Il Testo Unico in materia antinfortunistica ed il decreto correttivo n. 106/2009*
Con l'entrata in vigore del decreto correttivo n. 106/2009, la sicurezza sul lavoro conosce un importante passo in avanti. L'Autore, sostituto procuratore della Repubblica da anni impegnato sul delicato fronte dei reati ambientali e della tutela della salute sui luoghi di lavoro, traccia un intervento a tutto tondo delle novità, evidenziando le ulteriori modifiche migliorative rispetto al D.Lgs. n. 81/2008
di Donato Ceglie
Preambolo
Obiettivo dell'ordinamento è la tutela della vita delle persone, in
un'ottica di sviluppo, pacifica e virtuosa convivenza, pari opportunità per
tutti.
L'insegnamento ed il monito che proviene a tutti noi dalla nostra magnifica
Carta Costituzionale sta a ricordarci che il lavoro è il cemento grazie al quale
si costituisce e si tiene, e che, al contempo, la Repubblica, ed al contempo lo
sforzo generale è quello di ridurre i morti, i feriti ed il dolore che
quotidianamente dal mondo del lavoro provengono.
Possiamo quindi dire che il complesso delle regole in materia antinfortunistica
ha come obiettivo quello di eliminare o comunque ridurre i rischi derivanti
(potremmo dire naturalmente) dalla pluralità di situazioni di pericolo che
inevitabilmente sono connesse al sempre più complicato mondo del lavoro.
Lo scorso 20 agosto è entrato in vigore il decreto legislativo 03.08.2009, n.
106 recante "Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9
aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro" (Pubblicato sul supplemento ordinario n. 142/L alla
Gazzetta Ufficiale n. 180 del 05.08.2009). Con l'entrata in vigore del D.Lgs.
106/2009 è portato a compimento il complesso ed articolato iter normativo di
aggiornamento e razionalizzazione del quadro di riferimento in tema di
prevenzione infortuni e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Va condivisa la felice intuizione di quanti1
descrivono la storia della normativa antinfortunistica nel nostro Paese,
attraverso un crescendo di norme che va dagli anni 50 ai giorni nostri, con un
approccio previsionale che prevedeva prima un modello di prevenzione
"tecnologica" (D.P.R.
547/55 e succ. mod.) al quale modello seguiva quello che vedeva la
prevenzione "partecipata" (D.Lgs.
277/91 e
626/1994 e succ. mod. ed integr.) per poi arrivare ad un modello di
prevenzione "organizzata" come immaginata dal legislatore del
D.Lgs. 81/2008 e succ. modif.
In particolare il D.Lgs. 81/2008, così come voluto dalla
Legge Delega n. 123/2007, vuole rappresentare un concreto tentativo di
riordino della normativa in tema di prevenzione e protezione.
Molte e significative sono le novità ivi contenute, perché in parte recepimento
ed armonizzazione delle direttive dell'U.E., in parte espressione di scelte
coraggiose del legislatore che ha valorizzato indirizzi giurisprudenziali
consolidatissimi aventi ad oggetto questioni cruciali della citata normativa.
Nuove leggi, nuove procedure, un nuovo approccio: tutto ciò è il prodotto
dell'attività di una fonte normativa, o per meglio dire, della fonte sistemica
delle regole che oramai condizionano la produzione normativa dei singoli paesi
dell'Europa, la Comunità Europea. Attraverso il sistema di regole che promana
dalle direttive, dalle circolari, dalle raccomandazioni che provengono da
Bruxelles ogni paese ha oramai chiaro il quadro dei valori di riferimento e la
cornice entro la quale le legislazioni dei singoli paesi facenti parte della
Comunità devono adeguarsi. In questa sede merita essere richiamata la
raccomandazione della
Commissione della Comunità Europea del 11.03.2002, n. 118,
avente ad oggetto "Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e dalla società:
una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006".
Afferma testualmente la Commissione Europea: "La salute e la sicurezza sul
luogo di lavoro rappresentano oggi uno dei settori più ricchi di implicazioni e
più importanti della politica sociale dell'Unione".
In effetti, fin dal 1951 la Comunità del carbone e dell'acciaio aveva iniziato a
migliorare la sicurezza dei lavoratori e, con il trattato di Roma, tale
preoccupazione si era estesa all'insieme dei lavoratori dipendenti. È così che,
a partire dalla fine degli anni '70, ed in particolare dopo l'adozione, nel
1987, dell'Atto unico europeo, è stato elaborato un significativo corpus
legislativo che ha favorito un innalzamento delle norme di sanità e sicurezza
negli ambienti di vita e di lavoro.
È proprio perché l'Unione può basarsi su un acquis così ricco che la
definizione di una strategia comunitaria riveste un'importanza determinante
nell'agenda per la politica sociale.
Tale strategia possiede un triplice carattere innovativo:
- sposa un'impostazione globale del benessere sul luogo di lavoro, prendendo
in considerazione le trasformazioni del mondo del lavoro e l'insorgenza di nuovi
rischi, in particolare psicosociali, e mira così a migliorare la qualità del
lavoro, della quale un ambiente di lavoro sano e sicuro è uno dei componenti
fondamentali;
- si basa sul consolidamento di una cultura di prevenzione dei rischi, sulla
combinazione di strumenti strategici differenziati (legislazione, dialogo
sociale, spinta al progresso e individuazione delle pratiche migliori,
responsabilità sociale delle imprese, incentivi economici) e sulla realizzazione
di partenariati tra tutti i soggetti nel campo della salute e della sicurezza;
- dimostra inoltre che una politica sociale ambiziosa è un fattore di
competitività e che, per contro, la mancanza di strategia comporta costi che
pesano in modo significativo sulle economie e sulle società."
Non sfuggirà pertanto, letto il chiarissimo ed inequivocabile testo della
Raccomandazione appena riportata, la centralità del tema della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro, in sintesi, in un'ottica di un progressivo
miglioramento della qualità della vita.
