Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 novembre 2021, n. 32463 - Revisione della rendita per infortunio sul lavoro


 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 08/11/2021
 

Rilevato che:
con sentenza n. 3569/2014, la Corte di appello di Roma ha rigettato l'impugnazione proposta dall'INAIL nei confronti di C.B. avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il diritto della stessa alla rivalutazione, nella misura del 70% di inabilità sin dal 30.3.2007, della rendita conseguente all'infortunio sul lavoro occorsale in data 16.12.1995 e di cui fruiva dal 15 giugno 1996;
ha rilevato la Corte territoriale che le conclusioni del C.t.u. officiato in secondo grado davano atto che i postumi derivanti dall'infortunio sul lavoro subito dalla C.B. fossero in effetti quantificabili nella misura e con la decorrenza sopra indicata e che, dalla stessa ricostruzione dell'iter amministrativo relativo alla revisione, si evinceva che la C.B. aveva esercitato correttamente il proprio diritto secondo le previsioni dell'art. 83 T.U. n. 1124 del 1965, anche in considerazione del fatto che l'INAIL nella comunicazione del 5 dicembre 2002, nel riconoscere la misura del 40% di inabilità, aveva stabilito la revisione al settimo anno, così implicitamente indicando un termine di rilevanza della possibile revisione sino all'anno 2009;
per la cassazione di tale decisione ricorre l'INAIL con due motivi, cui resiste C.B., con controricorso.
 

