Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 01 luglio 2021, n. 25062 - Infortunio mortale provocato dall'urto del braccio meccanico dell'autobetonpompa contro il cavo nudo della linea elettrica


 

 

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 27/05/2021
 

 

Fatto
 



1. La Corte d'appello di Salerno, in data 18 ottobre 2019, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata il 25 settembre 2018 nei confronti di G.M. dal Tribunale di Salerno in composizione monocratica, ha condannato lo stesso G.M. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di omicidio colposo, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (in specie dell'art. 20, D.Lgs. 81/2008), contestato come commesso in Bellizzi il 18 aprile 2013.
L'addebito mosso al G.M., dipendente della ditta T.E., é quello di avere provocato la morte di A.L. (lavoratore della ditta NADI s.r.l.), in occasione di una manovra di getto di calcestruzzo effettuata con un'autobetonpompa condotta dal G.M., all'interno di un cantiere edile, in prossimità di una linea elettrica dell'alta tensione; secondo l'addebito, durante la manovra, il braccio meccanico dell'autobetonpompa urtava contro il cavo nudo della predetta linea elettrica, che si tranciava e cadeva in parte al suolo, provocando la folgorazione del A.L., che moriva il giorno dopo il sinistro.
La Corte di merito, nel ricostruire la dinamica dell'incidente, ha affermato che il G.M., dopo essersi consultato con il A.L. in relazione alle difficoltà ad entrare nel cantiere con il mezzo, aveva poi posizionato l'autobetonpompa all'ingresso del cantiere, azionando poi il braccio meccanico mediante un radiocomando; inizialmente il tubo flessibile da cui fuoriusciva il calcestruzzo era mantenuto con la mano da altro operaio presente (tale G.A.) per orientare il getto; successivamente il tubo era stato preso in mano dal A.L., mentre il G.A. era intento a stendere il calcestruzzo; in quel frangente il A.L. veniva improvvisamente colto dalla scarica elettrica. La ricostruzione della condotta colposa ascritta al G.M. ex art. 20 D.Lgs. 81/2008 (laddove la norma dispone che il lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro) si é basata nell'essenziale su quanto accertato dal consulente tecnico del Pubblico ministero, ing. Bernini, secondo il quale il G.M. avrebbe effettuato una manovra azzardata nell'azionare il braccio del mezzo per ritrarlo (atteso che, nell'effettuare la manovra, egli avrebbe provocato l'urto del braccio contro il cavo elettrico) per non avere rispettato la normativa che gli imponeva di ottenere il distacco dell'energia elettrica ovvero, in alternativa, di osservare la debita distanza del braccio (circa 29 metri) dal traliccio dell'Enel. Di tale valutazione, osserva la Corte di merito, il primo giudice non aveva tenuto conto nella sua sentenza assolutoria, di tal che non é stato ritenuto necessario procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ex art . 603, comma 3-bis, cod.proc.pen ..

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il G.M., deducendo un unico motivo di lagnanza nel quale denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al travisamento di alcune fonti di prova reputate decisive: in primo luogo, sulla base delle dichiarazioni testimoniali rese dai testi G.A. e DC., risulta che la vittima A.L. - cui il G.M. si era rivolto all'inizio, avendo rilevato le difficoltà di accedere al cantiere con l'autobetonpompa - non era un dipendente qualsiasi, ma era responsabile del cantiere e responsabile per la sicurezza e, di fatto, dirigeva i lavori; di tal che non risponde a verità quanto affermato dalla Corte di merito circa l'inesistenza di prove che il A.L. dovesse garantire la sicurezza sul cantiere. Non é poi vero che l'incidente si verificò dopo il completamento del getto di calcestruzzo, atteso che - come affermato dal teste G.A. - era stata ultimata soltanto la prima gettata e rimaneva da fare la seconda; del pari, la Corte di merito non si confronta con la relazione dell'ispettore A.D., che esclude qualsivoglia responsabilità del G.M. per l'accaduto. A sostegno delle ragioni del ricorso, il deducente allega alcuni atti processuali (verbali di esame dei testi G.A. e DC., relazione dell'isp. A.D.).

