Cassazione Penale, Sez. 4, 08 ottobre 2021, n. 36554 - Sfruttamento del lavoro


 

Presidente: MENICHETTI CARLA
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 22/06/2021
 

Fatto

 


1. Il Tribunale di Firenze, Sezione del Riesame, con l'ordinanza in epigrafe rigettava il ricorso proposto da H.Z. , H.D.e L.X. avverso le ordinanze emesse dal Gip di Prato il 22-27 gennaio 2021 ed il 15-16 febbraio 2021, che applicavano al primo la misura del divieto di dimora nella provincia di Prato, al secondo la misura degli arresti domiciliari ed alla L.X. la custodia cautelare in carcere, in relazione a due ipotesi di sfruttamento del lavoro nei confronti di ventotto cittadini stranieri provenienti dal Pakistan, dal Bangladesh, dalla Cina e dall'Afghanistan, che prestavano la loro opera presso l'impresa "Confezione G." di Prato, nel cui ambito H.Z. risultava datore di lavoro formale, H.D.e L.X. cogestori di fatto.
2. Gli indagati, attraverso il comune difensore di fiducia, hanno proposto un unico ricorso per cassazione avverso la prefata ordinanza, affidato a tre motivi, ampiamente sviluppati e che in questa sede si sintetizzano ai sensi dell'art.173, comma 1, disp.att.cod. proc.pen.
2.1. Illegittimità costituzionale dell'art.603-bis cod. pen. in relazione agli artt.22, comma 12, d.lgs.286/1998 e 3, 25, 27, terzo comma, e 117, primo comma, Cast. (quest'ultimo riferito all'art.49 della CDFUE). Si sostiene la violazione del principio di ragionevolezza in quanto le due distinte fattispecie di reato, pur se sostanzialmente identiche, sono sottoposte ad un differente regime sanzionatorio, meno afflittivo per la fattispecie più grave di cui all'art.22 cit. - che punisce lo sfruttamento di soggetti irregolari che non possono essere assunti ed ottenere tutele - rispetto a quello dell'art.603-bis cod. pen. - che punisce la medesima condotta di sfruttamento nei confronti di soggetti regolari sul territorio italiano operata anche dal datore di lavoro. Inoltre, sul piano della tecnica normativa, il legislatore continua a fare riferimento a meri indici senza fornire di un chiaro e preciso contenuto il termine di ''sfruttamento", ponendosi così in conflitto con il principio di determinatezza di cui all'art.25 Cost. Si sofferma infine il ricorrente sull'analisi dei singoli termini utilizzati dalle due norme a confronto, per evidenziare l'incertezza dei connotati della condotta incriminata.
2.2. Violazione dell'art.603-bis cod. pen. in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e vizio della motivazione con riguardo all'approfittamento dello stato di bisogno. Lo stato di bisogno, come elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, non può essere ovviamente inteso come bisogno di lavoi-are, proprio di chiunque, ma deve ravvisarsi nella mancanza di elementi di sussistenza tali da dover soccombere ad un assoggettamento personale e nella impossibilità di soddisfare detti mezzi di sussistenza cercandoli "altrove", senza essere "approfittati" dal soggetto agente. Vulnerabilità, dunque, intesa come mancanza di reale ed accettabile alternativa di non soggiacere all'abuso, così definita dalla Direttiva 2011/36/EU, art.2(2). La motivazione dell'ordinanza impugnata si discosta da tale concetto e si pone in contrasto anche con l'interpretazione giurisprudenziale della norma in esame, considerando parametri non indicativi della condotta illecita attribuita agli indagati, soprattutto se si considerano i parametri retributivi espressamente previsti dal CCN dei lavoratori tessili.
2.3. Violazione dell'art.603-bis cod.pen. in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e vizio della motivazione con riguardo all'elemento psicologico del dolo specifico che avrebbe sorretto il ricorrente H.Z.. L'indagato, quale amministratore di diritto, era solo un prestanome e dunque - analogamente a quanto necessario a configurare l'elemento soggettivo nei reati di bancarotta fraudolenta - non basta un dolo generico ma occorre la prova di un dolo specifico.
3. Il Procuratore Generale in sede, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

 