Di fatto l'unificazione europea ha in corso, da tempo, un'attività produttiva di
regole tendenti ad armonizzare le legislazioni nazionali nei settori strategici
della tutela dei consumatori, della tutela della salute dei cittadini e dei
lavoratori e della tutela dell'ambiente.
Il recepimento nell'ordinamento giuridico interno della legislazione comunitaria
citata impone a tutti i destinatari ed in particolare al mondo imprenditoriale
nonché alle Pubbliche Amministrazioni l'esigenza di interventi tesi a tradurre
in fatti concreti i mutamenti previsti ed imposti dalla nuova normativa, al fine
di conformare tutti gli ambienti di vita e di lavoro ai nuovi modelli, standards
e requisiti previsti dalla normativa citata.
In questa prospettiva appare prioritario un profondo mutamento culturale in uno
scenario nel quale assumono preminente rilevanza la sensibilizzazione,
l'informazione,la formazione ed il coinvolgimento propositivo di tutti gli
attori.
Mutamenti difficili poiché è difficile l'aggiornamento e l'applicazione di tale
legislazione che introduce e richiama comunque (e non abroga espressamente)
normative, procedure gestionali ed operative che rappresentano ormai un punto di
riferimento consolidato nel tempo, per tendere ad una sintesi tra il vecchio ed
il nuovo che delinei le nuove "regole del gioco" in tema di salute, benessere e
cura dei cittadini e dei lavoratori. Possiamo a questo punto individuare quella
che orami appare la nuova ed aggiornata gerarchia delle fonti del sistema, in
una ideale scaletta riportata nella Figura 1:
→ | La Costituzione Repubblicana | ||||||||||||||||
→ | Le leggi dello Stato | ||||||||||||||||
→ | Regolamenti e decreti attuativi | ||||||||||||||||
→ | La normativa delle Regioni | ||||||||||||||||
→ | Le norme ed i principi della Comunità Europea | ||||||||||||||||
→ | Le Buone Prassi e le regole tecniche | ||||||||||||||||
→ | Le regole aziendali attuative della normativa |
Figura 1. Gerarchia delle fonti del sistema di regolamentazione delle normative e delle leggi.
Le coordinate costituzionali
Non vi è dubbio che nel sistema prospettato ruolo fondamentale assume (in attesa
dell'entrata a regime della nuova carta costituzionale europea) la Costituzione
della Repubblica Italiana.
Ai fini del presente lavoro appare opportuno richiamarne due articoli:
l'articolo 32 ("La Repubblica tutela salute come fondamentale diritto
dell'individuo ed interesse della collettività e garantisce cure agli
indigenti...") ed inoltre l'articolo 97 ("I pubblici uffici sono
organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon
andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici
sono determinate le sfere di competenze, le attribuzioni e le responsabilità
proprie dei funzionari").
Non esitò il legislatore costituente a porre come obiettivo strategico del
nascente stato democratico la questione della salute dei cittadini dandone un
valenza pubblica e delineando uno scenario alla luce del quale lo stato avrebbe
dovuto prendere a cuore e farne diventare questione strategica la salute dei
cittadini in un ottica non soltanto di prevenzione e cura, ma anche di
miglioramento della qualità della vita e di perseguimento di sempre più alti e
diffusi obiettivi di benessere.
L'articolo 97 Cost. fu individuato dai padri della Costituzione come il solco e
la cornice entro i quali le pubbliche amministrazioni tutte avrebbero dovuto
fare riferimento nel darsi una "organizzazione", congrua, adeguata ed efficiente
per rispondere ai fini istituzionali previsti dall'ordinamento.
Non a caso si è fatto riferimento all'articolo 97 della Costituzione che parla
in particolare di attribuzioni e responsabilità dei funzionari, proprio per
fornire da subito, una visone organica, efficiente e ben organizzata delle
pubbliche amministrazioni.
Sulla scorta di quanto detto va precisato che la legislazione prevede normative
specifiche per assicurare il perseguimento dei fini fissati nelle carte
fondamentali. Più in particolare in tema di tutela della salute, il sistema
italiano prevede nell'arco di una disciplina nazionale, un fondamentale ruolo
svolto dalle regioni e dagli enti territoriali che gestiscono sostanzialmente la
sanità sul territorio, in un quadro di sana competizione-cooperazione tra
strutture pubbliche e private che forniscono capillarmente ai cittadini una
vasta offerta di servizi. Si impone qui il richiamo di una sentenza della corte
di Cassazione che individua gli aspetti peculiari del fondamentale articolo 2087
del Codice Civile: "il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle
acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il
lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza".
Pertanto, non è sufficiente che una macchina sia munita degli accorgimenti
previsti dalla legge, in un certo momento storico giacché il processo
tecnologico cresce in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi
per rendere la stessa sempre più sicura.
L'art. 2087 cod. civ., infatti, nell'affermare che: l'imprenditore è tenuto
ad adottare nell'esercizio dell'impresa misure che, secondo le particolarità del
lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica
e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore
di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche. (Cass., Sez. Quarta
Pen., 26.04.2000, n. 7402).
Il datore di lavoro
Il protagonista indiscusso, sul quale grava l'onere di apprestare le risposte
alle complessità evidenziate, è senza ombra di dubbio la figura apicale di ogni
singola struttura. Possiamo senz'altro ipotizzare, quindi un immagine piramidale
laddove ad ogni singola struttura o parte di struttura corrisponderà una figura
apicale che contribuirà con scelte organizzative e condotte concrete alla
gestione di strutture complesse nel rispetto delle regole.
Sarà compito in particolare del datore di lavoro-imprenditore tenere legate le
varie professionalità in un ottica di informazione, partecipazione, e
condivisione dei fini da perseguire e nelle scelte da adottare.
Un punto appare di fondamentale importanza ed è quello relativo ai controlli.
