Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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Corte d'Appello Milano, Sez. lavoro, 23 luglio 2021 – Infortunio dipendente con esclusione della responsabilità da parte del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.: Periodo di comporto
 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI MILANO
SEZIONE LAVORO


Composta dai Magistrati
dott. Giovanni Picciau - Presidente Rel.
dott. Giovanni Casella - Consigliere
dott. ssa Giuseppina Locorotondo - Consigliere
ha pronunciato la seguente
 

SENTENZA

nella causa in grado di rinvio in seguito alla sentenza n.2527/2020 della Corte di Cassazione promossa con ricorso

DA

S.L. *** con il patrocinio dell'avv. N.L. *** e dell'avv. G.A. ***; M.M. ***; elettivamente domiciliato presso il loro studio in *** 20122 MILANO

RICORRENTE IN RIASSUNZIONE

CONTRO

V.Z. - SOCIETA' PER AZIONI *** con il patrocinio dell'avv. T.R. *** presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Milano ***

RESISTENTE IN RIASSUNZIONE


Svolgimento del processo - Motivi della decisione

L.S. ha riassunto, in seguito alla sentenza di rinvio della Corte di Cassazione n. 2527/2020, il procedimento promosso nei confronti della società V.Z. Spa.
Le vicende inerenti il procedimento sono così riassunte nella sentenza di rinvio:
" Con sentenza n. 325 depositata il 16.2.2018 la Corte di Appello di Milano, in riforma della decisione del Tribunale di Busto Arsizio, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il 5.5.2015 a S.L. dalla società V.Z. s.p.a. per superamento del periodo di comporto ritenendo giustificata la protratta assenza della lavoratrice dal posto di lavoro (28.8.2012 - 5.5.2015) in considerazione della sussistenza di un nesso di causalità tra infortunio sul lavoro subito in data 27.11.2010 (caduta sul pavimento del punto vendita ove era adibita) e assenza per malattia, e conseguentemente ha condannato la società alla reintegrazione nel posto di lavoro, ex art. 18, commi 4 e 7 della L. n. 300 del 1970, respingendo la domanda riconvenzionale della medesima società proposta ex art. 2033 cod. civ. ed avente ad oggetto il trattamento previdenziale erogato alla lavoratrice a titolo di infortunio.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a cinque motivi, e la lavoratrice resiste con controricorso, illustrato da memoria
La società ricorrente, nel denunciare la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2110 cod. civ. (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.), assume, con il primo ed il secondo motivo, che la sentenza di primo grado ha trascurato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le assenze dovute per infortunio o malattia professionale sono riconducibili all'ampia e generale nozione di malattia contenuta nella disposizione codicistica e sono normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro, salva responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ. che, nel caso di specie, non è stata accertata pur costituendo fatto decisivo ai fini dell'esito del giudizio.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2729 cod. civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte territoriale, in adesione alle conclusioni tratte dal consulente medico d'ufficio, ritenuto sussistente un nesso causale tra l'infortunio (avvenuto il 27.11.2010, ove la lavoratrice ha riportato una contusione all'anca sinistra) e le assenze del periodo 28.8.2012-19.5.2015 (conseguenti ad un quadro algodistrofico della caviglia sinistra su base post traumatica) nonostante la diagnosi della patologia alla caviglia venne effettuata solamente dopo 18 giorni dall'evento-infortunio e in assenza di indizi gravi, precisi e concordanti.
Con il quarto motivo, subordinato al rigetto dei primi tre motivi, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 cod. civ. e 18, comma 4, della L. n. 300 del 1970 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte territoriale, liquidato, a titolo di risarcimento del danno, 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto senza considerare la buona fede del datore di lavoro che ha provveduto all'intimazione del licenziamento sulla base delle attestazioni dell'Inail che ritenevano chiusi i postumi dell'infortunio al 27.8.2012.
