tablet, quanto piuttosto come possono variare i rischi di natura generica, quali ad esempio possono essere la possibilità dell’aumento dei disturbi muscolo scheletrici legati all’ergonomia, del rischio incendio, del microclima, ecc., qualora l’attività sia svolta in luoghi non a norma o non gestiti correttamente; sempre in relazione a tali luoghi si potrebbe manifestare l’eventualità di essere aggredito da malintenzionati, l’aumento del rischio elettrico nel caso in cui l’attività venga svolta in locali di cui non si conosce l’affidabilità del sistema elettrico e, perché no, anche l’aumento di rischi psicologici qualora il lavoro venga eseguito prevalentemente in casa senza che ai familiari sia data un’adeguata preparazione finalizzata a comprendere il nuovo obbligo contrattuale del lavoratore, e si potrebbe continuare lungamente a elencare ulteriori rischi di ordine generico e/o specifico.
Non si tratta semplicemente di una suddivisione di responsabilità, ma di un cambiamento della percezione del rischio del dipendente: dovrà prendere consapevolezza della possibile realizzazione di una pluralità di eventi, spesso imprevedibili e, di conseguenza, interiorizzare una più spiccata attenzione nella prestazione della propria attività. Verso queste nuove consapevolezze convergeranno i comportamenti adottati.
Norme e pubblicazioni internazionali sul tema prevedono anche misure di approfondimento preventive molto precise come ad esempio “richiedendo al lavoratore a distanza di fornire una planimetria o delle foto della postazione di lavoro che aiuti il proprio superiore per riuscire a valutare se sia adeguata”
.
Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del titolo II, il D.Lgs. n. 81/2008 definisce così i luoghi di lavoro:
"[...] si intendono per luoghi di lavoro, unicamente ai fini della applicazione del presente titolo, i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”.
I luoghi di lavoro possono essere quindi i più disparati, ma normalmente il lavoratore svolge il suo lavoro in un determinato luogo che, nel rapporto di lavoro subordinato, gli viene indicato, generalmente, dal datore di lavoro, e che pertanto incidendo direttamente sulla tutela della salute del lavoratore, quindi sulla tutela della persona del lavoratore, non può essere trascurato nel valutare la posizione di garanzia del datore di lavoro. Viceversa, nel lavoro agile il datore di lavoro non ha alcuna possibilità di intervenire sulla scelta del luogo che sarà fornita dal lavoratore.
Le modalità di svolgimento dello smart working dovranno essere concordate direttamente con il lavoratore con l’obiettivo di incrementare la competitività ed agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei lavoratori.
Tra i compiti del lavoratore, si annovera quello di preservare la riservatezza dei dati aziendali: in quest’ottica in alcuni casi sarebbe opportuno non svolgere la propria attività in luoghi affollati, come ad esempio utilizzando luoghi pubblici usufruendo il wi-fi disponibile.
Il lavoratore dovrà inoltre rendersi reperibile durante alcune fasce orarie dell’orario lavorativo, evitando in questo senso luoghi che non garantiscono una connessione internet stabile.
L’art.22 della Legge 81/2017 definisce l’obbligo dell’individuazione di tutti i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro, con la conseguente elaborazione di un'informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. L’informativa ha l’obiettivo di fornire ai lavoratori agili informazioni utili per poter scegliere correttamente il luogo in cui svolgere la propria attività lavorativa ed adottare comportamenti e modalità di impiego idonei ad assicurare la salvaguardia della salute e della sicurezza sia nell’ambiente di lavoro prescelto che nel percorso di andata e ritorno dalla propria abitazione, qualora i luoghi di lavoro utilizzati siano diversi. Il documento deve essere aggiornato ad opportuni intervalli di tempo, almeno annuali, per assicurarne l'adeguatezza e l'efficacia nel tempo. L’informativa sui rischi deve essere rielaborata ogniqualvolta si introduca un cambiamento, in particolare per ciò che concerne le attrezzature e gli strumenti tecnologici forniti ai lavoratori. In sintesi, spetta al lavoratore comportarsi in ottemperanza alle regole indicate volte al mantenimento della sicurezza nello svolgimento della propria attività, nonché adoperare in via generale buonsenso e prudenza per quanto concerne l’utilizzo degli spazi scelti per il suo svolgimento. Ecco pertanto che quanto messo in evidenza anche da IOSH in merito alla comunicazione di dati sul luogo di lavoro a distanza (casa o altro) ha sicuramente un valore di indirizzo molto utile.
La scelta del luogo dove svolgere l’attività lavorativa in smart working salute e sicurezza, potrà ricadere su un ambiente indoor oppure outdoor e dovrà essere dettata da un criterio di ragionevolezza che tenga conto di molteplici aspetti, tra i quali per esempio:
per ambienti indoor
✓ adeguata illuminazione;
✓ adeguata disponibilità di servizi igienici e acqua potabile e presenza di impianti a norma;
✓ ricambio dell’aria naturale o con ventilazione meccanica;
✓ evitare di regolare la temperatura a livelli troppo alti o troppo bassi (a seconda della stagione) rispetto alla temperatura esterna;
✓ evitare l’inalazione attiva e passiva del fumo di tabacco.
per ambienti outdoor
✓ bassa esposizione a radiazione solare ultravioletta;
✓ condizioni meteoclimatiche favorevoli;
✓ luoghi che consentano il facile raggiungimento da parte dei soccorsi;
✓ aree che non presentino sostanze combustibili o infiammabili;
✓ utilizzo di abbigliamento e protezioni adeguate.
Il procedimento di valutazione dei rischi è un procedimento complesso e articolato che prende in considerazione molteplici fattori quali, gli ambienti di lavoro, le attrezzature, le macchine nonché le sostanze e i preparati utilizzati, le mansioni svolte, i procedimenti e i cicli produttivi ecc.
Viene considerato tutto quello che può in qualche modo essere causa di danni o lesioni per i lavoratori che possono esservi esposti. Devono quindi essere individuate le specifiche misure dirette ad eliminare, o quanto meno a ridurre i rischi medesimi. In definitiva anche per chi lavora a distanza è necessario individuare misure di carattere tecnico od organizzativo atte a eliminare o ridurre i rischi evidenziati.
Per la quantificazione del livello di rischio bisogna scegliere in questo caso una metodologia diversa per la valutazione. Si potrebbe ad esempio utilizzare l’ormai diffuso criterio di valutazione dei rischi per indicare l’entità degli stessi basato sulle variabili probabilità che si verifichi un evento e un possibile danno arrecato dall’evento stesso, ma basandosi su un’attività preliminare mirata all’approfondimento delle caratteristiche dei locali e delle strumentazioni che verranno utilizzati dai lavoratori agili.
L’entità dovrà infine essere calcolata come sempre come prodotto tra le due variabili.
 

3.3 Rischi specifici e relative criticità
Fatte salve le debite premesse delineate in apertura di questo capitolo, è evidente che permane la necessità di attuare un'analisi dei rischi associati ad un modello organizzativo che va strutturandosi secondo due direttrici differenti: la risposta transitoria ad un contesto emergenziale in piena evoluzione (pandemia in corso) e la pianificazione strategica d'impresa, destinata a svilupparsi nel prossimo futuro e ad avere un impatto permanente sul tessuto economico nazionale.
E’ evidente quindi la necessità di adottare un approccio che risulti più versatile rispetto a quello tradizionale anche al fine di tenere il passo con le nuove dinamiche di condivisione e/o remotizzazione delle attività lavorative.
E’ bene segnalare inoltre che la variazione dell’approccio ai rischi introdotto dalla modalità del lavoro agile determina l’eventuale necessità di un aggiornamento dei contratti assicurativi a tutela dei lavoratori.

Si è scelto un approfondimento su alcune fonti di pericolo e sui rischi che da essi possono derivare, pur avendo ben presente che una disamina approfondita di ciascuna di esse non può essere condotta aprioristicamente, ma può e deve necessariamente prendere le mosse dalle risorse (umane e tecnologiche) coinvolte, debitamente contemperate con le criticità specifiche di ciascun settore di impiego.
L’inquadramento seguente è di carattere necessariamente generalista, non essendo la finalità del presente documento l’approfondimento di dettaglio relativo ad ogni aspetto citato, bensì l’identificazione di criteri di massima che possano essere utili ad un’ampia base di referenti.
Tra gli aspetti da approfondire e i rischi specifici da valutare, connessi alle attività svolte in modalità smart working elenchiamo:
✓ ergonomia della postazione di lavoro;
✓ rischio elettrico;
✓ rischio rumore;
✓ rischio da sostanze presenti;
✓ rischio incendio ed esplosione;
✓ rischio sindrome da visione al computer;
✓ rischio da campi elettromagnetici;
✓ rischi psicosociali;
✓ rischio stress lavoro correlato
✓ microclima.
Prima di effettuare specifici approfondimenti di ogni singolo rischio è opportuno ricordare alcuni principi generali che potrebbero essere di utilità per definire le condizioni da concordare tra azienda e affittuario, se si prevede una modalità co-working, o tra azienda e lavoratore se opererà direttamente dalla propria abitazione.
Nel primo caso è importante che l’azienda, con il supporto del RSPP, verifichi lo stato degli spazi destinati a co-working con l’affittuario degli stessi, in modo da poter richiedere preventivamente alcune eventuali misure di adeguamento relative alla sicurezza dei locali e alle misure di emergenza.
Nel caso di utilizzo della propria abitazione da parte del lavoratore agile l’approccio sarà diverso ma è importante fornire indicazioni preventive per evitare situazioni che potrebbero rivelarsi di difficile risoluzione in un secondo momento, quando ad esempio la modalità smart working sia già a regime con tutta la strumentazione da utilizzare. Tra le più banali ma sicuramente non meno importanti è opportuno ad esempio che l’azienda richieda al lavoratore di non operare dal proprio garage, sia per motivi legati alle sorgenti di rischio come l’aspetto dell’ergonomia della postazione e del microclima, sia per rischi legati alla security come l’eventuale innalzamento del rischio di intrusione sulla strumentazione utilizzata e sui dati aziendali in essa contenuti.
Un ulteriore aspetto da considerare, che ha importanza generale e che non è legata ad un rischio specifico, riguarda la necessità di effettuare pause di lavoro ravvicinate, senza dubbio più frequenti rispetto a quanto al momento previsto per i videoterminalisti dalla normativa vigente tramite il titolo VII del D.Lgs. 81/2008. Come noto da tempo la normativa prevede pause di 15 minuti ogni 2 ore di lavoro presso il videoterminale.
Alcune normative europee, come ad esempio la normativa britannica, prevedono, in caso di utilizzo di laptop, phablet o smartphone (che hanno schermi di dimensioni inferiori), pause più brevi ma molto più ravvicinate e frequenti. Sono vivamente consigliate durante l’utilizzo di tali strumentazioni pause brevi (30-60 secondi sarebbero sufficienti) ogni 15 minuti o in alternativa una pausa più lunga (5-10 minuti al massimo) dopo non di più di 1 ora di lavoro. Sarebbe molto importante che anche la nostra normativa si adeguasse a queste esigenze derivanti da nuove modalità di lavoro che richiedono una revisione della gestione dei tempi di pausa, per imporre una maggiore tutela dei lavoratori che utilizzano le nuove strumentazioni digitali a disposizione ormai da tempo.


3.3.1 Ergonomia
Le attività svolte in smart working non sono immuni di rischi per la salute e la sicurezza, anche dal punto di vista ergonomico e in relazione all’eventuale insorgenza di disturbi muscoloscheletrici (DMS).
Tra le più frequenti patologie collegate allo svolgimento dell’attività lavorativa figurano sicuramente quelle inerenti all’apparato muscoloscheletrico. Queste si traducono spesso in costi gravanti sui datori di lavoro, motivo per il quale una loro risoluzione o miglioramento giova sia alla salute dei lavoratori sia ai bilanci delle imprese.
In genere i disturbi muscoloscheletrici interessano la schiena, il collo, le spalle e gli arti superiori, ma possono anche colpire gli arti inferiori. Riguardano dolori o danni ad articolazioni e tessuti e coprono un’ampia gamma di disturbi. A seconda del livello di serietà, possono portare all’impossibilità a recarsi sul luogo di lavoro e necessitare di cure mediche. Nei casi cronici più gravi, possono addirittura portare alla disabilità e all'abbandono forzato del posto di lavoro.
Molte di queste patologie richiedono tempo per manifestarsi e di norma sono causate da una combinazione di elementi. Tra quelli inerenti all’attività lavorativa e al suo svolgimento ricadono in generale i seguenti:
✓ l'assunzione di posture scorrette o statiche;
✓ ritmi intensi di lavoro;
✓ il mantenimento prolungato della stessa posizione in piedi o seduta;
✓ la movimentazione di carichi, specialmente quando si ruota o si piega la schiena;
✓ movimenti ripetitivi o che richiedono uno sforzo;
✓ vibrazioni, scarsa illuminazione o lavoro in ambienti freddi;
ma senza dubbio sono i primi tre elementi che hanno la possibilità di manifestarsi anche in modalità smart working, mentre gli altri rischi sono pertinenti maggiormente per i lavoratori in solitudine che spesso si trovano ad operare in ambienti con caratteristiche non favorevoli che aggravano la gravità del rischio.
E’ indubbio che comunque per questi ultimi il progresso tecnico sta garantendo miglioramenti non indifferenti mettendo a disposizione delle aziende per i propri lavoratori, quali ad esempio la ormai piena disponibilità sul mercato di dispositivi come gli esoscheletri progettati sperimentalmente e oggi diffusi quale importante strumento per il miglioramento ergonomico.
Sempre più convincente diventa poi la tesi secondo la quale queste patologie siano collegate anche a criticità psicosociali (spesso in abbinamento a quelle fisiche). A titolo di esempio:
✓ una domanda di lavoro elevata o una scarsa autonomia;
✓ una scarsa soddisfazione sul lavoro
ma anche in questo caso alcune caratteristiche possono manifestarsi nell’ambito del lavoro agile.
Ritornando specificatamente sulle mansioni svolte in modalità smart working è bene chiarire che non sono gli strumenti informatici (computer, cellulare ecc.) a causare eventuali dolori, ma le posture scorrette con cui li si utilizza mantenute a lungo.
Ad esempio l’assunzione di posizioni di lavoro scorrette, come il mantenimento del computer appoggiato sulle ginocchia, l’utilizzo di sedie non ergonomiche o addirittura del proprio divano in una postazione domestica, può generare con il passare del tempo severi danni all’apparato muscoloscheletrico. Anche l’utilizzo dello smartphone in maniera non ottimale può generare conseguenze importanti, soprattutto nei casi in cui per digitare lo schermo vengono utilizzati prevalentemente i pollici impugnando lo strumento con entrambe le mani.
Protraendo infatti nel tempo uno stesso movimento c’è il rischio di sovraccaricare alcuni tendini della mano. Il caso più tipico è quello della tenosinovite stenosante, più comunemente nota come “dito a scatto”. Si tratta di una disfunzione dal decorso lento che parte da un lieve dolore (che sovente colpisce il pollice, da cui il fenomeno del “pollice da smartphone”) fino talvolta a degenerare fino al blocco permanente del dito. In alcuni casi, l’utilizzo dell’articolazione può realizzarsi solo patendo un’acuta sofferenza.
L’ utilizzo prolungato e in posizione scorretta di strumenti informatici (computer, cellulare, ecc.) può generare ulteriori problemi. Negli ultimi anni infatti si sono riscontrati notevoli miglioramenti della definizione fornita dagli schermi delle apparecchiature digitali, i quali pur portando notevoli benefici hanno tuttavia indotto gli utilizzatori a mantenere una prolungata esposizione per il proprio apparato visivo e posizioni sicuramente meno ergonomiche definite “a tartaruga” cioè con la testa sporgente verso lo schermo con le evidenti conseguenze per il rachide a lungo termine.
Le nuove strumentazioni inoltre a seguito della prolungata attività di digitalizzazione possono far emergere condizioni come la sindrome del tunnel carpale. Essa è dovuta alla compressione del nervo mediano al suo passaggio all’interno del tunnel carpale, un canale delimitato dalle ossa del polso e da tessuto connettivale. La sofferenza del nervo si manifesta con dolore, formicolii e alterazioni della sensibilità delle dita, spesso di notte o al risveglio. Se trascurata, potrebbe portare alla difficoltà di esecuzione anche di semplici movimenti. È chiaro quindi come ignorare i sintomi di questo disturbo possa danneggiare seriamente la funzionalità del nervo.
Pertanto è opportuno che venga programmata dal RSPP un’attività di informazione e formazione specifica che l’azienda dovrebbe prevedere per chi opera in modalità smart working, quale strumento per evidenziare i comportamenti e le posture corrette per i lavoratori.
La massima importanza va dedicata inoltre anche alle necessarie azioni di prevenzione che dovrebbero includere modifiche riguardanti:
✓ gli spazi di lavoro, adeguandoli al fine di migliorare le posture lavorative;
✓ le attrezzature, assicurando che siano ergonomiche e adatte ai compiti da svolgere;
✓ un miglioramento della consapevolezza dei rischi, impartendo come già anticipato una formazione su buoni metodi di lavoro;
✓ i compiti specifici dei lavoratori agili, cambiando metodi o strumenti di lavoro;
✓ la gestione, invitando ad una pianificazione del lavoro in modo tale da evitare mansioni ripetitive o prolungate con posture scorrette, programmando pause, o pensando ad una eventuale rotazione delle funzioni fino ad una possibile riassegnazione del lavoro;
✓ i fattori organizzativi, sviluppando una politica in materia di tutela dell’apparato muscoloscheletrico.
Dal punto di vista ergonomico è infine importante ricordare sempre quanto sia opportuno eseguire alcuni esercizi durante le pause. Come ormai dimostrato da tempo gli esercizi di ginnastica e di stretching consentono infatti di migliorare nettamente lo stato di salute.


