Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 19 gennaio 2022, n. 2149 - Rottura del dispositivo medico durante un intervento: obblighi del costruttore


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 03/11/2021
 

 

Fatto



1. Con sentenza emessa in data 27/2/2019, la Corte d'appello di Roma, decidendo ai soli effetti civili, ha condannato P.U. al risarcimento dei danni patiti da B.A., costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.
Il P.U. era chiamato a rispondere di lesioni colpose per avere, in qualità di legale rappresentante della "Normed Medizintechnik GmbH", prodotto e commercializzato una pinza chirurgica che si frantumava durante l'intervento di neurochirurgia spinale praticato sulla persona di B.A.. In seguito alla frattura, un piccolo frammento della pinza (della grandezza di mm 10/15 ) si collocava in uno spazio intervertebrale del paziente, risultando inamovibile.
La ritenzione del frammento nello spazio intervertebrale peggiorava nel paziente la sintomatologia algica lombare e determinava l'impossibilità dei necessari periodici monitoraggi neuro radiologici, da effettuarsi con risonanza magnetica, a causa del rischio di mobilizzazione del frammento metallico "libero" ad opera del campo magnetico, con possibili danni locali anche gravi.
Il Giudice di primo grado aveva mandato assolto l'imputato, ritenendo, sulla base delle prove documentali e testimoniali, dell'esame dei Consulenti tecnici del PM, della parte civile e della difesa dell'imputato, che la rottura del margine superiore della pinza chirurgica utilizzata nel corso dell'intervento fosse da attribuirsi alla presenza di una "inclusione" di ossidi all'interno dell'acciaio, nella parte interessata dalla rottura, creatasi nella fase di costruzione dello strumento chirurgico. Riteneva fisiologica la presenza di inclusioni nei metalli, siccome conseguenza non completamente eliminabile - bensì soltanto contenibile entro una certa soglia- nel processo produttivo, concludendo che la comparsa dell'inclusione nello strumento chirurgico fosse imponderabile ed evitabile solo con controlli di tipo radiografico o a mezzo di onde sonore non imposta al costruttore da alcuna disposizione.
La Corte di appello, adita dalla parte civile, perveniva alla condanna al risarcimento del danno nei confronti dell'imputato, ritenendo non condivisibile il ragionamento spiegato dal primo giudice. Pur dando atto della corretta ricostruzione storica della vicenda, individuava nella direttiva 93/42/CEE, recepita nel d.lgs. 46/97, relativa ai dispositivi medici, la fonte dell'obbligo per il costruttore di provvedere ad effettuare ogni integrazione di sicurezza nella progettazione e costruzione dei presidi medici. Di guisa che, ritenendo causalmente collegata la mancata predisposizione di un diligente controllo sul materiale adoperato per la fabbricazione della pinza alla lesione patita dalla persona offesa, perveniva alla conclusione della sua responsabilità agli effetti civili.
2. Avverso la sentenza di condanna proponeva ricorso per cassazione P.U., a mezzo del difensore, deducendo i seguenti motivi (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Primo motivo: inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale.
La Corte d'Appello ha erroneamente ritenuto di dover accogliere il primo motivo di doglianza della parte civile. Gli articoli da 1 a 3 dell'allegato I del d.lgs. 46/97 hanno un contenuto parzialmente difforme da quello riportato in sentenza.
La norma specifica che l'utilizzo del dispositivo deve avvenire in condizioni e per gli usi previsti: nel caso di specie la pinza era stata acquistata dall'Azienda ospedaliera San Filippo Neri nei 1999, utilizzata per centodieci interventi solo negli ultimi 10 mesi, sottoposta a processi di sterilizzazione ignoti da due diverse ditte (Società Hoital Consulting e ATI avente come capogruppo la Lavin S.p.A.) ed utilizzata nonostante la presenza di precricche sino al luglio del 2007, allorquando, nel corso dell'intervento di cui si tratta, un frammento del becco mobile della pinza si rompeva. La normativa prevede che la fase di produzione del dispositivo medico avvenga nel rispetto di principi di sicurezza adeguati al progresso tecnologico generalmente riconosciuto: nel caso di specie, come evidenziato dalla stessa perizia e confermato in sede d'esame, l'acciaio con cui era stata realizzata la pinza era di ottima qualità, con basso livello inclusionale (verbale udienza del 11.06.2014, pagine 62-63, teste F.).
