Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 14 gennaio 2022, n. 1331 - Apparecchiature collegate ad una presa senza la protezione di un quadro elettrico. Attività ispettiva svolta da un maresciallo dei carabinieri


 

Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: ACETO ALDO Data Udienza: 01/10/2021
 

 

Fatto




1.Il sig. G.B. ricorre per l'annullamento della sentenza del 30/06/2020 del Tribunale di Siena che l'ha dichiarato colpevole del reato di cui agli artt. 71, comma 1, e 87, n. 1), lett. b), d.lgs. n. 81 del 2008, e, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, l'ha condannato alla pena di 3.000,00 euro di ammenda.
1.1. Con il primo motivo deduce l'erronea applicazione degli artt. 71, comma 1, e 87, n. 1), lett. b), d.lgs. n. 81 del 2008, nonché degli artt. 63, 191, 194, 195, comma 4, cod. proc. pen. per mancanza di prova della propria qualifica di "datore di lavoro".
Deduce, al riguardo, l'inutilizzabilità assoluta della testimonianza resa, sul punto, dal M.llo CC Domenico G., in servizio presso il Nucleo Ispettorato del Lavoro del Comando Carabinieri di Siena, il quale aveva riferito di «aver accertato nell'immediatezza del sopralluogo, interloquendo con i soggetti presenti, che l'appaltatore dei lavori in atto era, appunto, il G.B. e che il M. lo stava coadiuvando nella relativa esecuzione». La cause di inutilizzabilità, afferma, sono due: a) il divieto di testimonianza indiretta di cui all'art. 195, comma 4, cod. proc. pen. non conosce deroghe, nemmeno se si tratta di informazioni assunte dall'agente/ufficiale di PG nel corso dell'attività amministrativa di vigilanza; b) la generica indicazione delle fonti delle informazioni apprese non esclude che il testimone possa aver acquisito la conoscenza del dato riferito in udienza direttamente dall'imputato, in evidente violazione dell'art. 63 cod. proc. pen., ciò sul rilievo che al sopralluogo erano presenti soltanto il G.B. ed un'altra persona.
1.2. Con il secondo motivo deduce il travisamento della visura camerale dalla quale risulta che l'impresa del G.B. non è più operativa dal 2013, in quanto fallita, e della testimonianza dello stesso G. nella parte in cui aveva riferito di non sapere a chi appartenessero i beni strumentali (betoniera a frullino) rinvenuti in occasione della verifica. Nè, aggiunge, elementi di responsabilità possono essere desunti dai comportamenti tenuti dall'imputato nel corso del procedimento, extraprocessuale, disciplinato dal d.lgs. n. 758 del 1994, o da presunti oneri di allegazione a suo carico.


 

Diritto

 


