Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2022, n. 3554 - Utilizzo di manodopera con sottoposizione dei lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittamento del loro stato di bisogno


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 18/01/2022
 

Fatto



1. S.A.N. propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza emessa dalla Sezione Riesame del Tribunale di Bari il 15/07/2021 nell'ambito di un procedimento che la vede indagata, con altri, per il delitto previsto dagli artt. 110 e 603 bis, comma 1 nn.1 e 2, comma 3 nn.1,2,3 e 4, e comma 4 n.1 cod. pen. poiché, in concorso e previo accordo tra loro, M.N., D. e C.D. quali intermediatori illeciti e reclutatori, trasportatori e controllori della forza lavoro, S.A.N. quale titolare dell'azienda agricola Cooperativa Agricola «La piramide» soc. coop. Agr. a r.l. e L.L. quale collaboratore della  assumevano o, comunque, utilizzavano o impiegavano manodopera costituita da decine di lavoratori di varie etnie allo scopo di destinarla alla coltivazione di terreni agricoli di proprietà, o comunque nella disponibilità delle suddette imprese o società, sottoponendo i predetti lavoratori alle condizioni di sfruttamento di seguito specificate e desumibili anche dalle condizioni di lavoro (retributive, di igiene, di sicurezza, di salubrità del luogo di lavoro) e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimorano presso abitazioni fatiscenti nella zona «expista» di Borgo Mezzanotte e di Rignano Garganico; in particolare, nelle rispettive qualità sopra indicate e, in particolare M.N. e C.D. costituivano una cooperativa denominata Suditaly che formalmente assumeva dei braccianti che, in realtà, in numero e con identità differenti, venivano reclutati tramite D. o presso i campi non autorizzati della Provincia e ciò avveniva su richiesta di S.A.N. e con l'ausilio logistico di L.L. che li conduceva sui campi, li impiegava presso i campi di proprietà della sua società agricola o per la raccolta sui campi ove egli acquistava i prodotti, in modo da ottenere un guadagno di impresa dovuto al basso costo della manodopera e alla falsa fatturazione. Sui campi i braccianti venivano richiamati e redarguiti dal M.N. quando questi riceveva lamentele dalla  e il M.N. si occupava di decidere chi di loro dovesse lavorare e le modalità di impiego gestendo anche il trasporto con mezzi di fortuna e distribuendo il compenso che veniva statuito per cassoni che avveniva anche con supporto del L.L.. L'impiego della manodopera avveniva alle seguenti condizioni:
- in violazione dei contratti collettivi nazionali (o territoriali) stipulati dalle organizzazioni sindacali e, comunque, in maniera gravemente sproporzionata rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato, in quanto i lavoratori venivano retribuiti con la somma variabile da euro 4 a euro 7,50 a cassone, a fronte di una giornata lavorativa di circa otto ore e il pagamento avveniva anche conteggiando il numero di cassoni raccolti;
- violando reiteratamente la normativa di settore relativa all'orario di lavoro e ai periodi di riposo, in quanto impiegavano i lavoratori, nelle attività di coltivazione dei campi, senza riconoscere loro la retribuzione per l'orario di lavoro straordinario, senza pause (salvo una pausa breve per il pranzo) e senza consentire l'utilizzo di servizi igienici idonei;
- violando la normativa in materia di sicurezza e igiene sul lavoro, in quanto impiegavano i suddetti lavoratori senza fornire loro dispositivi per la prevenzione degli infortuni (guanti, scarpe, abbigliamento ecc.) necessari allo svolgimento delle mansioni cui venivano adibiti e, anzi, li costringevano, ove necessari, ad acquistarli a loro spese;
- sottoponendo tutti i suddetti lavoratori ad un controllo serrato sui campi
che veniva operato dal M.N. su istigazione e indicazione della  che controllava la qualità del lavoro pretendendo un controllo su chi licenziare e chi assumere e minacciando una decurtazione del prezzo statuito per cassone in caso di cattive prestazioni lavorative o nel caso in cui ci fossero state eccessive lamentele da parte della .
Con l'aggravante di aver commesso il fatto impiegando un numero di lavoratori superiore a tre. Commesso in San Severo e Campomarino nei mesi di luglio e agosto 2020.