Quanto alla eliminazione di eventuali rischi, l'appellante e la Corte d'appello non hanno fornito una completa individuazione di essi, collegando la responsabilità del ricorrente ad un danno derivante da una casualità imponderabile e non da una difettosa o erronea costruzione del dispositivo. Nella sua ricostruzione la Corte territoriale si spinge al punto di ritenere di per sé insufficiente, ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti normativamente previsti per l'immissione in commercio di dispositivi medici, la certificazione formale (marchio CEE) della qualità del prodotto, ventilando l'assoluta inutilità di tale certificazione.
A differenza di quanto sostenuto dalla Corte stessa, nella lavorazione dell'acciaio è fisiologica la presenza di impurità distribuite normalmente in modo omogeneo: più elevata è la qualità dell'acciaio, minori sono le impurità presenti al suo interno. Tale circostanza è prevedibile ed impone al produttore di adottare le regole di prudenza e diligenza necessarie affinché il dispositivo possa avere i requisiti previsti dalla legge e tali da non compromettere lo stato clinico o la sicurezza del paziente. Da tale obbligo deriva l'utilizzo di acciaio di buona qualità, così come asserito dallo stesso Consulente Tecnico del Pubblico Ministero.
L'inclusione, dovuta ad una casualità imponderabile, da cui è derivata la rottura dell'elemento mobile della pinza, altro non è che una concentrazione anomala di impurità, normalmente presenti all'interno dell'acciaio, in un segmento particolarmente fragile e sottoposto a notevoli sollecitazioni. Non è quindi possibile rinvenire, sulla base di considerazioni ex ante, una regola di condotta prudenziale che avrebbe dovuto essere tenuta da parte del produttore per evitare questo specifico accadimento o un suo comportamento negligente.
L'eccezionalità e non prevedibilità dell'evento, mai verificatosi in precedenza, non può in nessun caso essere ricondotto ad una responsabilità del produttore, dovendosi altrimenti ritenere che nel presente caso ricorra una ipotesi di responsabilità oggettiva.
II) Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame; carenza e/o manifesta illogicità della motivazione per violazione dei principi di oralità e immediatezza di cui all'art. 6 CEDU; mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall'articolo 495, comma 2, cod. proc. pen.
La Corte d'Appello di Roma, nella parte motiva della sentenza impugnata, ha precisato di ritenere superflua la rinnovazione dell'istruttoria non avendo proceduto, nel caso di specie, ad una diversa valutazione delle prove
Tuttavia, la chiave di lettura esposta dalla Corte d'Appello non può affatto essere condivisa, in quanto, contrariamente a quanto asserito, la stessa ha operato una diversa lettura di una prova dichiarativa ritenuta decisiva a fini assolutori in primo grado.
Le risultanze della perizia redatta dall'ing. Ferdinando F., incaricato dell'analisi frattografica/metallografica e delle cause di cedimento della pinza, poste alla base dell'impianto accusatorio, hanno formato oggetto di contestazioni da parte della difesa dell'imputato. Il loro chiarimento in aula, nel corso dell'escussione avvenuta all'udienza dibattimentale dell' 11.06.2014, ha determinato l'assoluzione dell'imputato.
Infatti, come correttamente evidenziato nella sentenza assolutoria la esistenza di inclusioni nel metallo non deriverebbe da un difetto di fabbricazione, ma sarebbe casuale e imponderabile. L'affermazione secondo la quale la inclusione avrebbe potuto essere verificata attraverso una radiografia o l'uso di una sonda ultrasonora non troverebbe conferma nelle dichiarazioni del F., il quale si sarebbe limitato a riferire di un'astratta possibilità di controlli radiografici, precisando al contempo che si tratta di una derivazione di quanto avviene "a livello aeronautico, in cui il materiale viene trattato con processi di rifusione, sottovuoto", e quindi in casi ben diversi da quelli che occupano.
L'efficacia e la concreta fattibilità di controlli del genere, tuttavia, non hanno mai formato oggetto di discussione o di approfondimento.
Nell'ambito della pronuncia di primo grado le dichiarazioni del consulente del P.M., Ing. F., sono state considerate decisive ai fini della pronuncia assolutoria. Le medesime dichiarazioni, diversamente valutate dai giudici di appello, hanno condotto ad una reformatio in peius. Sarebbe stato quindi doveroso procedere ad una rinnovazione del dibattimento, alla luce dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite "Pavan" (Sez. U, n. 14426/19), al fine di riesaminare il consulente tecnico del P.M. e provvedere all'esame dell'imputato.