2. Il ricorso è infondato.

3. Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che: a) il 18/08/2018 i militari in servizio presso il Nucleo Ispettorato del Lavoro del Comando Carabinieri di Siena avevano effettuato una verifica presso un cantiere nel quale erano in corso opere di ristrutturazione di un edificio poderale; b) sul posto erano presenti l'odierno ricorrente ed un'altra persona (tal R.M.) che, avvalendosi anche di attrezzature alimentate elettricamente (un frullino ed una betoniera), stavano provvedendo alla messa in sicurezza di una trave; c) il M.llo G. aveva constatato che le apparecchiature erano collegate direttamente ad una presa di corrente senza la protezione di un quadro elettrico, con conseguente violazione degli artt. 70, 71 e 80, d.lgs. n. 81 del 2008.
3.1. La penale responsabilità dell'odierno ricorrente e la sua qualifica di "datore di lavoro", tenuto all'osservanza del precetto, sono state affermate dal Tribunale in base: a) alla testimonianza del G., che aveva riferito che nell'immediatezza del sopralluogo aveva interloquito con i soggetti presenti (il ricorrente ed il R.M.); b) alla visura camerale in atti dalla quale risultava che il G.B. era titolare di impresa esercente attività edile; c) al fatto che, in merito alle contestazioni sollevate e formalizzate nel verbale di accertamento, il G.B. non aveva avuto nulla da dichiarare; d) al fatto che aveva provveduto a sanare le irregolarità contestate (senza però procedere al pagamento dell'oblazione alla quale era stato ammesso).
3.2. Secondo l'art. 220, disp. att. c.p.p., «quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice». Il confine tra l'attività ispettiva e quella di indagine preliminare è segnato dalla mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291; Sez. 3, n. 31223 del 04/06/2019, Rv. 276679 - 01; Sez. 2, n. 2601 del 13/12/2005, Rv. 233330 - 01).
3.3.Il fatto che l'attività ispettiva sia stata effettuata da un maresciallo dei carabinieri, in quanto tale ufficiale di polizia giudiziaria (art. 55, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.), non qualifica l'attività ispettiva e di vigilanza come indagine preliminare ai sensi del codice di rito. Anche gli ispettori del lavoro, nei limiti del servizio a cui sono destinati, e secondo le attribuzioni ad essi conferite dalle singole leggi e dai regolamenti, sono ufficiali di polizia giudiziaria (art. 8, d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, Riorganizzazione centrale e periferica del Ministero del lavoro e della previdenza sociale). Sono altresì ufficiali di polizia giudiziaria gli addetti ai servizi di ciascuna unità sanitaria locale, nonché ai dipartimenti di prevenzione, in relazione alle funzioni ispettive e di controllo da essi esercitate relativamente all'applicazione della legislazione sulla sicurezza del lavoro (art. 21, legge 23 dicembre 1978, n. 833).
3.4.Ciò che rileva, dunque, è esclusivamente lo svolgimento di un'attività ispettiva o di vigilanza nel corso della quale possano emergere indizi di reato; l'attività di indagine preliminare, invece, presuppone l'esistenza di una "notitia criminis". La questione posta dal ricorrente, dunque, riguarda l'individuazione del momento esatto nel quale l'UPG ha accertato l'esistenza della violazione penalmente rilevante: se cioè prima o dopo aver interpellato l'imputato ed il R.M. sulla titolarità dell'impresa che stava eseguendo i lavori. Si tratta, dunque, di una questione di fatto che logicamente precede quella relativa alla inutilizzabilità della prova e che non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità se richiede valutazioni di fatto su cui è necessario il previo vaglio, in contraddittorio, da parte del giudice di merito (cfr. Sez. 6, n. 18889 del 28/02/2017, Rv. 269891 - 01; Sez. 6, n. 43534 del 24/04/2012, Rv. 253798 - 01; Sez. 6, n. 21877 del 24/05/2011, Rv. 250263 - 01; Sez. 4, n. 2586 del 17/12/2010, Rv. 249490 - 01).
3.5. Il ricorso, sul punto, è del tutto silente (e generico) avendo posto la questione in termini assertivi di errata applicazione delle norme sostanziali e processuali indicate nel titolo del primo motivo senza alcun riferimento alla concreta dinamica dell'accertamento.
4. Il secondo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
4.1.Nella logica decisoria, le risultanze della visura camerale hanno un peso decisivo, insieme con il comportamento tenuto dall'imputato che ha adempiuto alle prescrizioni imposte.
4.2. Il ricorrente deduce il travisamento della visura ma, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non allega il documento al ricorso. Quando si deduce la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente, in virtù del principio di "autosufficienza del ricorso" suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). E' necessario, pertanto: a) identificare l'atto processuale omesso o travisato; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda;
d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
4.3.Il comportamento tenuto dall'imputato che ha adempiuto alle prescrizioni non può essere liquidato come "tutt'altro che univoco" trattandosi di condotta che invece dimostra l'effettiva titolarità dell'impresa da parte del ricorrente.


 

P.Q.M.
 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 01/10/2021.