3.3.2 Rischio rumore
Per approfondire questo argomento è opportuno sempre ricordare le informazioni di base relative al rumore. Esso è un fenomeno sonoro caratterizzato dalla sua indesiderabilità; la differenza tra suono o rumore è infatti di tipo puramente soggettivo. Il suono è un’onda meccanica longitudinale caratterizzata da valori di ampiezza e frequenza tali da renderla discernibile all’orecchio umano. Più nello specifico si definisce un’onda meccanica longitudinale come un’onda che si sviluppa in un mezzo elastico (gas, liquido, solido) per trasferimento di energia da una molecola in vibrazione in un certo istante a quelle con essa confinanti: si capisce dunque da questa definizione che il suono non può propagarsi nel vuoto. I suoni forti non sempre sono percepiti come rumore anche se possono comunque danneggiare la salute di una persona (basti pensare al piacere che può determinare a volte l’ascolto della musica ad elevato volume), viceversa in alcune situazioni anche un suono non molto forte o potenzialmente innocuo può essere percepito come rumore. Questo tipo di rumore può impedire la concentrazione durante le attività che richiedono un certo impegno mentale, come la lettura, la scrittura e la comunicazione verbale. Sono da considerarsi a norma gli ambienti di lavoro in cui il livello espositivo giornaliero di ciascun lavoratore non sia superiore agli 80 dB(A).
In un ambiente d’ufficio le principali cause di rumorosità sono identificabili:
✓ nell’eccessivo affollamento;
✓ nel sovrapporsi di conversazioni ad elevato volume;
✓ nell’uso in contemporanea di cellulari, telefoni e apparecchiature rumorose;
✓ nel funzionamento di impianti (impianti di condizionamento ecc.).
Anche se la rumorosità degli uffici normalmente non compromette le capacità uditive, potrebbe tuttavia comportare in alcuni soggetti una condizione di stanchezza mentale e altre conseguenze simili non strettamente collegate all’udito.
Tali effetti possono derivare da livelli di circa 70 o più dB(A) e tradursi, in soggetti sensibili, in sbalzi della pressione arteriosa, sviluppo della gastrite e riduzione della vista.
Particolare attenzione bisogna porre negli uffici open space dove sempre più lavoratori nel corso degli ultimi anni si lamentano che il livello sonoro sia elevato e per molti di loro questo rappresenta un fastidio. In ambienti rumorosi, il benessere dei dipendenti può subire attacchi su fronti diversi:
✓ affaticamento uditivo dopo una giornata di 8 ore;
✓ stress comunicativo;
✓ irritazione legata al rumore del telefono dei colleghi;
✓ difficoltà di concentrazione durante le conversazioni secondarie.
Tutti questi elementi influiscono sulla qualità della vita sul lavoro dei lavoratori, ma anche sulla loro produttività. Negli open space, così come negli altri settori, la prima misura da attuare è ridurre il rumore alla fonte. La mancanza di un’idonea progettazione all’interno di questi spazi compromette la capacità di concentrazione e la possibilità di comunicazione dei suoi fruitori. Il disagio sfocia in tensione vera e propria tra le persone che vogliono concentrarsi e quelle che devono comunicare nel contesto della loro attività. È necessario minimizzare i rumori non voluti e non derivanti dall’attività lavorativa del soggetto. Difatti, non tutto il parlato prodotto, ad esempio in un ufficio, è utile per il lavoro di tutti gli individui, in qualsiasi momento e in qualsiasi modo.
Studi dimostrano che l’assenza di un’adeguata progettazione acustica ha come diretta conseguenza l’impossibilità o la ridotta capacità di svolgimento del proprio lavoro nel caso in cui questo richieda una profonda concentrazione, quindi la perdita di produttività. Alcune raccomandazioni di carattere generale contenute negli standard di riferimento e adattabili a diversi contesti lavorativi, tra cui in particolare il coworking, sono:
✓ Per gli uffici dovrebbero essere previste delle sale meeting (consigliabile da 1 a 3 ogni 15 postazioni di lavoro) che, se direttamente connesse all’open space, devono essere adeguatamente isolate prestando molta attenzione sia alla chiusura che alle prestazioni degli elementi divisori;
✓ Studiare le soluzioni acustiche più opportune (collocazione delle sorgenti di rumore - impianti, attrezzature e macchinari - fonoassorbimento, isolamento acustico, attenuazione, riverberazione) tenute anche conto le indicazioni in materia di sicurezza dei lavoratori;
✓ È necessario predisporre un layout preliminare delle attrezzature o degli impianti a seconda della loro interazione nell’ambiente anche in base ai livelli di emissione sonora;
✓ La progettazione impiantistica (in particolare quella meccanica e idraulica) rivestirà un ruolo molto importante e dovrà essere adeguatamente controllata al fine di limitare l’introduzione di ulteriori sorgenti non desiderate;
✓ È preferibile utilizzare elementi con doppia funzione isolamento/fonoassorbimento. Per le sedute, a seconda del tipo di finitura a pavimento, è preferibile l’impiego di elementi in feltro o gomma per ridurre i classici rumori di trascinamento.
✓ Preferire superfici in grado di ridurre il rumore derivante dallo spostamento di sedie e passi.
✓ L’implementazione di sistemi fonoassorbenti a parete può essere utile per ridurre i fenomeni di riflessione tra pareti parallele e, come per i controsoffitti, contribuisce alla riduzione del tempo di riverberazione. Le pareti ovviamente devono inoltre garantire un adeguato isolamento verso l’ambiente esterno e/o gli ambienti confinanti.
✓ Il controsoffitto rappresenta la superficie più grande e omogenea su cui intervenire e pertanto è opportuno privilegiare controsoffitti con alto coefficiente di fonoassorbimento.
In relazione a tutti gli aspetti elencati è chiaro che se lo smart working viene previsto in ambienti di tipologia coworking, pertanto comuni tra più lavoratori e spesso anche tra più aziende, è necessario che l’azienda prima di scegliere i locali in cui trasferire i propri lavoratori in modalità di lavoro agile, coinvolga il proprio Servizio Prevenzione e Protezione per una valutazione delle caratteristiche acustiche al fine di garantire condizioni di lavoro ottimali, come ad esempio quelle sopra elencate. Il rapporto contrattuale tra azienda e fornitore dello spazio di coworking è necessario pertanto che passi in primo luogo attraverso una verifica preventiva del RSPP, evitando così di incorrere tardivamente in problemi connessi ad un’acustica di pessima qualità.
Molto diverso si presenta il caso in cui invece il lavoratore che opera in modalità smart working non venga fornito di possibilità di svolgere il proprio lavoro in un locale di coworking preventivamente analizzato, ma gli venga concessa una libertà totale non soltanto nella scelta degli orari di lavoro ma anche nella scelta dei luoghi in cui operare. In questi casi spesso il lavoratore agile opera presso la sua abitazione. Ecco pertanto che in questo caso spetterà a lui adoperarsi per limitare il più possibile le interferenze e i disturbi la cui sorgente deriva da attività e impianti casalinghi. Ad esempio è opportuno che egli cerchi di evitare orari in cui vi sia la costante presenza di bambini nella stessa stanza, orari in cui gli apparecchi della cucina o della lavanderia (soprattutto se nello stesso ambiente o attigue ad esso) possano contribuire ad aumentare il livello di rumorosità o a renderlo fastidioso; oppure se possibile evitare l’uso di stanze che si affacciano su ambienti esterni in cui sono ubicati impianti o attività di notevole impatto acustico.
Anche in questo caso, dato che non è certamente possibile per l’azienda effettuare verifiche preventive affinché le criticità evidenziate siano eliminabili preventivamente, diventa fondamentale informare e formare il lavoratore verso una sensibilizzazione del problema, in modo tale che egli si attivi per cercare di limitare impatti che possono essere dannosi per la rumorosità che comporterebbero.


3.3.3 Rischio da sostanze
La definizione di "sostanza pericolosa" ricomprende qualsiasi liquido, gas o solido in grado di mettere a repentaglio la salute e/o la sicurezza dei lavoratori: in base a questo presupposto, è facile comprendere come tale rischio sia presente pressoché in quasi tutti gli ambienti di lavoro compresi quelli domestici: solo in Europa, milioni di lavoratori entrano quotidianamente in contatto con agenti chimici o biologici che possono rivelarsi dannosi
.
I danni alla salute che possono essere causati dal contatto con sostanze pericolose si estendono da irritazioni oculari e cutanee passeggere (es. allergie, psoriasi ecc.) sino ad effetti più gravi, quali l'avvelenamento e/o l'insorgere di patologie croniche con effetti acuti o a lungo termine (nel caso di sostanze in grado di accumularsi nell'organismo).
Fatte salve le sostanze a maggior profilo di rischio - quali l'amianto o i policlorobifenili (PCB), ormai vietate e/o controllate - altre sostanze potenzialmente nocive sono ancora largamente impiegate e richiedono un ulteriore sforzo in termini di informazione, formazione e prevenzione. Considerata la spinta all'estrema parcellizzazione, diversificazione e delocalizzazione degli spazi lavorativi, un'analisi del contesto per individuare le eventuali sostanze nocive con cui i lavoratori potrebbero entrare a contatto, diventa necessaria, quasi imprescindibile ed ancora più sensibile nel momento in cui si considera che:
✓ alcune sistemazioni temporanee si basano sul ripristino di ambienti di lavoro inizialmente lasciati in disuso e/o destinati al rinnovamento, su cui non è stato svolto alcun monitoraggio, sia in spazi pubblici che privati;
✓ gli spazi di lavoro ricavati in ambito domestico presentano criticità spesso sottovalutate, specie in rapporto alla loro occasionale accessibilità da parte di soggetti inconsapevoli (es. bambini
, animali domestici ecc.).
Se è pur vero che la maggior parte delle sostanze riconosciute come pericolose è legata a lavorazioni e/o ad attività normalmente condotte in contesti specifici (pertanto quasi mai remotizzabili presso private abitazioni) e soggetti a controlli, è tuttavia l'ingresso di dispositivi, strumenti e attrezzature lavorative in ambienti non convenzionali che deve indurre ad un nuovo approccio cautelativo che preveda di:
✓ attuare un'indagine preliminare in merito alla tipologia di sostanze (es. toner, inchiostri, ecc.) che l'impiego dei propri mezzi di lavoro e i loro componenti comporta;
✓ comprendere quali sostanze (es. ozono, polveri sottili, ecc.) siano rilasciate nell'ambiente lavorativo durante il loro utilizzo, sia in condizioni di uso proprio che in ambito emergenziale;
✓ prevedere una prassi di controllo e prevenzione che tuteli gli altri lavoratori e/o i soggetti più fragili (es. conservare il toner di ricambio in un luogo non facilmente accessibile), eventualmente informandoli delle eventuali criticità anche al fine di instaurare un meccanismo di monitoraggio condiviso.


3.3.4 Rischio incendio
È consigliabile organizzare l'eventuale turnazione del personale in smart working o comunque che opera a distanza, tenendo conto del fatto che sarà necessario garantire la presenza in continuità degli addetti designati alla gestione delle emergenze. Se già il modello organizzativo tradizionale deve prevedere un numero di incaricati debitamente proporzionale al contesto, tenendo conto delle possibili assenze (es. malattie, ferie, ecc.), lo smart working introduce - all'atto pratico - una variante del ciclo produttivo che andrà accompagnata da un aggiornamento del modello stesso, mediante:
✓ l'informazione, la responsabilizzazione e la formazione del personale secondo una logica non compartimentale, bensì improntata ad una diffusa quanto sostanziale cultura della sicurezza;
✓ l'aggiornamento delle procedure operative secondo un modello flessibile (portato a rispondere in maniera ottimale anche nel caso di scenari imprevisti e/o di rischi generici non necessariamente associati al binomio incendio/primo soccorso) ma in riferimento a tutti i lavoratori;
✓ la conseguente integrazione del DVR e l’aggiornamento del piano di emergenza.
La diffusione del lavoro agile potrebbe ridurre in quantità significativa il numero di personale addetto alla gestione delle emergenze e pertanto il datore di lavoro, con l’ausilio del Servizio Prevenzione e Protezione, dovrà riorganizzare la gestione delle misure di prevenzione e protezione antincendio e delle emergenze.
Nasce inoltre la necessità di verificare, prima di prendere in locazione spazi comuni, che anche presso gli ambienti condivisi come co-working siano effettivamente state prese in considerazione le misure di prevenzione e protezione antincendio necessarie, anche in base alle dimensioni dei locali interessati, del numero di lavoratori di cui è prevista la presenza, delle strumentazioni e dei materiali che ivi saranno condivisi.
E’ evidente invece che le stesse verifiche sono difficilmente estendibili ai luoghi di lavoro privati utilizzati in piena libertà dal lavoratore in modalità smart working. In questo caso vanno trasmesse al lavoratore le informazioni utili alla prevenzione di situazioni di rischio presenti anche in locali privati, come ad esempio quelle elencate al successivo capitolo 5 relativo alla gestione delle emergenze.
Tuttavia, benché lo smart working sia associato, solitamente, ad un livello di rischio basso per quanto concerne l'evenienza di esplosione e/o incendio, è opportuno tenere presente alcune considerazioni cautelative come ad esempio in merito alle batterie al litio e agli accumulatori utilizzati nell'alimentazione di molteplici varietà di dispositivi (es. notebook, tablet ecc.).
Se gestite e stoccate correttamente
le batterie agli ioni di litio garantiscono un utilizzo sicuro, ma - considerando la forte variabilità di contesto e, soprattutto, di formazione individuale che contraddistingue la modalità di lavoro agile e/o di telelavoro - non sono completamente da escludere pericoli legati all'incendio spontaneo e/o all'esplosione subitanea con rilascio di esalazioni gassose nocive. Le cause potrebbero infatti essere:
✓ il sovraccarico elettrico (durante la carica e la scarica);
✓ il surriscaldamento (sovraccarico termico dovuto a calore o fonti energetiche esterne, solitamente preceduto da un anomalo rigonfiamento della batteria);
✓ un urto violento (danneggiamento meccanico dell'involucro multistrato in combinazione con densità energetica elevata della batteria).
Gli incendi dovuti alle batterie agli ioni di litio vengono domati con difficoltà e il fuoco si estende velocemente, motivo per il quale è opportuno non tentare di gestire autonomamente l'emergenza e chiamare immediatamente i Vigili del Fuoco.
In conclusione è necessario che il lavoratore agile venga opportunamente informato e formato anche in merito a questa tipologia di rischio, pur essendo lo stesso non caratterizzato da probabilità significativa.


3.3.5 Sindrome da visione al computer
La sindrome da visione al computer è il risultato dell’utilizzo intensivo di computer ed altri dispositivi elettronici. I sintomi sono vari e sono di tipo visivo, neurologico e muscolo-scheletrico. Non si presentano necessariamente tutti insieme e variano molto da persona a persona, a seconda delle abitudini e del modo in cui si sta davanti al computer o di come si usano gli altri dispositivi elettronici. I fattori più comuni che causano la sindrome da visione al computer sono:
✓ Illuminazione insufficiente;
✓ Riflessi sul display digitale;
✓ Distanza non adeguata dal terminale;
✓ Postura errata.
La parte generalmente più colpita dalla sindrome è l’occhio. Problematiche frequenti sono la visione doppia, la vista offuscata, bruciori e prurito, arrossamento del bulbo e secchezza oculare. Questi sintomi possono essere dovuti a diversi fattori:
✓ la luce emessa con forte componente blu dagli schermi, poco naturale e che affatica la vista; ✓ la scarsa risoluzione sui monitor.
Per quanto fastidiosa, la Sindrome da visione al computer porta a sintomi temporanei e non sono noti casi di danni nel lungo periodo. Ci sono comunque alcuni accorgimenti che possono aiutare a ridurre sintomi e fastidi dovuti alla sindrome:
✓ l’utilizzo di uno schermo ad alta definizione che può rendere meno faticosa la lettura a video, grazie ai caratteri più definiti e al maggiore contrasto;
✓ Il monitor tenuto a distanza di 50-70 centimetri dagli occhi, con il suo bordo superiore alla stessa altezza degli occhi, in modo da tenere la testa lievemente inclinata verso il basso;
✓ la luminosità dello schermo di poco superiore a quella dell’ambiente circostante, in un ambiente di lavoro non troppo luminoso e privo di riflessi che confondono la vista.
Anche in questo caso, non potendo l’azienda (né il datore di lavoro né il RSPP) controllare che tali condizioni vengano rispettate dal lavoratore qualora operi in luoghi privati e non in ambienti di lavoro coworking, è necessario che venga programmata una informazione e formazione del lavoratore agile affinché maturi una sensibilità necessaria a ridurre questo specifico rischio utilizzando gli strumenti organizzativi e strumentali evidenziati.
E’ importare ricordare inoltre che l’utilizzo di dispositivi a LED (PC, tablet, smartphone ecc.) ha aumentato notevolmente l’esposizione a fonti di luce dannose. In particolare il termine “luce blu” si riferisce a una componente di radiazione elettromagnetica dello spettro del visibile nelle lunghezze d’onda tra i 380 e i 500 nm. Essa risulta pericolosa nei casi in cui i suoi valori siano ricompresi tra i 390 e i 455 nm. Le nuove sorgenti luminose (come per esempio i LED) sono state progettate per migliorare e facilitare la nostra vita, ma emettono una quantità di luce blu maggiore rispetto alle tradizionali lampadine del passato. E’ opportuno pertanto privilegiare strumentazioni (come ad esempio smartphone o tablet) dotati di filtro della luce blu.
Gli effetti di una sovraesposizione da luce blu possono essere suddivisi nel breve e medio/lungo periodo. Nel breve periodo, quindi dopo 6-8 ore, il 91% delle persone soffre di:
✓ rossore e occhi irritati: per lungo tempo si fissano schermi retroilluminati;
✓ secchezza degli occhi: dovuta alla minor frequenza dell’ammiccamento (battito di ciglia) e alla conseguente minor lacrimazione e lubrificazione del tessuto trasparente che si trova nella parte anteriore dell’occhio;
✓ astenopia: stanchezza visiva per l’eccessiva esposizione alla Luce Blu e lo sforzo della lettura di caratteri molto piccoli;
✓ insonnia: la Luce Blu inibisce la secrezione di melatonina;
✓ mal di testa: per l’eccessivo affaticamento degli occhi.
Con il passare del tempo, la luce blu può portare a un abbassamento delle densità del pigmento maculare, che a sua volta potrebbe causare lo sviluppo della maculopatia.
In questo senso, qualora non presenti nelle strumentazioni filtri specifici, un valido aiuto può venire dall’uso di attrezzature adeguate, come appositi occhiali o pellicole schermanti.