Non vi potrà essere scelta organizzatoria o modulo di gestione di ambienti
complessi se a ciò non corrisponderà un meccanismo permanente di controlli
attivato dalla struttura piramidale e gestito concretamente dai singoli garanti
- dirigenti aventi la titolarità del segmento organizzatorio sottoposto alle
singole competenze.
Merita di essere citata a tal fine una fondamentale massima della Cassazione in
tema di controlli da parte del datore di lavoro ai fini di tutela della salute
dei lavoratori negli ambienti di vita e di lavoro.
Con la sentenza n. 1238 del 19.01.2005, la quarta sezione penale della
Cassazione ha affermato che: "quanto al dovere di presenza costante del
datore di lavoro e soggetti equiparati sul luogo di lavoro, va ricordato il
principio secondo il quale "ad impossibilia nemo tenetur", concreta esplicazione
del principio di ragionevolezza ed esigibilità della prestazione. Pertanto, tale
obbligo va inteso nel senso che i soggetti tenuti debbono assicurare, più che la
presenza fisica che non è in sé necessariamente idonea a garantire la sicurezza
dei lavoratori, la "gestione" oculata dei luoghi di lavoro, mediante la
predisposizione di tutte le misure imposte normativamente (informazione,
formazione, attrezzature idonee e presidi di sicurezza), nonché di ogni altra
misura idonea, per comune regola di prudenza e diligenza, a garantire la
sicurezza nei luoghi di lavoro".
È bene evidenziare che il Dirigente del laboratorio deve costantemente vigilare
anche al fine di prevenire pericoli per l'incolumità dei terzi.
La stessa Cassazione sul punto è stata di grande chiarezza: con la sentenza n.
6686 del 07.07.1993, ha precisato che "anche i terzi quando si trovano
esposti ai pericoli derivanti da un'attività lavorativa svolta nell'ambiente di
lavoro devono ritenersi destinatari delle misure di prevenzione".
Sussiste pertanto un cosiddetto rischio aziendale connesso all'ambiente che deve
essere coperto da chi organizza il lavoro.
La massima ripropone i doveri dei quali si devono far carico i gestori di
ambienti complessi in tema di scelte organizzative, ma ripropone in particolare
il coinvolgimento e la corresponsabilità di quanti operano all'interno di
strutture complesse e che debbono improntare la loro azione e le loro scelte a
criteri di professionalità, responsabilità, vigilanza e condivisione.
Tanto nella normativa degli anni '50 (DPR
n. 547/1955, nn.
164 e
303 del 1956) che nel D.Lgs. 626, e nel testo unico poi, viene individuata
una pluralità di soggetti quali diretti destinatari dei doveri in tema di
sicurezza, sanzionando penalmente le eventuali violazioni delle norme.
L'art. 4 D.P.R. 547/1955 recitava testualmente: "Obblighi dei datori di
lavoro, dei dirigenti e dei preposti, che eserciscono, dirigono o sovrintendono
alle attività indicate all'art. 1, devono, nell'ambito delle rispettive
attribuzioni e competenze:
a) attuare le misure di sicurezza previste dal presente decreto;
b) rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a
loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione;
c) disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza
ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione".
In buona sostanza, il legislatore del 1955 decise di affidare ad una pluralità
di soggetti (e non poteva essere altrimenti) l'applicazione concreta in ogni
ambiente di lavoro delle centinaia di disposizioni, obblighi, divieti ed
interventi necessari per garantire la sicurezza.
Primo tra tutti il legislatore si rivolse (e si rivolge tuttora) al datore di
lavoro. È opportuno richiamare cosa ha sancito la Suprema Corte di Cassazione,
interpretando quanto già previsto dal D.P.R. 547/1955 (quindi non aspettando il
D.Lgs. 626/1994 o il legislatore europeo, né tantomeno la Legge delega 123/2007
per arrivare alle seguenti conclusioni) in tema di doveri del datore del datore
di lavoro: "In tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di
lavoro o del dirigente ai quali spetta la "sicurezza del lavoro", è molteplice
ed articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati
lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla
predisposizione dì queste misure e quindi, ove le stesse consistano in
particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti a portata
di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per
imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alle misure in
esse previste e sfuggano e alla superficiale tentazione di trascurarle. Il
responsabile della sicurezza, sia egli o meno l'imprenditore, deve avere la
cultura o la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante
costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere di non
limitarsi ad assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle
norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla
pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria
prassi di lavoro. Inoltre lo specifico onere di informazione ed assiduo
controllo, se è necessario nei confronti dei dipendenti dell'impresa, si impone
a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di
altri e vengono per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture
a loro non familiari e che perciò possano riservare insidie non note" (sent.
03.06.1995, n. 6486).
La lettura di questa massima contribuisce a far chiarezza sul ruolo centrale che
assume nella normativa vigente la figura del datore di lavoro: egli è il garante
della sicurezza, il garante della concreta attuazione delle norme, colui che
prima degli altri si deve porre il problema e mettere in moto meccanismi
permanenti (e non episodici, schizofrenici, superficiali o eccezionali) ed
incisivi (e non solo di facciata, per far credere che si è adempiuto alla legge,
limitandosi a compilare qualche modulo prestampato), che puntino alla
individuazione, stesura, adozione e controllo di procedure di sicurezza.