Con il quinto motivo, subordinato al rigetto dei primi tre motivi, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 cod. civ. e 73 D.P.R. n. 1124 del 1965 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte territoriale, erroneamente respinto, in maniera integrale, la domanda riconvenzionale della società avente ad oggetto l'erogazione indebita dell'indennità per inabilità temporanea nonostante abbia aderito alle conclusioni tratte dal consulente medico d'ufficio che giustificavano l'assenza della lavoratrice a causa dell'infortunio subito solamente sino al 30.6.2014 (nonostante l'assenza si sia protratta sino al 19.5.2015)...".
Ciò premesso la Corte ha ritenuto fondati i primi due motivi del ricorso precisando:
" Questa Corte ha ripetutamente affermato che la fattispecie di recesso del datore di lavoro in caso di assenze determinate da malattia del lavoratore si inquadra nello schema previsto e sia soggetta alle regole dettate dall'art. 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, con la conseguenza che, in dipendenza di tale specialità e del contenuto derogatorio delle suddette regole, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto periodo di comporto), predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è all'uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo nè della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, nè della correlata impossibilità di adibire i lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali (Cass. n. 5413 del 2003).
Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'art. 2110 cod. civ., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinchè l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ. (Cass. n. 5413 del 2003 cit.; Cass. n. 22248 del 2004; Cass. n. 26307 del 2014; Cass. 15972 del 2017; Cass. n. 26498 del 2018).
Più esattamente, la computabilità delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale nel periodo di comporto non si verifica nelle ipotesi in cui l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale non solo abbiano avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell'ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell'attività lavorativa, ma altresì quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all'obbligazione contrattuale a lui facente carico ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica - per la tutela dell' integrità fisica e della personalità morale dei lavoratore, atteso che in tali ipotesi l'impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata (Cass. n. 7037 del 2011).
Si è anche sottolineato come nessuna norma imperativa vieti che disposizioni collettive escludano dal computo delle assenze ai fini del cosiddetto periodo di comporto, cui fa riferimento l'art. 2110 cod. civ., quelle dovute a infortuni sul lavoro, nè tale esclusione - che è ragionevole e conforme al principio di non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell'attività lavorativa espletata - incontra limiti nella stessa disposizione, che, come lascia ampia libertà all'autonomia delle parti nella determinazione di tale periodo, così non può intendersi preclusiva di una delle forme di uso di tale libertà, quale è quella di delineare la sfera di rilevanza delle malattie secondo il loro genere e la loro genesi (Cass. n. 14377 del 2012; Cass. n. 9187 del 1997; Casse n. 6080 del 1985; Cass. n. 889 del 1983).
Nel caso di specie, la Corte di merito, nel ritenere escluse dal periodo di comporto le assenze (dal 28.8.2012 al 30.6.2014) conseguenti all'infortunio sul lavoro occorso alla dipendente (infortunio del 27.11.2010), ha esclusivamente valutato (anche avvalendosi di consulente tecnico d'ufficio) il collegamento causale tra la patologia che ha determinato l'assenza per malattia e l'infortunio subìto, omettendo di effettuare un'indagine sui profili di colpa del datore di lavoro, in tal modo erroneamente interpretando e applicando la disciplina dettata dall'art. 2110 cod. civ. La Corte territoriale ha, invero, accertato che la patologia sofferta dalla L. alla caviglia sinistra era causalmente e direttamente collegata all'infortunio subìto nel novembre 2010, senza svolgere altresì la valutazione della ricorrenza di una responsabilità datoriale nell'omissione delle misure necessarie per evitare l'evento e, dunque, trascurando il profilo dell'inadempimento datoriale all'obbligo di protezione imposto dall'art. 2087 cod. civ. ".