 

Diritto



1. Occorre preliminarmente soffermarsi sulla tematica riguardante la necessità, ad opera del giudice d'appello, di provvedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, con nuova escussione del consulente tecnico, la cui deposizione è stata acquisita nel corso del dibattimento svoltosi innanzi al giudice di primo grado.
Il tema acquista carattere di centralità, discendendo dalla sua eventuale fondatezza la nullità della sentenza (Sez. U, Sentenza n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269787 - 01: "Il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado emessa all'esito di giudizio abbreviato, sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio").
2.1 In linea di principio, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, devono essere evidenziati elementi ulteriori rispetto a quelli esaminati in primo grado perché non è sufficiente, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, che sia in grado di vincere ogni ragionevole dubbio (Sez.6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 25686901; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 25411301; Sez.2, n.11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 25472501; Sez.6, n.34 487 del 13/06/2012, Gobbi, Rv. 25343401).

2.2. Inoltre, nel caso in cui la reformatio in peius sia frutto di una diversa valutazione di prove dichiarative, per effetto della sentenza della Corte E.D.U. del 05/07/2011 nel caso Dan c/ Moldavia, si è chiarito come il giudice abbia l'obbligo di rinnovare l'istruttoria dibattimentale e di escutere nuovamente i dichiaranti, qualora valuti diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 29827 del 13/03/2015, Rv. 265139; Sez. 6, n. 44084 del 23/09/2014, Rv. 260623; Sez. 3, n. 11658 del 24/02/2015, Rv. 262985).
La pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione nel caso Dasgupta, chiamata a risolvere il profilo della rilevabilità d'ufficio, in sede di giudizio di cassazione, della violazione dell'art. 6 CEDU - per avere, il giudice d'appello, riformato la sentenza assolutoria di primo grado esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle dichiarazioni di testimoni e senza procedere a nuovo esame degli stessi - ha puntualizzato importanti principi in materia. In particolare, si è ivi affermato che il mancato rispetto, da parte del giudice dell'appello, del dovere di procedere alla rinnovazione delle fonti dichiarative, in vista di una reformatio in peius, va inquadrato non nell'ambito di una violazione di legge ma in quello del vizio di motivazione; l'esigenza di rinnovazione della prova dichiarativa si può prospettare anche nell'ambito di un giudizio abbreviato o in caso di impugnazione ai soli effetti civili; la necessità, per il giudice di appello, di procedere anche d'ufficio alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione, sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante; il dovere di rinnovare gli apporti dichiarativi si configura con riguardo a quelli ritenuti decisivi ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.
La pronuncia in commento si fa carico di specificare quali siano le prove decisive, affermando il seguente principio: «Costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle dichiarazioni rese, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova- ai fini dell'esito della condanna» (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491).
2.3 Il giudice di appello potrà, dunque, pervenire a differente esito decisorio purchè ciò avvenga sulla base di elementi istruttori trascurati dal giudice di primo grado, in particolare mettendo in rilievo di quali elementi decisivi quest'ultimo non abbia tenuto adeguato conto, ovvero rinnovando l'istruttoria ove ritenga di non condividere la valutazione della prova dichiarativa operata in primo grado (Sez. U, n.27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487-01).
3. Nell'evolversi della giurisprudenza attinente al tema che occupa si inseriscono due ulteriori pronunce delle Sezioni Unite che sanciscono l'estensione del principio dell'obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa, differentemente valutata, al caso di riforma ai soli effetti civili della pronuncia assolutoria di primo grado e che equiparano il consulente tecnico ed il perito al testimone nel caso in cui costoro siano stati esaminati in dibattimento (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269787 - 01 richiamata in precedenza e Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112 - 01).
Nella pronuncia "Pavan", citata anche nel ricorso, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio: "Le dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento, in quanto veicolate nel processo a mezzo del linguaggio verbale, costituiscono prove dichiarative, sicché sussiste, per il giudice di appello che, sul diverso apprezzamento di esse, fondi, sempreché decisive, la riforma della sentenza di assoluzione, l'obbligo di procedere alla loro rinnovazione dibattimentale attraverso l'esame del perito o del consulente, mentre analogo obbligo non sussiste ove la relazione scritta del perito o del consulente tecnico sia stata acquisita mediante lettura, ivi difettando la natura dichiarativa della prova".
