Cassazione Civile, Sez. Lav., 02 novembre 2021, n. 31182 - Deprivazione delle mansioni del lavoratore da parte del datore di lavoro: risarcimento del danno alla professionalità



Presidente Berrino – Relatore Lorito

Rilevato che:

Il Tribunale di Roma in parziale accoglimento delle domande proposte da F.P. , condannava la società Generali Business Solutions s.p.a. al risarcimento del danno alla professionalità risentito per effetto della totale deprivazione delle mansioni a lui ascritte, prottrattasi dal (…) (maggio) sino all'introduzione del giudizio ((omissis) ), che aveva determinato un grave pregiudizio alla libera esplicazione della personalità in ambito lavorativo, comportando una notevole riduzione delle chance di crescita professionale; rigettava invece la domanda proposta nei confronti della FATA Assicurazioni s.p.a. nonché l'istanza di risarcimento del danno biologico. Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte distrettuale che rigettava integralmente la domanda attorea sul rilievo essenziale della carenza di allegazione e di prova del danno alla professionalità asseritamente subito dal lavoratore. La cassazione di tale decisione è domandata da F.P. sulla base di quattro motivi illustrati da memoria, ai quali oppone difese con controricorso Generali Business Solutions s.p.a., che ha depositato a propria volta memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c.

Rilevato che:

