Categoria: Cassazione penale
Visite: 2653

Cassazione Penale, Sez. 4, 14 febbraio 2022, n. 5140 - Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro 


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: D'ANDREA ALESSANDRO
Data Udienza: 18/01/2022
 

Fatto

 

1. Con ordinanza del 19 marzo 2021 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha rigettato l'istanza di riesame proposta da K.K., confermando la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti dal G.I.P. del Tribunale di Palmi, in relazione al delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110, 603-bis cod. pen.
Il giudice del riesame ha, infatti, ritenuto la ricorrenza di un pregiudicato quadro indiziario a carico del K.K. in ordine all'integrazione del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravato dall'aver utilizzato lavoratori in numero superiore a tre. Al K.K., in particolare, è stato contestato di aver svolto l'illecito ruolo di "caporale", per aver reiteratamente provveduto, con cadenza pressocché giornaliera, al reclutamento di lavoratori extracomunitari da destinare a lavori agricoli presso le imprese di alcuni coindagati, ed in particolare in quella riferibile a R.F. (pluripregiudicato orbitante in ambienti di criminalità organizzata di matrice '"ndranghetistica"), anche disponendo di furgoni con cui trasportare i soggetti reclutati sui luoghi di lavoro, nonché concorrendo nell'utilizzo della manodopera mediante lo svolgimento di compiti di vigilanza e di direzione dei lavoratori sfruttati.
Nell'ordinanza viene esplicato come la misura sia stata applicata all'esito di una complessa attività di indagine finalizzata all'emersione dello sfruttamento della manodopera dei braccianti agricoli e alla repressione del c.d. "caporalato" nei territori della Piana di Gioia Tauro - ove numerosi extracomunitari vivono in condizioni di assoluto degrado, dislocati in tendopoli, baraccopoli o centri containers in assenza delle più elementari condizioni igienico-sanitarie - che aveva, infine, condotto all'applicazione, con l'ordinanza genetica, di misure cautelari nei confronti di numerosi soggetti indagati.
La gravità indiziaria a carico del K.K. (detto "Cafù") era stata, in particolare, desunta dalle risultanze dell'attività di intercettazione, dagli esiti dei servizi di osservazione e controllo svolti dalla P.G. e dalle sommarie informazioni testimoniali rese da parte di alcuni braccianti agricoli.
Di tali risultanze è stata data ampia rappresentazione dal Tribunale del riesame, in particolare evidenziando come l'indagato: avesse svolto intensa attività di reclutamento di lavoratori extracomunitari da destinare al lavoro presso terzi, e soprattutto all'azienda agricola di R.F.; avesse provveduto all'organizzazione del trasporto dei lavoratori, al loro controllo ed alla direzione del lavoro; avesse imposto il pagamento di un compenso, pari a tre euro (da detrarre dalla paga giornaliera), per trasportare gli extracomunitari al lavoro, senza consentir loro di utilizzare mezzi di trasporto alternativi; avesse svolto attività di rendicontazione ai datori di lavoro in ordine all'attività svolta da parte dei braccianti; si fosse rapportato ai lavoratori per il pagamento delle loro retribuzioni.
L'attività era stata espletata con modalità di palese sfruttamento dei lavoratori, come evincibile: dalle condizioni alloggiative degradanti; dalla scarsa entità della retribuzione loro corrisposta; dal mancato rispetto delle norme contrattuali collettive, in particolar modo riguardanti il trattamento economico, l'orario di lavoro e le condizioni di sicurezza dei lavoratori..
Il giudice del riesame ha, infine, ritenuto la ricorrenza di stringenti esigenze di cautela in ragione del pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, in considerazione della personalità dell'indagato - gravato da precedenti specifici -, dalla professionalità raggiunta nell'espletamento dell'attività di "caporalato", svolta con intensità, disinvoltura e dimestichezza, anche tenuto conto della possibilità di contare sulla disponibilità di un mezzo di locomozione e su un'ampia rete di contatti instaurati con imprenditori agricoli locali. E' stato, altresì, ritenuto il possibile rischio del rientro del K.K. nel territorio africano di provenienza, trattandosi di soggetto titolare del permesso di soggiorno che ha già manifestato una spiccata propensione alla mobilità, sia in Italia che all'estero.

2. Avverso l'indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo erronea applicazione dell'art. 603-bis cod. pen. e mancanza di motivazione.
La scarna motivazione redatta dal Tribunale del riesame, infatti, non sarebbe sufficiente a rappresentare, in modo adeguato, la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato in ordine all'integrazione del contestato delitto.
Il K.K., infatti, lungi dall'aver svolto una qualsiasi attività di reclutamento di lavoratori extracomunitari, sarebbe stato solo un prestatore posto alle dipendenze delle aziende agricole interessate dalla vicenda, non risultando in alcun modo comprovate né la contestata condotta di reclutamento illecito, né la sua posizione di sovraordinazione rispetto agli altri lavoratori, con conseguente capacità di coartarne la volontà.
Il quadro accusatorio risulterebbe, inoltre, particolarmente debole per essere stato fondato, a riscontro, su altre vicende processuali ancora in itinere, ovvero su elementi del tutto marginali ed irrilevanti, come la specificità del luogo di residenza dell'indagato.