Multitasking e deficit dell’attenzione
La tendenza (o la necessità) a svolgere più compiti al contempo (multitasking) è un fattore caratterizzante delle attività in modalità di lavoro agile e, al contempo, si rivela essere un elemento trasversale a diverse tipologie di mansioni (specie se queste coinvolgono l'uso di strumenti digitali contemporaneamente all'impiego di attrezzature e/o alla manovra di veicoli) con una diretta incidenza sulla probabilità:
✓ di peggiorare il livello di attenzione individuale nel complesso;
✓ di commettere errori, ovvero di causare / subire incidenti


3.3.6 Esposizione a campi elettromagnetici
Il rischio derivante da campi elettromagnetici (rischio CEM) è legato alla presenza di apparecchiature o impianti che emettono onde elettromagnetiche in determinati valori di azione. Il D.Lgs. 81 del 9 Aprile 2008 prescrive le misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti dall’ esposizione a campi elettromagnetici (da 0 Hz a 300 GHz) durante il lavoro. I limiti di tali valori di esposizione sono fissati da norme tecniche del comitato elettrotecnico italiano: CEI 211-6 e CEI 211-7 in relazione a campi elettromagnetici a bassa frequenza (0 hz - 10 khz) e ad alta frequenza (10 kHz - 300 GHz) con riferimento all’ esposizione umana.
Analizziamo tuttavia il caso specifico dei potenziali rischi nei luoghi di lavoro in cui potrebbe operare il lavoratore agile. Lo smart worker è a contatto con oggetti e attrezzature “giustificabili”. Per “giustificazione” si intende quanto riportato dal legislatore nell’art.181, comma 3 del D.Lgs. 81/2008, ed essa pertanto è riconducibile a tutte quelle situazioni espositive per le quali non è necessario effettuare un approfondimento della valutazione, poiché si ritiene che non causino rischi considerati rilevanti per la salute. Queste ricomprendono computer ed attrezzature informatiche, impianto di wi-fi, attrezzature da ufficio, cellulari e cordless, apparecchiature audio video, sistemi di allarme, apparecchi elettrici a bassa potenza. Si tenga tuttavia presente che l’elenco è ampio e in mutamento continuo.
E’ importante comunque sottolineare aspetti da tenere in considerazione in relazione alla valutazione dei rischi alla cui redazione il RSPP deve collaborare.
Tutte le apparecchiature in uso devono essere marcate CE e valutate secondo gli standard armonizzati per la protezione dai C.EM.
Le attrezzature devono essere installate ed utilizzate secondo le indicazioni fornite dai costruttori.
Il datore di lavoro, anche in questo caso ovviamente con il supporto del SPP, deve verificare tramite il libretto d’uso e manutenzione la conformità delle attrezzature agli standard C.EM. In particolare, per quanto riguarda l’impianto Wi-Fi per la connessione a internet in banda larga, si specifica che i sistemi Wi-Fi sono disciplinati da apposite normative internazionali che ne regolano il funzionamento e le caratteristiche trasmittive. Per l’Italia la normativa tecnica di riferimento è la ET S 300-382-2 che impone per i dispositivi Wi-Fi di non irradiare con una potenza superiore a 100 milliwatt. Il campo elettrico generato dagli impianti Wi-Fi non è costante nel tempo, in quanto la sorgente Wi-Fi (access point) non emette in modo continuativo, ma varia in funzione del traffico dati da gestire (con un picco durante le operazioni di download dati da terminale). Le evidenze disponibili portano al momento a non considerare preoccupante l’esposizione ai campi elettromagnetici provocata da un impianto WiFi. Naturalmente, per operare in sicurezza, compito dello smart worker sarà verificare la rispondenza delle attrezzature utilizzate ai dettami riportati nelle normative relative agli standard C.EM. e la presenza del marchio CE, nel caso utilizzi propri strumenti. Se le attrezzature vengono invece fornite dall’azienda sarà compito del datore di lavoro e del RSPP effettuare tali verifiche prima di conferire in uso le stesse al lavoratore agile.


3.3.7 Microclima
Con riferimento agli ambienti lavorativi, microclima e qualità dell’aria devono avere caratteristiche tali da consentire di preservare salute e benessere di chi li popola. Ciò si realizza o per mezzo di ricambi di aria reperita dall’esterno o attraverso specifici sistemi di condizionamento e riscaldamento. Anche in questo caso le indicazioni che vengono elencate di seguito dovrebbero essere applicate non solo presso locali comuni in cui il lavoratore in modalità smart working opera (sede non aziendale ma disponibile con libertà di orario, sede comune in tipologia co-working contrattualizzata dall’azienda, ecc.), ma anche presso abitazioni private o comunque non aziendali (seconde case, case vacanza, altre abitazioni private, ecc.).
Nello specifico, è necessario che:
• lo spazio disponibile sia tale da consentire liberi movimenti;
• i locali siano dotati del requisito di agibilità (è preferibile non siano ubicati in seminterrati);
• l’illuminazione e l’areazione siano idonee;
• il locale sia asciutto e non umido;
• le condizioni igieniche siano idonee.
Sono ovviamente indicazioni di prevenzione generale che andrebbero applicate ovunque, e per tale motivo le corrette informazioni al proposito andrebbero trasmesse anche al lavoratore che opera in modalità di lavoro agile e ancora di più ai lavoratori che svolgono le proprie mansioni in solitudine.
A tal proposito vengono proposte informazioni utili che sarebbe opportuno fornire a tutti i lavoratori in smart working e/o che operano in solitudine.
Il corpo umano e l’ambiente circostante scambiano calore per mezzo di tre modalità:
• radiazione;
• convezione;
• evaporazione.
L’ ambiente interno termico dipende da fonti interne ed esterne. In particolare nel caso di chi svolge le proprie mansioni in modalità di lavoro agile, tra le possibili sorgenti di calore, a titolo esemplificativo, citiamo la sicura presenza di attrezzature elettriche (tra cui luci o computer), la radiazione solare, la presenza umana di altri soggetti non necessariamente colleghi con cui lo spazio viene condiviso.
Inoltre, sempre in relazione alle modalità di smart working, comuni fonti di freddo possono essere efficacemente rappresentate dai ponti termici nelle costruzioni, dalle superfici delle finestre, dalle pareti non correttamente isolate. Il comfort termico risente pertanto degli effetti combinati dati dalle diverse fonti di calore e freddo presenti nell’ambiente circostante. Esso dipende principalmente da sei fattori variabili, fondamentali per garantire un sano equilibrio finalizzato alla soddisfazione degli occupanti:
✓ Temperatura dell’aria: che è una componente comune di comfort termico che può essere facilmente modificata attraverso sistemi di riscaldamento e raffreddamento passivo e meccanico.
✓ Temperatura media radiante: temperatura media ponderata di tutte le superfici esposte in un locale. Insieme alla temperatura dell’aria, permette di definire la temperatura operativa che è indicatore del benessere termico.
✓ Velocità dell’aria: i repentini movimenti dell’aria potrebbero infatti compromettere il benessere degli occupanti.
✓ Umidità relativa: è la quantità di vapore contenuto in una miscela aeriforme-vapore.
✓ Proprietà termiche dell’abbigliamento: i livelli di abbigliamento cospicui potrebbero ad esempio ridurre il calore perso attraverso la pelle e abbassare la percezione di comfort percepito della temperatura dell’ambiente.
✓ Il calore metabolico (livello di attività fisica): ha un’influenza sulla quantità di calore prodotto dal corpo umano e quindi anche nella percezione dell’ambiente caldo o freddo.
I parametri di riferimento suggeriti dalla normativa, e che dovrebbero essere segnalati come necessari ai lavoratori in smart working sono:
✓ temperatura interna invernale: 18 + 22 °C
✓ umidità relativa invernale 40 + 60 %
✓ temperatura interna estiva inferiore all’esterna di non più di 7°C
✓ umidità relativa estiva compresa tra 40 + 50 %
✓ velocità dell’aria inferiore a 0,15 m/sec.
E’ chiaro che nel caso specifico dei lavoratori in smart working che operano presso la propria abitazione o in ambienti non aziendali (di qualsiasi tipo essi siano) presso i quali non è possibile all’azienda un controllo diretto, questi rimangono semplicemente consigli e indicazioni da fornire come necessari al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei diretti interessati, ma si ritiene che tale passaggio informativo sia opportuno.
Qualora i lavoratori reputassero di operare in ambienti che non disponessero di adeguate condizioni in termini di temperatura, livello di umidità o presenza di fastidiose correnti d’aria, qualora abbiano ricevuto queste adeguate informazioni avrebbero maggiori possibilità di attivarsi per la ricerca di opportune soluzioni (usando, ad esempio, scambi d’aria con l’ambiente esterno o usando i sistemi di condizionamento e riscaldamento a disposizione presso il privato).


3.3.8 Boundary tra postazione e abitazione
La gestione degli spazi negli ambienti privati, e in particolare nelle abitazioni che vengono utilizzate dal lavoratore agile, è un tema importante e soggetto a criticità significative. Il cosiddetto boundary, il confine tra spazio lavorativo e spazio domestico, potrebbe generare sorgenti di rischio importanti in ambito di modalità smart working.
I lavoratori agili potrebbero infatti essere disturbati da situazioni ambientali di convivenza famigliare che non garantirebbero condizioni lavorative sufficientemente adeguate alla mansione svolta. Alcuni esempi potrebbero essere i figli, sia in giovanissima età sia adolescenti, che potrebbero disturbare rumorosamente o distrarre i propri genitori durante i periodi che questi dedicano allo svolgimento del proprio lavoro. Questo potrebbe accadere non soltanto aumentando il livello sonoro, ma anche modificando improvvisamente l’illuminazione, o cercando un’attenzione dei genitori (assolutamente legittima essendo i figli) o distraendoli in altre attività svolte magari a ridosso della postazione di lavoro. Alcune di queste situazioni per i lavoratori in modalità smart working potrebbero anche generare stress, soprattutto se si ripetessero con periodicità costante durante il periodo in cui la mansione viene svolta nell’ambiente privato.
Ma non soltanto i figli potrebbero generare problemi di questo tipo. Situazioni analoghe, anche se più rare, potrebbero manifestarsi per lavoratori che convivono con i genitori anziani o con coinquilini.
Viceversa è estremamente importante evitare fonti di rischio e pericoli per le persone che convivono con i lavoratori agili, nel caso utilizzino come spazio di lavoro parte della propria abitazione e se all’interno del proprio nucleo familiare vi è la presenza di minori in giovanissima età o anziani. Un esempio potrebbero essere i potenziali rischi derivanti dall’eventuale presenza di una stampante (contatti con il toner) o di un tritadocumenti (rischio di taglio) presso la stanza utilizzata quale ufficio.
In generale non soltanto i figli potrebbero generare problemi di questo tipo e viceversa, situazioni analoghe, anche se con diversa connotazione, potrebbero manifestarsi per i lavoratori che condividono la propria sfera abitativa quotidiana con persone appartenenti a categorie fragili. E’ necessario pertanto evitare che queste situazioni possano comportare problemi o arrivare a generare veri e propri rischi per la salute del lavoratore agile.
La corretta gestione dello spazio dedicato allo svolgimento della propria mansione in modalità smart working deve pertanto prevedere una preventiva analisi dei locali domestici a disposizione, riservando la massima attenzione alla netta divisione dello spazio di lavoro dallo spazio privato. E’ importante che il lavoratore agile scelga con accuratezza lo spazio da destinare allo svolgimento della propria mansione, evitando se possibile di scegliere spazi che potrebbero essere influenzati dalla possibile presenza di conviventi. La scelta dovrebbe essere inoltre caratterizzata da una programmazione delle fasce orarie che intende dedicare allo svolgimento del proprio lavoro e che potrebbero favorire l’aumento o la diminuzione delle sorgenti di rischio precedentemente citate.
La precisa identificazione delle dimensioni dei locali e dell’area necessaria ad un corretto ed ergonomico svolgimento della propria attività lavorativa deve essere effettuata al fine di arrivare ad una scelta del boundary tra spazio di lavoro e spazio domestico ottimale.
Il datore di lavoro è opportuno pertanto che inserisca anche queste indicazioni tra i temi che programma di inserire nell’informazione e nella formazione dei lavoratori agili, fornendo ad essi i giusti strumenti per una buona gestione degli spazi a disposizione, evitando interferenze con la vita domestica che possano comportare rischi, stress o la diminuzione dell’efficacia del lavoro dei soggetti in modalità smart working.
Pensando alle prospettive future che comporteranno una sicura ulteriore diffusione di questa modalità di lavoro sarebbe opportuno che nelle abitazioni di prossima progettazione, sia dedicata attenzione anche alla creazione di spazi che possano essere destinabili ad uno o più lavoratori agili nel momento in cui sia necessario: non è indispensabile che tali spazi siano identificati con certezza, ma è necessaria un’elasticità nella destinazione di utilizzo che consenta una semplice identificazione e destinazione di tale spazio, intendendo con questo dedicare sotto il profilo progettuale maggiore attenzione ai fattori di indoor air quality, illuminazione, impiantistica a disposizione.


3.4 Rischi psicosociali e stress lavoro-correlato, web policy e web-etiquette
È interessante notare come sia la virtualizzazione che la remotizzazione dei rapporti di lavoro e/o di collaborazione estendano i confini del tradizionale luogo di lavoro riconducendoli ad una dimensione che va ad includere la sfera privata del lavoratore stesso nonché la sua immagine sociale mediata attraverso gli strumenti digitali che utilizza.
In quest'ottica, gli usuali confini tra "pubblico" e "privato" si fanno indistinti, imponendo la necessità di educare e favorire un'interazione sociale quanto più equilibrata tanto più la portata delle opinioni e dei giudizi personali rischiano di essere fraintesi, amplificati e distorti generando rischi psico-sociali dalle conseguenze del tutto impreviste.
Ne deriva, dunque, l'opportunità di formalizzare a livello aziendale una politica propositiva (smart policy) da adottare anche in remoto in base ad un approccio alla comunicazione improntato a principi di coerenza e di moderazione tali da minimizzare (se non scongiurare del tutto) le criticità inter-relazionali più comuni: un approccio non dissimile dalla stesura di un tradizionale "galateo" (web etiquette o net etiquette), in ultima analisi.
Tra le buone prassi da previlegiare, si suggerisce di:
✓ non condividere, pubblicare o divulgare immagini e/o filmati che includano informazioni sensibili legate alla propria attività lavorativa, anche in maniera indiretta
¹°;
✓ non geolocalizzarsi in contesti inappropriati;
✓ non denigrare pubblicamente la propria azienda, i colleghi e/o i propri collaboratori;
✓ non utilizzare gli strumenti e/o i canali digitali di lavoro per condurre discussioni di natura intima (o comunque privata), ovvero per intavolare polemiche politiche, religiose, sportive ecc.
Se web policy e web etiquette sono importanti, senza dubbio non lo è di meno la prevenzione del rischio psico-sociale. E’ ormai appurato, non solo nel nostro Paese, ma anche nel resto d’Europa ove lo smart working è da tempo più diffuso, che lavorare in privato spesso, se non quasi sempre, senza momenti di condivisione o rapporti diretti non solo con i propri superiori ma soprattutto con i colleghi, comporta delle conseguenze non trascurabili. Passare troppo tempo da soli od esclusivamente dentro un ambito esclusivamente famigliare può portare il lavoratore a considerare il proprio lavoro come un sovraccarico temporale della propria giornata, fino ad arrivare in alcuni casi a ritenerlo meno importante non potendo avere alcun confronto diretto con le persone con cui si era abituati a condividere alcuni momenti dell’orario di lavoro. Questa mancanza di condivisione non si manifesta soltanto per l’assenza dello svolgimento in precedenza condiviso delle mansioni lavorative ma anche per esempio al momento del contatto diretto che avveniva per esempio in pause caffè conviviali o in mensa.
A tal proposito è evidente che esistono categorie di lavoratori maggiormente esposte al rischio tecnostress
¹¹, specie per quanto concerne le professioni che rientrano nell'area STEM¹² e/o in quelle della comunicazione (es. giornalisti, cronisti ecc.) essendo categorie destinate a confrontarsi con un uso sempre più invasivo delle tecnologie digitali; ne deriva un rischio di sovraccarico informativo e cognitivo che può causare varie conseguenze a livello psicofisico tipiche del burnout, quali ad esempio: ansia¹³, ipertensione, attacchi di panico, depressione, insonnia, calo della concentrazione, disturbi gastrointestinali e cardiocircolatori, cervicalgia e sensazione di vertigine, disturbi dell'alimentazione e carenze nutritive, alterazioni comportamentali, disturbi della sfera emotiva e relazionale.
Queste situazioni che caratterizzano il lavoro a distanza, e in buona parte anche il lavoro agile qualora venga svolto per la maggior parte del tempo lontano dalla sede aziendale, possono comportare pertanto una sorgente di rischio stress lavoro-correlato. La manifestazione di questa sorgente di rischio è stata più volte rilevata in numerosi Paesi dell’Unione Europea ove la diffusione dello smartworking, ma in generale del lavoro a distanza, si è verificata da molti anni in misura maggiore che in Italia. Come è consigliabile gestire le possibili conseguenze derivanti da situazioni che comportano l’assenza di contatti diretti con colleghi o clienti e la conseguente modalità di comunicazione avente nuove caratteristiche che limitano il coinvolgimento ravvicinato tra le persone?
Per prevenire possibili conseguenze di questo tipo diventa importante mantenere comunque le possibilità di avere momenti comuni, sia a distanza ma soprattutto, per quanto occasionalmente, tramite la programmazione di periodici contatti diretti tra collaboratori o in generale tra lavoratori che operano nello stesso ambito o con mansioni che devono prevedere di mantenere rapporti di confronto sugli obiettivi e sull’andamento dei propri compiti attribuiti dall’azienda.
Non si devono sottovalutare infatti le conseguenze psicologico-relazionali che potrebbero portare un importante incremento delle patologie ansioso-depressive evidenziate, ma anche possibili compromissioni delle capacità empatiche e cooperative. Lavorare a distanza in modalità smart working comporta una mutazione del soggetto “altro” che diventa un individuo indefinito dietro uno schermo, diventando complicato attribuirgli sentimenti ed emozioni ed entrarci davvero in contatto. I nuovi approcci relazionali caratteristici delle nuove modalità di lavoro possono comportare la riduzione di contatti per noi indispensabili per mantenere relazioni interpersonali, in questo caso anche in ambito di rapporti lavorativi, corrette ed efficaci.
È opportuno ricordare a tal proposito che fin dall’età più precoce l’attivazione dei “neuroni specchio” passa attraverso il contatto visivo con chi abbiamo di fronte consentendo lo sviluppo della capacità di “sentire” quello che prova l’altro. Questo passaggio obbligato che caratterizza la nostra crescita consente lo sviluppo anche dell’altruismo, elemento indispensabile per la formazione di una società che si sostiene e collabora per qualcosa che vada al di là del solo individuo, compreso l’ambito del mondo del lavoro.
Altrettanto importante è mantenere attenzione da parte dell’azienda in merito alle conseguenze che potrebbe avere lo smart working se praticato anche in modalità di lavoro in solitudine, caso frequente per lavoratori che sono spesso fuori sede senza alternare momenti di passaggio in azienda o che non utilizzano spazi condivisi in co-working. Provare l’isolamento costante può comportare stress lavoro correlato ad alcune persone e per tale motivo è importante che prima di destinare a tale modalità di lavoro il dipendente egli venga sottoposto ad una sorveglianza sanitaria che prenda in considerazione questo aspetto prima di declinare l’abilità alla mansione da parte del Medico Competente. Dovrebbe essere proprio quest’ultimo a consigliare al datore di lavoro le migliori soluzioni organizzative per evitare, per i lavoratori a maggior rischio, lo svolgimento della mansione in modalità di lavoro agile sempre in condizioni di solitudine (in trasferta o nel proprio spazio domestico), per esempio suggerendo l’alternanza di visite presso la sede aziendale secondo una periodicità consigliata in relazione alla specifica mansione svolta. Un altro aspetto che potrebbe contribuire a generare una situazione di stress per il lavoratore potrebbe essere, sempre nei casi in cui allo smart working sia associato il lavoro in solitudine, la paura derivante dalla possibilità di ammalarsi improvvisamente, di sentirsi male o di subire un improvviso stato di emergenza.
La riorganizzazione del lavoro richiede pertanto un coinvolgimento non soltanto del RSPP ma, per aspetti legati ai rischi di stress lavoro correlato collegati a rischi psicosociali, un contribuito pro-attivo da parte del Medico Competente, a seguito delle visite mediche programmate nell’ambito della sorveglianza sanitaria.