Questa è in particolare la filosofia del testo unico in materia di sicurezza
come modificato dal decreto 106/2009: la sicurezza è questione complessa (lo
aveva in verità già intuito il legislatore degli anni '50) che impone l'adozione
di procedure, cioè di regole che vanno dalla individuazione dei rischi, alla
stesura di uno o più documenti, all'apprestamento e messa a disposizione di
strumenti, cose, macchinari e mezzi di protezione conformi a norme di sicurezza,
alla attivazione di strutture permanenti dedite alla sicurezza, alla formazione
ed informazione di personale ed utenza, alla selezione di ditte appaltatrici e
sub appaltatrici che abbiano i requisiti tecnico-professionali richiesti dalla
legge, e, da ultimo, all'attivazione di meccanismi di controllo, continui
pressanti perché la sicurezza è soprattutto controlli spinti, dice la
Cassazione, fino alla pedanteria. Ovviamente tali procedure richiedono risorse,
personale, mezzi: ecco allora che a fianco del datore di lavoro (ma dopo di lui)
la legge individua come destinatari di doveri anche i dirigenti ed i preposti.
Afferma ancora la Cassazione: "In tema di infortuni sul lavoro, ai sensi
dell'art. 4 D.P.R. 547 del 1955, sono, tra gli altri, destinatari delle norme di
prevenzione e responsabili, nell'ambito delle proprie attribuzioni e competenze,
delle inosservanze di tutte le disposizioni del citato D.P.R. i dirigenti
tecnici, ossia coloro che sono preposti alla direzione tecnico - amministrativa
dell'azienda o di un reparto di essa con la diretta responsabilità
dell'andamento dei servizi, quindi, institori, gerenti, direttori tecnici o
amministrativi, capi ufficio, capi reparto, che partecipano solo eccezionalmente
al lavoro normale. Tali dirigenti, sempre in forza della surrichiamata norma,
devono predisporre tutte le misure di sicurezza fornite dal capo dell'impresa e
stabilite dalle norme, devono controllare le modalità del processo di
lavorazione ed attuare nuove misure, anche non previste dalla normativa,
necessarie per tutelare la sicurezza in relazione a particolari lavorazioni che
si svolgano in condizioni non previste e non prevedibili dal legislatore e dalle
quali possono derivare nuove situazioni di pericolo che devono trovare immediato
rimedio. 7 dirigenti devono altresì vigilare sulla regolarità an-tinfortunistica
delle lavorazioni, dare istruzioni affinché tali lavorazioni possano svolgersi
nel migliore dei modi: in ogni caso, quando non sia possibile assistere
direttamente a tutti i lavori, devono organizzare la produzione con una
ulteriore distribuzione di compiti tra i dipendenti in misura tale da impedire
la violazione della normativa" (Cass., Sez. Quarta Pen., 01.07.1993, in CP,
1994, 388).
Ne consegue che, nell'ambito delle proprie attribuzioni e competenze i dirigenti
ed i preposti sono direttamente ex lege destinatari dei doveri in tema di
prevenzione e sicurezza, e sarà loro preciso dovere vigilare sulla correttezza
dei comportamenti e sulla regolarità delle lavorazioni, con un'ulteriore ed
importantissima conseguenza: se dalle attività di vigilanza nell'ambito delle
proprie attribuzioni e competenze dovesse emergere una violazione, un rischio
ovvero un pericolo, il dirigente ed il preposto hanno il dovere di intervenire,
se hanno i mezzi necessari, o richiedere l'intervento alla struttura
tecnica-operativa o direttamente al datore di lavoro affinché la situazione di
pericolo venga rimossa ed il rischio eliminato.
I lavoratori
È bene richiamare, a questo punto, la responsabilità dei lavoratori.
Già il D.P.R. n. 547/1955 prevedeva la responsabilità penale del lavoratori ai
quale veniva prospettato anche l'arresto fino a quindici giorni nel caso di
inosservanza delle disposizioni più rilevanti sul piano della sicurezza e
contenute nel citato decreto.
Il testo Unico del 2009 ha confermato questo indirizzo normativo, prevedendo
all'art. 20 gli obblighi di ogni singolo lavoratore, sancendo in particolare:
"Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di
quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli
effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle
istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro".
L'articolo 59 prevede le sanzioni per i lavoratori, che per i casi più gravi
contemplano anche l'arresto.
Ma perché il legislatore ha previsto una responsabilità penale anche per i
lavoratori, che sono, tra l'altro (o dovrebbero essere) i primi beneficiari
delle norme in tema di sicurezza?
Alcuni osservatori e giuristi hanno collocato la figura del lavoratore a fianco
o al di sotto del datore di lavoro, del dirigente e del preposto, quale altro
destinatario diretto delle norme. In altre parole si tratta di una teoria
quadripartitica o quadrilatera del sistema sicurezza, che vede al centro la
figura del datore di lavoro ed ai lati (come collaboratori e diretti esecutori
delle disposizioni di quest'ultimo) i dirigenti, i preposti ed i lavoratori
inseriti a pieno titolo nel sistema sicurezza aziendale del quale condividono
organizzazione, finalità e responsabilità. In contrapposizione a questa teoria
c'è invece chi sostiene che i destinatari delle norme siano esclusivamente i
datori di lavoro, i dirigenti e i preposti: secondo questa visione (trilatera o
triparte) il potere aziendale.
Nelle mani dei lavoratori dovrebbero finire al più guanti di protezione e
dispositivi di sicurezza, ma non certo fette di potere aziendale e mezzi
finanziari, che invece il legislatore ha previsto restino rigorosamente nelle
mani della gerarchia aziendale.
In ogni caso i lavoratori devono comunque conoscere e rispettare le regole della
sicurezza, le quali sono di tale importanza e rilievo "pubblico" (oltre che
interno - aziendale), che il legislatore ha voluto responsabilizzare il
lavoratore stesso, al punto da esporlo anche a responsabilità penali.
Tale profilo penale trova la sua giustificazione non già perché il lavoratore
rientri tra i destinatari qualificati delle norme e nemmeno perché il detentore
di potere e mezzi finanziari all'interno dell'azienda (e sarebbe difficile
pensarlo guardando la realtà lavorativa e aziendale italiana), ma perché viene a
trovarsi inserito di fatto in un sistema di sicurezza ideato e gestito da altri.