2. La ricorrente deduce, con un primo motivo, mancanza della motivazione in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza; sostiene che l'ordinanza contenga considerazioni vaghe e generiche e che non siano emersi elementi, né conversazioni, dalle quali risulti che la  fosse effettivamente a conoscenza della natura dei rapporti lavorativi intercorrenti tra il M.N., titolare della cooperativa Suditaly, che gestiva i braccianti agricoli, e questi ultimi. Il rapporto negoziale intercorso tra la ricorrente e il M.N. si riferiva esclusivamente alla fornitura di un prodotto finito da cedere al committente, cosicché non vi era alcun motivo di ritenere che la  fosse a conoscenza dei rapporti intercorrenti tra il M.N. e la manodopera, anche perché nessun concreto elemento consentiva di percepire sospetti circa lo sfruttamento o le condizioni di lavoro dei braccianti. Nel momento in cui la  si era recata presso i terreni ove avveniva la raccolta non erano presenti lavoratori, in quanto era giunta a raccolto concluso. Quando la  era venuta a conoscenza del fatto che la Suditaly fosse sprovvista di conto corrente, aveva risposto che non avrebbe effettuato transazioni non tracciate. Non corrisponde al vero che la  avesse un ruolo preminente nello sfruttamento dei braccianti in quanto le conversazioni inerenti alla collocazione dei campi o alle giornate di lavorazione riguardavano esclusivamente esigenze logistiche. La fattispecie in contestazione è sanzionata a titolo di dolo specifico per cui l'animus del concorrente deve essere quantomeno riconducibile a consapevolezza circa l'altrui finalità illecita.
Con un secondo motivo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari; la motivazione si pone in palese contraddizione con l'ottima organizzazione aziendale della Cooperativa 'La Piramide' gestita dalla ricorrente, impegnata in numerose virtuose partecipazioni sempre con svolgimento lecito della propria manodopera diretta. La motivazione è assolutamente illogica laddove ritiene
sussistere la probabilità di recidiva, posto che l'asserita condotta criminosa si è sostanziata in una sola operazione commerciale, dunque del tutto sporadica ed occasionale. La motivazione circa le esigenze cautelari in relazione ai fatti di cui al capo di imputazione provvisorio è assolutamente mancante con riferimento al giudizio prognostico afferente il comportamento dell'indagata, in assenza di precedenti e considerato che la ricorrente lavora nell'ambito dell'imprenditoria agricola da lungo tempo e non ha mai commesso alcun tipo di illecito.

3. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina ordinaria, in virtù del disposto dell'art. 16, comma 2, decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, entrato in vigore il 31 dicembre 2021, sono comparse le parti che hanno assunto le conclusioni nei termini riportati in epigrafe.
 

Diritto



1. Il ricorso si presenta, con riferimento ad entrambi i motivi, inammissibile. Va premesso che, con il provvedimento impugnato, il Tribunale del Riesame ha sostituito la misura degli arresti domiciliari applicata con l'ordinanza genetica con quella del divieto di esercizio di attività imprenditoriale per la durata di mesi sei, ritenendo tale misura maggiormente proporzionata rispetto all'entità della pena da infliggere all'esito del giudizio di merito e adeguata a scongiurare il rischio di reiterazione di reati della stessa specie di quello in contestazione.

2. In linea di principio, si ricorda che il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari è ammissibile soltanto se denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando proponga censure che riguardano la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito (Sez.4, n.31283 del 14/07/2015, Viale, n.m.).