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il terzo motivo osservando:
Questa Corte ha più volte affermato che nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'"id quod plerumque accidit", sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza (Cass. n. 3513 del 2019; Cass. n. 14762 del 2019).
In particolare, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di' normalità; occorre, al riguardo, che il rapporto di dipendenza logica tra fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Cass. n. 22656 del 2011).
Ritiene il collegio che desumere, tramite l'ausilio del consulente medico, che la perdita di equilibrio che ha determinato la caduta della L. (e la contusione dell'anca sinistra) sia stata determinata da un "anomalo e passivo movimento di torsione" della caviglia sinistra e che il referto del pronto soccorso non abbia rilevato la suddetta distorsione in quanto concentrato sulla contemporanea lesione contusiva dell'anca sinistra risponde ai suddetti criteri di elevata probabilità logica e ciò in quanto la lesione alla caviglia sinistra non costituisce evenienza puramente casuale bensì, come la Corte territoriale afferma, una continuità fenomenologica del tutto verosimile e ragionevolmente possibile.
Ritenuti assorbiti il quarto ed il quinto motivo, La Corte di Cassazione ha concluso: " vanno accolti i primi due motivi di ricorso, rigettato il terzo, assorbiti il quarto ed il quinto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà altresì alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità "
Riassumendo il procedimento, L., richiamando i principi di diritto affermarti dalla Corte di Cassazione, osserva che il rapporto di lavoro è disciplinato dal CCNL Industria Tessile, che all'art. 61 (rubricato "Infortunio e malattie professionali") dispone quanto segue "In caso di infortunio sul lavoro e di malattia professionale al lavoratore saranno conservati il posto e l'anzianità, a tutti gli effetti contrattuali fino alla guarigione clinica, documentata dall'apposito certificato rilasciato dall'Istituto assicuratore".
La ricorrente in riassunzione chiede allora in via principale che "la Corte di Appello di Milano, chiamata a decidere il presente ricorso in riassunzione, preso atto del principio di diritto enunciato con la sentenza n. 2527/2020, considerato pacifico ed accertato ( attesa la ritenuta infondatezza del terzo motivo del ricorso in Cassazione proposto dalla società ) il collegamento causale tra le assenze della ricorrente per il periodo 2012- giugno 2014 e l'infortunio occorsole e considerato quanto disposto dall'art. 61 del CCNL, ritenga superflua ogni ulteriore indagine sulla responsabilità datoriale ex art. 2087 cod. civ. e dichiari la illegittimità del licenziamento intimato alla signora L. per violazione degli articoli 2110 secondo comma c.c. e 61 CCNL ed ordini la reintegrazione della lavoratrice con diritto al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate, nel limite delle 12 mensilità di retribuzione globale di fatto...".
In subordine, L., nel caso sia ritenuto necessario accertare la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ. richiama le dedotte circostanze di fatto dell'evento del 27.11.2010 e le argomentazioni in fatto ed in diritto proposte nei precedenti gradi del giudizio.
L. assume inoltre la infondatezza, per vari profili, in fatto ed in diritto della domanda riconvenzionale proposta; evidenzia da un lato che "l'assenza della ricorrente è sempre stata correlata all'infortunio del 2010" e dall'altro che non ricorrono gli estremi nella fattispecie per una compensazione atecnica ovvero ex art. 1243 cod. civ.
Costituendosi nel grado di rinvio la società assume che la controversia non possa essere decisa in forza dell'art. 61 CCNL, non invocato nei precedenti gradi di giudizio da L. a sostegno della domanda; chiede il rigetto della domanda, contestando le circostanze di fatto dedotte dalla lavoratrice in ordine alle modalità dell'infortunio; chiede inoltre l'accoglimento della propria domanda riconvenzionale; riproponendo comunque le proprie istanze istruttorie.
All'esito della istruttoria orale ammessa ed assunta dal Collegio; disposto il c.d. rito cartolare in forza della normativa correlata alla emergenza Covid 19; all'udienza del 5 luglio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