3.5 Gestione ambientale e smaltimento RAEE e/o dei componenti più critici (es. batterie)
La disamina delle criticità legate alla sicurezza dei lavoratori in un ambito caratterizzato da un così rilevante impiego di nuove tecnologie e, in particolare, di dispositivi elettronici soggetti ad rapido un ciclo di obsolescenza, non può prescindere da alcune indicazioni in merito al corretto smaltimento dei RAEE
¹⁴ vuoi per un criterio di ovvia responsabilità civica vuoi per evitare di innescare le circostanze che possano esporre se stessi (o altri lavoratori) ad un rischio legato alla dispersione nell'ambiente delle sostanze contenute in queste medesime apparecchiature in disuso.
Fatte salve le indicazioni fornite dalle Autorità in materia di raccolta differenziata, con particolare riguardo al Centro di Coordinamento RAEE
¹⁵, è bene:
✓ cancellare la memoria dei dispositivi e/o delle memorie di massa destinate allo smaltimento (questo, a fini di una corretta gestione dei dati);
✓ accertarsi sempre in quale categoria rientrino le apparecchiature da eliminare, per sapere con che modalità e dove smaltirle (es. monitor, laptop e notebook sono classificate come R3
¹⁶, mentre le macchine fotocopiatrici sono R4) dato che alcune tipologie non vengono ritirate a domicilio, ma devono essere portate ai centri di conferimento;
✓ sigillare eventuali componenti fragili, specie se già incrinati o frantumati, al fine di evitare la dispersione dei frammenti durante il trasporto e/o la raccolta;
✓ disassemblare e smaltire separatamente toner e/o cartucce esaurite chiudendole in una busta di plastica e servendosi degli appositi contenitori;
✓ gestire con cautela lo smaltimento di batterie ricaricabili e batterie primarie esauste, seguendo le istruzioni che accompagnano i dispositivi e/o le apparecchiature cui sono destinate (in particolare, rivolgere attenzione alle batterie che presentino perdite o rigonfiamenti).
Queste informazioni, normativamente indispensabili per chi utilizza le attrezzature indicate, dovranno essere trasmesse ai lavoratori che operano in modalità smart working soprattutto presso abitazioni o luoghi privati (anche condivisi, ad esempio nel caso di co-working condominiale o di quartiere), perché risulta impraticabile per l’azienda effettuare specifiche verifiche in questi casi. Presso ambienti comuni scelti e contrattualizzati dall’azienda è invece onere e obbligo del datore di quest’ultima garantire il rispetto dell’aspetto normativo trattato.


3.6 Sicurezza delle informazioni
A partire dall'approvazione del D.Lgs. 231/01
¹⁷, le imprese sono sollecitate ad adottare modelli e strumenti organizzativi per gestire, monitorare e controllare la protezione del proprio patrimonio informativo: ciò significa assicurare un corretto utilizzo delle risorse tecnologiche e produrre le opportune evidenze che documentino via via l'efficacia dei controlli implementati.
A ciò, si aggiungono le indicazioni del GDPR
¹⁸, che prevedono:
✓ la protezione dei dati fin dalla progettazione (Art. 25);
✓ l'adozione di criteri di data loss e leak prevention (DLP) sia per le funzioni sia per le modalità (Artt. 25 e 32);
✓ una forma di application security (Art. 25);
✓ la garanzia di sicurezza nel trattamento dei dati (Art. 32 commi 1 e 2);
✓ la definizione di una DPIA (Data Protection Impact Assessment) (Art. 35).
Queste necessità imposte dal legislatore si fanno ancora più vive nel momento in cui la realtà lavorativa subisce un repentino cambiamento insieme ai suoi tradizionali modelli di gestione, assistendo alla remotizzazione delle mansioni e ad una sistematica diffusione di informazioni secondo canali non sempre protetti, controllati o monitorabili anche e soprattutto in rapporto all'imponente tasso di crescita dei crimini informatici
¹⁹.
Fatto salvo l'assunto che i controlli via web debbano essere svolti nel rispetto della privacy e, prima ancora, secondo dinamiche coerenti con lo Statuto dei Lavoratori, è significativo notare come la trasformazione digitale del lavoro renda ostico conciliare con immediatezza il lavoro agile (e/o il telelavoro) col diritto alla riservatezza dei lavoratori stessi nonché con la sicurezza delle informazioni/dati, specie in ambito pubblico. Con ciò, è innanzitutto utile delineare il perimetro entro cui gli strumenti tecnologici di condivisione istantanea (es. videochiamate, conferenze a distanza, software che rilevano la presenza umana alla postazione remota, sistemi di tracciamento delle attrezzature ecc.) agevolino la qualità delle funzioni di gestione e di comunicazione, ovvero costituiscano essi stessi delle fonti di criticità
²° e di stress.
Un ulteriore problema da mettere in luce deriva da una eventuale gestione impropria dei dati da parte di lavoratori che, ad esempio, potrebbero accedere alle informazioni aziendali mediante i propri dispositivi privati
²¹ (privi dei sistemi di protezione e/o del necessario aggiornamento che, generalmente, caratterizza le risorse informatiche professionali) creando molteplici criticità derivante dal fatto che questo frangente:
✓ consente all'impresa l'accesso a dati sensibili (es. pertinenti la sua sfera intima
²²) del lavoratore e dei suoi congiunti (es. minorenni) che abbiano eventuale accesso ai medesimi dispositivi;
✓ genera una potenziale vulnerabilità ai danni dell'impresa in termini di perdita o furto di dati (es. dispositivi violati, smarriti o smaltiti senza prima cancellarne la memoria ecc.);
✓ coinvolge l'impresa nelle problematiche di natura etico-giuridica derivanti dall'accesso indesiderato ai dati di terzi (es. come nel caso di un lavoratore che condivida immagini di estranei fotografati/ripresi volontariamente e/o accidentalmente
²³).
In quest'ottica, appare preminente l'importanza di una revisione dei criteri di accessibilità e di gestione delle informazioni condotta sia a livello materiale (es. la scelta della tipologia di dispositivi, es. privilegiando tecnologie dotate di protezioni biometriche) che procedurale, formando i lavoratori ad un nuovo modo di rapportarsi alla condivisione delle informazioni improntato ad una maggior tutela dei confini esistenti tra vita privata e professionale, resa ancor più cruciale da una modalità di lavoro che spesso annulla le medesime distinzioni sovrapponendo anzi l'ambito operativo e la compagine domestica.
A questi presupposti strutturali si legano, poi, alcune azioni strategiche
²⁴ ossia:
✓ prevedere e applicare un inventario dei dispositivi autorizzati;
✓ definire un inventario dei software autorizzati;
✓ proteggere le configurazioni di hardware e software sui dispositivi mobili, laptop, workstation e server;
✓ attuare una valutazione e una correzione continua delle vulnerabilità;
✓ delineare un uso appropriato dei privilegi di amministratore (per i sistemi condivisi);
✓ prevedere opportune difese contro i malware;
✓ realizzare copie di sicurezza dei dati;
✓ attuare prassi di protezione dei dati;
✓ informare e formare i lavoratori riguardo le tecniche / contromisure sopraelencate.
Se consideriamo che tra i settori d'impresa che maggiormente ricorrono al lavoro agile figurano le banche, gli istituti finanziari ed altre realtà che trattano ogni giorno dati sensibili, ecco che possiamo guardare con altri occhi alla mole di indirizzi e-mail, codici, listini e report condivisi coi colleghi e gestiti, talvolta, attraverso i nostri stessi dispositivi privati (BYOD).
Queste situazioni impongono una maggior prudenza, specie nel caso in cui più persone (es. fornitori, personale di servizio, corrieri, operai ecc.) abbiano normale, ancorché occasionale, accesso agli spazi di lavoro agile, in quanto una percentuale dei furti e delle violazioni informatiche denunciate ogni anno è messa in atto da estranei che hanno accesso fisico ad attrezzature lasciate incustodite (si tratta dei cosiddetti "evil maid attacks"). In quest'ottica, è ragionevole organizzarsi prevedendo appositi spazi dove riporre i dispositivi di lavoro, la memoria di massa (es. chiavette e hard-drive USB) e i documenti riservati. Ampliando ulteriormente la prospettiva, ed anche in base al valore delle attrezzature installate, è invece opportuno pensare di rivolgersi ad aziende specializzate per l'installazione di impianti d'allarme e sorveglianza, anche da remoto.

4. Strumentazione e caratteristiche luogo di lavoro per smart working
Risulta molto difficile per l’azienda verificare che le condizioni elencate nei successivi paragrafi siano realmente applicate dai lavoratori che operano secondo le modalità di lavoro agile, ma è opportuno che vengano loro comunicate per far sì che ogni lavoratore ne sia stato informato e venga reso parte attiva affinché diventino obiettivo conseguibile anche in ambiente di lavoro privato gestito direttamente dal lavoratore stesso.


4.1 Strumentazioni ed applicativi
Le strumentazioni utilizzate sono varie e ciascuna di esse può comportare la presenza di sorgenti di rischio che possono essere presenti anche in modalità smart working.
Ad esempio, soprattutto nel caso di lavoro agile svolto dal lavoratore presso la propria abitazione, è opportuno per l’azienda confrontarsi con quest’ultimo in merito all’eventuale necessità di un ulteriore elemento illuminante portatile se la stanza utilizzata non consente un’illuminazione adeguata alla sua postazione domestica. Anche il trituratore di documenti, se fornito al lavoratore, sarebbe un argomento da trattare accuratamente prima dell’attivazione della modalità smart working, per evitare che il lavoratore possa ad esempio mettere in pericolo la sicurezza di propri familiari, soprattutto nel caso in cui vi siano a casa figli di minore età.
Di seguito vengono analizzate le principali strumentazioni utilizzate per attività di ufficio.


Computer, laptop, tablet, i-pad, smartphone
Per il datore di lavoro è necessario prima di tutto verificare la disponibilità di queste strumentazioni per il lavoratore che opererà in modalità smart working. Qualora il lavoratore non ne avesse la disponibilità dovrà essere formalizzata nell’ambito della contrattazione l’eventuale fornitura se necessaria. Non solo, dovrà essere verificata anche la disponibilità degli accessori necessari ai fini della sicurezza ergonomica. Un esempio evidente è fornito dalla verifica che abbia in dotazione il mouse, perché è assolutamente sconsigliabile il continuo utilizzo esclusivo del touchpad in quanto ergonomicamente sfavorevole.
Anche l’utilizzo esclusivo del tablet potrebbe comportare problemi ergonomici al lavoratore agile in quanto non usato solitamente con il mouse, nonostante in tutti i modelli ve ne sia la disponibilità di collegamento.
Si verificano infine anche situazioni relative alla tipologia di strumentazione elettronica portatile che sono senza dubbio portatrici di problemi ergonomici o che comportano rischi per l’apparato oculare del lavoratore, come ad esempio l’impiego troppo diffuso dello smartphone anche per attività, come ad esempio la gestione della posta elettronica che spesso può richiedere molto tempo, per le quali sarebbe importante sensibilizzare lo smart worker dell’importanza di privilegiare, per effettuare tali operazioni, l’uso del computer o del laptop.
In definitiva è fondamentale che l’azienda, grazie soprattutto alla competenza del RSPP e/o del Medico Competente, attivi una verifica delle modalità d’uso di tutte le strumentazioni elettroniche portatili, e non solo, in quanto la responsabilità in merito alle possibili conseguenze per la salute e la sicurezza del dipendente ricadono sulla figura del datore di lavoro, non soltanto se le stesse strumentazioni sono fornite dalla società al lavoratore, ma anche se le stesse sono di proprietà del lavoratore agile.


Stampanti, fotocopiatrici e toner
Sia durante il processo di stampa laser che di riproduzione con fotocopiatrice si attuano processi chimico-fisici che danno luogo all'emissione di polveri (particelle di carta e/o di toner
²⁵), di ozono²⁶ e/o di composti organici volatili (COV²⁷) la cui quantità / qualità dipende:
✓ dalla tecnologia costruttiva delle attrezzature in analisi;
✓ dall'usura e dallo stato di manutenzione delle apparecchiature;
✓ dalla qualità dei consumabili (toner e carta, principalmente);
✓ dalle condizioni ambientali dei locali in cui si lavora.
Nel caso specifico delle stampanti a getto d'inchiostro (inkjet), molte delle criticità appena enumerate si risolvono grazie all'utilizzo di una tecnologia diversa: sono tuttavia presenti problematiche parallele, legate al metodo di produzione degli inchiostri che può includere solventi organici come il MEK (metiletilchetone
²⁸).
Benché le sostanze in esame, prese singolarmente, raggiungano difficilmente valori di concentrazione tali da costituire una fonte immediata di rischio, è possibile che alcuni soggetti manifestino disturbi aspecifici quali prurito, irritazione cutanea, bruciore agli occhi, tosse, dispnea, asma e/o mal di testa.
Al fine di gestire opportunamente il rischio residuo, si può provvedere a:
✓ ridurre per quanto possibile il ricorso alla stampa tradizionale, favorendo la produzione e lo scambio di documenti nativi digitali;
✓ collocare le attrezzature di stampa e fotoriproduzione in ambienti non condivisi e non di passaggio. Evitare la vicinanza a fonti di calore dirette;
✓ conservare ricambi e consumabili in spazi dedicati alla cancelleria, verificandone periodicamente l'integrità e l'eventuale data di scadenza
²⁹. Evitare luoghi umidi, ovvero troppo caldi e/o esposti alla luce diretta del sole;
✓ scegliere attrezzature e/o consumabili dotati di certificazione energetica e ambientale;
✓ migliorare la ventilazione dei locali, favorendone il ricambio d'aria;
✓ evitare comportamenti che possano acuire il profilo di rischio iniziale (es. il fumo).


Distruggidocumenti
L'uso prolungato delle attrezzature distruggidocumenti (ad esempio le trituratrici di documenti) comporta problematiche analoghe a quanto visto in precedenza in fatto di polveri fini (particelle di carta) disperse nell'ambiente. E’ raro che questa strumentazione sia utilizzata da lavoratori che svolgono le proprie mansioni in modalità smart working ma non essendo escluso si sono considerate alcune indicazioni eventualmente da fornire come informazione al lavoratore stesso. Un discorso a sé è costituito dalla gestione della distruzione di grossi volumi di documenti stampati su carta termica, caratterizzata alla presenza di BPA
³° e BPS che possono essere assorbiti direttamente per via cutanea e/o tramite l'inalazione del pulviscolo generato all'atto della dematerializzazione comportando - tra l'altro - un bioaccumulo da cui possono derivare problematiche neurologiche, oncologiche e/o un aumento dell'infertilità.
Allo scopo di gestire opportunamente il rischio residuo, si può provvedere a:
✓ abbreviare i cicli di dematerializzazione;
✓ attuare la dematerializzazione e la raccolta dei residui in ambienti ben ventilati;
✓ indossare guanti.