Giova, inoltre, ribadire che ai fini del giudizio di ammissibilità del ricorso per cassazione il motivo si deve confrontare compiutamente con il tenore del provvedimento impugnato; confronto che, nel caso in esame, difetta. La critica argomentata che deve connotare il ricorso per cassazione si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod.proc.pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta pertanto di chiara evidenza che, se il motivo di ricorso si confronta solo parzialmente con la motivazione del provvedimento impugnato, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che in tal modo il provvedimento ora formalmente impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto ignorato.

3. In punto di esegesi normativa, si osserva che le fattispecie delittuose disciplinate dall'art. 603 bis cod.pen. mirano a punire quelle condotte illecite idonee a determinare condizioni lavorative che ledono la dignità umana, generando uno sfruttamento del lavoro e della manodopera. Il riferimento alla corresponsione di una retribuzione inadeguata contenuto nel comma 3 n.1 della norma è, infatti, evocativo del principio costituzionale che sancisce il diritto del lavoratore a una retribuzione sufficiente ad assicurargli un'esistenza libera e dignitosa (art.36 Cost.). Dal riferimento combinato sia allo sfruttamento lavorativo che alla posizione di vulnerabilità della vittima, generato da uno stato di bisogno, entrambi elementi costitutivi del delitto, e dalla collocazione sistematica della norma nel capo III del titolo XII del libro secondo intitolato «Dei delitti contro la libertà individuale» si desume, tuttavia, che il bene giuridico tutelato dalla norma è lo status libertatis, ossia il complesso di beni e libertà che fanno di una persona un soggetto e non un oggetto.
3.1. In due recenti pronunce di questa Sezione (Sez.4, n. 46842 del 11/11/2021, Ferrara, n.m.; Sez. 4, n. 45615 del 11/11/2021, Mazzotta, n.m.) si è evidenziato come l'entrata in vigore della legge 29 ottobre 2016, n. 199, che ha modificato l'art.603 bis cod. pen., abbia comportato l'introduzione nell'ordinamento di due distinte fattispecie: l'intermediazione illecita, il cd. "caporalato", e lo sfruttamento del lavoro, condotta propria del datore di lavoro, che si perfezionano quando concorrano lo sfruttamento e l'approfittamento dello stato di bisogno, indici già presenti nella disposizione previgente, mentre la violenza e la minaccia, che prima integravano elementi tipici del reato, oggi ne costituiscono circostanze aggravanti. Se ne deve desumere la tipizzazione di due figure criminose, indicate dalla norma nell'intermediario e nell'utilizzatore.
3.2. E' utile specificare che per il perfezionamento della fattispecie prevista dall'art.603 bis cod. pen. è necessario che l'intermediario recluti la manodopera al fine di destinarla al lavoro presso terzi, mentre nell'altra ipotesi criminosa, quella delineata dall'art.603 bis, comma 1 n.2, cod. pen., è previsto che l'utilizzatore agisca con la coscienza e volontà di sottoporre i lavoratori a condizioni di sfruttamento e di approfittare del loro stato di bisogno. Per il perfezionamento della prima ipotesi delittuosa è rilevante il fine che l'agente si sia prefissato, cioè l'obiettivo di destinare la manodopera al lavoro presso terzi; si tratta, pertanto, di reato a dolo specifico. La seconda ipotesi delittuosa è, invece, fattispecie a dolo generico, essendo sufficiente per il perfezionamento del reato la rappresentazione e volontà del fatto tipico. Entrambe le condotte sono configurate dal legislatore quali delitti contro la persona, non essendo attribuito rilievo al depauperamento della vittima. Tale qualificazione è avvalorata dalla collocazione sistematica della norma, da cui si desume che l'elenco di cui al comma 3 dell'art. 603 bis cod. pen. contiene altrettanti elementi sintomatici dell'incidenza negativa della condotta dell'agente sullo stato di uomo libero della persona «vulnerabile», piuttosto che sul vantaggio economico che ne derivi all'intermediario o all'utilizzatore (Sez.5, n. 7891 del 16.01.2018, Abdelrahaman, n.m.).

