INAIL

Comunicato 23 luglio 2021

Covid-19, in giugno i contagi sul lavoro al minimo storico. Da inizio pandemia sono quasi 177mila


Rispetto al monitoraggio precedente, i casi in più rilevati dal 18esimo report della Consulenza statistico attuariale dell’Inail sono 1.602 (+0,9%), ma solo 157 sono riferiti all’ultimo mese di rilevazione. È il dato più basso registrato da un anno e mezzo a questa parte, a conferma del trend decrescente iniziato a febbraio

ROMA - I contagi sul lavoro da Covid-19 segnalati all’Inail dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 30 giugno sono 176.925, pari a oltre un quinto del totale delle denunce di infortunio pervenute dal gennaio 2020 e al 4,2% del complesso dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data. Rispetto alle 175.323 denunce registrate dal monitoraggio mensile precedente, i casi in più sono 1.602 (+0,9%), di cui solo 157 riferiti a giugno, 227 a maggio, 236 ad aprile, 234 a marzo, 135 a febbraio e 169 a gennaio di quest’anno, mentre i restanti 444 sono riconducibili allo scorso anno. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire informazioni non disponibili nelle rilevazioni precedenti. Il dato di giugno, ancora provvisorio, è il più basso registrato da un anno e mezzo a questa parte, sensibilmente inferiore anche al minimo osservato a luglio 2020, con circa 500 infezioni di origine professionale.