Manutenzione e trasporto
La manutenzione della strumentazione fornita al lavoratore agile è senza dubbio un ulteriore elemento da considerare nella valutazione dei rischi e per la conseguente adozione di efficaci misure di prevenzione e protezione. Non sempre la manutenzione specifica sarà necessaria, ad esempio per la strumentazione portatile, ma è sicuramente utile in alcuni casi come l’eventuale fornitura di stampanti di grandi dimensioni o di tritadocumenti. Anche l’assistenza agli eventuali problemi legati ai software utilizzati nelle strumentazioni portatili o agli stessi computer potrebbe essere necessaria. La precisazione sulle modalità da seguire nella modifica contrattuale del rapporto di lavoro tra azienda e lavoratore agile deve essere preventivamente effettuata.
Anche il caso del trasporto potrebbe richiedere un approfondimento, soprattutto se le strumentazioni sono di dimensioni o peso rilevante.


4.2 Caratteristiche minime delle postazioni
Il posto di lavoro deve essere accuratamente dimensionato ed allestito in modo da permettere ai lavoratori libertà nei movimenti operativi e cambiamenti di posizione. Le informazioni che vengono fornite di seguito è necessario che vengano trasmesse al lavoratore agile, affinché venga formato sulle corrette modalità da utilizzare per lavorare da casa nelle migliori condizioni per la sua salute e sicurezza.
Le postazioni di lavoro dotate di computer devono essere allestite nel seguente modo:
✓ distanza visiva: con gli schermi attuali è consigliata una distanza visiva compresa tra 50 e 70 cm; per gli schermi molto grandi è consigliabile una distanza maggiore;
✓ radiazioni: gli schermi piatti non emettono radiazioni pericolose; anche gli schermi tradizionali non rappresentano un pericolo per la salute e sicurezza dei lavoratori;
✓ irraggiamento termico: gli schermi e le unità periferiche producono calore, pertanto occorre aerare i locali di lavoro;
✓ interfaccia elaboratore-uomo: gli applicativi software che vengono utilizzati devono essere di facile utilizzo e correlati di manuali d’uso;
✓ attrezzatura di lavoro: tulle le attrezzature di lavoro devono essere facilmente pulibili e regolabili, in modo da poter adattare la postazione di lavoro alle esigenze di ogni addetto;
✓ schermo: gli schermi dei videoterminali devono avere delle caratteristiche minime, ovvero, la risoluzione degli schermi deve garantire una buona definizione, le immagini devono essere esenti da farfallamento o tremolio, lo schermo deve essere orientabile, inclinabile e posizionato di fronte all’operatore ad una distanza dagli occhi di circa 50 - 70 cm;
✓ tastiera e dispositivi di puntamento: la tastiera ed il mouse devono avere delle caratteristiche minime, ovvero, la tastiera deve essere separata dallo schermo e facilmente regolabile, lo spazio sul piano di lavoro deve consentire l’appoggio degli avambracci davanti alla tastiera, il mouse deve essere posto sullo stesso piano della tastiera in una posizione facilmente raggiungibile.
Il piano di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche minime:
✓ superficie a basso indice di riflessione;
✓ struttura stabile e di dimensioni adeguate;
✓ l’altezza del piano di lavoro può essere fissa o regolabile purché compresa tra 70 e 80 cm;
✓ la profondità del piano deve assicurare un’adeguata distanza visiva dallo schermo.
Il sedile di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche minime:
✓ deve essere stabile e permettere all’utilizzatore libertà nei movimenti;
✓ lo schienale deve essere adeguato alle caratteristiche antropometriche dell’utilizzatore e regolabile nell’altezza e nell’inclinazione;
✓ lo schienale e la seduta devono avere bordi smussati;
✓ il sedile deve essere dotato di un meccanismo girevole per consentire i cambi di posizione.


Il rapporto schermi dei dispositivi elettronici e ambiente di lavoro
E’ opportuno evitare riflessi sullo schermo dei PC ed eccessivi contrasti di luminanza ed abbagliamenti dell’operatore. Pertanto, occorre posizionare la postazione di lavoro in funzione dell’ubicazione delle fonti di luce naturale ed artificiale. Bisogna prendere in considerazione la collocazione delle finestre e/o di porte traslucide, in quanto possono determinare fenomeni di abbagliamento diretto o riflessi sullo schermo.
La postazione di lavoro deve essere collocata in una zona lontano dalle finestre, in quanto lo sguardo principale dell’operatore deve essere parallelo alla finestra. La sola luce diurna è inadeguata per illuminare gli ambienti di chi lavora al videoterminale, essendo soggetta a grandi oscillazioni nel corso della giornata e delle stagioni, e può causare problemi di riflessione sullo schermo e di abbagliamento.
Per eliminare i riflessi, l’abbagliamento e i contrasti eccessivi di chiaro-scuro provocati dalla luce diurna sullo schermo:
✓ occorre evitare sorgenti con forte luminosità nel centro del campo visivo dell’operatore (sole, lampada) e/o la presenza di superfici con una eccessiva capacità riflettente (lucide);
✓ davanti e dietro il monitor non devono esserci delle finestre, pertanto negli uffici con due pareti ad angolo finestrate, una di esse deve essere schermata;
✓ la direzione principale dello sguardo dell’operatore deve essere parallela rispetto alle finestre;
✓ i posti di lavoro al videoterminale sono da sistemare, per quanto possibile, nelle zone del locale lontane dalle finestre;
✓ in caso di irradiazione del sole occorre oscurare le finestre (per es. con veneziane, pellicole antisolari o tende di tessuto pesante).
Per ridurre i disturbi dovuti alla luce diurna si può far uso anche di schermi parasole. I problemi di abbagliamento o di riflessi devono essere eliminati per evitare che inducano ad assumere una posizione errata.
Per prevenire questi problemi è importante:
✓ non collocare lo schermo sopra l’unità di sistema (computer), perché si troverebbe troppo in alto;
✓ sistemare il computer sotto il tavolo, anche per non essere disturbati dal rumore prodotto dal ventilatore;
✓ rialzare il monitor con un supporto se, poggiandolo sulla superficie di lavoro, la sua altezza è insufficiente.
Il monitor inoltre deve essere leggermente inclinato per evitare problemi di riflessione sullo schermo. I diversi elementi (tastiera, schermo, mouse, leggio portadocumenti) vanno posizionati in funzione dell’attività da svolgere: in un lavoro di interrogazione o di digitazione, il monitor deve essere posizionato di fronte all’operatore.


Il corretto utilizzo dei computer portatili
L’uso dei computer portatili comporta maggiori difficoltà nel mantenere una corretta postura. Le misure di prevenzione da adottare in questo caso sono:
✓ regolare l’inclinazione dello schermo in modo da ottimizzare la luminosità dello stesso;
✓ munirsi di tastiera esterna in caso di utilizzo prolungato;
✓ fare pause più frequenti;
✓ evitare di piegare la schiena in avanti;
✓ evitare di posizionare il computer sulle gambe.
Gli attuali computer portatili hanno uno schermo con una superficie molto riflettente per garantirne i colori, ma l’uso prolungato di questi computer comporta maggiori rischi per l’affaticamento visivo. Pertanto, prima di iniziare le attività di lavoro occorre posizionare lo schermo rispetto alle fonti di luce naturale ed artificiale tale da non creare problemi di riflessi sullo schermo.


4.3 Illuminazione naturale ed artificiale
L’adeguatezza dell’illuminazione nei locali di lavoro influenza l’ambiente stesso, modificando le prestazioni visive degli operatori. L’illuminazione di un ambiente di lavoro deve fornire condizioni ottimali per lo svolgimento del compito visivo richiesto, anche quando si distoglie lo sguardo dal compito o per riposo o per variazione di attività. Il lavoratore in smart working dovrebbe essere sensibilizzato anche in merito a questi aspetti.
L’impressione visiva di un ambiente è influenzata dall’aspetto delle superfici degli oggetti visivi principali (compito visivo, arredi, persone), del suo interno (pareti, soffitti, pavimenti, arredi, macchine) e delle sorgenti di luce (finestre, lampade).
La quantità di luce che cade sulle superfici influenza notevolmente la percezione visiva. La visione può essere resa difficoltosa da un difetto di illuminamento come anche da un eccesso in quanto possono insorgere fenomeni collaterali (es. abbagliamento) che disturbano e alterano la visione. L’illuminamento dell’ambiente lavorativo va correlato a quello presente nella zona del compito visivo e non deve presentare eccessive difformità all’interno del locale o tra ambienti comunicanti poiché il passaggio da zone scarsamente illuminate e zone illuminate può determinare abbagliamento o, nel passaggio inverso, creare difficoltà di adattamento visivo.
Nell’esecuzione di attività che comportino un elevato impegno visivo, l’incidenza delle differenti condizioni di illuminazione assume una rilevanza particolare, ed una scorretta gestione delle sorgenti luminose può determinare situazioni di rischio, anche significativo, per la vista e gli occhi degli operatori addetti alle singole lavorazioni. L’aumento del livello d’illuminazione determina un conseguente aumento dell’acuità visiva e della sensibilità al contrasto, ma un eccesso di luce riduce la stessa acuità visiva, quindi è necessario effettuare dei controlli al fine di evitare eccessi sia in un senso che nell’altro.
Secondo quanto previsto dall’art. 63 e dall’allegato IV al D.Lgs. 81/08 comma 1.10.1, a meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano un’illuminazione artificiale adeguata a salvaguardare la sicurezza, la salute ed il benessere del lavoratore. Queste indicazioni è necessario che vengano applicate anche all’ambiente domestico.
L’illuminazione di un ambiente di lavoro deve pertanto essere tale da soddisfare esigenze umane fondamentali quali:
✓ buona visibilità: per svolgere in modo corretto una determinata attività, l’oggetto della visione deve essere riconosciuto in modo inequivocabile con facilità, velocità e precisione;
✓ confort visivo: l’insieme dell’ambiente visivo deve soddisfare esigenze di carattere fisiologico e psicologico;
✓ sicurezza: le condizioni di illuminazione devono sempre consentire sicurezza e facilità di movimento nell’ambiente di lavoro.
La norma UNI EN 12464-2 “Illuminazione dei posti di lavoro. Parte 2: Posti di lavoro in esterno” specifica i requisiti illuminotecnici per garantire sufficienti livelli di comfort visivo e prestazione visiva ai lavoratori che svolgono la loro opera in ambienti esterni mentre la norma UNI EN 12464¬1 “Illuminazione dei posti di lavoro. Parte 1: Posti di lavoro in interni” definisce i criteri per una corretta progettazione illuminotecnica dei luoghi di lavoro in interni ed introduceva alcuni nuovi concetti atti a migliorare la qualità dell'illuminazione.
E’ chiaro che quanto previsto sia dal D.Lgs.81/08 sia dalle norme UNI EN 12464 sono caratteristiche normalmente applicabili presso gli ambienti di lavoro aziendali o comunque condivisi contrattualmente con altri soggetti (come nel caso del co-working), ma difficilmente sono condizioni verificabili presso ambienti e locali di lavoro privati, come ad esempio l’abitazione stessa del lavoratore, in caso di modalità smart working. In tal caso diventa importante per il datore di lavoro promuovere, anche tramite l’attività del Servizio Prevenzione e Protezione, la trasmissione di queste informazioni ai lavoratori interessati, coinvolgendo inoltre il Medico Competente affinché prenda in considerazione eventuali segnali legati ad una non sufficiente illuminazione che possa arrecare danno allo stato dell’apparato visivo del lavoratore.


4.4 Ubicazione e relativa copertura informatica
I parametri che possono influenzare l'ubicazione di uno spazio di lavoro agile sono certo differenti e si focalizzano, innanzitutto, sulla qualità degli impianti (elettrico e telefonico), nonché sulla reale copertura dei servizi di rete in fibra ottica e di telefonia mobile (es. 5G, 4G, LTE ecc.); la connettività rappresenta infatti un elemento chiave dei requisiti di remotizzazione e delocalizzazione che contraddistinguono lo smart working.
La classica connessione a rete fissa, molto comune nei grandi centri abitati, è costituita da un cavo che collega l'abitazione alla centralina di prossimità (cabinet) che, a sua volta, è collegata alla centrale. Il tipo di cavi adottati per coprire queste due tratte (da casa alla centralina e dalla centralina alla centrale) condiziona la qualità e la stabilità del servizio.
A titolo riepilogativo (rimandando a fonti specialistiche per maggiore approfondimento) si definiscono: ✓ FTTN (Fiber To The Node, talvolta detto FTTS, Fiber To The Street o FTTC/FTTCab, Fiber To The Cabinet) quei collegamenti che adottano il doppino di rame per realizzare l'ultimo tratto fino all'abitazione;
✓ FTTH (Fiber To The Home) interamente realizzati in fibra e per questo più performanti;
✓ GPON (Gigabit Passive Optical Network, Rete Ottica Passiva in Gigabit) una tecnologia del tipo FTTH di recente sviluppo che ottimizza le infrastrutture di rete per offrire agli utenti velocità di connessione d'eccellenza.
In alternativa agli impianti cablati esistono servizi in banda larga (wireless) sviluppati per garantire la connessione anche nelle località in cui non è presente la rete tradizionale.
Quale che sia la scelta, di solito condizionata sia da esigenze economiche che dalla disponibilità dei singoli operatori nazionali, è bene ricordare che:
✓ un home office o uno spazio di co-working attrezzato richiederà una connessione stabile e affidabile nell'arco dell'intera giornata, prescindendo dalla fascia oraria (sconsigliando i piani-dati a consumo o condizionati da orari specifici);
✓ la velocità e disponibilità di banda dovrà poter sopperire alle necessità di tutti i lavoratori attivi così come a quanti ne condividono le risorse (amici, coinquilini, familiari), contemplando un numero variabile di dispositivi che funzionino al contempo (es. notebook, smartphone, TV in streaming, ecc.) sia per finalità pratiche che talvolta per l'intrattenimento;
✓ può essere previdente abbinare al piano-dati principale anche un numero di rete fissa in VoIP o in cloud: così facendo, si possono organizzare le chiamate (es. tramite un centralino o una segreteria) filtrando le telefonate indesiderate e le richieste fuori orario da parte di colleghi e fornitori, garantendo il cosiddetto "diritto alla disconnessione" (ossia il diritto individuale di riservare dei momenti alla famiglia o al tempo libero, senza interferenze);
✓ l'efficacia della copertura del segnale Wi-Fi può essere migliorata ricorrendo ad appositi ripetitori, che però sono talvolta inibiti dalla presenza di muri e/o solette molto spesse;
✓ esistono apparecchi che possono estendere la portata della Rete locale (LAN) collegandosi alle normali prese elettriche, purché l'impianto non presenti frequenti sbalzi di tensione;
✓ non è il caso di scegliere un servizio di Rete solo sulla base delle esigenze attuali, ma è bene pensare a lungo termine, ossia a come le proprie necessità e/o quelle del proprio gruppo di lavoro si potranno evolvere nei prossimi anni, anche in risposta all'aggiornamento degli strumenti digitali di cui ci si serve.
E’ il caso di ricordare che la performance dell'esperienza digitale dipende dalla qualità dell'impianto elettrico, che alimenta sia il router che gli archivi NAS e i dispositivi in ricarica, condizionandone la longevità; questo è un buon motivo di per sé per non trascurarne la manutenzione e/o la certificazione, ad esempio nel caso di un immobile da ristrutturare, specie se inizialmente non destinato ad uso ufficio).
Infine è opportuno:
✓ prevedere l'installazione di opportuni moduli di protezione dalle sovratensioni elettriche e di monitoraggio dei consumi, senza dimenticare gli utili dispositivi di riarmo automatico;
✓ far realizzare nuove tracce e nuovi punti-presa dove mancano, evitando di ricorrere a prolunghe e cavi provvisori, specie se l'ambiente è accessibile a bambini e/o ad animali domestici;
✓ acquistare apparecchiature a risparmio energetico per razionalizzare i crescenti consumi elettrici, oltre che per evitare le sovratensioni all'accensione di dispositivi obsoleti;
✓ installare il gruppo di continuità per garantire almeno l'autonomia utile a salvare i documenti più urgenti nel malaugurato caso di un blackout.


