Categoria: Cassazione civile
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Ricorso di un dipendente della Azienda Usl che esponeva di aver subito un infortunio sul lavoro, durante lo spostamento da un reparto all'altro, nello scendere le scale, riportando un trauma contorsivo, con conseguente assenza dal lavoro e necessità di un ulteriore intervento chirurgico.
Chiedeva pertanto la condanna dell'Inail alla corresponsione di tutte le prestazioni previste dal D.P.R. 30 novembre 1965, n. 1124, art. 66, ed in particolare dell'indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta dal 22.11.1995 al 16.2.1996, della rendita per inabilità permanente stante l'esistenza di postumi derivanti dall'evento suddetto pari all'8% della capacità lavorativa, nonchè del rimborso delle spese sostenute per il pagamento di ticket ed articoli ortopedici.

Il giudice di primo grado rilevava che nel caso di specie non era configurabile l'occasione di lavoro, non essendo sufficiente - ai fini dell'indennizzo richiesto - un nesso topografico o cronologico, e cioè che l'infortunio si fosse verificato nel luogo di lavoro, incombendo pur sempre all'assicurato l'onere di dimostrare (in caso, come nella specie, di contestazione), che l'evento si era verificato nell'ambito dell'attività lavorativa.


Avverso tale sentenza proponeva appello la D. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l'accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.
La Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 16.11.2004, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione D.N. - Rigetto.

La giurisprudenza di questa Corte si è consolidata sulla conclusione che, "nella nozione di occasione di lavoro, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, rientrano tutti i fatti, anche straordinari e imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine e alle persone, sia dei colleghi, sia di terzi, ed anche dello stesso infortunato, attinenti alle condizioni oggettive della prestazione lavorativa presupposto dell'obbligo assicurativo, ivi compresi gli spostamenti spaziali del lavoratore assicurato, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l'unico limite in quest'ultimo caso del rischio elettivo".

"Devesi tuttavia evidenziare che la nozione di rischio ambientale non esonera il lavoratore dall'onere di provare le modalità dell'infortunio occorsogli, essendo ciò necessario al fine di verificare se il detto infortunio, quand'anche verificatosi sul posto di lavoro, sia comunque correlato ad attività funzionale allo svolgimento della prestazione lavorativa. E, nel caso dio specie, la Corte d'appello ha correttamente rilevato, riportandosi alla motivazione del Tribunale, che l'assicurato deve pur sempre "dimostrare (in caso, come nella specie di contestazione) che l'evento si è verificato nell'ambito dell'attività lavorativa, sia pure nella accezione lata ... e senza che venga in rilievo un rischio elettivo"."
Orbene, nella fattispecie in esame la ricorrente ha per contro del tutto omesso di fornire la suddetta prova. 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente

Dott. MONACI Stefano - Consigliere

Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere

Dott. ZAPPIA Pietro - rel. Consigliere

Dott. MELIADO' Giuseppe - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14870/2006 proposto da:

D.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BERGAMO 3, presso lo studio dell'avvocato ANDREONI AMOS, che la rappresenta e difende giusta delega a margine ricorso;

- ricorrente -

contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI e PUGLISI LUCIA, che lo rappresentano e difendono, giusta procura speciale atto Notar Carlo Federico Tuccari di ROMA del 08/06/2006 rep. n. 70942;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 797/2004 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/02/2006 R.G.N. 556/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/11/2009 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l'Avvocato DE ANGELIS CARLO per delega ANDREONI AMOS;

udito l'Avvocato FAVATA EMILIA per delega PUGLISI LUCIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 
 
Fatto

Con ricorso al Pretore, giudice del lavoro, di Modena, depositato in data 18.5.1998, D.N., premesso di essere dipendente della Azienda Usl e di svolgere la propria attività lavorativa presso l'Ospedale di (OMISSIS) con la qualifica di (OMISSIS), esponeva che in data 22.11.1995 aveva subito un infortunio sul lavoro, durante lo spostamento da un reparto all'altro e nello scendere le scale, riportando un trauma contorsivo T.T. dx, con conseguente assenza dal lavoro sino al (OMISSIS) e necessità di un ulteriore intervento chirurgico nell'(OMISSIS). Chiedeva pertanto la condanna dell'Inail alla corresponsione di tutte le prestazioni previste dal D.P.R. 30 novembre 1965, n. 1124, art. 66, ed in particolare dell'indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta dal 22.11.1995 al 16.2.1996, della rendita per inabilità permanente stante l'esistenza di postumi derivanti dall'evento suddetto pari all'8% della capacità lavorativa, nonchè del rimborso delle spese sostenute per il pagamento di ticket ed articoli ortopedici.