4. Tanto premesso, il Collegio ritiene opportuno evidenziare che nel caso in esame, in cui la rubrica dell'ipotesi accusatoria ascrive cumulativamente agli indagati i medesimi reati in concorso tra loro, a ben vedere la parte descrittiva del capo d'imputazione pone una distinzione tra le condotte degli intermediari e quelle degli utilizzatori, attribuendo a S.A.N., in concorso con L.L., il ruolo di utilizzatore dei lavoratori mediante l'attività di intermediazione dei caporali M.N. e C.D.. In relazione a tale specifica ipotesi accusatoria il Tribunale del Riesame ha, correttamente, incentrato la propria valutazione inerente alla gravità indiziaria.
4.1. In particolare, il Tribunale ha svolto una articolata motivazione elencando gli esiti delle intercettazioni telefoniche, dei servizi di monitoraggio degli spostamenti dell'autovettura in uso a M.N., dei servizi di osservazione; ha, quindi, indicato specificamente (pagg.7 e 14) sulla base di quali elementi sia stato desunto che sussistessero gravi indizi in merito alla posizione datoriale di S.A.N.  (pag.9), in merito all'utilizzo dei lavoratori reclutati dal M.N. a beneficio della stessa (pag.9), in merito allo sfruttamento dei braccianti agricoli (pagg.10-11), in merito al fatto che la S.A.N. fosse consapevole dell'utilizzo di manodopera con sottoposizione dei lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittamento del loro stato di bisogno. Si tratta di elementi indiziari desunti, nell'ordinanza genetica, da una serie di conversazioni captate nel mese di agosto tra la donna e M.N. e, nell'ordinanza del tribunale del riesame, dai servizi di osservazione e dai riscontri telefonici concernenti il fatto che la donna si fosse recata sul fondo agricolo ove si svolgeva l'impiego di braccianti in condizioni di sfruttamento. Nell'ordinanza si è analiticamente spiegato (pag.15) per quali ragioni la versione dei fatti fornita in sede di interrogatorio di garanzia dall'indagata non fosse verosimile, anche perchè sconfessata da documentazione I.N.P.S. e da captazioni telefoniche.
4.2. Con tali specifiche argomentazioni il ricorso omette di confrontarsi. Ulteriore conferma della mancata, specifica, disamina del provvedimento impugnato si desume dal rilievo che, nel ricorso, si contesta la motivazione circa la gravità indiziaria in merito al concorso di persone in fattispecie di delitto connotata da dolo specifico, laddove il Tribunale ha chiarito che la fattispecie ascritta all'indagata  concerne la condotta delineata dall'art.603 bis, comma 1 n.2, cod. pen., per la cui integrazione non è richiesto il dolo specifico (Sez. 4, n.36554 del 22/06/2021, LI, n.m.), su tale qualificazione svolgendo le dovute considerazioni a proposito della consapevolezza da parte dell'indagata delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori.

5. Analoga mancanza di specificità del ricorso è rinvenibile in merito alla censura che concerne le esigenze cautelari, priva di specifico confronto con quanto ampiamente argomentato alle pagg. 15-16 dell'ordinanza impugnata a proposito della personalità dell'indagata, desunta da fatti concreti ivi indicati, nonché a proposito dell'attualità e concretezza del pericolo di recidiva, desunto dalla serialità delle condotte nei confronti di un numero elevato di lavoratori, dalla standardizzazione del modus operandi e dal dolo particolarmente intenso; attualità del pericolo accentuata dalla necessità di reperire manodopera a basso costo soprattutto nei periodi estivi e autunnali, notoriamente dedicati all'attività di raccolta di prodotti agricoli e di piantumazione. Ulteriore conferma della aspecificità di tale motivo di ricorso è l'asserita omessa considerazione dello stato di incensuratezza dell'indagata, al contrario specificamente preso in esame dal tribunale per fondare una prognosi positiva in ordine alla capacità di autocontrollo e di rispetto della misura da parte della  in vista della sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella del divieto di esercizio di attività imprenditoriale per la durata di mesi sei.

6. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell'art.616 cod.proc.pen. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00.

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2022