Il "sistema sicurezza aziendale" vede nel lavoratore oltre che il beneficiano
principale anche il protagonista operativo e quindi, nell'interesse suo e di
quanti altri possano riportare lesioni da condotte colpose irresponsabili e
sprovvedute, viene riproposta l'importanza fondamentale del ruolo del lavoratore
stesso che va, in quest'ottica, formato, informato e motivato per il
perseguimento dell'obiettivo della massima sicurezza e del rispetto delle norme
antinfortunistiche, tenendo sempre in evidenza la valenza pubblica di tale
rilievo (anche in osservanza al quanto previsto dall'art. 32 della Costituzione,
ove è sancito che il diritto alla salute è bene intangibile ed è interesse della
collettività). Ecco allora che appare più evidente il motivo per cui tali
fondamentali obiettivi siano tutelari anche sanzionando penalmente le violazioni
commesse dal lavoratore.
Il lavoratore va tutelato anche contro i rischi che possono derivare da errori o
condotte pericolose che possono essere adottate dal lavoratore stesso.
Significativa appare la seguente massima: "Se anche le norme dettate in
materia di prevenzione infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il
lavoratore persino in ordine ad incidenti derivanti da sua negligenza ed
imprudenza ed imperizia, una tale condotta dell'infortunato non assurge a causa
sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento quando sia comunque
riconducibile all'area di rischio inerente l'attività svolta dal lavoratore e
all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di
lavoro. Quest'ultimo è. però esonerato da responsabilità quando il comportamento
del dipendente presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità,
dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive
organizzative ricevute".
In tal senso si è espressa con una costante e dominante giurisprudenza la
Suprema Corte di Cassazione.
Siamo in presenza quindi di una pluralità di destinatari degli obblighi in tema
di sicurezza.
Si porrà quindi un problema di organizzare l'"azienda in sicurezza", esigenza
che ripropone la centralità della figura del datore di lavoro. A tal proposito
sempre più rilevante è il tema della colpa da (omessa) organizzazione. Si è
detto in dottrina (Paliero Pergallini) che "il problema della prevenzione del
rischio-reato negli enti collettivi, non è tanto un problema di persone, ma
soprattutto di "organizzazione dell'organizzazione": il rispetto delle norme
penetra nella stessa fase di progettazione della strategia d'impresa, in modo da
adeguare lo stile ed i comportamenti dell'ente alle pretese dell'ordinamento
innescando un meccanismo virtuoso capace di contenere le spinte criminogene
connaturate al conseguimento da ogni costo del profitto.
Si tratta di un processo destinato a sfociare nell'allestimento di
un'organizzazione, attraverso la quale una pluralità di soggetti è chiamata a
formulare una ricetta per individuare l'orbita del rischio-reato, misurarne
l'intensità e, infine, gestirlo in vista del suo contenimento entro limiti di
tollerabilità.
Dal D.Lgs. 81/2008 alla disciplina vigente
Gli aspetti più rilevanti del
D.Lgs. 81/2008 investivano una pluralità di questioni:
- Sotto il profilo dell'estensione della delega: il testo ha la capacità di
modificare la disciplina previgente, sostituendola, non dovendosi limitare alla
mera compilazione;
- Sotto il profilo dei destinatari: il testo è destinato a tutti i soggetti che
lavorano, con le peculiarità caratteristiche di rapporti di tipo autonomo o
subordinato;
- Sotto il profilo delle norme: il testo valorizza la normativa tecnica, anche
di fonte convenzionale, nonché assimila le direttive di prodotto con quelle di
utilizzo, proponendo un sistema integrato tra allegati e normativa tecnica cui
si attribuisce peculiare valore cogente; inoltre, tende a valorizzare gli
elementi di organizzazione dell'attività, nonché l'adozione di modelli
organizzativi e, segnatamente, di quelli di cui alle norme UNI INAIL luglio 2001
ed OHSAS 18001:2007;
- Sotto il profilo delle finalità: coniuga la sicurezza psicofisica con quella
della regolarità delle posizioni di lavoro (contrasto al lavoro nero);
- Sotto il profilo dell'informazione e del coordinamento: in continuità con la
Legge 123/07, impone ai dicasteri competenti ed agli specifici comitati di dare
impulso alla diffusione della cultura della sicurezza, mentre valorizza i
sistemi di qualificazione degli enti e delle imprese;
- Sotto il profilo sanzionatorio: rafforza il coordinamento degli organismi di
vigilanza ed armonizza il sistema sanzionatorio tra contrasto al lavoro
irregolare e prevenzione infortuni, operando distinzioni di gravità nelle
violazioni, con la reintroduzione di sanzioni di natura amministrativa,
complessivamente adeguando le misure sanziona-torie e riordinando
l'applicabilità - e la sua esonerabilità - del regime sanzionatorio di cui al
D.Lgs. 231/01 (responsabilità amministrativa delle società)2.
Il nuovo quadro normativo alla luce del decreto correttivo n. 106/2009 propone i
seguenti aspetti:
- conferma dell'impianto normativo del testo unico (D.Lgs. n. 81/2008);
- rivisitazione di alcuni profili di disciplina;
- rivisitazione dell'apparato sanzionatorio;
- conferma dell'importanza della formazione, anche attraverso gli enti
bilaterali;
- conferma dell'importanza dei modelli di organizzazione e di gestione, anche
attraverso gli enti bilaterali;
- entrata in vigore del correttivo, fatti salvi i rinvii previsti: 20.08.2009.
Vanno richiamate, oltre le norme in tema di deciso allargamento dei soggetti,
che debbono beneficiare della normativa, i più stringenti compiti in tema di
corretta e reale organizzazione dell'azienda in sicurezza, le norme in tema di
responsabilità delle persone giuridiche e dell'allargamento al raggio di azione
del D.Lgs. 231/2001, anche per gli infortuni sul lavoro.
Particolare attenzione viene posta nella introduzione dell'istituto della
subdelega.