Considerato che:
l'istituto ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 (primo motivo) nonché della violazione dell'art. 113 c.p.c. (secondo motivo) osservando che la domanda accolta sia in primo che in secondo grado era intesa ad ottenere la rivalutazione per aggravamento della rendita decorrente dal 15.6.1996, per l'inabilità conseguente ad infortunio sul lavoro del 16.12.1995, rendita affermata nella misura del 60% in sede di ultima revisione dall'INAIL dal 1.3.2005;
tuttavia, osserva il ricorrente, a norma del T.U. del 1965, art. 83, rilevano solo i mutamenti delle condizioni di salute del titolare della rendita intervenuti entro i dieci anni dalla data di decorrenza della stessa ed aggiunge che tale periodo assume significato ai fini della delimitazione dell'ambito temporale di rilevanza dell'aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell'assicurato;
sicché, la proposizione della domanda di revisione oltre il decennio - od il quindicennio, per la malattia professionale - o la visita medica disposta dall'istituto sono ammesse a condizione che le stesse abbiano per oggetto l'accertamento di un aggravamento o di un miglioramento verificatosi entro il decennio o quindicennio dalla costituzione della rendita ed entro lo stesso periodo il lavoratore dichiarato guarito con postumi non indennizzabili può chiedere l'aggravamento degli stessi;
poiché, nella specie, i fatti non risultano contestati quanto alle date di avvenuta revisione della rendita e tutto ciò risulta anche dalla documentazione amministrativa, il ricorrente sostiene che il peggioramento delle condizioni di salute intervenute nel marzo 2007, ben oltre dopo la scadenza del detto termine decennale, doveva indurre a ritenere stabilizzati i postumi, come tali inidonei alla rivalutazione della rendita; del tutto irrilevante, infine, risulterebbe, ad avviso del ricorrente, la considerazione svolta dalla sentenza circa i contenuti della comunicazione rilasciata dallo stesso Istituto ricorrente;
il ricorso è fondato;
deve rilevarsi che il termine di complessivi dieci anni, per la revisione della rendita per infortunio sul lavoro, previsto dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 83 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), non è di prescrizione, nè di decadenza, ma delimita soltanto l'ambito temporale di rilevanza dell'aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell'assicurato, che fa sorgere il diritto alla revisione;
pertanto è ammissibile la proposizione della domanda di revisione oltre il decennio, a condizione che la parte interessata provi che la variazione (in meglio od in peggio) si sia verificata entro il decennio, e purchè, se la revisione è richiesta dall'INAIL, l'Istituto, entro un anno dalla data di scadenza del decennio dalla costituzione della rendita, comunichi all'interessato l'inizio del relativo procedimento (cfr. Cass. 17.2.2011 n. 3870);
secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 27 aprile 2004 n. 8066; Cass. 10 novembre 2004 n. 21386; Cass. 22 settembre 2010 n. 20009) il termine decennale dalla data di costituzione della rendita per infortunio di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 83, entro il quale si può procedere, a domanda dell'assicurato o per disposizione dell'istituto, alla revisione della rendita da infortunio sul lavoro, non è di prescrizione, e neppure di decadenza - non incidendo sull'esercizio ma sull'esistenza del diritto - ma serve semplicemente a delimitare l'ambito temporale di rilevanza dell'aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell'assicurato, poichè la legge collega al trascorrere del tempo una presunzione assoluta per effetto della quale devono ritenersi definitivamente stabilizzate le condizioni fisiche. Ne discende che l'attivazione del procedimento di revisione e l'accertamento medico legale possono aver anche luogo oltre il suddetto termine di dieci anni, purchè le modificazioni delle condizioni fisiche dell'assicurato siano avvenute entro il suddetto limite temporale;
è stato, altresì, chiarito (Cass. 7 aprile 2004 n. 6831 e, successivamente, Cass. 12 ottobre 2010 n. 20994) che la data di costituzione della rendita cui si riferisce il citato articolo non è l'atto formale che costituisce il diritto, atto che ha natura meramente dichiarativa e risulta fissato casualmente in relazione alle vicende della sua formazione per via amministrativa o giudiziale, nè la data dell'evento materiale che determina la nascita del diritto, ma coincide con la data in cui il diritto stesso decorre;
coerentemente con i suddetti principi deve ritenersi che, nel caso in cui entro il termine decennale suddetto si proceda alla revisione della rendita per infortunio sul lavoro e questa accerti la sussistenza di un miglioramento dell'attitudine al lavoro che conduca la relativa riduzione in uno spazio di giuridica irrilevanza, ed in tale spazio si conservi alla scadenza del decennio, si determina l'irreversibile estinzione del diritto. Conseguentemente, ove dopo il decennio l'attitudine al lavoro si riduca raggiungendo nuovamente una misura astrattamente rilevante, emerge una nuova situazione materiale, estranea al preesistente diritto (cfr. Cass. 20994/2010 cit.);
nel caso di specie è pacifico che l'infortunio sul lavoro si è verificato il 16.12.1995 e che fu costituita una rendita INAIL commisurata ad una invalidità del 34% con decorrenza dal 15 giugno 1996. E' pacifico, altresì, che, a seguito di visita medica di revisione in data 5 dicembre 2002, è stata riconosciuta una rendita pari al 40% dal 7 gennaio 2003. Ancora, a seguito di visita medica collegiale del 19 maggio 2003, la percentuale di inabilità è stata riconosciuta pari al 60% dal primo febbraio 2003;
orbene, poichè la sentenza impugnata ha accertato, sulla base di una consulenza tecnica d'ufficio, la sussistenza di un aggravamento delle conseguenze relative all'infortunio sopra indicato che hanno determinato una percentuale di invalidità pari al 70% a decorrere dal marzo 2007, e quindi dopo la scadenza del 16 giugno 2006, scadenza del decennio previsto dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, deve ritenersi, in applicazione dei principi sopra enunciati, che il diritto alla suddetta rendita si era già estinto, come correttamente sostenuto dall'Istituto ricorrente;
l'accoglimento di tale censura determina l'assorbimento di ogni altro rilievo, laddove quello formulato con riguardo alla violazione da parte del giudice del merito dell'obbligo di decidere secondo diritto, si risolve comunque in sede di giudizio di legittimità nel riscontrato vizio interpretativo sopra esaminato;
il ricorso, in definitiva, va accolto e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione che esaminerà la fattispecie alla luce del principio sopra indicato, oltre a regolare le spese del giudizio di legittimità;
 

P.Q.M.
 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 2021.