5. Criticità della gestione delle emergenze
Qualora l’attività lavorativa sia svolta presso locali dotati di piani di emergenza, i lavoratori hanno a disposizione le informazioni per l’individuazione delle vie di uscita, la corretta lettura della segnaletica, la conoscenza delle modalità d’uso dell’impianto di allarme incendio e in particolare delle ubicazioni dei pulsanti di allarme di emergenza (qualora presenti), dell’ubicazione degli impianti di spegnimento, e dei nominativi degli addetti antincendio ed evacuazione del sito. In relazione ad eventi naturali, quali inondazioni, allagamenti, terremoti, occorre riferirsi, ed eseguire se non presente, il Piano Generale di Protezione Civile di pertinenza. Nel caso di smart working, qualora il lavoratore operi presso locali comuni, come ad esempio nel citato caso del co-working, tali importanti informazioni devono essere fornite dal Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale, sulla scorta di quanto indicato dal locatore di tali locali.
Di seguito vengono comunque fornite regole generali che comunque vanno sempre adottate dai lavoratori per la limitazione del rischio incendio, qualora in condizioni di smart working si operi direttamente da luoghi aziendali o privati condivisi:
✓ uso circoscritto di materiali infiammabili, combustibili e di fonti di calore;
✓ vie di fuga di emergenza e procedure di intervento proporzionati al grado di rischio incendio presente;
✓ rispetto delle norme di sicurezza degli impianti e dei locali con presenza gas;
✓ predisposizione e mantenimento in efficienza di impianti, compresi quelli di estinzione incendi.
✓ dare l’allarme a voce qualora non disponibili pulsanti di allarme;
✓ intervenire solo se nominati addetti antincendio o se sicuri di essere in grado di farlo senza mettere a rischio la propria incolumità, utilizzando le attrezzature antincendio a disposizione;
✓ verificare preventivamente chi deve contattare immediatamente l’intervento dei Vigili del Fuoco, che dovrà accogliere il loro arrivo e fornire le prime indicazioni sull’emergenza;
Chiaramente queste informazioni, salvo diverse indicazioni normative al momento non disponibili nell’unica relativa norma di legge, la Legge 81/2017 sul lavoro agile, non si applicano nel caso in cui il lavoratore in modalità smart working svolga la sua mansione presso la propria abitazione. Diversamente sono invece utili presso luoghi non di proprietà ma comunque non aziendali e non comuni come nel caso del co-working.
Altri comportamenti da adottare in ogni caso in caso di incendio, quindi durante lo svolgimento delle mansioni smart working presso abitazioni o altri locali non aziendali, sono i seguenti:
✓ mantenere la calma;
✓ togliere tensione ai dispositivi elettrici ed elettronici in uso;
✓ assicurarsi di conoscere le vie di esodo e di avere a disposizione una sicura via di fuga;
✓ non usare acqua su apparecchiature elettriche;
✓ nel caso l’incendio raggiunga dimensioni tali da non riuscire a spegnerlo senza mettere a rischio la propria incolumità, abbandonare immediatamente il locale o l’intera area;
✓ in presenza di fumo camminare chinati respirando il meno possibile e proteggere la bocca e il naso con un fazzoletto preferibilmente bagnato;
✓ raggiungere un punto di raccolta, senza usare l’ascensore;
✓ non allontanarsi dal punto di raccolta prima dell’arrivo dei soccorsi.
E’ pertanto importante che queste informazioni vengano comunque trasmesse al lavoratore in modalità di lavoro agile da parte dell’azienda al fine di sensibilizzarlo sul corretto comportamento da adottare per limitare una tipologia di rischio comunque presente in ogni ambito, sia lavorativo che privato.
Ulteriori considerazioni sono opportune in merito a situazioni di svolgimento del lavoro in solitario e nei casi in cui si rivelasse difficoltosa la richiesta esterna di assistenza. In tal caso è necessario che il luogo di lavoro sia sì idoneo alle caratteristiche della mansione, ma che abbia anche i requisiti di ragionevolezza e prudenza idonei.
In particolare, gli strumenti di comunicazione devono essere scelti con attenzione e diligenza, mediante la disponibilità a fornire a chi opera in queste modalità lavorative, per esempio:
✓ Telefoni cellulari GSM che abbiano un pulsante di emergenza e un sistema che possa registrare la perdita di verticalità e/o l’assenza di movimento. In caso di allarme (manuale e/o automatico) il dispositivo compone, anche automaticamente, una serie di numeri in sequenza pre-programmati e può inviare SMS riguardanti la tipologia dell’allarme e la relativa localizzazione;
✓ Telecomandi radio: dedicati esclusivamente al tema allarme (senza fonia);
✓ Dispositivi radio portatili che consentano la comunicazione vocale (ad esempio tipo Walkie Talkie).
Infine, tra le procedure da adottare per tutti i lavoratori che svolgono le loro mansioni secondo le tipologie oggetto di questo documento, si consiglia di trasmettere informazioni al fine di non lavorare in luoghi all’aperto durante le giornate ventose e con condizioni climatiche avverse, in particolare per il personale affetto da allergie, previo coinvolgimento a tal proposito anche del Medico Competente aziendale.
 

6. Legge 81/2017 “lavoro agile” e proposte di integrazioni e/o modifiche
6.1 Potere di direzione e controllo - vincoli e limiti

L’art. 21 comma 1 della Legge 81/2017, individua nell’accordo individuale le modalità di lavoro agile definendo anche la disciplina e l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro (DDL) sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali e ciò nel rispetto dell’articolo 4 dello Statuto dei diritti dei lavoratori. E’ pertanto assente una disciplina contrattuale dei poteri di direzione e controllo per il lavoro agile, la cui valutazione rinvia pertanto all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, di recente modificazione.
Quello che sembra essere un elemento gestibile con semplice accordo, in realtà in riferimento all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori sottende una necessaria dettagliata analisi di alcuni aspetti molto controversi, che vengono di seguito esplicitati nel dettaglio:
- CONTROLLO A DISTANZA DEI LAVORATORI ed in particolare ““possibilità di installare impianti audiovisivi ed altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di un controllo a distanza dei lavoratori”
- TUTELA DELLA PRIVACY, obblighi e responsabilità del datore di lavoro e dello smart worker ;
Di seguito vengono pertanto approfonditi questi due temi al fine di evidenziare chiaramente come gestire in conformità alla normativa vigente il rapporto azienda-lavoratore.
 

Controllo a distanza del lavoratore
Nel dettaglio, il nuovo art. 4 della Legge n.300/70 prevede al comma 1 la possibilità, a fronte di esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e la tutela del patrimonio aziendale, di installare impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, previo accordo con le rappresentanze sindacali ovvero, in mancanza di questo, previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) o, in alternativa nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, previa autorizzazione della sede centrale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Il comma 2 introduce tuttavia una deroga escludendo la necessità di un accordo con le rappresentanze sindacali ovvero dell’apposita autorizzazione dall’INL in riferimento agli strumenti utilizzati dal lavoratore “per rendere la prestazione lavorativa” e agli strumenti “di registrazione degli accessi e delle presenze”. Il tutto acquista particolare rilevanza alla luce del nuovo comma 3, a monte del quale le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, quindi anche disciplinari purché il lavoratore riceva adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal d.lgs. 30 giugno 2003, n.196.
La modifica dell’art. 4 dello Statuto del Lavoratori amplia dunque i poteri di controllo del DDL sulle strumentazioni aziendali, per le quali vengono meno le procedure di cui al comma 1 in tema
di controlli a distanza, ma non risulta univoca l’indicazione relativa a cosa si intenda per strumenti di lavoro.
Se sussistono infatti pochi dubbi in materia di oggetti fisici di dotazione aziendale come un computer o uno smartphone, più articolato diventa inquadrare beni immateriali come posta elettronica, firewall e antivirus, o sistemi di geolocalizzazione.
Al fine di non esporre i lavoratori ad un arbitrario controllo a distanza da parte del datore e onde chiarire le intenzioni del legislatore, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali era precedentemente intervenuto con la nota del 18 giugno 2015 nella quale aveva circoscritto il concetto di strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa. Ivi si legge che l’espressione “per rendere la prestazione lavorativa” comporta che l’accordo o l’autorizzazione non servono se, e nella misura in cui, lo strumento viene considerato quale mezzo che “serve” al lavoratore per adempiere la prestazione.
Nonostante anche la nota ministeriale i dubbi interpretativi non sono tuttavia stati fugati è si è reso necessario l’intervento dapprima dell’Ispettorato del Lavoro, con la Circolare n.2 del 7 novembre 2016 quindi del Garante della Privacy, con il provvedimento del 16 marzo 2017, sul tema dei localizzatori satellitari GPS. Richiamando il dettato letterale del comma 2 art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, l’Ispettorato si concentra sull’individuazione degli apparecchi, dispositivi, apparati e congegni che costituiscono il mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa dedotta in contratto e che, per tale finalità, siano stati posti in uso e messi a disposizione. Solo questi ultimi sarebbero da considerarsi strumenti di lavoro, in quanto strettamente funzionali a rendere la prestazione lavorativa. In termini generali ne consegue che i sistemi di geolocalizzazione, utilizzati per rispondere ad esigenze di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro, rappresentano un elemento “aggiunto” agli strumenti di lavoro, in quanto non utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione della prestazione lavorativa. I sistemi di localizzazione possono invece essere qualificati come veri e propri strumenti di lavoro (quindi non necessitare di accordo sindacale e/o autorizzazione amministrativa) quando siano installati per consentire la concreta ed effettiva attuazione della prestazione lavorativa (quindi ove la stessa non possa essere resa senza ricorrere all’uso di tali strumenti), ovvero quando l’installazione sia richiesta da specifiche normative di carattere legislativo o regolamentare (es. uso dei sistemi GPS per portavalori).
A tal proposito è intervenuto anche il Garante fornendo una serie di raccomandazioni per il corretto trattamento dei dati raccolti, fra cui:
i) configurare il sistema in modo da rilevare la posizione geografica con una cadenza temporale strettamente proporzionata alle finalità perseguite;
ii) consentire l’accesso a detti dati al solo personale incaricato;
iii) adottare misure volte alla cancellazione automatica dei dati dopo la decorrenza stabilita;
iv) adottare misure di tipo organizzativo al fine di anonimizzare i dati raccolti - il tutto previa informativa ai dipendenti nel rispetto del Codice Privacy
In conclusione, la situazione non è ancora totalmente chiara, e pertanto il controllo a distanza del lavoratore dovrà essere scelto dal datore di lavoro nel rispetto di quanto al momento 59
definito dalle citate norme. Si tenga inoltre presente che il problema è sicuramente molto evidente per i lavoratori in modalità telelavoro, il cui svolgimento non consente la totale libertà di orario ma soprattutto non prevede l’importante aspetto legato alla condivisione degli obiettivi tra azienda e lavoratore, mentre per i lavoratori in smart working l’obiettivo che caratterizza maggiormente tale modalità è proprio il summenzionato conseguimento di prefissati obiettivi con la (quasi) completa libertà di tempo e luogo.


Tutela della privacy, obblighi e responsabilità del datore di lavoro e dello smart worker;
L’azienda è astrattamente chiamata a rendere accessibile al lavoratore una serie di informazioni e documenti necessari all’esecuzione delle proprie mansioni, rimanendo al contempo onerata della protezione degli stessi, quindi del dovere di adottare misure idonee a prevenirne la perdita e/o la diffusione, tanto nel rispetto dei principi di Privacy nei confronti del lavoratore quanto a tutela dei propri interessi aziendali. Il download o la copia di documentazione aziendale sui devices o la possibilità per il lavoratore agile di connettersi a reti pubbliche, non adeguatamente protette, comprometterebbe le esigenze di protezione dei dati, riferiti tanto a segreti aziendali, quanto ai singoli lavoratori e financo a soggetti terzi, quali clienti o fornitori.
Sono però disponibili diversi devices per ovviare alle problematiche. L’utilità e l’efficacia di ogni accorgimento tecnico sarebbe tuttavia vanificato qualora lo smart worker adottasse una condotta rischiosa per la riservatezza dei dati.
La collaborazione di quest’ultimo si rivela dunque indispensabile alla tutela del patrimonio aziendale e dei dati da salvaguardare. Idonee a tal fine possono essere precise prescrizioni imposte dal datore di lavoro in ordine ai luoghi in cui è consentito rendere la prestazione lavorativa ovvero specifici divieti di comunicazioni delle credenziali di accesso a soggetti terzi - non è pertanto precluso al datore di lavoro di porre particolari limitazioni alla discrezionalità del lavoratore nella scelta delle modalità con cui renderla. Criteri prestabiliti inerenti al luogo in cui effettuare la prestazione - che quantomeno escludano siti particolarmente affollati nei quali soggetti terzi potrebbero agevolmente aver diretto accesso visivo alle attività e ai documenti aziendali -, purché specificati nell’accordo di smart working, potrebbero prevenire violazioni della Privacy a danno tanto del lavoratore quanto dell’impresa.
Fermo dunque l’obbligo per il datore di lavoro, anche quale titolare del trattamento dei dati, di prevedere misure tecniche ed organizzative adeguate a garantire la sicurezza informatica, ai fini del buon esito di un progetto di smart working è essenziale l’apporto del lavoratore, dal punto di vista della condotta e della conoscenza degli strumenti informatici. La formazione dello smart worker è dunque elemento fondamentale per prevenire rischi connessi alle vulnerabilità informatiche e a tutelare la privacy dei terzi e degli stessi lavoratori.


6.2 Comportamenti attesi del lavoratore
Consideriamo in primo luogo che la norma specifica prevede che “il lavoratore ha l’obbligo di cooperare all’attuazione delle specifiche misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione al di fuori dei locali aziendali” (rif. art. 22, comma 2 Legge 81/2017). Nel comma 2, si pone pertanto l’attenzione sul coinvolgimento diretto del lavoratore a cui viene concessa un’autonomia organizzativa nella scelta del luogo in cui svolgere l’attività lavorativa in modalità agile. La dottrina ha osservato che “l’obbligo di collaborazione del lavoratore agile vada oltre l’uso corretto degli strumenti tecnologici assegnati (pc, tablet, smartphone) e si concretizzi nella scelta del luogo di lavoro esterno ai locali aziendali secondo criteri di ragionevolezza”
³¹. Infatti l’art. 23, comma 2 della Legge n.81/2017, che delinea l’ambito di applicazione della copertura assicurativa dell’infortunio in itinere nel lavoro agile, prevede la tutela assicurativa del lavoratore “quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e deve rispondere a criteri di ragionevolezza”.
Infatti, come osservato in dottrina, se la scelta del “luogo esterno” fosse il frutto di una estemporanea e irragionevole decisione del lavoratore, le disposizioni indicate nell’art. 22, comma 2, della Legge n. 81/2017 resterebbero inattuate. L’assenza di una postazione fissa va pertanto intesa come “possibilità di svolgere la prestazione in luoghi diversi, esterni al perimetro aziendale, ma preventivamente concordati con il datore di lavoro, il quale potrebbe esercitare il potere di accesso di cui all’art. 3, comma 10, D.Lgs.81/2008”
³². E’ necessario tuttavia distinguere anche in questo caso la situazione tra il telelavoro, per il quale tale indicazione sembra pertinente, e il lavoro agile che non risulta sottoponibile ad una intesa azienda/lavoratore così strettamente controllabile sottovalutando che la modalità smart working sia impostata per obiettivi e non per orari e luoghi.
Il dipendente ha, inoltre, l’obbligo di osservare le direttive aziendali (anche in relazione ai tempi di riposo e alle misure tecniche e organizzative per garantire il diritto alla disconnessione) e collaborare all’attuazione delle misure di sicurezza predisposte dal datore di lavoro utilizzando gli strumenti tecnologici in sua dotazione, in conformità alle policy aziendali, per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali. La violazione degli obblighi di collaborazione, oltre alla rilevanza disciplinare, potrebbe determinare una limitazione di responsabilità in capo al datore di lavoro.


6.3 Aspetti di difficile applicazione: la verifica posti di lavoro a domicilio
Si ricorda che lo smart working è per definizione una prestazione “senza luogo” oltre che “senza orario” (working anytime, anywhere), ma comunque per il D.Lgs. 81/2008, il datore di lavoro è tenuto alla verifica della conformità dell’ambiente di lavoro che nel caso specifico risultano di difficile, e spesso impossibile, applicazione.
Ci soffermiamo innanzitutto sulle indicazioni relative allo svolgimento di attività lavorativa in ambienti indoor privati.
Queste sono le raccomandazioni generali per i locali
³³:
• “le attività lavorative non possono essere svolte in locali tecnici o locali non abitabili (ad es. soffitte, seminterrati, rustici, box);
• adeguata disponibilità di servizi igienici e acqua potabile e presenza di impianti a norma (elettrico, termoidraulico, ecc.) adeguatamente manutenuti;
• le superfici interne delle pareti non devono presentare tracce di condensazione permanente (muffe);
• i locali, eccettuati quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli debbono fruire di illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d'uso e, a tale scopo, devono avere una superficie finestrata idonea;
• i locali devono essere muniti di impianti di illuminazione artificiale, generale e localizzata, atti a garantire un adeguato comfort visivo agli occupanti”.
Sono riportate anche le indicazioni per l’illuminazione naturale ed artificiale:
• “si raccomanda, soprattutto nei mesi estivi, di schermare le finestre (ad es. con tendaggi, appropriato utilizzo delle tapparelle, ecc.) allo scopo di evitare l’abbagliamento e limitare l’esposizione diretta alle radiazioni solari;
• l’illuminazione generale e specifica (lampade da tavolo) deve essere tale da garantire un illuminamento sufficiente e un contrasto appropriato tra lo schermo e l’ambiente circostante.
• è importante collocare le lampade in modo tale da evitare abbagliamenti diretti e/o riflessi e la proiezione di ombre che ostacolino il compito visivo mentre si svolge l’attività lavorativa”.
Altri aspetti da verificare riguardano l’aerazione naturale ed artificiale:
• “è opportuno garantire il ricambio dell’aria naturale o con ventilazione meccanica;
• evitare di esporsi a correnti d’aria fastidiose che colpiscano una zona circoscritta del corpo (ad es. la nuca, le gambe, ecc.);
• gli eventuali impianti di condizionamento dell’aria devono essere a norma e regolarmente manutenuti; i sistemi filtranti dell’impianto e i recipienti eventuali per la raccolta della condensa, vanno regolarmente ispezionati e puliti e, se necessario, sostituiti;
• evitare di regolare la temperatura a livelli troppo alti o troppo bassi (a seconda della stagione) rispetto alla temperatura esterna;
• evitare l’inalazione attiva e passiva del fumo di tabacco, soprattutto negli ambienti chiusi, in quanto molto pericolosa per la salute umana”.
Non dobbiamo inoltre dimenticarci la possibilità dello svolgimento dell’attività lavorativa in ambienti outdoor, a prescindere dalle attuali limitazioni dovute alla pandemia Covid-19, che rende improbabile ed a volte impossibile tale scelta. Si indica che nello svolgere l’attività all’aperto “il lavoratore è tenuto ad adottare un comportamento coscienzioso e prudente, escludendo luoghi che lo esporrebbero a rischi aggiuntivi rispetto a quelli specifici della propria attività svolta in luoghi chiusi”
³⁴.
E’ infine opportuno non lavorare con dispositivi elettronici come tablet e smartphone o similari all’aperto, soprattutto se si nota una diminuzione di visibilità dei caratteri sullo schermo rispetto all’uso in locali al chiuso, dovuta a maggiore luminosità ambientale. All’aperto inoltre aumenta il rischio di riflessi sullo schermo o di abbagliamento. Pertanto le attività svolgibili all’aperto sarebbe opportuno limitarle alla lettura di documenti cartacei o a comunicazioni telefoniche o tramite servizi VOIP.
La verifica di tutte le indicazioni sopra riportate sembrerebbe imporre un sopralluogo fisico del datore di lavoro alla fine della verifica del rispetto delle condizioni definite ma, data la quasi impossibilità di verificare lo stato di tutti i luoghi di lavoro, pubblici o privati, in cui operano i lavoratori agili, sarebbe consigliabile almeno un autocontrollo con check list compilata dal lavoratore. Si ritiene inoltre che l’elemento fondante anche di questo onere in capo al datore di lavoro si possa ricondurre ad una specifica declinazione del percorso informativo e formativo del lavoratore come successivamente declinato nel paragrafo specifico.


