Cassazione Civile, Sez. 6, 08 febbraio 2022, n. 4052 - Rendita ai superstiti. Esclusa la correlazione causale di ragionevole probabilità tra la patologia sofferta ed il decesso


 

 

Presidente: DORONZO ADRIANA 
 

Rilevato che:
1. Con sentenza n. 146 depositata il 4.6.2020 la Corte di appello di Caltanissetta, in riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda di costituzione di rendita ai superstiti proposta da R.L., vedova di S.G., nei confronti dell’Inail;
2. la Corte territoriale, sulla scorta della disamina approfondita svolta dal CTU nominato in sede di appello nonché della documentazione acquisita, ha ritenuto di escludere un ruolo di causa o concausa efficiente della morte del S.G. alla broncopatia cronica, che risultava essere in assenza di complicanze significative e dunque tale da non avere potuto agire efficacemente sui caratteri della malattia sopravvenuta accelerandone o virandone il decorso naturale;
3. avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la R.L. deducendo due motivi di censura, illustrati da memoria; l’Inail si è difeso depositando controricorso;
4. veniva depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio.

Considerato che:
1. il primo motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41 c.p. e 85 T.U. n. 1124 del 1965 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) posto che il principio dell’equivalenza delle condizioni impone di veder riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla determinazione dell’evento: non avendo il CTU accertato in concreto la causa della morte non è dato comprendere come abbia potuto escludere il concorso causale della tecnopatia sofferta dal S.G..
2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.) avendo trascurato, la Corte di appello, di esaminare l’incidenza causale della patologia bronchiale sull’exitus, avendo, per contro, costituito – detta patologia, se adeguatamente esaminata – un elemento di accelerazione verso il decesso.
3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
4. Questa Corte ha ripetutamente affermato che il nesso causale tra l'attività lavorativa e il danno alla salute dev'essere valutato secondo un criterio di rilevante o ragionevole probabilità scientifica (v. Cass. n. 8773 del 10/04/2018 e, in merito alle prestazioni di assistenza sociale, Cass. n. 753 del 17/01/2005, Cass. n. 27449 del 29/12/2016, Cass. n. 24959 del 23/10/2017).
5. Le Sezioni Unite di questa Corte, muovendo dalla considerazione che i principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p., e dalla regolarità causale - salva la differente regola probatoria che in sede penale è quella dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", mentre in sede civile vale il principio della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" - hanno poi ulteriormente precisato che la regola della "certezza probabilistica" non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativo - statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica) (cfr. Cass. Sez. Un. 581 del 11/1/2008, Cass. n. 29315 del 07/12/2017).
6. Nel caso di specie, la Corte territoriale, si è conformata ai principi innanzi richiamati, in quanto, avvalendosi dell’approfondita disamina svolta dal CTU, ha accertato che “le risultanze documentali annesse in atti escludono la presenza di una tecnopatia in grado di agire efficacemente sull’exitus” (pag. 6 della sentenza impugnata), essendo emerso che “non risulta che la broncopatia cronica di cui era portatore il de cuius abbia mai dato segni di scompenso (come dimostra la pressoché assenza di documentazione sanitaria al riguardo) o determinato un sovvertimento di quei parametri clinici che in genere accompagnano significativi quadri di insufficienza respiratoria cronici non solo a livello cardiaco e polmonare ma anche ematologico…”. La Corte ha, dunque, accertato che gli elementi a disposizione escludevano una correlazione causale di ragionevole probabilità tra la patologia sofferta ed il decesso.
7. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile: con esso non si deduce un "fatto storico" che non sia stato esaminato, quanto piuttosto si contesta una valutazione probatoria, insindacabile in sede di legittimità, tanto più nel vigore del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).
8. In conclusione, il ricorso va rigettato; le spese di lite seguono la soccombenza non essendo stata resa l'autodichiarazione ex art. 152 disp.att. cod.proc.civ. dalla ricorrente nemmeno per la presente fase di legittimità: invero, la dichiarazione contenuta in calce al ricorso non è sottoscritta dalla parte (né contiene l’impegno a comunicare le eventuali successive modificazioni del reddito) e la dichiarazione della parte depositata nel fascicolo attiene esclusivamente al diverso requisito reddituale (reddito imponibile ai fini Irpef inferiore a tre volte l’importo del reddito stabilito ex artt. 76 e 77 T.U. n. 115 del 2002) richiesto dalla legge per l’esenzione dal pagamento del contributo unificato (e non per l’esenzione dal pagamento delle spese di lite).
9. In considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
 

P. Q. M.
 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di Cassazione, addì 11 gennaio 2022.