La Corte di Cassazione, alla luce della sentenza di rinvio sopra trascritta, chiama il Collegio a valutare, censurando la sentenza della Corte di Appello cassata, la ricorrenza di una responsabilità datoriale nell'omissione delle misure necessarie per evitare l'evento; rileva infatti che in tal caso è possibile escludere dal periodo di comporto le assenze (dal 28.8.2012 al 30.6.2014) conseguenti all'infortunio sul lavoro occorso a L. (infortunio del 27.11.2010 ); che erroneamente la Corte territoriale ha esclusivamente valutato (anche avvalendosi di consulente tecnico d'ufficio) il collegamento causale tra la patologia che ha determinato l'assenza per malattia e l'infortunio subìto, omettendo di effettuare un'indagine sui profili di colpa del datore di lavoro.
La pronuncia di rinvio della Corte di Cassazione si muove nei limiti dell'oggetto della controversia intercorsa fra le parti nei precedenti gradi di merito.
Nel giudizio di primo grado infatti L., dopo aver descritto la vicenda dell'infortunio in fatto, aveva ricollegato l'infortunio - con la conseguente irrilevanza delle assenze ai fini del superamento del periodo di comporto- ad una responsabilità datoriale ex art. 2087 cod. civ.
Si legge infatti nella esposizione in fatto del ricorso ex art. 51 L. n. 92 del 2012 in primo grado di L.:
" La signora L. è stata assunta da V.Z. S.p.A. (cfr. doc. 2) - nota azienda tessile - in data 13/12/2008 come commessa (addetta alle vendite, alla sistemazione degli scaffali, al servizio dei clienti) inquadrata nel III livello del CCNL industria tessile cotoniera, addetta al punto vendita di M***d***B*** (dapprima, con contratto a tempo determinato sino al 28/2/2009, poi prorogato sino a al 30/9/2009, e dal 1/10/2009 con contratto a tempo indeterminato - cfr. docc. 3a, 3b, 3c).
In data 27/11/2010 - in ora pomeridiana (circa le 16,00) - la signora L., nel corso del proprio turno di lavoro presso il punto vendita anzidetto, è scivolata e caduta sul pavimento del negozio, che era appena stato "lucidato" dalle colleghe F.F. (la responsabile) e S.S., con un panno antistatico agli olii profumati, di marca Swiffer (trattasi di panno che all'epoca era appena stato messo sul mercato).
Era la seconda o la terza volta che le colleghe usavano quel panno. La ricorrente, già al primo utilizzo, aveva riferito loro che il prodotto rendeva il pavimento troppo scivoloso e che sarebbe stato opportuno (per tutelare la loro incolumità e quella dei clienti) tornare al modello di panno antistatico utilizzato in precedenza che, non avendo detti oli, non rilasciava alcuna sostanza scivolosa.
Quel giorno, la ricorrente aveva iniziato il turno alle ore 11,00. Per ordine della responsabile, era andata in pausa intorno alle ore 15,00 e vi era rimasta sino alle 16,00. Il panno era stato utilizzato dalle colleghe proprio durante la pausa della ricorrente (che dunque non aveva assistito a tale operazione); peraltro, non era stata messa alcuna segnalazione che indicasse la scivolosità del pavimento.
La signora L., rientrata in negozio, non immaginando la scivolosità del pavimento, è caduta a terra, sbattendo sull'anca sinistra e provocandosi una torsione della caviglia e una distorsione tibio-tarsica.
È stata la signora S. a riferire alla ricorrente che durante l'ora di pausa il pavimento era stato trattato con il panno anzidetto.
Recatasi al pronto soccorso di Voghera - accompagnata dalla sorella che nel frattempo era accorsa in negozio (G.R.L.) - è stata visitata e sottoposta a radiografia all'anca. I medici l'hanno dimessa invitandola a seguire una terapia farmacologica e ad utilizzare le stampelle.
Tale incidente è stato subito denunciato all'INAIL come infortunio sul lavoro (....)
Sottoposta all'ennesima visita da parte dell'INAIL in data 27/8/2012, l'istituto (in persona della dottoressa N.) ha dichiarato "cessata" l'infermità in quella stessa data, stabilendo che la ricorrente sarebbe stata in grado di riprendere servizio il giorno 28/8/2012 (cfr. doc. 7 ) (...)".
In punto di diritto, L. aveva invocato espressamente una responsabilità datoriale ex art. 2087 cod. civ..
Si legge infatti testualmente a pagina 20 del citato ricorso di L. in primo grado:
"Illegittimità, nullità e inefficacia del licenziamento per inadempimento del datore di lavoro che non ha tutelato l'integrità fisica della lavoratrice.
Il licenziamento andrà poi considerato nullo e illegittimo poiché il periodo di comporto che si assume superato è costituito da assenze causate dall'inadempimento del datore di lavoro, che non ha adottato tutte le misure "necessarie a tutelare la integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro" (art. 2087 c.c.).
A dispetto di quanto affermato nell'ordinanza qui opposta, la signora L. ha infatti dedotto (e si offerta di provare) che la responsabile del punto vendita, superiore gerarchico delle commesse di M***, aveva ordinato di utilizzare più volte al giorno quel panno antistatico per mantenere pulito e in ordine il pavimento del negozio. È stato inoltre dedotto che quel panno rendeva il pavimento scivoloso a causa degli oli profumati in esso contenuti.
Del tutto irrilevante appare che "il datore di lavoro" fosse o meno "a conoscenza del fatto che le dipendenti usassero quell'attrezzatura" (elemento posto a fondamento della propria decisone dal Giudice, per escludere che "la ricorrente abbia fornito elementi idonei a dimostrare la fondatezza delle accuse mosse alla società"), posto che per la sussistenza della responsabilità ex art. 2087 c.c. non occorre alcuna indagine sull'elemento soggettivo.
Si aggiunga inoltre che il datore di lavoro nemmeno ha previsto che, una volta trattato il pavimento, la scivolosità venisse segnalata con un strumento adeguato al fine di consentire ai propri dipendenti e agli utenti di prestare l'attenzione necessaria; circostanza peraltro che assume maggiore rilievo se si considera che, a detta di Z., il giorno dell'infortunio pioveva moltissimo: il pavimento, dunque, non solo era scivoloso a causa del panno antistatico ma poteva essere bagnato a causa della pioggia.
Nulla di tutto ciò è stato disposto, con la conseguenza che la signora L., rientrata dalla pausa pranzo, è caduta a terra rovinosamente....".
Ciò premesso, in adempimento - in relazione "al caso di specie" - del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione ed alle conseguenti necessarie valutazioni precedentemente omesse, il Collegio ha ammesso ed espletato l'istruttoria orale circa le circostanze che hanno caratterizzato l'accaduto così come allegate, per tratteggiare una responsabilità datoriale, da L. nel ricorso introduttivo del giudizio.
L'istruttoria svolta ha smentito i fatti così come descritti da L. ed in particolare che, durante la sua assenza per la pausa pranzo, il pavimento del negozio sia stato trattato con un panno con oli profumati così da renderlo scivoloso.
La teste St.S., indicata espressamente da L. come la collega che le avrebbe riferito la circostanza, ha dichiarato: " Non è vero che io ho riferito alla signora L. che durante la pausa il pavimento era stato trattato con il panno swiffer".
La teste St. ha anche precisato: "Io lavoravo presso il negozio Z....dal 2005 fino al settembre 2017; attualmente non lavoro più con Z.. Io il giorno in cui si è infortunata la signora L. ero in negozio, se non ricordo male pioveva, ricordo che fuori c'era bagnato per terra. Io ero una addetta alle vendite. Se non ricordo male quel giorno la signora L. è uscita al momento della pausa, io sono rimasta in negozio. Quando è tornata la signora L. io ero al bancone della cassa; ho visto la signora L. rientrare e dopo due secondi l'ho vista per terra; il negozio era pulito, era asciutto. Le pulizie venivano fatte la sera o la mattina. Quel giorno le pulizie erano state fatte la mattina. Posso escludere che durante la pausa e l'assenza della signora L. siano state fatte delle pulizie... Nel negozio non era apposta alcuna segnalazione che indicasse la scivolosità del pavimento perché ripeto il pavimento al momento dell'accaduto non era bagnato...".
Le dichiarazioni rese dalla teste St… appaiono particolarmente attendibili perché rese da una collega di lavoro, non più dipendente della società resistente, che ha mostrato di ben ricordare le modalità dell'accaduto e lo stato dei luoghi.
Le dichiarazioni rese dalla teste St. non sono smentite dalle dichiarazioni rese dalla teste F., altra collega di lavoro di L. pure presente in negozio il giorno dell'infortunio.