1. Con i primi tre motivi, articolati sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. (primo motivo), omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla prosecuzione della privazione delle mansioni (secondo motivo), violazione e falsa applicazione dell'art. 2727 e 2729 c.c. (terzo motivo) si stigmatizzano gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito: per avere omesso di esaminare fatti decisivi per il giudizio, tralasciando di considerare gli esiti del pregresso contenzioso (inerente al periodo lavorativo svolto alle dipendenze della FATA Assicurazioni, anteriormente al distacco disposto presso la G.B.S. s.p.a. iniziato nel XXXX ed oggetto dell'attuale giudizio), alla stregua dei quali era emerso, con statuizione coperta dal giudicato, che il ricorrente era stato non solo oggetto di demansionamento, ma totalmente privato della attribuzione di qualsivoglia attività di lavoro; per aver tralasciato di considerare che il comportamento si inseriva in una lunga e manifesta gestione illecita del rapporto di lavoro la cui prosecuzione costituiva oggetto di accertamento nel presente giudizio; per non aver considerato che le surrichiamate circostanze erano state oggetto di specifica allegazione in ricorso, nel cui contesto era stata chiaramente rimarcata la sostanziale situazione di inerzia lavorativa nella quale era stato collocato il ricorrente, oltre che dimostrate, anche alla stregua delle acquisizioni probatorie di natura documentale, sia con riferimento al danno alla professionalità che a quello connesso alla perdita di chance. 2. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono in primo luogo ammissibili, in quanto, diversamente da quanto argomentato dalla G.B.S. s.p.a., coerenti con il thema decidendum, oggetto del presente giudizio essendo il comportamento contra jus addebitato alla controricorrente in relazione al periodo maggio XXXX-(OMISSIS) , in cui l'attività di lavoro è stata esplicata in posizione di distacco, presso la predetta società. 3. Essi sono altresì fondati, entro i termini che si vanno ad esporre. Deve rammentarsi che il dictum della Corte distrettuale riposa essenzialmente sulla strutturale carenza del ricorso introduttivo del giudizio, in ordine alla allegazione, ed, a fortiori, alla prova, circa la sussistenza del danno professionale e da perdita di chance che si assume risentito da parte ricorrente. Si è sostenuto che le scarne allegazioni di cui al n. 65 lett. c del ricorso, per la genericità della tecnica redazionale che le connotavano non consentivano di ritenere assolto l'onere assertivo gravante sull'attore, come definito dall'orientamento espresso in sede di legittimità, specificamente richiamato. Non può, peraltro sottacersi, che l'iter motivazionale che innerva la pronuncia impugnata, non involve anche la circostanza della condizione di forzata inattività nella quale era stato collocato il lavoratore, oggetto di specifica allegazione da parte ricorrente, la quale ha riprodotto gli strumenti probatori articolati in primo grado anche nella presente sede, unitamente ai dati documentali versati in atti, in conformità al principio di specificità che governa il ricorso per cassazione; condizione di inattività inizialmente posta in essere dalla datrice di lavoro FATA Assicurazioni s.p.a, - in relazione alla quale era stata emessa dalla Corte d'appello di Roma pronuncia di condanna della predetta per il periodo (OMISSIS) al risarcimento del danno, passata in giudicato - e che si deduce proseguita in epoca successiva, in seguito al distacco operato presso la G.B.S. s.p.a. Il giudice del gravame ha omesso di valorizzarre la surrichiamata circostanza, oggetto di discussione fra le parti (oltre che posta dal medesimo giudice di prima istanza a fondamento della propria decisione), che assume un connotato decisivo per la soluzione della controversia in oggetto, e che traligna altresì, sul versante della violazione di legge. In generale, ed in via di premessa, è bene rammentare che secondo l'art. 2103 c.c., comma 1 (nella versione di testo anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81) "il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto... ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte". Il disposto è violato, avuto riguardo alla libertà ed alla dignità del lavoratore nei luoghi in cui presta la sua attività ed al sistema di tutela del suo bagaglio professionale, quando il dipendente venga assegnato a mansioni inferiori. Si tratta di protezione tradizionalmente intesa come di contenuto inderogabile (vedi per tutte Cass. 10/12/2009 n. 25897), rispetto alla quale l'art. 2103 c.c., comma 2, sancisce la nullità di ogni patto contrario. L'assegnazione a mansioni inferiori rappresenta poi, fatto potenzialmente idoneo a produrre una pluralità di conseguenze dannose, sia di natura patrimoniale che di natura non patrimoniale. Innanzi tutto l'inadempimento datoriale può comportare un danno da perdita della professionalità di contenuto patrimoniale che può consistere sia nell'impoverimento della capacità professionale del lavoratore e nella mancata acquisizione di un maggior saper fare, sia nel pregiudizio subito per la perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno o di ulteriori potenzialità occupazionali (ex aliis vedi Cass. 12/6/2015 n. 12253, Cass. 10/6/2004 n. 11045). Invero la violazione dell'art. 2103 c.c., può pregiudicare quel complesso di capacità e di attitudini definibile con il termine professionalità, che è di certo bene economicamente valutabile, posto che esso rappresenta uno dei principali parametri per la determinazione del valore di un dipendente sul mercato del lavoro. Inoltre la modifica in peius delle mansioni è potenzialmente idonea a determinare un pregiudizio a beni di natura immateriale, anche ulteriori rispetto alla salute, atteso che, nella disciplina del rapporto di lavoro, numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata del lavoratore, con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale, con la configurabilità di un danno non patrimoniale risarcibile ogni qual volta vengano violati, superando il confine dei sacrifici tollerabili, diritti della persona del lavoratore oggetto di peculiare tutela al più alto livello delle fonti. Nell'ottica descritta è stato affermato che la negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni, al pari del demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche nel luogo di lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell'interessato, con una indubbia dimensione patrimoniale che rende il pregiudizio medesimo suscettibile di risarcimento e di valutazione anche in via equitativa (vedi Cass. 2/1/2002 n. 10). Se, infatti, l'art. 2103 c.c., nella formulazione pro tempore vigente, riconosce esplicitamente il diritto del lavoratore a svolgere le mansioni per le quali è stato assunto ovvero equivalenti alle ultime effettivamente svolte, deve ritenersi sussistente ‘a fortiorì il diritto del lavoratore a non essere lasciato in condizioni di forzata inattività e senza assegnazione di compiti, ancorché in mancanza di conseguenze sulla retribuzione; in capo al lavoratore sussiste, dunque, non solo il dovere ma anche il diritto all'esecuzione della propria prestazione lavorativa - cui il datore di lavoro ha il correlato obbligo di adibirlo - costituendo il lavoro non solo un strumento di guadagno, ma anche una modalità di esplicazione del valore professionale e della dignità di ciascun cittadino. Il comportamento del datore di lavoro che lascia in condizione di inattività il dipendente, pur se non caratterizzato da uno specifico intento persecutorio, viola, dunque, l'art. 2103 c.c. - nei sensi innanzi descritti - oltre ad essere lesivo del fondamentale diritto al lavoro, inteso soprattutto come mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino, nonché della professionalità del dipendente (vedi Cass. 18/5/2012 n. 7963, cui adde, quanto ai pregiudizi scaturenti sul versante patrimoniale e non patrimoniale, dalla forzosa ed illegittima collocazione del lavoratore in uno stato di inattività Cass.28/9/2020 n. 20466). Tanto precisato, deve ritenersi che nello specifico, la condotta contra jus attribuita alla parte datoriale, è stata oggetto di precipua allegazione (oltre che di articolazione di strumenti probatori mediante i capitolati articolati e la documentazione prodotta) da parte ricorrente, che non risulta sia stata adeguatamente considerata dai giudici del gravame. Tale omissione ha determinato chiare ricadute anche sul piano del ragionamento inferenziale svolto sul tema della prova, dunque, sul procedimento di sussunzione della fattispecie nelle disposizioni che disciplinano il procedimento presuntivo in tema di formazione della prova, rubricato agli artt. 2727-2729 c.c. che è stato disatteso dalla Corte distrettuale. In tal senso, pur dovendosi escludere tout court l'applicazione di alcun procedimento, di tipo automatico, nell'accertamento della sussistenza del diritto azionato in connessione alla prospettata dequalificazione professionale, e nella liquidazione del pregiudizio che ne deriva, non può sottacersi l'importanza del ruolo rivestito dall'abbandono del lavoratore in uno stato di totale inattività, nella dinamica degli oneri probatori che governano la materia e che ne consentono la determinazione anche in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto. Al lume delle sinora esposte considerazioni, le critiche formulate possono essere accolte entro i termini descritti, con assorbimento della quarta censura, attinente alla applicazione del regime delle spese disposto dalla Corte distrettuale, successiva in ordine logico. La pronuncia deve, pertanto essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d'appello designata in dispositivo la quale provvederà a scrutinare la vicenda ad essa devoluta, tenendo conto della condizione oggetto di specifica allegazione - di forzata inattività, in cui era stato collocato il ricorrente, alla stregua degli enunciati principi di diritto, disponendo anche in ordine alle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.
 


La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso nei sensi di cui in motivazione, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.