Cassazione Civile, Sez. 6, 30 novembre 2021, n. 37534 - Domanda per il riconoscimento della rendita o indennizzo per malattia professionale quale conseguenza dell'attività di coltivatrice diretta


 

 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: BOGHETICH ELENA
Data pubblicazione: 30/11/2021
 

Rilevato che

Con sentenza n. 405 depositata il 17.1.2020, la Corte d'appello di Ancona, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di R.M. volta a conseguire la rendita o l'indennizzo per malattia professionale quale conseguenza dell'attività di coltivatrice diretta;
la Corte territoriale ha rilevato che non è stata raggiunta la prova delle attività in concreto svolte e, in particolare, della ripetitività delle operazioni, dell'ampiezza e peculiarità dei movimenti, caratteristiche necessarie, secondo la consulenza tecnica d'ufficio, per provocare le patologie rilevate (rottura del tendine sovraspinoso, tendinopatia spalla, sindrome del tunnel carpale, ernia discale lombare, ernia cervicale), posto che i testimoni escussi non hanno saputo precisare la dimensione del terreno coltivato, il numero delle piante coltivate, i tempi occorrenti per ciascuna attività, il peso delle cassette, ed hanno escluso che la R.M. utilizzasse macchinari agricoli come il despugliatore o il trattore;
avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice deducendo un motivo di censura;
l'INAIL ha resistito con controricorso;
veniva depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;
 

Considerato che
con l'unico motivo, il ricorrente deduce insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., per avere la Corte di merito omesso di considerare un fatto decisivo per il giudizio ossia le risultanze storico-lavorative della ricorrente, che "da sempre" coltiva i campi agricoli e palesemente ha sottoposto a sforzi continui spalle e schiena;
il motivo è inammissibile;
costituisce orientamento consolidato di questa Corte il principio secondo cui in tanto si può censurare una sentenza di merito di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo ex art.360 n. 5 c.p.c. (nel testo risultante dalla modifica apportata dall'art. 2, d.lgs. n. 40/2006, e anteriore alla novella di cui all'art. 54, d.l. n. 83/2012, conv. con L. n. 134/2012) in quanto il fatto su cui la motivazione è stata omessa o è stata resa in modo insufficiente o contraddittorio sia autonomamente decisivo, ossia potenzialmente tale da portare la controversia ad una soluzione diversa, l'indagine di questa Corte dovendo spingersi fino a stabilire se in concreto sussista codesta sua efficacia potenziale (cfr. da ult. Cass. n. 7916 del 2017);
in ordine ai criteri di riparto dell'onere probatorio, nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell'eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di "probabilità qualificata", da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale (cfr. da ult. Cass. n. 10097 del 2015 e Cass. n. 736 del 2018); nella specie parte ricorrente non ha addotto alcun fatto la cui considerazione da parte del giudice avrebbe di per sé condotto ad un diverso e a sé favorevole giudizio, limitandosi ad evidenziare che l'attività di coltivatrice diretta era stata l'unica attività lavorativa a tempo pieno della R.M., con ciò muovendo una censura inammissibile in quanto volta, nella sostanza, a criticare la valutazione del materiale probatorio come eseguita dalla Corte di merito, al di fuori dei limiti consentiti dallo schema legale del nuovo testo dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass., S.U. n. 8053 del 2014);
anche prima della modifica apportata all'art. 360 n. 5 c.p.c. dall'art. 54, d.l. n. 83/2012, cit., la censura di vizio di motivazione non poteva essere volta a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, né per suo tramite si poteva proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento (cfr. da ult. ancora Cass. n. 7916 del 2017, cit.);
il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile; nessun provvedimento sulle spese di lite deve essere adottato, stante l'autodichiarazione resa ex art. 152 disp.att. cod.proc.civ. dalla ricorrente;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
 

P.Q.M.



La Corte dichiara inammissibile il ricorso, nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto da||’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 6 luglio 2021.