F. ha anzi precisato che "L. era uscita per la pausa, io l'ho vista uscire e ricordo che aveva preso il cappotto e poi quando è tornata dalla pausa aveva un passo veloce ed è caduta passando vicino alla cassa per recarsi nel retro del magazzino per riporre gli indumenti e la borsa. Ricordo che quel giorno pioveva... Nel nostro punto vendita veniva sempre utilizzato il panno swiffer...si tratta di un panno elettrostatico per togliere la polvere....Per quel che ricordo io il pavimento non era scivoloso.... Non avevamo nemmeno dei segnali...perché il pavimento che io ricordi era lavato sempre dopo la chiusura, una volta abbassato la saracinesca. Per me il panno swiffer non produce la scivolosità del pavimento, per me è solo un panno elettrostatico...".
Dalle concordi dichiarazioni rese da F. e St. non risulta quindi che il pavimento del negozio fosse stato trattato con panni con oli profumati tale da renderlo scivoloso.
Risulta invece che il pavimento era asciutto e in uno stato tale da non rendere necessaria alcuna segnalazione della scivolosità; risulta inoltre che il panno swiffer era comunque solo un panno elettrostatico, non emergendo comunque l'utilizzo di un panno con oli profumati; risulta poi che L. è rientrata in negozio " con passo veloce " (teste F. .
In presenza di tali concordi dichiarazioni, di scarso spessore probatorio in senso contrario appaiono le dichiarazioni rese dalla unica teste di parte ricorrente L.G.R., sorella della ricorrente, laddove ha dichiarato " quando sono arrivata mia sorella era nel retro e ho visto il prodotto della swiffer con degli oli profumati all'interno, ho visto la confezione; sulla confezione c'era scritto che conteneva oli profumati...".
In relazione al concreto utilizzo di un panno con oli, la teste infatti ha potuto poi dichiarare solo quanto a lei detto dalla sorella anche in ordine all'ammissione di Stefanini di aver effettuato la pulizia del pavimento durante la pausa pranzo; al di là che si tratta quindi essenzialmente di un teste de relato actoris, va ribadito che St., sentita dalla Corte, ha smentito perentoriamente quella circostanza.
Tirando i fili del discorso, l'istruttoria orale svolta ha smentito gli assunti di L. circa la sussistenza al momento dell'infortunio di un pavimento poco prima trattato con panni con oli e pertanto scivoloso, in assenza di apposite segnalazioni.
L'istruttoria ha quindi smentito le circostanze in fatto e le allegate regole cautelari violate, a dire della ricorrente, dal datore di lavoro.
In punto di diritto, osserva il Collegio come la Corte di Cassazione abbia chiarito e precisato che " in tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell'art. 2087 c.c., il lavoratore che subisce l'inadempimento è soggetto all'onere di allegare e dimostrare l'esistenza non solo del fatto materiale, ma altresì delle regole di condotta che assume essere state violate e che sono poste a presidio dell'integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro " e che il lavoratore non può pretendere " di derivare la responsabilità datoriale dal mero verificarsi dell'evento dannoso a suo carico, sul presupposto che quest'ultimo sarebbe sintomatico della mancata adozione di tutte le cautele necessarie per tutelare la sua integrità fisica "perché " è agevole al riguardo obiettare che l'art. 2087 c.c. non configura una forma di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro, non potendosi automaticamente desumere dal mero verificarsi del danno l'inadeguatezza delle misure di protezione adottate: la responsabilità datoriale va infatti collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle migliori conoscenze sperimentali o tecniche del momento al fine di prevenire infortuni sul lavoro e di assicurare la salubrità e, in senso lato, la sicurezza in correlazione all'ambiente in cui l'attività lavorativa viene prestata, onde in tanto può essere affermata in quanto sussista la lesione del bene tutelato che derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto (cfr. tra le tante Cass. nn. 8381 del 2001, 3234 del 1999, 5035 del 1998). (così testualmente in motivazione Cass. Sez. Lav. 11981/2016).