Diritto




1. I ricorsi non sono fondati e vanno rigettati.
2. Manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.603-bis cod. pen., sviluppata con riferimento ai principi di uguaglianza (art.3) e di determinatezza (art.25).
Si osserva innanzi tutto che la questione è mal posta, nel senso che i ricorrenti non eccepiscono in realtà un contrasto tra la fattispecie incriminatrice in esame e la Carta Costituzionale, ma la incostituzionalità - per irragionevolezza - del raffronto tra l'art.603- bis cod .pen. e l'art.22, comma 12, d.lgs.286/1998, disposizione quest'ultima che non viene in rilievo nel caso a giudizio e si riferisce a condotta diversa rispetto a quelle oggetto di incolpazione, riguardante l'occupazione di lavoratori privi del permesso di soggiorno.
Quanto al trattamento sanzionatorio, si osserva che il più volte anche in ambiti differenti (si vedano le recenti pronunce in materia di stupefacenti e di omicidio stradale) la Consulta si è pronunciata nel senso che è rimessa al legislatore la individuazione della forbice edittale, trattandosi di una scelta che attiene al riconosciuto grado di disvalore della condotta in un determinato contesto storico-temporale.
Quanto, ancora, alla asserita indeterminatezza della nozione di "sfruttamento", si rileva che la norma incriminatrice indica in maniera dettagliata gli indici rivelatori, con una tecnica che vuole proprio sfuggire ad ogni censura di indeterminatezza, salvo il ruolo indiscusso dell'interprete (giudice di merito e di legittimità) nel verificare in concreto la sussunzione della condotta dell'agente nel dettato normativo.
3. Prima di esaminare gli altri due motivi di ricorso, giova ricordare il principio generale secondo cui in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (in tal senso, da ultimo, Sez.2, n.27866 del 17/06/2019, Rv.276976).
Sullo specifico tema dello "sfruttamento dello stato di bisogno" si rammenta poi che la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'art.603-bis cod.pen. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione ad umilianti o degradanti condizioni di lavoro o di alloggio (così Sez.4, n.27582 del 16/09/2020, Savoia Giuseppe, Rv.279961 e Sez.4, n. 49781 del 09/10/2019, Kuts Olena, Rv.277424).
4. Ciò posto in diritto, appare immune da censure l'impugnata ordinanza, la quale - in base agli esiti delle indagini di cui ha dato riscontro e che non possono in questa sede che essere richiamate, costituendo accertamenti in fatto - ha accertato, sotto il profilo della gravità indiziaria propria della fase cautelare, che le persone offese erano tutte soggette a condizioni di impiego assai gravose e ben lontane da quelle proprie della categoria, sotto i seguenti profili: durata della prestazione di 13-14 ore al giorno; assenza di riposo settimanale; retribuzione gravemente incongrua, equivalendo lo stipendio ad 1/6 del lavoro fatto, sulla base della normale retribuzione, non certo rapportata agli orari "assurdi e disumani" come quelli imposti; penosa situazione degli alloggi, costituiti da un dormitorio occupato da 23 persone, con spazio per 18, e munito di un solo bagno; mancanza di dotazioni di sicurezza; persistenza di situazioni di pericolosità, in particolare per la presenza di un impianto elettrico non a norma; omessa formazione; controllo dei lavoratori mediante telecamera; vitto fornito dalla L.X.. Tutto questo, unito alla lontananza dagli affetti familiari e non conoscenza della lingua italiana, circostanza che rendeva ciascun operaio assolutamente fragile e costretto ad accettare condizioni degradanti di vita, al limite della disumanità, pur di usufruire di un "tetto" e di non vivere di "carità", dimostrava lo stato di bisogno delle persone offese e la condotta di sfruttamento dei datori di lavoro.
5. Il Tribunale ha quindi esaminato la posizione dello H.Z., disattendendo la censura che il difensore ripropone con l'odierno ricorso, riguardante l'assenza dell'elemento psicologico del reato.
Corretta e congrua la motivazione circa la sua consapevolezza ed il suo contributo alla condotta illecita, venendo peraltro remunerato per l'attività svolta, posto che egli stesso ha dichiarato di lavorare per la ditta a lui intestata ed era, quale amministratore, ben al corrente delle indagini in corso.
Infondata, in particolare, la deduzione difensiva circa la necessità di un dolo specifico, smentita dal tenore letterale della norma incriminatrice, che richiede per la punibilità sotto il profilo soggettivo il solo dolo generico, cioè lai cosciente e volontaria realizzazione delle condotte puntualmente delineate dalla norma, mentre non assumono alcun rilievo le finalità perseguite dal reo.
Del resto il ricorrente nulla deduce circa le ragioni che escluderebbero, fin dalla fase cautelare, il contestato elemento soggettivo del reato .
Anche su tale aspetto l'impugnata ordinanza non si presta ad alcuna censura.
6. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Va disposta la comunicazione ex art.94, comma 1-ter, disp.att.cod.proc.pen. relativamente alla L.X., detenuta in carcere.
 


P.Q.M.




Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art.94, comma 1-ter, disp.att.cod. proc.pen.
Così deciso il 22 giugno 2021