Con sentenza in data 9.5.2001 il Tribunale di Modena, subentrato al Pretore a seguito della riforma del cd. giudice unico ai sensi del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, rigettava la domanda.
In particolare il giudice di primo grado rilevava che nel caso di specie non era configurabile l'occasione di lavoro, non essendo sufficiente - ai fini dell'indennizzo richiesto - un nesso topografico o cronologico, e cioè che l'infortunio si fosse verificato nel luogo di lavoro, incombendo pur sempre all'assicurato l'onere di dimostrare (in caso, come nella specie, di contestazione), che l'evento si era verificato nell'ambito dell'attività lavorativa.

Avverso tale sentenza proponeva appello la D. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l'accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 16.11.2004, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione D.N. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso l'Istituto intimato.

Lo stesso ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..


Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, in combinato disposto con l'art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare rileva la ricorrente che la Corte territoriale, pur facendo riferimento alla più recente giurisprudenza secondo la quale la nozione di occasione di lavoro, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento all'attività lavorativa in modo diretto o indiretto, aveva erroneamente ritenuto che la lavoratrice non avesse adempiuto all'onere probatorio alla stessa incombente, avendo la motivazione dell'impugnata sentenza omesso di valutare la dichiarazione del teste B.E. dalla quale risultava chiaramente che l'infortunio si era svolto nell'ambito dell'attività lavorativa.

Inoltre la Corte territoriale aveva omesso di evidenziare la rilevanza del rischio ambientale, alla stregua degli orientamenti giurisprudenziali cui aveva fatto riferimento, con la conseguenza che spettava all'Inail l'onere di fornire la prova della interruzione del nesso eziologico sotto il profilo della esistenza di un rischio elettivo realizzato dal lavoratore medesimo.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione dell'art. 437 c.p.c., comma 2, nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Rileva in particolare la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di assunzione di nuove prove in appello sotto il profilo che non erano state indicate nel ricorso introduttivo del giudizio, di talchè trovava applicazione il divieto posto dall'art. 437 c.p.c., comma 2; ed invero la Corte d'appello aveva omesso di rilevare che la necessità di ulteriori testimoni si era presentata per la prima volta in appello, all'esito del deposito della sentenza di primo grado dalla quale era inopinatamente derivata la dichiarazione di insufficienza probatoria delle dichiarazioni rese nel giudizio di primo grado.

Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Sul punto devesi innanzi tutto evidenziare che la contestazione è in diritto, sulla nozione di occasione di lavoro, in relazione agli atti di locomozione interna al luogo di lavoro.

Orbene, costituisce insegnamento tralaticio della giurisprudenza di legittimità che al fine di integrare l'occasione di lavoro non è sufficiente il mero nesso topografico e cronologico con il lavoro, ma occorre un nesso eziologico con il rischio assicurato.
Tale formula, elaborata molti decenni orsono (Cass. 8 aprile 1965 n. 608) in relazione alla nozione originaria e selettiva di rischio specifico proprio, con il quale era onere dell'infortunato provare il nesso eziologico dell'incidente avvenuto sul luogo di lavoro, va ora reinterpretata in relazione alla attuale nozione di attività protetta.
La giurisprudenza di questa Corte ha successivamente chiarito che la separata previsione legislativa nella seconda parte del D.P.R. 1124 del 1965, art. 1, comma 1, che fa riferimento ad "opifici, laboratori o ambienti organizzati per lavori, opere o servizi, i quali comportino l'impiego di tali macchine, apparecchi o impianti", nei quali operano cioè le fonti di rischio nominate nella prima parte, fonte già di per sè di obbligo assicurativo, implica un ambito ed un nesso di collegamento con il lavoro più ampio del precedente rapporto con la fonte di rischio di cui alla prima parte, ed ha qualificato tale situazione come rischio ambientale; pervenendo alla conclusione che la seconda parte del suddetto decreto presidenziale tutela il lavoro in sè e per sè considerato, e non soltanto quello reso presso le macchine, essendo la pericolosità data dallo spazio delimitato e dai complesso dei lavoratori in esso operanti, oltre che dalle macchine (in tal senso, Cass. SS.UU., 14.4.1994 n. 3476).

Non ignora il Collegio che la giurisprudenza di questa Corte, coerentemente a siffatti principi, ha ricostruito in numerose sentenze (Cass. sez. lav., 4.8.2000 n. 10298, Cass. sez. lav., 4.8.2000 n. 10298; Cass. sez. lav., 8.3.2001 n. 3363; Cass. sez. lav., 13.7.2001 n. 9556; Cass. sez. lav., 11.2.2002 n. 1944; Cass. sez. lav., 21.4.2004 n. 7633; Cass. sez. lav., 5.5.2006 n. 10317), la lunga evoluzione del sistema complessivo di tutela infortunistica, ed in particolare della nozione di occasione di lavoro, consolidandosi sulla conclusione che, pur nella identità di espressione lessicale, risalente alla L. 17 marzo 1898, n. 80, nella nozione di occasione di lavoro, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, rientrano tutti i fatti, anche straordinari e imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine e alle persone, sia dei colleghi, sia di terzi, ed anche dello stesso infortunato, attinenti alle condizioni oggettive della prestazione lavorativa presupposto dell'obbligo assicurativo, ivi compresi gli spostamenti spaziali del lavoratore assicurato, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l'unico limite in quest'ultimo caso del rischio elettivo (Cass. sez. lav., 9.10.2000 n. 13447).