6.4 Tutela del lavoratore
In termini di infortuni e malattia professionale il lavoratore agile ha diritto all’assicurazione obbligatoria INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alle prestazioni lavorative rese all’esterno dei locali aziendali (art. 23, comma 2). Dalla lettura della norma si evince che il legislatore ha voluto sottrarre dalla copertura assicurativa i rischi non strettamente connessi alle mansioni svolte, ma riconducibili ad una decisione arbitraria del lavoratore. Il lavoratore agile ha, altresì, diritto alla tutela contro gli infortuni in itinere occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, nei limiti e alle condizioni di cui al comma 3 dell'articolo 2, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza (art. 23, comma 2).
Tuttavia “non è chiaro se il luogo prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali debba essere preventivamente individuato dalle parti nell’accordo relativo alla modalità di lavoro agile o se tale indicazione non sia necessaria e quindi il lavoratore possa di volta in volta prescegliere il luogo ove svolgere la sua prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali”
³⁵.
In ogni caso si ricorda la disciplina vigente che prevede non indennizzabili dall’assicurazione gli infortuni derivanti da interruzioni o deviazioni del percorso del tutto indipendenti dal lavoro, o comunque non necessitate, che si verificano durante il percorso casa-lavoro. Sono invece coperte dall’assicurazione le soste brevi che non espongono l’assicurato a un rischio diverso da quello che avrebbe dovuto affrontare se il normale percorso casa-lavoro fosse stato compiuto senza soluzione di continuità. L’utilizzo del mezzo privato è consentito solo se necessitato per assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto e per la non percorribilità a piedi del tragitto, considerata la distanza tra l’abitazione e il luogo di lavoro.
Al riguardo l’INAIL tramite la circolare n. 48/2017 ha fornito le prime indicazioni operative affinché possa operare la copertura assicurativa dell’infortunio in itinere nelle modalità di lavoro agile introdotte dalla Legge n. 81/2017. Nello specifico l’INAIL ha chiarito che l’art. 23, comma 3 “circoscrive la ricorrenza dell’infortunio sul lavoro all’esistenza di una diretta connessione dell’evento con una prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, e ciò anche con riferimento all’infortunio in itinere, che viene riconosciuto solo quando la scelta del luogo della prestazione è dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza”.


6.5 Contenuti minimi degli accordi in materia di tutela, sicurezza e salute
Nell’ottica di semplificare la gestione degli adempimenti per la sicurezza, il legislatore nella Legge n.81/2017 ha definito un impianto normativo sul piano della salute e della sicurezza del lavoratore agile piuttosto minimalistico e soprattutto ponendolo a carico quasi totalmente del datore di lavoro ripetendo un approccio relativo alla sua responsabilità oggi superato se consideriamo tali adempimenti sostanzialmente inattuabili ad una modalità innovativa come il lavoro agile. La Legge n. 81/2017 pur contenendo alcune disposizioni in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori che hanno l’obiettivo di semplificare il sistema di tutela e prevenzione stabilito per il lavoro agile rispetto alla disciplina del telelavoro non consente, probabilmente per carenza di approfondimento nel merito, una risoluzione dei problemi legati all’attuazione della norma in ambiti di lavoro che sono spesso sostanzialmente privati.
Il profilo più critico della normativa sul lavoro agile attiene pertanto agli obblighi di sicurezza sul lavoro, sia per l’assenza di riferimenti spazio-temporali della prestazione, sia per la presenza di una normativa eccessivamente generica con implicito rinvio agli accordi individuali o collettivi. Malgrado l’assenza nel dettato normativo introdotto dalla Legge n. 81/2017 di un espresso rinvio al d.lgs. n.81/2008, che sarebbe senza dubbio utile sottoporre a specifica analisi e modifiche, si ritiene che, stante la riconducibilità del lavoro agile alla fattispecie del “lavoro a distanza” di cui all’art. 3, comma 10, d.lgs. n.81/2008, le previsioni di salute e sicurezza sul lavoro contenute nella Legge n. 81/2017 vadano raccordate con le disposizioni generali in materia di salute e sicurezza sul lavoro previste dal d.lgs. n.81/2008 che riguardano tutti i lavoratori compresi quelli a domicilio, prevedendo un dettaglio sui compiti delle figure previste nell’organizzazione aziendale della sicurezza e sulle modalità della loro attuazione.
L’art. 18 comma 2 della Legge n. 81/2017 individua il datore di lavoro come responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per l’espletamento della propria prestazione in regime di smart working. Ricordiamo tuttavia che, anche se l’art. 18 comma 2, Legge n. 81/2017 menziona solo gli strumenti tecnologici, la responsabilità del datore di lavoro attiene a tutti gli strumenti assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa indipendentemente dalla natura tecnologica degli stessi. A tal proposito gli obblighi imposti al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c. in tema di tutela delle condizioni di lavoro si riferiscono non solo alle attrezzature, ai macchinari ed ai servizi che il datore di lavoro fornisce, ma anche all’ambiente di lavoro.
Con specifico riferimento alla strumentazione tecnologica che costituisce un elemento essenziale della prestazione in “esterno” e più in generale del patto di agilità, si ritiene opportuno attivare quanto stabilito dall’art. 3, comma 10, d.lgs. n. 81/2008 in tema di telelavoro a norma del quale “a tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico, compresi quelli di cui al D.P.R. n. 70/1999 e di cui all’accordo quadro europeo sul telelavoro concluso il 16 luglio 2002, si applicano le disposizioni di cui al titolo VII, indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la prestazione stessa”. Considerando la carenza di approfondimento di un tema così delicato nella Legge 81/2017, ne consegue l’applicabilità ai lavoratori agili delle disposizioni del titolo VII del d.lgs. n. 81/2008 (artt. 172-178) relative alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori che utilizzano i videoterminali, aspetto estremamente critico data la più volte citata difficoltà (a volte impossibilità) di verificare lo stato e la collocazione delle attrezzature necessarie fornite, per non parlare dei luoghi di lavoro spesso coincidenti con gli ambienti privati.
L’art. 22 della Legge n. 81/2017 rubricato “Sicurezza del Lavoro” definisce gli obblighi del datore di lavoro e del lavoratore agile in materia di sicurezza sul lavoro nel caso di svolgimento della prestazione in modalità di lavoro agile. Al fine di tutelare la salute e la sicurezza il datore di lavoro deve consegnare al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), un’informativa scritta annuale nella quale sono individuati i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro (art. 22, comma 1). Questo è al momento l’unico strumento concesso al DDL per ottemperare a quanto la norma prevede in merito alla tutela dai rischi derivanti dall’utilizzo di spazi e locali di lavoro non controllabili in maniera continua, anche in relazione alla norma sulla Privacy già in precedenza trattata.
Appare quindi oggi difficile per il datore di lavoro adempiere all’obbligo di garanzia prevenzionistica in materia di salute e sicurezza sul lavoro con la mera consegna dell’informativa quando la prestazione lavorativa viene svolta al di fuori dai locali aziendali. Venendo meno infatti, per espressa previsione legislativa, i vincoli di luogo e di orario di svolgimento della prestazione lavorativa, il datore di lavoro non può incidere direttamente sul comportamento del lavoratore, perché non ha la supervisione diretta dell’ambiente lavorativo e del rischio legato alla prestazione lavorativa (salvo quanto può essere determinato da uno specifico percorso formativo come nel successivo paragrafo riguardante la formazione).
Gli obblighi di sicurezza del datore di lavoro ricordiamo inoltre che non si esauriscono con la semplice informativa aggiuntiva. La previsione contenuta nell’art.22 comma 1 Legge n. 81/2017 va infatti raccordata con gli obblighi di informazione e formazione, previsti dagli artt. 36 e 37 del d.lgs. n.81/2008, che riguardano tutti i lavoratori (compresi quelli a domicilio) stante la riconducibilità del lavoro agile nell’ambito del lavoro a distanza. Gli obblighi di informazione e formazione devono essere necessariamente adattati alla specifica configurazione della prestazione lavorativa resa in modo agile e all’impossibilità per il datore di lavoro di controllare il luogo di adempimento della prestazione sottratto alla sfera della sua disponibilità.
Pertanto, all’obbligo del datore di lavoro di consegnare al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) l’informativa scritta, deve aggiungersi l’obbligo da parte del datore di lavoro di fornire una adeguata informazione e formazione sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività dell’impresa in generale, sui rischi specifici cui il lavoratore è esposto in relazione all’attività svolta, sulle normative di sicurezza, sulle disposizioni aziendali in materia e sulle attività di protezione e prevenzione adottate.
E’ importante ricordare che il datore di lavoro deve fornire dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate al lavoratore, e nel caso in cui fornisca le attrezzature, verificare che siano conformi ai requisiti di sicurezza indicati nel titolo III del Testo Unico sulla salute e sicurezza del lavoro.


Diritto alla disconnessione
Tra i rischi non annoverati va ricordato che il nuovo modello organizzativo e produttivo, improntato al principio del working anytime, anywhere, un aspetto di grande rilevanza connesso alla tutela della salute e sicurezza in modalità smart working è quello legato al “diritto alla disconnessione” dalle strumentazioni informatiche e tecnologiche, introdotto nel nostro ordinamento con l’art. 19, comma 1, della Legge n. 81/2017, quale strumento idoneo a prevenire i rischi per la salute psicofisica del lavoratore derivanti da un eccesso di lavoro e a mantenere una distinzione tra sfera privata e sfera professionale ai fini di un bilanciamento tra tempi di vita e di lavoro (work-life balance).
Il diritto alla disconnessione è “il diritto del lavoratore a non essere raggiungibile o contattabile, rispondendo al telefono o alle mail (disconnessione tecnica) ovvero il diritto a concentrare la propria attenzione su qualcosa di diverso rispetto al lavoro (disconnessione intellettuale) recuperando le proprie energie psico-fisiche”
³⁶. Il diritto alla disconnessione è speculare ad un “dovere di disconnessione”, che spetta al datore di lavoro disciplinare nel quadro della nuova organizzazione del lavoro per «fasi, cicli e obiettivi» che caratterizza il lavoro agile.
Il lavoratore agile appare particolarmente esposto all’intensificazione dei ritmi (iper connessione, overworking, dipendenza tecnologica, assenza di tempi di recupero) all’isolamento e alla connotazione labile dei confini tra spazi/tempi lavorativi e non lavorativi, variabili in parte compensate dalla soppressione dei tempi di spostamento casa/lavoro e dall’autonomia nella gestione del tempo. In ogni caso, il datore di lavoro deve evitare che il lavoratore agile, che svolge la propria attività lavorativa da remoto attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici, sia sottoposto a stress da eccesso di lavoro o esposto al rischio di cosiddetto burn out. Per tale motivo il legislatore ha stabilito che il datore di lavoro deve garantire “i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro” (art. 19 comma 1 Legge n. 81/2017). La norma precisa che, nell’esercizio della prestazione di smart working, il dipendente ha l’obbligo di osservare le direttive aziendali anche in relazione ai tempi di riposo e alle misure tecniche e organizzative attuate per garantire il cosiddetto diritto alla disconnessione, utilizzando la strumentazione fornita secondo le istruzioni ricevute.
Nel privato esistono già condizioni interne contrattuali che hanno limitato il problema con soluzioni facilmente applicabili, come ad esempio la fornitura di smartphone aziendale che il lavoratore agile può decidere di non usare (possibilmente spegnendolo) evitando così di trovarsi ad essere reperibile costantemente fino al limite del 24/7.
E’ chiaro pertanto che non è possibile parlare di “disconnessione” se prima non si provvede a introdurre nella normativa sufficiente chiarezza in merito al lavoro agile, soprattutto introducendo opportune indicazioni per rendere effettivo il lavoro per obiettivi in tale modalità, presupposto non solo fondamentale per questa nuova modalità di lavoro attraverso una gestione dei tempi di lavoro e dei tempi di riposo che sia non solo flessibile, ma altresì di aiuto anche alla necessaria evoluzione del diritto del lavoro nell’ambito della moderna organizzazione dell’impresa.
In questo senso, come osservato in dottrina, per la piena applicabilità della disciplina in materia di disconnessione dalle strumentazioni informatiche appare centrale il ruolo della formazione rispetto alla gestione dei tempi di lavoro nell’epoca della destrutturazione spazio-temporale della prestazione lavorativa, ai fini di un corretto bilanciamento tra tempi di vita e di lavoro (work-life balance).


6.6 Aspetti di formazione ed informazione del lavoratore
La formazione in materia di salute e sicurezza è attualmente definita dal percorso previsto dagli Accordi Stato Regioni del 21/12/2011 e del 07/07/2016, ma tale percorso si declina su una prospettiva giuridica e tende a definire fattispecie valide erga omnes, ovvero generalizzabili in un ventaglio di contesti il più ampio possibile.
Per lo smart worker la prospettiva varia e pone grande attenzione alla specificità del contesto di riferimento, cioè, in questo caso, all’organizzazione, alla sua cultura, e al clima che vi si respira: la finalità principale di qualsiasi intervento formativo in tale campo è quella di promuovere la salute sul luogo di lavoro, nella sua accezione più ampia di benessere lavorativo. Necessita di una formazione che ha come scopo un intervento finalizzato ad un cambiamento effettivo degli atteggiamenti e dei comportamenti di tutti i membri di un determinato contesto lavorativo, indipendentemente dal livello di responsabilità: è necessaria la consapevolezza di sé, dei propri limiti e del contesto in cui si lavora.
Le mansioni svolte in modalità smart working essendo in genere meno rischiose rispetto a quelle legate alla produzione o alle costruzioni, dovrebbero contribuire ad un miglioramento del clima e del benessere, aiutando a progettare le soluzioni organizzative e logistiche più idonee al raggiungimento di tale obiettivo. Appare chiaro pertanto che il tradizionale approccio alla formazione dei lavoratori deve essere superato, mantenendo comunque un’analisi dei rischi a cui è soggetto chi svolge le proprie mansioni con attrezzature come i videoterminali e presso postazioni tipiche degli uffici o di chi più genericamente rientra nel settore terziario, ma aprendo ad argomenti e a modalità completamente nuove.
In relazione al contesto lavorativo a distanza non va escluso in alcun modo un tempo da dedicare ad attività di autoformazione e di apprendimento nei contesti informali tradizionali (seminari, convegni, fiere, ecc.) e di nuova generazione (webinar, motori di ricerca, videotutorial, ecc.).
Per queste attività, seppur guidate e verificate, è consigliabile prevedere un monte ore annuo di autoformazione ma che deve essere verificato dal datore di lavoro ed eventualmente, qualora tale formazione fosse necessario che venisse riconosciuta all’interno degli obblighi di aggiornamento previsti dalla norma, certificato in questi casi dagli enti formatori accreditati (si suggerisce pertanto la progettazione preventiva in termini di contenuti e counselling).
Questo approccio è ancora più pertinente per le professioni ad alto contenuto creativo ed intellettuale (consulenti, ricercatori, formatori, esperti di marketing, ecc.) che richiedono un continuo aggiornamento professionale. Le potenzialità offerte dalla rete non si possono né sottovalutare né sfruttare in maniera acritica: per evitare che la ridondanza delle informazioni presenti su internet si trasformi in “rumore” e false credenze alimentate da fake news, bisogna rinforzare le capacità di ognuno di apprendere ad apprendere, specie in riferimento al contesto telematico. Saper distinguere le opinioni dai dati, trovare dati effettivamente significativi, risalire alle fonti e verificarne l’attendibilità, saper leggere e interpretare grafici e tabelle, saper fare sintesi nella massa dei big data sarà sempre di più una competenza richiesta ai lavoratori della conoscenza in generale, ed ai lavoratori agili in particolare.
La progettazione della formazione necessaria dovrebbe prevedere alcuni argomenti tradizionali tra i quali:
- l’identificazione dei principali rischi presenti anche in ambito privato e domestico (già chiaramente identificati nei precedenti paragrafi del presente documento)
- le misure di prevenzione e protezione presenti negli ambienti di lavoro condivisi a cui ha provveduto l’azienda in caso di co-working
- le misure di prevenzione e protezione necessarie e applicabili in ambito domestico
- la necessità di trasmissione di informazioni sullo stato delle postazioni e dell’ambiente di lavoro da parte del lavoratore agile (per postazioni sia in co-working, sia domestiche)
ma anche ulteriori steps come ad esempio:
- progettazione della formazione e dell’autoformazione tramite interviste, comprese le indicazioni delle fonti e la capacità di riconoscere le fonti attendibili
- elementi di digital divide, tramite training on the job e mentoring (come ad esempio l’insegnamento tramite affiancamento)
- lavori e progetti (diritto al distacco, identificazione di indicatori di performance) da assegnare a gruppi di lavoratori
- problem solving e capacità di gestire il cambiamento
La finalità pertanto non è soltanto la maggiore riduzione possibile dei rischi a cui sono esposti anche i lavoratori agili ma anche contrastare alcuni dei principali rischi legati allo smart working, quali l’isolamento e il senso di esclusione, promuovendo una conoscenza più approfondita tra i lavoratori, il senso di appartenenza ad una comunità e lo spirito di squadra.
Nei Paesi anglosassoni da molto tempo è stata promossa una formazione particolare per chi opera in smart working. Lo scopo prevede ad esempio per i datori di lavoro che forniscono le necessarie strumentazioni elettroniche per lavorare a distanza, “l’obbligo di formare i lavoratori su qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza da esse derivanti, sulla valutazione di tali rischi, e sulle risorse per aiutarli a limitarli”, viceversa “anche i lavoratori hanno l’obbligo normativo di seguire le istruzioni e il training ricevuto, e di usare le strumentazioni fornite con la finalità di utilizzarle correttamente e di ridurre i rischi.”
³⁷
Il percorso deve essere continuativo e sarebbe utile che venisse previsto in quantità superiore a quanto indicato dalla norma attualmente in vigore (D.Lgs. 81/2008 e Accordi Stato Regioni del 21/12/2011 e del 07/07/2016) che per i lavoratori a rischio basso (tale classificazione comprende i lavoratori agili assimilabili agli impiegati) prevede 8 ore di formazione ai neo assunti e per tutti soltanto 6 ore di aggiornamento ogni 5 anni.
Si consiglia pertanto a tutti gli esperti che svolgono attività di consulenza o di formazione in materia di sicurezza di sensibilizzare i datori di lavori perché aumentino comunque lo spessore della formazione da somministrare agli smart workers sia in termini di tempo che in termini di qualità. Questo approccio fornirebbe maggiori garanzie anche a livello giuridico, considerando che l’unico strumento a disposizione delle aziende per tutelare i lavoratori agili è l’aumento delle loro conoscenze e competenze in merito alla sicurezza in ambienti completamente diversi dal tradizionale ufficio aziendale, dato che l’azienda non è certamente in grado, e probabilmente non le è consentito, di garantire un continuo monitoraggio e verifica del rispetto della sicurezza presso ambienti privati.
Quanto indicato è necessario e applicabile, anche se probabilmente in quantità minore, per i lavoratori agili che non svolgono le proprie mansioni in privato ma utilizzando locali di coworking, più simili in alcuni casi ai tradizionali uffici ma in condizioni di lavoro completamente diverse rispetto ad essi.
Il d.lgs. 81/2008 prevede l’obbligo del datore di lavoro di impartire ai lavoratori e alle loro rappresentanze una formazione specifica in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Nel caso di violazione dei suddetti obblighi l’art. 55, comma 5, lett. c) del D.Lgs.81/2008 e successive mm.ii. prevede che siano comminate delle sanzioni al datore di lavoro, commisurate al numero dei lavoratori impiegati.