 

Diritto
 



1. Nelle more della trattazione del giudizio, è pervenuto in data 3 gennaio 2022 un atto, sottoscritto digitalmente dal difensore, con cui il ricorrente ha dichiarato di rinunciare al ricorso, essendo nel frattempo intervenuto provvedimento di gradazione della misura custodiale impugnata.
La rinuncia all'impugnazione è un atto processuale a carattere formale, consistente in una dichiarazione abdicativa, irrevocabile e recettizia, da cui discende l'effetto dell'inammissibilità dell'impugnazione, una volta che l'atto sia pervenuto alla cancelleria del giudice ad quem. Si tratta di un atto strettamente personale, che può essere proposto o dalla parte personalmente o dal difensore munito di apposita procura speciale (così, tra le tante, Sez. 6, n. 7493 del 15/01/2021, Giorgi, 281609-01).
La pervenuta rinuncia risulta, tuttavia, sottoscritta da un difensore privo di procura speciale, ed è perciò da ritenersi inefficace, in quanto effettuata senza il rispetto delle forme di legge previste.

2. Ciò impone la valutazione nel merito del proposto ricorso, che è per il Collegio manifestamente infondato, con conseguente necessità di dichiararne la relativa inammissibilità.

3. In proposito, infatti, assume rilievo il principio, reiteratamente affermato da parte di questa Corte, per cui, in tema di impugnazione dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto nel caso in cui denunci la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628-01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884-01).
Anche con riferimento al giudizio cautelare personale, cioè, il controllo di legittimità susseguente alla proposizione del ricorso per cassazione non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del G.I.P. e del Tribunale del riesame, ed essendo esso, invece, circoscritto all'esame dell'atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (così, tra le tante, Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Sansone, Rv. 269438-01).
Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, infatti, è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione - come nel caso in esame - sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
Non sono consentite, pertanto, censure che, pur formalmente investendo la motivazione, e a fortiori ammantandosi di una pretesa violazione di legge, si risolvano, in realtà, nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito.

Orbene, nel caso di specie le doglianze espresse dal ricorrente si risolvono nella rappresentazione di errate valutazioni in relazione alla sussistenza della gravità indiziaria così come accertata dal Tribunale del riesame, prevalentemente concernendo circostanze di puro fatto non sindacabili nella presente sede di legittimità.
Di converso, per come nel prosieguo precisato, le argomentazioni addotte nel provvedimento impugnato appaiono del tutto congrue ed esenti da qualsiasi vizio logico o giuridico.

4. Del tutto infondato, infatti, è il motivo con cui il ricorrente ha dedotto vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla ricorrenza di una condotta di sfruttamento del lavoro rilevante ai sensi dell'art. 603-bis cod. pen.
Questa Corte ha già avuto modo di puntualizzare che la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'art. 603-bis cod. pen. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (così Sez. 4, n. 27582 del 16/09/2020, Savoia Giuseppe, Rv. 279961-01; nonché, in termini conformi, Sez. 4, n. 49781 del 09/10/2019, Kuts Olena, Rv. 277424-01).
Di tale principio ha fatto corretta applicazione, nel caso di specie, il Tribunale del riesame, che ha correttamente valutato riscontri indiziari, complessivamente e prudentemente soppesando una serie di elementi fattuali (desunti dalle dichiarazioni dei lavoratori, stimate - non illogicamente - attendibili, dall'attività di intercettazione telefonica e dagli esiti dei servizi di osservazione e controllo svolti dalla P.G.) che ha - non incongruamente - ritenuto dimostrativi dello sfruttamento dei lavoratori da parte del "caporale", tra cui: l'intensa attività di reclutamento svolta, attraverso la quotidiana selezione di lavoratori extracomunitari ubicati, in condizioni di assoluto degrado, presso tendopoli, baraccopoli o centri containers in assenza delle più elementari condizioni igienico-sanitarie; l'organizzazione del trasporto di tali lavoratori, mediante l'utilizzo di furgoni di sua proprietà; l'imposizione di un compenso per il servizio di trasporto svolto, coattivamente detratto dalla paga percepita; l'imposizione ai lavoratori di non poter utilizzare mezzi di trasporto alternativi ai suoi; lo svolgimento di una costante attività di rendicontazione ai datori di lavoro in ordine alle prestazioni effettuate dai singoli braccianti; la sussistenza di una relazione con i prestatori extracomunitari in ordine al pagamento delle loro retribuzioni, del tutto inappropriate e sottostimate rispetto alla quantità di lavoro prestato.

Risulta evidente, allora, come il Tribunale del riesame abbia correttamente valorizzato gli indicati aspetti, desumendone l'inequivoca valenza indiziaria, con motivazione da ritenersi, nel complesso, congrua e logica, e dunque immune da vizi sindacabili in sede di legittimità.
La motivazione dell'ordinanza impugnata, cioè, supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all'apprezzamento dei requisiti previsti dalla legge per l'emissione ed il mantenimento dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l'intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

5. Deve, pertanto, essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cast., sent. n. 186/2000).

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 18 gennaio 2022