Tribunale di Velletri, 14 dicembre 2021, n. 4236 - Obbligo di vaccinazione del personale sanitario e bilanciamento di diritti: revocata la sospensione dell’operatore non vaccinato se la dimensione dell’azienda sanitaria ne consente la ricollocazione


 


RGN. 4236/21

 


PA vs. Asl X

A scioglimento della riserva ed alla luce di una sommaria valutazione si osserva quanto segue.

L'art. 4, dl. 44/21 prevedeva che al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione.

(1 medesimo articolo, come novellato dal dl. 172/21, prevede che al fine di tutelare La salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, in attuazione del piano di cui all'articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della Legge 1° febbraio 2006, n. 43, per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione e l'art. 4-ter, di nuovo conio, estende, dal 15.12.21, l'obbligo vaccinale al personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (quindi anche nelle Asl).

Sostanzialmente si prevede un'estensione dell'obbligo vaccinale degli operatori di interesse sanitario, con esclusione dalla possibilità di lavorare (sospensione, nessun emolumento, nessuna conseguenza disciplinare o sulla permanenza del rapporto).

Tuttavia, una lettura costituzionalmente orientata (e dunque obbligata) induce a ritenere che non in tutti i casi la prestazione degli operatori di interesse sanitario non vaccinati è vietata, ma solo laddove quest' ultima inciderebbe sulla salute pubblica e su adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, lo dice espressamente la norma.

Altrimenti il bilanciamento costituzionalmente rilevante tra la salute pubblica (interesse prevalente) e i diritti della persona (interessi soccombenti) non sussisterebbe, con indebita compromissione dei diritti dei singoli.

Dunque, se la prestazione prevista m astratto dal legislatore può in concreto, per i particolari compiti svolti dall'operatore di interesse sanitario o per le modalità di svolgimento, non si traduce in un effettivo rischio specifico e superiore rispetto a quello che corre qualunque lavoratore di altri settori pubblici o privati, l'obbligo e la conseguente sospensione non si giustificano nell'ottica di un necessario bilanciamento costituzionale degli interessi.

Di più, si tradurrebbe in una indebita discriminazione tra operatori di interesse sanitario e operatori di altri settori, se le loro prestazioni in concreto espongono se stessi o gli altri al medesimo rischio per la salute; palese sarebbe la violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Peraltro, in astratto lo stesso legislatore ha distinto tra prestazione resa da un operatore di interesse sanitario e altro operatore di diverso settore, imponendo l' obbligo vaccinale per l' uno e non per l' altro; se poi in concreto questa differenza di pericolo non sussiste non può sussistere neanche la differente disciplina.

Si pensi a compiti meramente amministrativi e, comunque, senza specifica esposizione nei confronti di soggetti potenzialmente fragili o di coloro che hanno rapporti con questi ultimi.

Si pensi ancor di più ad un compito amministrativo reso secondo la modalità del lavoro agile; anzi questa è sicuramente la modalità migliore per assicurare il fine voluto dal legislatore (laddove è evidente che se il vaccino, la guarigione, il tampone negativo, l' uso di mascherine, il distanziamento di uno o due metri, la sanificazione di locali e strumenti riducono il rischio del contagio, il lavoro da casa esclude in radice il contatto e, dunque, il rischio).

A questo punto il bilanciamento è quello tra i diritti della persona (dignità personale, dignità professionale, ruolo alimentare dello stipendio ed anche obiezione di coscienza) e l'interesse del datore di lavoro, nel settore pubblico, di assicurare, esercitando una certa discrezionalità, la buona amministrazione.

In questo caso specifico sono la discrezionalità e il buon andamento che essendo solo lievemente intaccati a dover recedere di fronte alla potenziale completa compromissione dei diritti della persona.

L' Asl X conta nel proprio organico migliaia di dipendenti di talché potrà agevolmente assegnare alla ricorrente compiti anche di natura amministrativa (ed è questo il caso che solo viene qui in rilievo; ma si può aggiungere anche a quel ristretto numero di soggetti che si trovano nella posizione della ricorrente), ovviamente salvaguardando gli interessi di salute pubblica tutelati dalla norma in esame; basti ricordare quanto detto sul lavoro agile (modalità imposta in una interpretazione costituzionale se l'unica che può assicurare sia gli interessi comuni sia quelli dei singoli).

Siamo di fronte ad una grande azienda che sicuramente avrà mediamente scoperture di organico e, comunque, assenze per malattia, aspettativa, ferie etc, con quell'immane mole di lavoro da effettuare specie in periodi di allarme sanitario, che non può ritenere non proficuamente utilizzabile una prestazioni anche amministrativa della ricorrente.