Il 18esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale Inail, pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, conferma il maggiore impatto della “seconda ondata” del periodo ottobre 2020-gennaio 2021, con il 59,3% delle denunce di contagio sul lavoro, rispetto alla “prima ondata” del trimestre marzo-maggio 2020 (28,8%). Le denunce si sono concentrate soprattutto nei mesi di novembre (22,7%), marzo (16,2%), dicembre (14,5%), ottobre (14,1%) e aprile (10,4%) del 2020, mentre da febbraio di quest’anno il fenomeno è in significativa discesa. Negli ultimi cinque mesi, infatti, le infezioni di origine lavorativa segnalate all’Istituto sono pari all’8,9% del totale delle denunce presentate dall’inizio dell’emergenza sanitaria.
I decessi sono 682, concentrati soprattutto nel trimestre marzo-maggio 2020 (51,7%) e pari a circa un terzo del totale degli infortuni sul lavoro con esito mortale denunciati all’Inail da gennaio 2020, con un’incidenza dello 0,5% rispetto al complesso dei deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’Iss alla data del 30 giugno. Rispetto ai 639 casi mortali rilevati dal monitoraggio dello scorso 31 maggio, i decessi sono 43 in più, di cui tre avvenuti a giugno, sette a maggio, otto ad aprile, 10 a marzo, quattro a febbraio e due a gennaio di quest’anno, mentre gli altri nove sono riconducibili ai mesi precedenti. A morire sono soprattutto gli uomini (83,7%) e i lavoratori nelle fasce di età 50-64 anni (72,1%), over 64 anni (18,3%) e 35-49 anni (8,9%), con un’età media dei deceduti di 59 anni.
Allargando l’osservazione a tutte le infezioni di origine professionale, l’età media dei contagiati scende a 46 anni, con il 42,5% delle denunce nella fascia 50-64 anni e il 36,7% in quella 35-49 anni, e il rapporto tra i generi si inverte. La quota femminile, infatti, è pari al 68,7% e supera quella maschile in tutte le regioni, con le sole eccezioni della Calabria, della Sicilia e della Campania, dove l’incidenza delle lavoratrici sul complesso delle infezioni di origine professionale è, rispettivamente, del 48,0%, 46,2% e 44,3%. L’86,3% delle denunce riguarda lavoratori italiani, percentuale che sale al 90,5% per i casi mortali. Le altre comunità più colpite sono quella rumena (con il 21,0% dei lavoratori stranieri contagiati), peruviana (12,7%), albanese (8,1%), moldava (4,5%) ed ecuadoriana (4,2%). Per quanto riguarda i casi mortali, invece, con il 13,8% dei decessi occorsi agli stranieri, la comunità peruviana precede quelle albanese (12,3%) e rumena (9,2%).
L’analisi territoriale evidenzia una distribuzione delle denunce del 43,0% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 25,5%), del 24,5% nel Nord-Est (Veneto 10,6%), del 15,2% al Centro (Lazio 6,6%), del 12,7% al Sud (Campania 5,8%) e del 4,6% nelle Isole (Sicilia 3,1%). Le province con il maggior numero di contagi dall’inizio dell’emergenza sanitaria sono Milano (9,7%), Torino (7,0%), Roma (5,2%), Napoli (3,9%), Brescia, Verona e Varese (2,5% ciascuna) e Genova (2,4%). Prendendo in considerazione solo l’ultimo mese di rilevazione, la provincia che ha registrato il maggior numero di infezioni di origine professionale è quella di Roma, seguita da Torino, Milano, Firenze, Venezia e Verona. Le province che hanno fatto segnare i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione di maggio, non per contagi avvenuti nel mese di giugno ma per il consolidamento dei dati in mesi precedenti, sono però quelle di Vibo Valentia, Reggio Calabria, Matera, Crotone, Pordenone, Siena, Grosseto, Bologna, L’Aquila e Arezzo.
Al Nord-Ovest spetta anche il primato negativo dei casi mortali, con il 38,7% dei decessi denunciati (prima la Lombardia con il 26,8%). Seguono il Sud con il 24,8% (Campania 11,7%), il Centro con il 17,4% (Lazio 10,6%), il Nord-Est con il 12,9% (Emilia Romagna 6,5%) e le Isole con il 6,2% (Sicilia 5,4%). Nel confronto con il dato complessivo dei contagi sul lavoro segnalati all’Inail dall’inizio della pandemia, per i casi mortali si osserva una quota più elevata al Sud (24,8% contro il 12,7% riscontrato nelle denunce totali) e un’incidenza inferiore nel Nord-Est (12,9% rispetto al 24,5%). Le province con più decessi sono quelle di Roma (7,9%), Bergamo, Milano e Napoli (con il 7,0% ciascuna), Brescia (4,5%), Torino (3,8%), Cremona (2,8%), Genova (2,5%), Bari, Caserta e Parma (2,3% ciascuna).
La maggioranza dei contagi e dei decessi (rispettivamente 97,1% e 89,0%) riguarda l’Industria e servizi, con i restanti casi distribuiti nelle altre gestioni assicurative per Conto dello Stato (amministrazioni centrali dello Stato, scuole e università statali), Agricoltura e Navigazione. Sono circa 2.800, in particolare, le infezioni di origine professionale di insegnanti, professori e ricercatori di scuole di ogni ordine e grado e di università statali e private, riconducibili sia alla gestione dei dipendenti del Conto dello Stato sia al settore Istruzione della gestione Industria e servizi.
Tra le attività produttive, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – resta al primo posto, con il 65,6% dei contagi denunciati e il 24,1% dei decessi codificati, seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), con il 9,2% delle infezioni e il 10,4% dei casi mortali. Gli altri settori più colpiti sono il noleggio e servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il trasporto e magazzinaggio, il manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…), e le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale). Concentrando l’attenzione sui decessi, spiccano le percentuali del trasporto e magazzinaggio e del manifatturiero, rispettivamente al secondo e al terzo posto con il 12,7% e il 12,2%, e quelle del commercio all’ingrosso e al dettaglio (9,8%) e delle costruzioni (7,1%).
Negli ultimi cinque mesi analizzati, però, l’incidenza della sanità e assistenza sociale è scesa sotto la soglia del 41% dei casi codificati, posizionandosi su livelli ancora più bassi dell’estate 2020 grazie all’efficacia delle vaccinazioni, che hanno coinvolto prioritariamente il personale sanitario, mentre per altri settori produttivi si registrano incidenze in crescita, nonostante il calo in termini assoluti dei contagi professionali denunciati rispetto al quadrimestre ottobre 2020-gennaio 2021. Si tratta, in particolare, dei trasporti, del commercio, dei servizi di alloggio e ristorazione, dei servizi di informazione e comunicazione e del manifatturiero, che tra febbraio e giugno raccolgono complessivamente quasi un terzo dei casi (32,2%), contro l’8,5% della “prima ondata” (fino a maggio 2020 compreso), il 29,0% della fase “post lockdown” (da giugno a settembre 2020) e il 10,6% della “seconda ondata” (ottobre 2020-gennaio 2021).
Dall’analisi per professione dell’infortunato emerge che poco più di un quarto dei decessi (25,6%) riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale. Nel dettaglio, la categoria dei tecnici della salute è quella più coinvolta dai contagi, con il 37,6% delle denunce complessive, l’82,7% delle quali relative a infermieri, e il 10,3% dei casi mortali codificati (il 68,1% infermieri). Seguono gli operatori socio-sanitari con il 18,4% delle denunce (e il 4,3% dei decessi), i medici con l’8,6% (5,7% dei decessi), gli operatori socio-assistenziali con il 7,0% (2,5% dei decessi) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7% (3,4% dei decessi).
Tra le altre professioni coinvolte spiccano gli impiegati amministrativi, con il 4,5% delle denunce e il 10,3% dei casi mortali, gli addetti ai servizi di pulizia (2,3% dei contagi e 2,1% dei decessi), i conduttori di veicoli (1,3% dei contagi e 7,3% dei decessi), gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia (0,9% dei contagi e 2,5% dei decessi), e gli addetti alle vendite (0,7% dei contagi e 2,7% dei decessi). L’incremento in termini di incidenza osservato negli ultimi cinque mesi per alcune categorie – come gli impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali, passati dal 4,4% del quadrimestre ottobre 2020-gennaio 2021 al 9,1% del periodo febbraio-giugno 2021, o i professori della scuola primaria, passati dallo 0,8% al 2,9% – è dovuto alla consistente diminuzione che ha caratterizzato le professioni della sanità, sia in valore assoluto che relativo.

 

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fonte: inail.it