Prevede infatti l'art. 16 del testo novellato:
"1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non
espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza
richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e
controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo
svolgimento delle funzioni delegate.
e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto
2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva
pubblicità.
3. La delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di
lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni
trasferite.
L'obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed
efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30,
comma 4.
3-bis. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di
lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro
alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al
primo periodo non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine
al corretto espletamento delle funzioni trasferite.
Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma
non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate" .
Il nuovo Decreto ha quindi a chiare lettere previsto che il soggetto delegato
(previo accordo scritto e sottoscritto con il Datore di Lavoro Delegato), può a
sua volta subdelegare la propria funzione in materia di salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro, purché alle medesime condizioni previste dal medesimo articolo
(art. 16 comma 3 come introdotto dal D.Lgs. 106/2009).
Altro aspetto di sicuro rilievo contenuto nel citato articolo è l'esplicitata
previsione in base alla quale l'obbligo di vigilanza in capo al Datore di
Lavoro, in ordine al corretto espletamento da parte del delegato, si intende
assolto in caso di adozione e di efficace attuazione del modello di controllo e
verifica di cui al comma 4.
Di straordinaria importanza, a parere dello scrivente, il legame voluto dal
legislatore tra la questione della delega ed il modello di organizzazione e
gestione di cui all'art. 30.
Viene rafforzata l'idea di una sicurezza caratterizzata da efficaci e realistici
modelli di organizzazione, che si esprimono attraverso la qualificata
individuazione ed il puntuale adempimento di procedure che siano il precipitato
operativo di una reale, veritiera, congrua e documentata attività di valutazione
dei rischi.
Anche se è bene precisare che il controllo, secondo lart. 16 co. 3, sintende
assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e
controllo di cui allart. 30 co. 4. Bene fa chi3
evidenza che il modello di verifica e controllo di cui allart. 16 comma 3 è
altro rispetto al sistema di gestione e di controllo di cui allart. 30,
rispondendo il sistema ad una funzione di più largo respiro organizzativo che
possa avere anche funzione esimente in relazione alle pene previste dal D.
231/2001 in caso di infortunio sul lavoro.
Le novità sulla valutazione dei rischi
Tali argomentazioni introducono le importanti novità in tema di valutazione dei
rischi.
Allargomento il legislatore dedica la seconda sezione del testo correlato ed in
particolare gli artt. 28 e 29 del citato decreto.
La
valutazione dei rischi |
|
La disciplina del D.Lgs. n. 81/2008 (testo unico): |
Le modifiche del decreto correttivo 2009 |
nella valutazione bisogna tenere conto di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all'età e alla provenienza da altri Paesi (art. 28, comma 1). |
nella valutazione bisogna tenere
conto anche dei rischi
connessi alla specifica
tipologia contrattuale
attraverso cui viene resa la
prestazione di lavoro (nuovo
art. 28, comma 1); nella
valutazione bisogna tenere conto
anche dei rischi da stress
lavoro-correlato, ma soltanto a
seguito delle indicazioni
emanate dalla Commissione
consultiva, ed in ogni caso, a
far data dal 1 agosto 2010 (art.
28, comma 1-bis). |
il documento di valutazione dei rischi deve avere data certa (art. 28, comma 2); |
il documento di valutazione dei
rischi deve avere data certa
o attestata dalla sottoscrizione
del documento medesimo da parte
del datore di lavoro nonché, ai
soli fini della prova della
data, dalla sottoscrizione del
responsabile del servizio di
prevenzione e protezione, del
rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza o del
rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza territoriale e
del medico competente, ove
nominato; |
era stato soppresso il termine
di novanta giorni già previsto
dall'art. 96-bis, D.Lgs. n.
626/1994, come modificato
dall'art. 25, D.Lgs. n.
242/1996; |
viene aggiunto il comma 3-bis
all'art. 28, D.Lgs. n. 81/2008,
stabilendosi che in caso di
costituzione di nuova impresa,
il datore di lavoro è tenuto ad
effettuare immediatamente la
valutazione dei rischi
elaborando il relativo documento
entro novanta giorni dalla data
di inizio della propria
attività; |
Obbligo di redigere una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa (art. 28, comma 2, lettera a). |
Conferma dell'obbligo di
redigere una relazione sulla
valutazione, ma si specifica
che: |
Art. 29, comma 3 obbligo di
rielaborazione del documento di
valutazione dei rischi in
occasione di: |
Nuovo Art. 29, comma 3
obbligo di rielaborazione
immediata della valutazione dei
rischi: |
obblighi del datore di lavoro di
cooperazione, coordinamento e
redazione del documento unico di
valutazione dei rischi da
interferenze (cd. duvri), che va
allegato al contratto; |
conferma degli obblighi, ma
sempre che il datore di lavoro
abbia la disponibilità giuridica
dei luoghi in cui si svolge
l'appalto o la prestazione di
lavoro autonomo; |
«La predisposizione del documento di valutazione dei
rischi è il fondamento primario delle scelte dell'impresa in materia di
sicurezza dei dipendenti e delle altre persone che si trovano all'interno
dell'azienda». Queste lapidarie parole hanno usato i giudici della Suprema
Corte di Cassazione (Cass., Sez. Quarta Pen., sent. n. 4981/2004) nella storica
(e per tanti versi drammatica) sentenza con la quale venivano confermate le
condanne per le undici morti avvenute nel gravissimo incidente occorso
all'interno della camera iperbarica attiva all'interno della struttura sanitaria
privata, denominata "Istituto Ortopedico Galeazzi" in Milano.
Nel ricostruire il tragico evento e nell'individuare le condotte casualmente
efficienti e penalmente rilevanti che portarono alla morte di undici persone
(dieci cittadini utenti del servizio sanitario privato ed un dipendente), i
giudici della Suprema Corte non esitarono a porre a base della sentenza di
condanna del datore di lavoro e del responsabile del servizio di prevenzione e
protezione (tra gli altri) le macroscopiche insufficienze e colpose lacune
riscontrate nell'attività di valutazione dei rischi e nella successiva redazione
del documento di valutazione dei rischi.