Esclusa pertanto, all'esito della valutazione richiesta nel "caso di specie" a questa Corte dalla sentenza di rinvio, una responsabilità datoriale ex art. 2087 cod. civ.; dovendosi pertanto ricomprendere nel periodo di comporto anche le assenze di L. per il periodo 28.8.2012 al 30.6.2014; va in conclusione rigettata la domanda proposta da L. con il ricorso introduttivo del giudizio.
Si deve aggiungere che solo in sede di rinvio, L. richiama espressamente, a fondamento della sua domanda l'art. 61 del CCNL Industria Tessile, (rubricato "Infortunio e malattie professionali") che dispone quanto segue "In caso di infortunio sul lavoro e di malattia professionale al lavoratore saranno conservati il posto e l'anzianità, a tutti gli effetti contrattuali, fino alla guarigione clinica, documentata dall'apposito certificato rilasciato dall'Istituto assicuratore".
La disposizione, ad avviso della ricorrente in riassunzione, rende irrilevante ogni indagine, per escludere dal comporto il periodo di malattia suddetto, sui profili di colpa datoriale ex art. 2087 cod. civ.
L'assunto non è condivisibile
Rileva il Collegio che il richiamo all'art. 61 citato quale fondamento della domanda difetta, come si è visto, nel ricorso introduttivo del giudizio; L. aveva invocato solo una responsabilità datoriale ex art. 2087 cod.; la Corte di Cassazione, nel solco di una controversia correlata nei gradi di merito alla violazione dell'art. 2087 cod. civ., ha espressamente chiamato, in modo come è noto vincolante, questo collegio, in sede di rinvio, " nel caso di specie " a valutare o meno la sussistenza di profili di colpa datoriale ai fini della esatta determinazione del periodo di comporto.
Si deve aggiungere che l'articolo 61 citato comportava, per la sua formulazione, questioni interpretative controverse e che non sono state oggetto di contraddittorio fra le parti: a tal fine è sufficiente osservare che la disposizione fa espresso riferimento ad una guarigione clinica documentata dall'apposito certificato rilasciato dall'Istituto assicuratore; sul punto, come pure emerge dalle allegazioni della ricorrente in primo grado, L. aveva, promuovendo altro giudizio, contestato le risultanze delle certificazioni INAIL intervenute in relazione all'infortunio del 27.11.2010.
In conclusione, per quanto sopra, decidendo in sede di rinvio, va rigettata la domanda proposta da L. con il ricorso introduttivo del giudizio.
In accoglimento della relativa domanda, L.S. va poi condannata alla restituzione in favore della società resistente della somma netta percepita - in forza della sentenza in grado di appello poi cassata con rinvio - di Euro 38,392,01, nonché delle spese legali pari ad Euro 7000,00, oltre accessori di legge; con interessi legali dalla data del pagamento (Cass. 9171/2018; Cass. 1464/2012).
Va infine rigettata la domanda proposta da V.Z. Spa tesa alla restituzione delle somme erogate dalla società ex art. 73 D.P.R. n. 1124 del 1965 per il periodo 1.7.2014-19.5.2015.
Tale domanda, disattesa dalla sentenza della Corte di Appello poi cassata, era stata infatti oggetto, come correttamente evidenzia L. nelle note scritte conclusive, solo di un ricorso per cassazione condizionato al mancato accoglimento di motivi poi invece accolti in sede di legittimità.
Tenuto conto dell'esito del giudizio in relazione alle domande delle parti nonché della oggettiva complessità delle questioni proposte, ritiene la Corte di compensare fra le parti le spese per tutti i gradi del giudizio.
In proposito la Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all'esito finale della lite (cfr. per l'affermazione di tali principi Cass. 21626/2020; Cass.15506/2018; Cass. 20289/2015).
Le spese di CTU medico legale, così come liquidate in primo grado, vanno poste a carico delle parti nella misura del 50% ciascuno.
 

P.Q.M.

Decidendo in sede di rinvio, rigetta la domanda proposta da L.S. con il ricorso introduttivo del giudizio nonché la domanda riconvenzionale;
condanna L.S. alla restituzione in favore di V.Z. Spa della somma netta percepita di Euro 38,392,01, nonché delle spese legali percepite pari ad Euro 7000,00, oltre accessori di legge; con interessi legali dalla data del pagamento;
compensa fra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio;
pone a carico delle parti le spese della CTU già liquidate dal Tribunale nella misura, nei rapporti interni, del 50% ciascuno.

Così deciso in Milano, il 23 luglio 2021.
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2021.