 

Diritto




1. Il ricorso é inammissibile in quanto personalmente sottoscritto dall'imputato, in violazione del disposto di cui al testo vigente dell'articolo 613 cod.proc.pen., come modificato dall'art. 1, c. 63, legge n. 103/2017, il quale stabilisce che l'atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, esclusivamente da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di Cassazione, essendo caduta nel nuovo testo dalle disposizione la clausola «salvo che la parte non vi provveda personalmente». Perciò il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non può più essere proposto personalmente dalla parte (Sez. U, Sentenza n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272010).
A nulla rileva il fatto che, in calce alla firma del ricorrente, l'avv. Tedesco - suo difensore - abbia apposto l'annotazione «E' tale» e quindi la sottoscrizione, all'evidenza con finalità di mera autenticazione della firma. Ed invero, come pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, é inammissibile il ricorso per cassazione sottoscritto personalmente dall' imputato anche se la firma sia stata autenticata da un avvocato cassazionista (Sez. 4, Sentenza n. 44401 del 24/05/2019, Alessandrini, Rv. 277695; conforme Sez. 6, Ordinanza n. 48096 del 10/09/2018, Ahmed Farouk, Rv. 274221).

2. Ma anche nel merito il ricorso é inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
Va chiarito innanzitutto che, se é vero che le fonti di prova indicate nel ricorso avevano fornito elementi probatori diversi da quelli considerati dalla Corte di merito nella sentenza di condanna, nondimeno é vero che - come afferma la Corte di merito - la sentenza di primo grado non aveva preso in considerazione le valutazioni del consulente tecnico del Pubblico ministero, in base alle quali le cause del sinistro vanno ricercate sia nel posizionamento dell'autobetonpompa in occasione della manovra, sia nella fase esecutiva della manovra stessa.
Quanto alla posizione della vittima, A.L., costui viene bensì indicato dai testi G.A. e DC. come responsabile del cantiere e della sicurezza (e tale assunto trova sostanziale conferma nella relazione dell'ispettore A.D., allegata al ricorso); ma, pur dando per acquisita la sua posizione di garante, quand'anche se ne volesse inferire una concorrente responsabilità, essa non eliderebbe in alcun modo il dato fondamentale, costituito dal fatto che il G.M., pur consapevole della prossimità della linea elettrica ad alta tensione e del pericolo di un urto tra la stessa e il braccio del mezzo, posizionò l'autobetonpompa all'ingresso del cantiere e iniziò la manovra, omettendo sia di chiedere la sospensione dell'erogazione dell'elettricità, sia di spostarsi a distanza di sicurezza e non astenendosi dal procedere alla manovra nelle ravvisate condizioni di rischio. Sul punto deve richiamarsi il principio di doverosa astensione del dipendente dall'attività pericolosa, in base al quale il lavoratore, pur non potendo ingerirsi nell'organizzazione aziendale, ha l'obbligo di rifiutarsi di operare in condizioni di estremo rischio per la sicurezza, con la conseguenza che l'accettazione del rischio connesso all'esecuzione, in tali condizioni, della propria prestazione comporta l'inevitabile associazione dello stesso lavoratore alla responsabilità per gli eventi lesivi in concreto provocati (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 14429 del 05/07/1990, Travaglini, Rv. 185672; più di recente Sez. 4, n. 31229 del 28/05/2015, Bertin e altro, n.m.). Secondo le norme tecniche richiamate nella sentenza impugnata, il lavoratore incaricato dell'impresa esecutrice, nell'effettuare lavori in prossimità di parti attive, deve rispettare almeno una delle precauzioni di cui all'art. 117 del D. Lgs. 81/2008 e s.m.i., ossia:
"- mettere fuori tensione ed in sicurezza le parti attive per tutta la durata dei lavori;
- posizionare ostacoli rigidi che impediscano l'avvicinamento alle parti attive;
- tenere in permanenza, lavoratori, macchine operatrici, apparecchi di sollevamento, ponteggi ed ogni altra attrezzatura a distanza di sicurezza. La distanza di sicurezza deve essere tale che non possano avvenire contatti diretti o scariche pericolose per le persone tenendo conto del tipo di lavoro, delle attrezzature usate e delle tensioni presenti e comunque non deve essere inferiore ai limiti di cui all'Allegato IX del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. o a quelli delle pertinenti norme tecniche".
L'eventuale impossibilità di procedere secondo le predette prescrizioni non può certo legittimare il prosieguo delle attività pericolose e non esime da responsabilità il lavoratore che rinunci ad astenersi dal manovrare in condizioni di pericolo (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 14437 del 05/03/2009, Sirtoli, n.m.).
Ne deriva che nella specie, quand'anche fosse ravvisabile la posizione di garanzia attribuita al A.L., l'eventuale invito o l'eventuale acquiescenza di costui al posizionamento dell'autobetonpompa in zona pericolosa non esonerava da responsabilità il G.M. e non poteva dirsi, pertanto, decisiva la prova di cui il ricorrente sembra invocare il travisamento.