Tali essendo i principi applicabili in subiecta materia, devesi tuttavia evidenziare che la nozione di rischio ambientale non esonera il lavoratore dall'onere di provare le modalità dell'infortunio occorsogli, essendo ciò necessario al fine di verificare se il detto infortunio, quand'anche verificatosi sul posto di lavoro, sia comunque correlato ad attività funzionale allo svolgimento della prestazione lavorativa. E, nel caso dio specie, la Corte d'appello ha correttamente rilevato, riportandosi alla motivazione del Tribunale, che l'assicurato deve pur sempre "dimostrare (in caso, come nella specie di contestazione) che l'evento si è verificato nell'ambito dell'attività lavorativa, sia pure nella accezione lata ... e senza che venga in rilievo un rischio elettivo".

Orbene, nella fattispecie in esame la ricorrente ha per contro del tutto omesso di fornire la prova in ordine alle modalità ed alle circostanze dell'infortunio, avendo articolato tardivamente, solo in sede di giudizio di appello, prova per testi in ordine a siffatte modalità e circostanze, non consentendo quindi al giudicante di poter effettuare alcuna valutazione circa la necessaria correlazione fra l'attività lavorativa svolta dall'interessata e l'infortunio verificatosi.

Di conseguenza la motivazione dei giudici di merito in proposito appare assolutamente corretta e condivisibile.

E sul punto, con riferimento alla censura concernente la mancata valutazione della deposizione del teste B.E., deve altresì ribadirsi l'indirizzo consolidato in giurisprudenza in base al quale la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, la scelta tra le varie risultanze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, ed il giudizio circa la conducenza o meno delle deposizioni testimoniali assunte, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione, che risulti chiaramente esplicitato l'iter logico - giuridico seguito dal decidente nella propria statuizione.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha in buona sostanza rilevato come la prova testimoniale assunta non fosse idonea a suffragare la tesi dell'interessata avendo i testi escussi riferito circostanze apprese dalla ricorrente e non conosciute direttamente dagli stessi; ed il teste B., per come evidenziato dalla ricorrente, aveva pur esso riferito in ordine alle dichiarazioni di quest'ultima sulle circostanze dell'infortunio.

Neanche sotto tale profilo il suddetto motivo di appello può pertanto trovare accoglimento.

Del pari infondato è il secondo motivo di gravame.

Nel rito del lavoro infatti, al pari del rito ordinario, il divieto di nuovi mezzi di prova in grado di appello, previsto dall'art. 437 c.p.c., comma 2, non consente l'ammissione delle nuove prove testimoniali dedotte per la prima volta nel suddetto grado del giudizio, atteso che il potere istruttorie del giudice di appello non è esercitabile in riferimento ai mezzi di prova per i quali sia intervenuta decadenza.

Sul punto va evidenziato che la "indispensabilità" richiesta dal predetto art. 437 c.p.c., al pari dell'art. 345 c.p.c., non va intesa come mera rilevanza dei fatti dedotti (condizione di ammissibilità di ogni mezzo istruttorio), ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti nei tempi stabiliti dalla legge processuale, sicchè il potere istruttorio attribuito al giudice di appello dalla norma in parola, benchè abbia carattere ampiamente discrezionale, non può essere esercitato per sanare preclusioni o decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado (Cass. sez. 3', 19.8.2003 n. 12118).
Nè può ritenersi che la necessità di tali prove sia insorta a seguito dell'esito negativo del predetto giudizio, atteso che siffatto esito non costituisce un fatto estraneo ed indipendente dalla condotta del soggetto, ma è invece proprio una conseguenza della carenza probatoria riscontrata dal giudice del primo grado, alla quale l'interessato non può ovviare con la proposizione di nuove prove nel giudizio di appello, stante l'intervenuta decadenza.

Il ricorso va di conseguenza rigettato.

Nessuna statuizione va adottata per quel che riguarda le spese del giudizio, ricorrendo le condizioni previste per l'esonero del soccombente dal rimborso a norma dell'art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo originario, quale risultante a seguito della sentenza costituzionale n. 134 del 1994, non essendo applicabile al presente giudizio la modificazione introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, u.c., convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, trattandosi di giudizio introdotto prima del 2 ottobre 2003 (data di entrata in vigore del decreto).


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2009