Non basta certo il parere negativo sulla possibilità di ricollocazione espresso da una commissione interna all' azienda (v. docc. 10, 11 e 12 fascicolo parte resistente) per escludere tale possibilità.

Peraltro, si consideri che per alcuni mesi la ricorrente è stata ammessa dall'Azienda convenuta a svolgere prestazioni diverse in quanto non vaccinata, ovviamente perché ha ritenuto che non sussistessero rischi specifici di diffusione del contagio (v. doc. 5 fascicolo parte ricorrente). La stessa commissione interna il 30.8.21 ha ritenuto possibile la ricollocazione sia pure per una limitata possibilità numerica (v. doc. 11 fascicolo parte resistente).
La stessa commissione un mese dopo ha dichiarato tutti i dipendenti, differibili, ricollocabili e tutti i dipendenti, inadempienti , non ricollocabili e questo già mostra che la valutazione della ricollocabilità o meno non attiene al tipo di compiti ed all'assenza del rischio specifico delle diverse mansioni ma alla ragione per la quale non si è vaccinati.

Peraltro, anche a leggere il documento redatto dall'azienda convenuta (proprio per depositarlo in tale giudizio) sembra che i compiti svolti all'interno della S , ben possano essere organizzati in modo da far lavorare senza rischio specifico anche chi non è vaccinato (come, si ripete, la stessa Asl aveva già ritenuto possibile).

Comunque, si tratta di un'azienda con migliaia di dipendenti, non può non essere in grado di ricollocare la netta minoranza non vaccinata.

Si vedano gli atti che parte resistente non ha mostrato, qual è l'organico e quale le coperture dell'organico di diritto nell'ultimo anno, quale incidenza hanno avuto le assenze per le più svariate ragioni e si vedano quante forze lavoro in media sono effettivamente mancate nell'anno e poi si potrà dimostrare che la prestazione in compiti amministrativi protetti sia superflua e gravemente nociva al buon andamento.

Si tenga presente che il sacrificio per la PA deve essere notevole perché a fronte si ha una persona sospesa dal lavoro e dalla retribuzione.

Si respinga un'eccezione tutta formale ossia la mancanza della previsione della possibilità di ricollocamento nella versione dell'art. 4 richiamato, dopo la novella del dl. 172/21.

Ora la previsione inserita nel comma 8, dl. 44/21 ante riforma dl. 172/21, era superflua, nel diritto del lavoro trattasi di principio generale ben conosciuto ed applicabile al di là di una previsione espressa; il legislatore non ha ripetuto una formulazione inutile; peraltro non lo ha espressamente vietato ed anche se lo avesse fatto una interpretazione costituzionalmente orientata l'avrebbe superato laddove ovviamente non venisse in rilievo una prestazione con il rischio specifico dell'operatore di interesse sanitario.

Da ultimo conferma tutto quanto detto il comma 7 del nuovo articolo 4 che dice che per il periodo in cui la vaccinazione è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.

Ma allora è vero che è possibile una prestazione di un operatore di interesse sanitario non vaccinato in sicurezza.

Non si può obiettare che il legislatore lo ha previsto solo per chi sostanzialmente non può vaccinarsi mentre il caso in esame riguarda chi non vuole vaccinarsi.

Questa discriminazione è costituzionalmente facilmente superabile dall' interpretazione perché l' interesse che è costituzionalmente prevalente è la salute pubblica, la quale è messa a rischio ugualmente dal soggetto non vaccinato a prescindere dal fatto che non si sia voluto vaccinare o non si sia potuto vaccinare.

Pertanto, si deve concludere che sia chi non si è voluto vaccinare sia chi non si sia potuto vaccinare possano prestare la loro opera ovviamente evitando lo specifico rischio per la salute pubblica.

Semmai potrebbe residuare una differenza circa l' ambito di ricollocabilità, nel senso che secondo il principio generale del diritto del lavoro un non vaccinato potrebbe anche essere adibito a mansioni inferiori (e dunque percepire una somma inferiore, ovviamente solo in via residuale) mentre nel caso di chi non si sia potuto vaccinare la legge assicura il mantenimento della medesima retribuzione.

Le spese di lite seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.


Revoca il provvedimento di sospensione impugnato e ordina alla parte convenuta di affidare alla ricorrente lo svolgimento di compiti compatibili per il tipo o per le modalità di svolgimento con l'esigenza di tutelare la salute pubblica e adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza secondo le direttive indicate in motivazione; con obbligo della corresponsione della retribuzione sino all'individuazione di tali compiti;

Condanna la parte resistente a pagare le spese di lite che liquida in € 2.000,00, oltre spese, iva e cpa, con distrazione.

Manda alla Cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza alle parti costituite.

Velletri, 14 dicembre 2021. Il Giudice del Lavoro