7. Conclusioni e obiettivi del documento
L’argomento oggetto della presente linea di indirizzo richiederebbe un approfondimento di informazioni. Come chiaramente evidenziato, le modalità di svolgimento del lavoro agile, la probabile intersezione e a volte sovrapposizione con aspetti comuni ad altre nuove tipologie di lavoro (a distanza, in solitudine, in co-working, in telelavoro, ecc.), la numerosa varietà di rischi in parte già noti o in parte emersi negli ultimi anni, le novità legate al cambiamento importante dei luoghi di lavoro rispetto ai normali uffici aziendali o reparti aziendali, richiederebbero infatti non soltanto maggiori approfondimenti della materia ma soprattutto nuove indicazioni da parte del legislatore.
La risoluzione dei problemi legati ai rischi per la sicurezza e la salute derivanti dallo svolgimento in modalità diverse delle proprie mansioni, sia in relazione ai tempi che agli ambienti di lavoro utilizzati, chiaramente diversi e nuovi rispetto al passato ma anche legati alla necessità di una diversa organizzazione del lavoro stesso, non è probabile che avvenga in tempi brevi.
Sarebbe innanzitutto opportuno che la normativa fornisse regole e obblighi più chiari, considerando soprattutto che la gestione del rischio richiede un coinvolgimento (anche in merito alle responsabilità) sia dei datori di lavoro e dei RSPP come da tempo previsto, ma anche dei lavoratori stessi, dovendo gli stessi occuparsi direttamente e spesso autonomamente della gestione del proprio operato. Inoltre la normativa dovrebbe fornire precise indicazioni ai soggetti interessati per consentire una maggiore tutela di chi lavora secondo modalità nuove, non limitandosi all’obbligo di trasmissione dell’informativa annuale sui rischi, ma prevedendo il coinvolgimento del lavoratore stesso nella valutazione dei rischi e soprattutto chiarisca la durata e i contenuti minimi della formazione specifica che egli necessita.
Pertanto, in considerazione dello scarso approfondimento contenuto nella norma vigente, si è ritenuto opportuno fornire ai colleghi esperti di sicurezza un insieme di informazioni utili per migliorare la propria conoscenza in merito ai rischi derivanti dalla modalità di lavoro agile e alla necessaria nuova gestione delle misure di prevenzione e protezione dei lavoratori coinvolti.
E’ infine importante ribadire la fondamentale necessità di rivedere e conseguentemente ridefinire l’informazione, la formazione e l’addestramento strumenti indispensabili ma ancora assenti per i lavoratori che si troveranno ad operare in smart working, considerando che questo ulteriore passo per migliorare la tutela della loro salute e sicurezza sarà imprescindibile. In buona parte dell’Unione Europea, e non solo, questo aspetto è già stato approfondito e applicato da tempo.
In buona parte dell'Unione Europea, e non solo, questo aspetto è già stato approfondito nonché applicato da tempo anche - e soprattutto - in un'ottica di riqualificazione (reskilling) strutturale ed inclusiva dei lavoratori stessi che risulta imprescindibile alla luce degli obiettivi di sviluppo occupazionale e sociale attesi nei prossimi anni.
Anche il World Economic Forum ha trattato questo tema nel proprio report
³⁸ in merito ai "lavori del futuro" che sottintende una necessità radicale di attualizzazione delle abilità lavorative già a breve-medio termine.

 

ALLEGATO 1
ELENCO NORMATIVE E FONTI BIBIOGRAFICHE

Normative applicabili (elenco non esaustivo a mero titolo di esempio):
✓ D.Lgs. 81/08 e s.m.i. - Titolo VII (Attrezzature munite di videoterminali);
✓ D.Lgs. 81/08 e s.m.i. - Titolo VIII (Agenti fisici) capo I (Disposizioni generali) e capo II (Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro);
✓ UNI 9432:2011 (Acustica - Determinazione del livello di esposizione personale al rumore nell’ambiente di lavoro);
✓ UNI EN ISO 9612:2011 (Acustica - Determinazione dell'esposizione al rumore negli ambienti di lavoro - Metodo tecnico progettuale);
✓ D.Lgs. 81/08 e s.m.i. - Titolo IX (Sostanze pericolose);
✓ D.M. 10/03/98 (Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro);
✓ D.P.R. 151/11 (Regolamento di semplificazione di Prevenzioni Incendi);
✓ D.Lgs. 81/08 e s.m.i. - Titolo VIII (Agenti fisici) capo IV (Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici);
✓ Direttiva 2013/35/UE del 26 giugno 2013 (disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici));
✓ D.Lgs. 159/16 (Attuazione della direttiva 2013/35/UE sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) e che abroga la direttiva 2004/40/CE);
✓ CEI EN 50499 “Procedura per la valutazione dell’esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici”;
✓ Linea guida INAIL “La metodologia per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato - Manuale ad uso delle aziende in attuazione del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.” Edizione 2017;
✓ D.Lgs. 81/08 e s.m.i. - Titolo II (Luoghi di lavoro) allegato IV (requisiti dei luoghi di lavoro) e dal titolo VIII (Agenti fisici) Capo I (Disposizioni generali) - art. 180 (Definizioni e campo di applicazione);
✓ UNI EN ISO 7730:2006 (Ergonomia degli ambienti termici - Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere termico locale);
✓ D.Lgs. 81/08 e s.m.i. - Titolo III (Uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale) - Capo III (Impianti e apparecchiature elettriche);
✓ Legge 81 del 22 maggio 2017 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato);
✓ D.Lgs. 81/08 e s.m.i. - Titolo II (Luoghi di lavoro) Capo I (Disposizioni generali);
✓ UNI EN 12464-1 (Illuminazione dei Luoghi di Lavoro - requisiti illuminotecnici per i posti di lavoro in interno) e UNI EN 12464-2 (Illuminazione dei Luoghi di Lavoro- requisiti illuminotecnici per i posti di lavoro in esterno).


Fonti bibliografiche
✓ Aa.vv., Building resilience & maintaining innovation in a hybrid world, Microsoft, 2020.
✓ Aa.vv., Composti Organici Volatili (COV), Ministero della Salute, 2015.
✓ Aa.vv., Indoor air quality: tackling inkjet printer fumes, vol. 43, Purex International, 2006, pp. 40-41.
✓ Aa.vv., Ozono (O3), Ministero della Salute, 2015.
✓ Aa.vv., HOME OFFICE, MOBILE OFFICE - Managing remote working, IOSH United Kingdom, December 2014
✓ A. Noto, Pandemia: il 55% soffre di solitudine, disagio sempre più forte tra i giovani, Il Sole 24 Ore, 2020.
✓ B. Ramalingam, Innovation Management, Innovation Ecosystems and Humanitarian Innovation, UK
✓ Department for International Development (DFID), 2014.
✓ B. Stetka, Media Multitasking Disrupts Memory, Even in Young Adults, 2020.
✓ D. N. U. Ewers, Health hazards caused by emissions of laser printers and copiers?, vol. 66, 2006, pp. 203-210.
✓ G. Sclip, A cura di, "La sicurezza sul lavoro dei ricercatori in zone a rischio geopolitico", EUT, 2017.
✓ K. Madore, Memory failure predicted by attention lapsing and media multitasking, 2020.
✓ M. Bonechi, “I giornalisti e la sicurezza sul lavoro: comportamento, rischi, prevenzione”, AST, 2018.
✓ M. Koller, Stampanti laser, fotocopiatrici e toner: pericoli per la salute, SUVA, 2015.
✓ INFN, Stampanti laser, fotocopiatrici e toner: pericoli per la salute e per la sicurezza, INFN, 2013.
✓ K. I. Goud, DNA Damage and Repair Studies in Individuals Working with Photocopying Machines, vol. 1, 2001, pp. 139-143.
✓ R. Nunin, "Rischio geopolitico ed attività di ricerca: alcune osservazioni in materia di valutazione, prevenzione e responsabilità", DSL, 2016.
✓ K. S. Murugiah Souppaya, Guide to Enterprise Telework, Remote Access, and Bring Your Own Device (BYOD) Security, 2016.
✓ Panasonic, Il lavoro al sicuro. Guida alla scelta dei dispositivi rugged, 01Net / Tecniche Nuove, 2020.
✓ VmWare, Which Helps You Build a Future Ready Workforce?, VmWare, 2020.

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1 Ed Milnes C.ErgHF, Sarah Tapley C.ErgHF “Mobile Working Risk Management System - Guidance on managing the musculoskeletal risks from mobile working” - C.I.E.H.F. Chartered Institute of Ergonomics & Human Factors - 2018

2 Legge 22 maggio 2017 n.81, Cap II, Art. 18, "Lavoro agile".
3 Resta inderogabile il dovere del datore di lavoro di identificare i rischi specifici cui sono esposti i lavoratori anche nelle sedi prescelte per lo svolgimento del lavoro agile. In questo contesto si
4 Secondo la classificazione del TU 81/08, Allegato II, nonché al netto delle debite eccezioni relative a professioni con un profilo di rischio effettivo ben diverso da quello teorizzato dalla normativa.

5 IOSH "Home office mobile office full report" - 2014

6 IOSH "Home office mobile office full report" - 2014

7 Solo nel 2015, il 17% dei lavoratori dell’UE ha riferito di essere esposto a prodotti o sostanze chimiche per almeno un quarto del proprio tempo lavorativo; in particolare, il 15% ha riferito di respirare fumi, polveri o pulvisc
8 Solo le intossicazioni dovute all'incauto utilizzo di prodotti domestici rappresentano circa il 27% di tutte le chiamate ricevute dal Centro Antiveleni di Milano. I soggetti più coinvolti sono bambini di età inferiore ai 5 anni.

9 Si consiglia, ad esempio, di evitare la vicinanza a fonti d'interferenza elettrica (es. forno a microonde), oppure a fonti di calore diretto (es. radiatori, termoarredi) che potrebbero danneggiare i dispositivi.

10 È il caso di foto e/o filmati di natura personale che possono includere accidentalmente in secondo piano dettagli di documenti, luoghi, attrezzature ecc. coperti da accordi di riservatezza e/o dal segreto professionale.

11 Malattia professionale ormai riconosciuta sin dalle prime sentenze in merito emessa dalla Procura di Torino a partire dal 2007.
12 Science, Technology, Engineering and Mathematics.
13 L'ansia può manifestarsi sotto forma di generico nervosismo legato alle difficoltà nel gestire i dispositivi e/o i software in continuo aggiornamento (l'impressione di "non essere adeguati e al passo coi tempi"), ma anche assumere toni ossessivi dovuti al timore di non risultare abbastanza "presenti" in termini di ore di connessione e/o reperibilità quotidiana (la sensazione di "essere tagliati fuori"). A livello di organizzazione del lavoro, poi, tutto ciò si può tramutare in ansia da controllo / micromanagement nei confronti di sottoposti e collaboratori.

14 "Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed
15 https://www.cdcraee.it/
16 Classificazione dei RAEE [Fonte CdC RAEE]

17 Il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle associazioni.
18 Regolamento Generale UE n. 2016/679 sulla Protezione dei Dati (GDPR).
19 Secondo le stime del Gruppo Leonardo, si stima che - entro il 2021 - i costi complessivi sostenuti per la protezione e le conseguenze dei cyber-attacchi supereranno i mille miliardi di dollari. Il mercato dei prodotti e servizi è stimato in 180 miliardi.
20 Ad oggi, esiste un espresso divieto riguardo a qualunque uso di qualsivoglia mezzo che consenta il controllo a distanza dei lavoratori. Va ricordato, infatti, come gli strumenti «...dai quali derivi anche la possibilità di con-trollo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo» (Art. 4 dello Statuto dei lavoratori; L. 20 maggio 1970, n. 300)
21 BYOD (Bring Your Own Device), ossia la politica aziendale - divenuta particolarmente comune specie durante la prima fase dell'emergenza sanitaria - che permette di ricorrere ai propri dispositivi personali nel posto di lavoro, usandoli per avere gli accessi privilegiati alle informazioni aziendali e alle loro applicazioni.

22 Come lo "sharenting", neologismo derivante dall'unione dei termini "sharing" (condivisione) e "parenting" (genitorialità), ossia la condivisione sui social media di immagini dei propri figli.
23 È il caso di un estraneo non consenziente ed accidentalmente ripreso in secondo piano nel corso di una videoconferenza avviata in un luogo pubblico.
24 Per quel che concerne gli aspetti prettamente operativi e metodologici di tali azioni si rimanda alle fonti specializzate, tra cui figurano numerosi interessanti contributi condivisi, ad esempio, dal Comitato Italiano dell’Ingegneria dell'Informazione (C3i).

25 In termini generali, i toner sono sostanze consumabili costituite da minute particelle polimeriche con dimensioni compres
26 L'ozono (O3) è un gas composto da molecole instabili con un odore pungente e dotato di grande reattività la cui inalazion
27 Es. Benzolo, stirolo, toluolo, etilbenzolo, xilolo, fenoli, aldeidi e chetoni [17].
28 L'intossicazione da metiletilchetone può portare a conseguenze che vanno dall'irritazione oculare alla polineuropatia (in
29 Alcune tipologie di prodotti possono alterarsi (es. seccarsi, perdere gel ecc.) già dopo uno o due anni di conservazione.

30 Bisfenolo A e bisfenolo S.

31 Rif. Euroconference lavoro - Il lavoro agile: diritti e obblighi del datore di lavoro e del lavoratore disciplinati dalla L. 81/2017 di Anna Rivara
32 Rif. Guida pratica al lavoro agile dopo la legge 81/2017 Emanuele Dagnino, Marco Menegotto, Lorenzo Maria Pelusi, Michele TiraboschiAdapt University Press

33 Fonte: informativa INAIL sulla sicurezza nel lavoro agile ai sensi dell’art. 22, comma 1, l. 81/2017

34 Rif. informativa lavoro agile ai sensi dell’art. 22 comma 1 l.81/2017 INAIL

35 SAF Scuola di alta formazione Luigi Martino - Fondazione Commercialisti ODCEC Milano - Quaderno 76

36 Rivista Lavoro Diritti Europa “La disconnessione della relazione subordinata” Federico Avanzi

37 Ed Milnes C.ErgHF, Sarah Tapley C.ErgHF “Mobile Working Risk Management System - Guidance on managing the musculoskeletal risks from mobile working” - C.I.E.H.F. Chartered Institute of Ergonomics & Human Factors - 2018

38 The Future of Jobs Report 2020 - World Economic Forum October 2020 - Saadia Zahidi (Member of Managing Board) Vesselina Ratcheva (Insight Lead, Benchmarking Practice) Guillaume Hingel (Insight Lead, Benchmarking Practice) Sophie Brown (Project Specialist) -https://bit.ly/2ONJWVA


fonte: cni.it