Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 agosto 2021, n. 22876 - Malattia professionale "disturbo post- traumatico da stress occupazionale" del dipendente comunale. Decadenza o prescrizione


 

 

Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 13/08/2021
 

Rilevato che:


con sentenza del 7 ottobre 2014, la Corte d'appello di Roma confermava la decisione del Tribunale di Viterbo di declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in data 20.2.2009 dall'INAIL nei confronti del Comune di Canino, di S.G. quale ex sindaco) e di A.DV. (quale ex segretario comunale) ed intesa a sentirli condannare in solido in regresso, ai sensi dell'art. 112 u. c. del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, al rimborso degli importi corrispondenti alle prestazioni economiche erogate in favore di P.P., dipendente del predetto comune, che aveva contratto la malattia professionale "disturbo post- traumatico da stress occupazionale" a seguito della condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dai convenuti;
la Corte territoriale riteneva corretta la decisione del primo giudice di accoglimento dell'eccezione di decadenza ai sensi dell'art. 112, quinto comma, del d.P.R. n. 1124/1965 essendo decorso il termine triennale dal passaggio in giudicato della sentenza penale di assoluzione del S.G. (imputato per i reati di abuso d'ufficio ed omissione di atti d'ufficio) emessa dal Tribunale di Viterbo il 28 ottobre 2003 e depositata a gennaio 2004 al deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio, non potendosi considerare detto termine di prescrizione con conseguente irrilevanza di atti interruttivi posti in essere "medio tempore";
per la cassazione di tale decisione propone ricorso l'INAIL affidato ad un motivo cui il S.G. e la A.DV. resistono con separati controricorsi mentre il Comune di Canino è rimasto intimato;
la Sesta sezione di questa Corte Suprema di cassazione ha disposto, con ordinanza interlocutoria n. 13689 del 2017, la trasmissione degli atti alla Sezione quarta;
tutte le parti costituite hanno depositato sucoessive memorie;

 

Considerato che:


con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 112, quinto comma, del d.P.R. n. 1124/1965 (in relazione all'art. 360, primo comma n.3, cod. proc. civ.) per avere la Corte di Appello risolto la questione sulla scorta del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 16 aprile 1997 n. 3288) secondo cui l'azione di regresso esercitata dall'istituto soggiaceva ad un termine di natura decadenziale in tutte le ipotesi in cui non fosse intervenuto un accertamento del fatto-reato da parte del giudice penale (principio confermato da numerose successive pronunce) laddove, più correttamente, avrebbe dovuto ritenere detto termine di prescrizione perché nel caso in esame vi era stata una sentenza dibattimentale di assoluzione, come statuito in altra decisione di questa Corte ( Cass. 3 ottobre 2007, n. 20736, che aveva trovato conferma di recente, in Cass. SU. 16 marzo 2015 n. 5160);
il motivo è fondato;
come è noto, l'originario sistema dei rapporti tra la responsabilità civile del datore di lavoro nei confronti dell'infortunato ed il diritto dell'Istituto a rivalersi delle somme erogate, si basava sul principio della pregiudizialità obbligatoria del giudizio penale sull'accertamento del fatto e della unitarietà della giurisdizione, e per questa ragione le azioni in capo all'infortunato e all'Ente previdenziale erano esperibili solo all'esito del processo penale e dopo la pronuncia di condanna del datore di lavoro o delle altre persone considerate dalla norma;
nel caso in cui, come nella specie, il processo penale si concludesse con una sentenza di assoluzione veniva meno il presupposto per far riemergere sia la responsabilità del datore di lavoro che il diritto di regresso dell'Ente assicuratore);
qualora, poi, il processo penale fosse sfociato in una sentenza di non doversi procedere nelle ipotesi previste dall'art. 11 T.U., era possibile, per gli interessati, ricorrere al giudice civile entro il termine triennale di decadenza;
la sentenza penale di condanna del datore di lavoro costituiva il presupposto del venir meno della copertura assicurativa e del conseguente esonero di responsabilità, legittimando il regresso che non poteva prescindere dalla esistenza di una sentenza penale di condanna o di quella civile ottenuta dall'infortunato a mente dell'art. 11, comma 2, T.U. n. 1124/1965;
il diritto al regresso risultava, come emerge dal testo dello stesso T.U. n. 1124/1965, art. 112 ultimo comma, soggetto alla prescrizione triennale decorrente da tali sentenze;
come già rilevato dall'ordinanza interlocutoria, questa Corte ha già affermato il principio per il quale l'azione di regresso spettante all'Inail nei confronti del datore di lavoro ai sensi dell'art. 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965, nel caso in cui questi sia stato assolto dall'imputazione derivatagli dall'infortunio sul lavoro, è sottoposta al termine triennale di prescrizione di cui all'art. 112, quinto comma, seconda parte, del d.P.R. citato, la cui decorrenza può essere interrotta non con il deposito bensì con la notificazione del ricorso con cui l'azione viene esercitata oppure da ogni atto idoneo alla costituzione in mora (Cass.. n. 20736 del 03/10/2007);
la natura prescrizionale del termine di cui all'art. 112, quinto comma, d.P.R. n. 1124/1965 risulta essere stata ribadita - ma non con riferimento ad una pronuncia di assoluzione - dalla decisione delle Sezioni Unite n. 5160/2015 c::it. secondo cui in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale pn visto dall'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che, stante il principio di stretta interpretazione delle norme in tema di decadenza, ha natura di prescrizione e, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato (orientamento confermato successivamente da Cass. n. 20853 del 15/10/2015 secondo cui il termine triennale di prescrizione decorre dal giorno in cui la sentenza penale di condanna è divenuta irrevocabile e, In motivazione, precisa che " pur nel mutato quadro complessivo, nel caso in cui (entro il triennio dal pagamento dell'indennizzo o dalla costituzione della rendita) sia stato iniziato il procedimento penale, il decorso del termine triennale di prescrizione non può che restare ancorato al momento della sentenza penale irrevocabile");
tali ripetuti pronunciamenti delle Sezioni Unite del 2015 si collegano, confermandone la portata e consolidandone gli effetti, al principio espresso da Cass. n. 20736 del 2007, infatti le Sezioni Unite con la sentenza n. 5160 del 2015 (seppur pronunciando in ordine alla natura del termine di esercizio dell'azione dell'INAIL in ipotesi di assenza del procedimento penale) muovono dalle considerazioni espresse da tale pronuncia che assume rilevanza centrale per la soluzione adottata;
è stato infatti ribadito che seppure non si vogliano ritenere (vd. in tal senso Cass. civ. 16 giugno 1979 n. 3331), le previsioni legislative di decadenza di stretta interpretazione e che perciò un termine di decadenza non possa ravvisarsi in via analogica, deve pur sempre affermarsi che la possibilità di desumere in via interpretativa la natura, decadenziale o prescrittiva, di un termine (Cass. civ., 26 giugno 2000, n. 8680) deve tener conto dell'idoneità della decadenza a rendere più difficile l'esercizio del diritto soggettivo anche in via giudiziale e perciò contrastare con gli artt. 24 e 112 Cost. Nel dubbio, deve perciò propendersi per la prescrizione;
inoltre, essendo venuta meno la correlazione sistematica fra gli artt. 10 e 11 e l'art. 112 del T.U. n. 1124/1965, sia per effetto di pronunce della Corte costituzionale (nn. 102/1981 e 118/1996) che per i mutamenti del regime processuale penale (artt. 75 e 651 ss. c.p.p. del 1988) e civile (art. 295 c.p.. c., come novellato dalla l. 26 novembre 1990, n. 353, art. 35), con la definitiva nell'abolizione della cosiddetta pregiudiziale penale, è derivato che l'azione di regresso dell'INAIL è connessa soltanto all'astratta previsione legale quale reato del fatto causativo dell'infortunio e non dal concreto accertamento dell'illecito penale;
dunque, l'INAIL ben può agire in regresso ex art. 11 cit., sia nel caso in cui in sede penale il datore di lavoro sia stato assolto, come avvenuto nella presente fattispecie che in quella all'esame della sentenza n. 20736 del 2007, sia nel caso dell'assenza del procedimento penale;
pertanto, nel caso in esame il termine triennale decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza penale di assoluzione non può ritenersi di decadenza (insuscettibile d'interruzione), bensì di prescrizione e, in quanto tale, può essere interrotto non col deposito bensì con la notificazione del ricorso con cui l'azione viene esercitata oppure da ogni atto idoneo alla costituzione in mora;
la sentenza impugnata non si è attenuta al suddetto principio e, quindi, va cassata con rinvio alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione affinché, oltre a regolare le spese del presente giudizio di cassazione, esamini la fattispecie previa verifica della tempestività dell'azione intrapresa dall'INAIL rispetto al termine triennale di prescrizion1e decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza penale di assoluzione resa nei confronti di S.G.;
 

P.Q.M.
 


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2021.