Così chiariti i concetti generali in tema di prova dichiarativa hanno ulteriormente osservato che: <<la disciplina codicistica ha assimilato - nel suo nucleo essenziale - il perito al testimone, come si può desumere: - dalla sedes materiae, ossia dalla circostanza che sia la testimonianza che la perizia sono considerate "mezzi di prova"; - dall'impegno che sia il perito (art. 226 cod. proc. pen.) che il testimone (art. 497 cod. proc. pen.) devono assumere, impegni che si differenziano solo per la diversità dell'oggetto su cui deve vertere il narrato; - dalle conseguenze penali in caso di falsa testimonianza (art. 372 cod. pen.) o di falsa perizia o interpretazione (art. 373 cod. pen.); - dalle modalità dell'esame, per le quali, l'art. 501 cod. proc. pen. rinvia alle "disposizioni sull'esame dei testimoni in quanto applicabili"». Hanno quindi precisato: «Alla stregua del menzionato corpus normativo, si può, quindi, affermare che il perito, in ambito processuale, può rivestire ruoli polivalenti potendo essere chiamato a svolgere sia accertamenti (indagini; acquisizione di dati probatori: cd attività percipiente) che valutazioni (cd. attività deducente): ed è per questa sua peculiarità che viene denominato - in linea con la tradizione dei paesi di common law - anche "testimone esperto" (expert witness), perché, come il testimone, ha l'obbligo di riferire sui fatti sui quali viene esaminato, ma "esperto" perché, nel rispondere, si avvale delle sue competenze specialistiche. Ma, è proprio per la centralità che spesso la perizia assume ai fini della decisione, che il legislatore ha congegnato lo svolgimento della perizia in modo che venga assicurata la garanzia del contraddittorio sia nella fase dello svolgimento dell'incarico peritale - concedendo alle parti la possibilità di nominare propri consulenti ex art. 225 cod. proc. pen. - sia nella fase dell'illustrazione dell'esito delle indagini laddove il perito sia sottoposto all'esame ex art. 501 cod. proc. pen.. E', quindi, la garanzia del contraddittorio che, così come per l'esame del teste (artt. 498-500-514 cod. proc. pen.), costituisce l'elemento che caratterizza, dal punto di vista processuale, l'istituto della perizia e che depotenzia l'affermazione secondo la quale il perito - poiché esprime valutazioni "neutre" -non potrebbe essere assimilato al testimone».
A completamento della evoluzione giurisprudenziale in materia, si colloca la sentenza "Cremonini" (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021), in cui si si è precisato che l'affermazione contenuta nella sentenza "Pavan", secondo la quale l'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen. è applicabile solo in caso di impugnazione del P.M., non autorizza a ritenere che, in caso di impugnazione della sola parte civile, il giudice di appello che intenda riformare in peius una sentenza assolutoria non sia obbligato a rinnovare le prove dichiarative incidenti in maniera determinante sull'esito della decisione. In proposito, in motivazione, si legge: «le stesse Sezioni Unite Pavan osservano che i lavori parlamentari che hanno portato all'introduzione del comma 3-bis nel corpo dell'art. 603 cod proc. pen. e la Relazione governativa esprimono, nel solco tracciato dalla Cort EDU e dalla giurisprudenza di legittimità con le citate sentenze Dasgupta e Patalano, la necessità di dare una "soluzione, a livello legislativo, alla problematica della modalità con la quale si deve tutelare il contraddittorio nell'ipotesi in cui sia appellata una sentenza di assoluzione". È indubbio, infatti, che, relativamente a questa ipotesi, il contraddittorio deve essere implementato con il principio dell'oralità anche in appello, perché questo costituisce il metodo epistemologico più corretto ed idoneo a superare l'intrinseca contraddittorietà fra due sentenze che, pur sulla base dello stesso materiale probatorio, giungano ad opposte conclusioni».
Per questa via si giunge ad affermare che è ininfluente la circostanza che l'impugnazione sia stata proposta dal pubblico ministero piuttosto che dalla parte civile, posto che il nostro sistema processuale non prevede differenziazioni delle regole probatorie ai fini dell'accertamento della responsabilità penale e civile nel contesto unitario del processo penale.
Si perviene quindi alla conclusione che il giudice d'appello che riformi, anche su impugnazione della sola parte civile ed esclusivamente agli effetti civili, la sentenza di proscioglimento, sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, sia obbligato a rinnovare, anche d'ufficio, l'istruzione dibattimentale.
4. Tutto ciò premesso diventa decisivo verificare, alla stregua della lettura delle due sentenze di merito ed alla luce delle argomentazioni contenute nel ricorso, se le dichiarazioni del consulente siano state diversamente interpretate dai giudici di appello.