3. Il ricorso é poi aspecifico laddove vi si denuncia che, sulla scorta delle dichiarazioni del teste G.A., non risponderebbe a verità che il getto di calcestruzzo fosse ultimato: la difformità tra le dichiarazioni del teste e quanto al riguardo ritenuto in sentenza (pagg. 5 - 6) risulta peraltro solo apparente o comunque ininfluente, atteso che é lo stesso teste G.A. a riferire che era stata esaurita solo la prima gettata di cemento (pag. 8 trascrizione esame G.A. in data 23.6.2015), di tal che vi era un momento di interruzione per dar modo allo stesso G.A. di stendere il calcestruzzo; perciò quanto asserito nel ricorso non elimina l'ulteriore questione, che il ricorrente non affronta, costituita dalla rilevanza a tal fine del fatto che il getto di calcestruzzo non fosse ultimato, ma vi fosse un momento interlocutorio. Sta di fatto che é in quel momento che il G.M., manovrando il braccio del mezzo (per ritrarlo, secondo la Corte di merito), ne provoca il contatto con la vicina linea elettrica, innestando la serie causale che condusse al decesso del A.L..
In definitiva, le fonti di prova indicate nel ricorso hanno riferito in ordine a circostanze che, alla luce del percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito, non hanno avuto rilevanza decisiva nella decisione di condanna. Viceversa, tale decisiva rilevanza ai fini dell'affermazione di responsabilità in appello é da attribuirsi alla relazione del Consulente tecnico del Pubblico ministero, ing. Bernini: il quale, nel ricostruire la dinamica dell'incidente, ne ha attribuito la causa a una manovra azzardata del G.M., il quale aveva omesso di posizionare a distanza di sicurezza il braccio dell'autobetonpompa e non aveva chiesto, in alternativa, che l'erogazione di elettricità fosse interrotta per la durata dei lavori; a ben vedere le omissioni addebitate al G.M. sono riferite ad adempimenti sovrapponibili a quelli indicati nel già richiamato art. 117 D.Lgs. 81/2008. Peraltro deve evidenziarsi che le valutazioni del C.T., decisive in appello, erano viceversa risultate prive di qualsivoglia ruolo nella decisione di primo grado.

4. Ciò rilevato, s'impone il richiamo del principio in base al quale il giudice d'appello che riformi la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva non é obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale quando, nella sentenza di primo grado, manchi del tutto la motivazione e, quindi, la valutazione dell'attendibilità di detta prova (Sez. 6, Sentenza n. 32373 del 04/06/2019, Aiello, Rv. 276831). Per di più soccorre nel caso di specie il principio in base al quale le dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento, in quanto veicolate nel processo a mezzo del linguaggio verbale, costituiscono prove dichiarative, sicché sussiste, per il giudice di appello che, sul diverso apprezzamento di esse, fondi, sempreché decisive, la riforma della sentenza di assoluzione, l'obbligo di procedere alla loro rinnovazione dibattimentale attraverso l'esame del perito o del consulente; mentre analogo obbligo non sussiste ove la relazione scritta del perito o del consulente tecnico sia stata acquisita mediante lettura, ivi difettando la natura dichiarativa della prova (Sez. U, Sentenza n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112).
Ne deriva che é del tutto corretto quanto affermato dalla Corte di merito circa l'assenza, nella specie, di qualsivoglia obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, cod.proc.pen.; e che gli elementi di prova a contrario addotti dal ricorrente non risultano in alcun modo decisivi, non valendo gli stessi a disarticolare il ragionamento probatorio in base al quale la Corte distrettuale é pervenuta al ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado.

5. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, non ravvisandosi, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituz., sentenza n. 186 del 2000), consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in euro duemila; segue inoltre la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.
 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Omissis che liquida in euro tremila oltre spese generali al 15%, CPA e IVA.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2021.