Categoria: Cassazione civile
Visite: 2873

Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 agosto 2021, n. 22869 - Azione di regresso


 

Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: MANCINO ROSSANA Data pubblicazione: 13/08/2021
 

 

Rilevato che


1. con sentenza n. 71 del 2015, la Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado che, decidendo sulla domanda proposta dall'INAIL, aveva condannato M.G. al pagamento della somma di euro 393.899,36 erogata, a titolo di regresso, in relazione alle prestazioni in favore degli eredi del lavoratore, P.I., deceduto in conseguenza di un infortunio sul lavoro;
2. la Corte di merito disattendeva le eccezioni di decadenza e prescrizione riproposte dall'appellante, alla stregua della sentenza, richiamata per relationem, che già aveva accertato, in altro giudizio, il diritto di regresso dell'INAIL nei confronti della società della quale M.G. era legale rappresentante e responsabile della prevenzione, e della sentenza di patteggiamento ex art. 444 cod.proc.pen.; valutava il materiale probatorio acquisito nel giudizio, definito con il riconoscimento del diritto di regresso dell'INAIL, nei confronti della società, con accertamento della responsabilità, per colpa, del M.G. e l'esclusione di profili di colpa a carico del lavoratore (Corte d'appello Brescia, sentenza n. 462/2010); riteneva inopponibile, all'INAIL, la sentenza n. 83/2010, passata in giudicato, resa nel giudizio, al quale l'ente era rimasto estraneo, sulla responsabilità del M.G., per violazione dell'art. 2087 cod.civ., esclusa la responsabilità penale; accertava la responsabilità penale del M.G. - presupposto del diritto di regresso azionato dall'istituto previdenziale - che mai aveva allegato di avere delegato ad altri l'osservanza della normativa antinfortunistica;
3. avverso tale sentenza M.G. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese l'INAIL, con controricorso;
 

Considerato che


4. con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, dell'art. 444 cpp. degli artt. 1292,1294,1310 e 2055 c.c., per avere il giudice di appello respinto il motivo d'appello con il quale era stata ritualmente riproposta l'eccezione di decadenza del diritto azionato dall'INAIL; assume che debba ritenersi decadenziale il termine triennale per la proposizione dell'azione di regresso e, quanto al decorso della prescrizione e alla rilevata insussistenza di deduzioni in ordine ad atti interruttivi, ritualmente dedotta la relativa eccezione, entro il termine preclusivo, in entrambi i gradi di merito, la Corte di merito avrebbe dovuto indagare sull'idoneità degli atti interruttivi dedotti dall'INAIL, per concludere nel senso del decorso del termine prescrizionale, né potevano considerarsi M.G. e la società debitori solidali nei confronti dell'INAIL, attesa la diversità di titoli, per cui il procedimento promosso nei confronti dell'uno non poteva produrre effetti interruttivi del termine prescrizionale nei confronti dell'altro;
5. con il secondo motivo, deducendo violazione dell'art. 1306 cod.civ., 118 disp att cod.proc.civ. art. 24 cost., si assume che la Corte di merito abbia basato la pronuncia su sentenza non opponibile al M.G. senza considerare l'esistenza di altra precedente pronuncia, già coperta da giudicato, e a lui favorevole, con lesione del diritto di difesa e degli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124 del 1965, in tal modo avvalendosi dell'accertamento risultante da giudicati tra loro contrastanti;
6. con il terzo motivo, deducendo violazione degli artt. 115 cod.proc.civ., 444 cod.proc.civ. (recte cod.proc.pen.), si censura la mancata ammissione delle deduzioni istruttorie ritualmente svolte in primo grado e riproposte in appello, e per avere ritenuto la sentenza di applicazione della pena su richiesta idonea, da sola, a provare la penale responsabilità del M.G., con conseguente violazione dell'art. 24 Cost. e del diritto di difesa.
7. il ricorso è da rigettare;
8. va ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Cass. n. 21590 del 2020 e ulteriori precedenti ivi richiamati) in tema di azione di regresso dell'Inail ai sensi del d.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112 nei confronti delle persone civilmente responsabili per le prestazioni erogate a seguito di infortunio sul lavoro, e avuto riguardo alla distinzione tra le ipotesi in cui manchi un accertamento del fatto - reato da parte del giudice penale (ove l'azione di regresso è soggetta a termine triennale di decadenza) e le ipotesi di sussistenza di tale accertamento con sentenza penale di condanna (in cui l'azione di regresso è soggetta a termine triennale di prescrizione), la sentenza di applicazione della pena su richiesta dell'imputato, pronunciata dal giudice penale ai sensi dell'art. 444 cod.proc.pen., è equiparata, ex art. 445, comma 1-bis, secondo periodo, cod.proc.pen., ad una sentenza di condanna, con la conseguenza che il termine di cui all'art. 112 cit. si configura come termine di prescrizione ed è pertanto suscettibile di interruzione;
9. inoltre la Corte d'appello ha dato atto, con statuizione non fatta segno di specifica denuncia con mezzo idoneo, che l'appellante, nel riproporre l'eccezione di prescrizione, non aveva contestato la sussistenza degli atti interruttivi menzionati dalla sentenza, cosicché il motivo di gravame era in parte qua inammissibile, per cui il profilo di censura inerente alla contestazione sulla natura o meno solidale dell'obbligazione risarcitoria in capo al M.G. e alla società di capitali da lui rappresentata non può trovare ingresso, indimostrate, in questa sede di legittimità, le carenze di specificità del gravame rilevate dalla sentenza impugnata;
10. il secondo motivo è inammissibile per l'assorbente rilievo che non risultano prodotti i giudicati dei quali si assume il contrastante accertamento sulla responsabilità in relazione all'evento occorso al lavoratore, né viene indicato ove sarebbero stati prodotti nelle fasi di merito;
11. infine, quanto al terzo motivo, anche a voler prescindere dalla giurisprudenza che ritiene possa bastare la sentenza di patteggiamento, la doglianza non incrina la sentenza impugnata che ha posto, a fondamento della ratio decidendi, un articolato compendio probatorio,
12. segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo;
13. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titola di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
 

P.Q.M.
 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi dell' art .13,co . l -quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex ar t .13,co . 1, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 16 marzo 2021