Perché la Suprema Corte di Cassazione ha dato tanto rilievo, in una vicenda,
quale quella della clinica Galeazzi, alla predisposizione del documento di
valutazione dei rischi?
Qual è la funzione della valutazione dei rischi in una moderna organizzazione
del lavoro finalisticamente orientata alla tutela della salute delle persone?
Quali sono i doveri del datore di lavoro e delle altre figure professionali che
con lui collaborano in tema di valutazione dei rischi?
Cosa impone la legge, ed a chi?
Profili di diritto comunitario
Il D.Lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni ha recepito (e sta continuando a
recepire) ed ha tradotto poi in legge nel nostro ordinamento, le direttive
emanate dalla Comunità Europea finalizzate al miglioramento della sicurezza e
della salute dei lavoratori durante il lavoro. In particolare, con la
direttiva quadro n. 89/391/CEE (GUCE 29.6.1989, n. L/183), il legislatore
europeo delineò e impose una nuova stagione normativa, in tema di prevenzione
infortuni e sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro, con la previsione di
strumenti operativi sicuramente innovativi e portatori di novità dirompenti
ri-spetto al quadro normativo precedente. Si voleva decisamente voltare pagina
al fine di poter garantire maggiori livelli di sicurezza nel mondo del lavoro,
anche in considerazione del fatto che milioni sono ancora gli infortuni sul
lavoro in Europa, dei quali decine e decine di migliaia ogni anno con esiti
mortali.
Va da subito evidenziato che oltre a far fronte alle drammatiche cifre da vera e
propria mattanza collettiva che caratterizzano gli ambienti di lavoro, il
legislatore europeo aveva anche chiaro il quadro dei costi e dei danni economici
che le condizioni di insicurezza degli ambienti di lavoro provoca nelle economie
degli stati europei.
Anche l'Italia non è da meno nelle tragiche statistiche degli infortuni. Ogni
anno muoiono nel nostro paese 1400 persone circa, a fronte del verificarsi
annualmente di circa un milione di infortuni sul lavoro. L'Inail ha provato a
calcolare i costi economici per l'Italia di tali tristi statistiche: sommando le
spese sanitarie, assistenziali, previdenziali, giudiziarie ed economiche si è
individuata nella ragguardevole cifra di circa 45 miliardi di euro l'anno i
costi degli infortuni sul lavoro nel nostro paese.
Ricadute di diritto interno
Il legislatore del D.Lgs. n. 81/2008 (e quello del D.Lgs. 106/2009 ne ha
confermato l'orientamento) ha inteso voltar pagina rispetto alla precedente
stagione normativa offrendo nuove regole che delineassero un approccio
totalmente nuovo al tema della sicurezza. Un approccio caratterizzato
dall'obbligo e dalla necessità di apprestare un sistema di gestione aziendale,
improntato a flessibilità, implementabilità, procedimentalità e coinvolgimento
attivo di tutti i soggetti operanti nell'ambiente di lavoro stesso. Come si
diceva in precedenza, si delinea la "Sicurezza organizzata", un nuovo sistema di
gestione aziendale da calare in ogni ambiente di lavoro, pubblico e privato, con
le dovute modalità e specifici criteri organizzativi, qualunque sia la
dimensione dell'azienda.
Un approccio che venne recepito dal disegno di legge delega emanata dal
Consiglio dei Ministri del 16 febbraio 2007, che prevede nuove disposizioni a
tutela di "chiunque" possa riportare rischi da attività lavorative, e
successivamente tradotto in disposizioni legislative con i Decreti 81/2008 e
106/2009.
Agli antichi protagonisti della sicurezza (in primo luogo il datore di lavoro,
ma subito dopo dirigenti, preposti e lavoratori) il legislatore ne ha aggiunto
di nuovi, andando a prevedere un "sistema aziendale" della sicurezza, a sua
volta aperto al contributo e all'apporto di figure consulenziali ed operative
che di volta in volta la complessità del sistema e le esigenze aziendali ne
richiedessero l'entrata in campo: responsabile e addetti al servizio di
prevenzione e protezione, medico competente, rappresentanti dei lavorati per la
sicurezza, consulenti esterni.
È di straordinaria importanza l'entrata in vigore della cd. "responsabilità
delle persone giuridiche". La novella dell'art. 30, con la diretta applicabilità
del D.Lgs. 231/2001 anche in tema di infortuni sul lavoro, impone per le persone
giuridiche, e quindi per le figure apicali con titolarità dei poteri aziendali
un salto di qualità in termini di buona organizzazione.
Strumentali al perseguimento di un efficiente ed efficace sistema sicurezza
aziendale sono, come sopra riportati, i doveri delineati in particolare dai
novellati articoli 28 e 29 D.Lgs. 81/2008.
Tra i doveri del Datore di Lavoro è richiamato l'obbligo di procedere ad una
puntuale, esaustiva e veritiera valutazione dei rischi aziendali per la
sicurezza, attività doverosamente preliminare a qualsiasi tipo di intervento,
valutazione sempre aggiornabile e che produca obbligatoriamente un programma di
interventi che rappresenti l'aspetto operativo ed esprima concretamente il
modello di gestione della sicurezza che il datore di lavoro intende adottare
all'interno della sua azienda4.
Ed ancora prevede il D.Lgs. 106/2009 che il compito di "elaborare le
indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato"
è affidato alla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza
sul lavoro, di cui all'art. 6 D.Lgs. n. 81/2008.