Ebbene, si deve ritenere che la Corte d'appello non abbia diversamente valutato le dichiarazioni del consulente tecnico del P.M.: la stessa difesa, nel sottolineare l'aspetto della necessità della rinnovazione del dibattimento, ammette che il consulente aveva individuato strumenti di controllo atti ad individuare la formazione di inclusioni nel metallo, attraverso indagini radiografiche ed uso di ultrasuoni. Tale passaggio è riportato anche nella sentenza di primo grado e non ha formato oggetto di diversa valutazione ad opera del Tribunale, che ha recepito il dato senza trarre da esso alcuna conseguenza. Quindi, non risultano realizzate le condizioni per ritenere che la Corte d'appello dovesse obbligatoriamente procedere ad un nuovo esame del consulente tecnico del P.M., Ing. Ferdinando F..
Ogni ulteriore profilo evidenziato nel secondo motivo di ricorso, in ordine al contenuto della testimonianza del F. (applicazione della tecnica d'indagine al settore aereonautico; inefficacia della tecnica del controllo radiografico sull'acciaio), appartiene al merito e non è valutabile in questa sede nei termini prospettati nel ricorso. Si pretende di sottoporre all'attenzione della Corte di legittimità emergenze probatorie la cui valutazione è di stretta competenza del giudice di merito, peraltro ricorrendo ad un richiamo solo parziale, nel ricorso, della testimonianza resa dal consulente in dibattimento.
5. La diversa soluzione del caso a cui è pervenuta la Corte d'appello (primo motivo di ricorso) è frutto dell'individuazione dell'obbligo cautelare a cui era tenuto il ricorrente (ravvisato nella violazione della direttiva CEE 93/42 recepita nel d.lgs. 46/97 che riguarda i dispositivi medici); pertanto, siamo al di fuori del perimetro della rivalutazione di prove dichiarative.
Non coglie nel segno la critica difensiva alla interpretazione fornita dalla Corte di merito della disciplina in questione.
In generale, in tema di infortuni sul lavoro, grava sul produttore di un qualunque manufatto o attrezzo - che sia destinato ad interagire con un individuo - un generale obbligo di garantire che non vi siano difetti strutturali suscettibili di arrecare danni durante l'utilizzo [cfr. Sez. 4, n. 5541 del 08/11/2019, dep. 12/02/2020, Rv. 278445 - 02: "Il costruttore risponde, in quanto titolare di una posizione di garanzia, per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili ai difetti strutturali dei macchinari messi in commercio, a meno che l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità, a titolo di omicidio colposo, del costruttore di una macchina, il cui difetto di costruzione aveva cagionato, sei anni dopo la messa in commercio della macchina ed in assenza di cause alternative, il decesso di un lavoratore)"].
L'obbligo del costruttore è stato correttamente individuato.
Lo strumento normativo richiamato in sentenza è il d.lgs 46/97, allegato I, che così dispone: art. 1) "I dispositivi devono essere progettati e fabbricati in modo che la loro utilizzazione non comprometta lo stato clinico e la sicurezza dei pazienti, ne' la sicurezza e la salute degli utilizzatori ed eventualmente di terzi quando siano utilizzati alle condizioni e per i fini previsti, fermo restando che gli eventuali rischi debbono essere di livello accettabile, tenuto conto del beneficio apportato al paziente, e compatibili con un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza"; art. 2. "Le soluzioni adottate dal fabbricante per la progettazione e la costruzione dei dispositivi devono attenersi a principi di rispetto della sicurezza, tenendo conto dello stato di progresso tecnologico generalmente riconosciuto. Per la scelta delle soluzioni più opportune il fabbricante deve applicare i seguenti principi, nell'ordine indicato: - eliminare o ridurre i rischi nella misura del possibile (integrazione della sicurezza nella progettazione e nella costruzione del dispositivo); - se del caso adottare le opportune misure di protezione nei confronti dei rischi che non possono essere eliminati eventualmente mediante segnali di allarme; - informare gli utilizzatori dei rischi residui dovuti a un qualsiasi difetto delle misure di protezione adottate".
Ebbene, come rilevato dal giudice di appello, che ha richiamato per grandi linee il contenuto della disposizione, era doveroso per il costruttore verificare attraverso appositi controlli (radiografici o a onde sonore) l'assenza di inclusioni nel materiale adoperato per la realizzazione dello strumento chirurgico.
6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per questo giudizio liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.
 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile B.A.a, che liquida in euro tremila, oltre accessori di legge.
In Roma, così deciso il 3 novembre 2021