Quindi uno degli aspetti più innovativi del D.Lgs. 81/2008 (per il quale è
previsto l'entrata in vigore il 01/08/2010) completa ed attualizza quella che da
molti è considerato uno degli obblighi più rilevanti in tema di normativa
antinfortunistica, ovvero la valutazione dei rischi.
Profonde innovazioni quelle volute dal legislatore del D.Lgs. n. 81/2008, che si
inseriscono in un mondo del lavoro che sta subendo da anni a questa parte sia
dal mercato che dal legislatore stesso, epocali sconvolgimenti in termini di
innovazioni tecnologiche, mutati rapporti lavorativi, nuove formule
contrattuali, irruzione di nuove emergenze connesse con la presenza di milioni
di lavoratori extracomunitari e il ruolo sempre più importante nello scacchiere
mondiale di paesi quali la Cina e l'India i cui mercati stanno influenzando (non
sempre positivamente e "legalmente") il mondo del lavoro nell'intero pianeta.
Uno scenario caratterizzato sempre più da nuove formule organizzative,
concorrenza sempre più esasperata, più accentuate forme di precarizzazione e
connesse esternalizzazioni di attività e processi produttivi, con speculari
innesti di spezzoni di aziende terze o soggetti esterni operanti all'interno
dell'azienda.
Tutto ciò in un contesto di vera e propria deflagrazione del mercato con parti
(anche non secondarie) di aziende che vengono delocalizzate sempre più spesso
all'estero, con aziende medio-grandi che rappresentano un caleidoscopio
societario ed organizzativo: un quadro insomma la cui complessità e dinamicità
pone sempre nuovi problemi in termini di organizzazione e pianificazione degli
interventi per tutelare al meglio le condizioni di lavoro delle donne e degli
uomini che lavorano. In questo mondo in furibonda trasformazione si calano i
doveri previsti dal D.Lgs. n. 626/1994, primo tra tutti quello relativo alla
valutazione dei rischi.
Il sistema sanzionatorio
Altro aspetto innovativo è offerto dal sistema sanzionatorio.
Ed infatti per la questione sanzionatoria - vero punto nevralgico della riforma5,
da cui sono derivate tutte le polemiche che hanno accompagnato l'approvazione
del provvedimento - il D.Lgs. n. 106/2009 ha operato una rivisitazione, o meglio
una "razionalizzazione" dello stesso, finalizzata a garantire una proporzione
tra la sanzione e la gravità dell'inadempienza ai precetti antinfortunistici.
Nello specifico, viene operata una rivisitazione dell'entità delle sanzioni, in
modo da rendere le pene detentive eque rispetto alla gravità delle infrazioni e
le ammende e le sanzioni pecuniarie proporzionate, oltre che alle violazioni,
all'aumento dei prezzi al consumo, verificato su base ISTAT, dal 1994 ad oggi.
Inoltre, il provvedimento introduce un meccanismo in forza del quale l'ammontare
delle ammende viene incrementato, in via automatica e senza necessità della
adozione di un atto avente forza di legge, tenendo conto dell'aumento degli
indici ISTAT, ogni quinquennio, in modo da rendere dinamico l'apparato
sanzionatorio ed, al contempo, costante la afflittività della ammenda (il cui
"peso" attuale verrà mantenuto allo stesso livello anche per il futuro) nel
corso degli anni.
È prevista inoltre:
a) l'estensione ella procedura di definizione mista amministrativo - penale,
prevista dal
D.Lgs. n. 758/1994, ai reati contravvenzionali in materia in materia di
igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal D.Lgs. 81/2008 nonché da
altre disposizioni aventi forza di legge, anche se puniti con la sola pena
dell'ammenda (nuovo art. 301, modificato dall'art. 142 del D.Lgs. n. 106/2009);
b) l'estensione della procedura di cui sub a), agli illeciti amministrativi
puniti con sanzione amministrativa pecuniaria (nuovo art. 301-bis,
introdotto dall'art. 143 del D.Lgs. n. 106/2009);
c) la riformulazione della procedura di definizione delle contravvenzioni,
previste dal D.Lgs. n. 81/2008, punite con la sola pena dell'arresto (nuovo art.
302, sostituito dall'art. 144, comma 1 D.Lgs. 106/2009);
d) la previsione di un nuovo "potere di disposizione" attribuito agli organi di
vigilanza (nuovo art. 302 bis, introdotto dall'art. 144, comma 2, D.Lgs.
n. 106/2009);
e) l'abrogazione della "speciale" attenuante originariamente prevista dall'art.
303 D.Lgs. n. 81/2008 (norma abrogata dall'art. 145 D.Lgs. n. 106/2009).
______________________
* Il presente contributo, gentilmente concesso dall'Editore
(www.dirittoitalia.it),
è tratto dalla Rivista "Strumentario Avvocati - Rivista di Diritto e Procedura
Penale", n. 11, 2009, 4 ss.
1 Sul punto si veda la riflessione di Lepore
M., in Ambiente e Sicurezza sul Lavoro, n. 9, 2009, pagg. 17-19.
2 In tal senso Porpora
A., in Compiti, responsabilità e deleghe secondo il D.Lgs. 81/2008, EPC
Libri, 2008, pag. 19.
3 Vedi Bocchini
F., La Delega di funzioni e gli obblighi del DDL e dei dirigenti, in
Igiene e Sicurezza nel lavoro, n. 9, 2009, pag. 484-487, il quale opportunamente
richiama Fossati G., La Delega
di Funzioni, in M. Rusciano e
G. Natullo (a cura di), La
tutela dellambiente di lavoro, Torino 2007, 219.
4 Per un approfondimento in tal senso sia consentito rinviare a
Ceglie D., La valutazione dei
rischi, in M. Rusciano e G. Natullo,
(a cura di), La Tutela dellambiente di lavoro, Torino 2007, pagg.
195-206.
5 Vedi Scarcella
A. Così cambiano le sanzioni, in Ambiente e Sicurezza sul lavoro, n. 9,
2009, pagg. 20-33.